Tratto da: Lavori Pubblici  

Quali limiti incontra l’intervento edilizio in pendenza di condono? È possibile giustificare nuove opere sulla base di una vecchia domanda mai definita? E come si valuta l’incidenza urbanistica di più interventi frammentati nel tempo?

 

Ha risposto a queste domande il Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 5699 del 2 luglio 2025, si è pronunciato su un caso di particolare rilevanza applicativa, ribadendo alcuni principi consolidati in materia di repressione degli abusi edilizi, con riferimento al rapporto tra interventi successividomande di condono non definite e ordinanze di demolizione.

Una decisione che riafferma la centralità del principio del “cumulo giuridico” e della valutazione unitaria dell’intervento edilizio complessivo, soprattutto quando le opere interessano edifici già oggetto di istanza di sanatoria.

Il contenzioso nasce da due ordinanze di demolizione adottate da un’Amministrazione comunale nei confronti di altrettante unità immobiliari appartenenti a una società, riconducibile a un gruppo imprenditoriale che da anni era proprietario dell’immobile. Le ordinanze si riferivano a interventi edilizi consistenti in:

  • modifiche interne sostanziali delle unità abitative;
  • ampliamenti in sopraelevazione, con realizzazione di nuovi volumi;
  • modifiche di distribuzione e destinazione d’uso degli spazi interni, in assenza di titolo edilizio.

L’immobile risultava già oggetto di due domande di condono edilizio ai sensi della L. 47/1985 e della L. 724/1994, rispettivamente presentate nel 1986 e nel 1995, ma mai definite dalla Pubblica Amministrazione. La società appellante sosteneva che le opere oggetto di contestazione fossero in realtà riconducibili a quelle già richieste in sanatoria, e che l’Amministrazione non avrebbe potuto emettere provvedimenti repressivi in pendenza di una definizione delle istanze di condono.

A fronte di tali ordinanze, la società ha proposto due distinti ricorsi davanti al TAR Campania – Napoli, lamentando tra l’altro:

  • l’assenza di motivazione specifica sulle ragioni di interesse pubblico che giustificassero la demolizione;
  • la mancata comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge n. 241/1990;
  • l’omessa valutazione della documentazione urbanistica allegata alle pratiche di condono;
  • l’illegittimità dell’azione demolitoria in pendenza di procedimenti di sanatoria.

Il TAR ha rigettato entrambi i ricorsi, affermando che le opere oggetto delle ordinanze erano chiaramente ulteriori rispetto a quelle condonabili e che le istanze di sanatoria, non ancora definite, non impedivano l’adozione di provvedimenti repressivi autonomi nei confronti di nuovi abusi edilizi.

La società ha quindi proposto appello al Consiglio di Stato, sostenendo l’illegittimità delle ordinanze comunali per:

  • omessa valutazione delle pratiche pregresse;
  • difetto di istruttoria e motivazione;
  • travisamento dei fatti, ritenendo le opere sanzionate come una prosecuzione di quelle condonate.

Tuttavia, nel corso del giudizio di secondo grado, a seguito di una verificazione tendente ad accertare se le opere sanzionate con le ordinanze di demolizione fossero ulteriori rispetto a quelle oggetto delle richieste di sanatoria del 1986 e del 1995, è emerso che:

  • parte delle opere interessate, pari a circa 125 mq di superficie, non rientrava né nella prima né nella seconda domanda di condono;
  • erano state realizzate trasformazioni rilevanti delle distribuzioni interne, che costituivano un intervento edilizio autonomo e successivo;
  • i rilievi aerofotogrammetrici e gli accertamenti tecnici avevano documentato un chiaro incremento volumetrico e un mutamento delle caratteristiche architettoniche dell’immobile.

Il Consiglio di Stato ha quindi confermato la legittimità delle ordinanze di demolizione, ribadendo che non può darsi continuità edilizia a opere non legittimate e che l’accertamento degli abusi va condotto considerando l’intervento nel suo insieme, anche se articolato in più fasi temporali.

Il Consiglio di Stato ha affrontato, tra gli altri, i seguenti aspetti:

  • valutazione complessiva degli abusi: l’intervento edilizio va valutato nella sua unitarietà, e non in maniera atomistica. La giurisprudenza richiede una visione d’insieme, tenendo conto dell’impatto complessivo sul territorio, anche se gli interventi sono stati realizzati in tempi diversi;
  • effetti della domanda di condono pendente: la presentazione dell’istanza non legittima la prosecuzione di attività edilizia sull’immobile oggetto della domanda. Eventuali ampliamenti, modifiche o trasformazioni, anche interne, devono considerarsi abusivi fino alla definizione della sanatoria;
  • inammissibilità della sanzione pecuniaria (art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380/2001): in presenza di aumenti di superficie e volume, soprattutto in zona vincolata e in assenza di autorizzazione paesaggistica, non è ammessa la sanzione pecuniaria alternativa. È legittima l’ordinanza di demolizione;
  • natura vincolata dell’ordine di demolizione: l’ingiunzione a demolire un’opera abusiva è un atto vincolato, che non richiede specifica motivazione se non quella relativa alla constatazione dell’abuso. Non sono necessarie ulteriori valutazioni sull’interesse pubblico, anche in caso di ritardo nell’adozione del provvedimento o di subentro di nuovi proprietari;
  • omissione della comunicazione di avvio del procedimento: non invalida l’atto in quanto il potere repressivo è vincolato. In ogni caso, l’art. 21-octies della L. 241/1990 esclude l’annullamento se il contenuto dell’atto non sarebbe cambiato. Gli accertamenti svolti in giudizio hanno confermato la fondatezza delle ordinanze;
  • verifiche tecniche e onere della prova: la contestazione della parte appellante circa la presunta mancanza di documentazione è stata ritenuta infondata, essendo la documentazione disponibile presso gli uffici comunali. Gli esiti della verificazione tecnica hanno confermato l’esistenza di circa 125 mq di superficie non condonata e trasformazioni interne incompatibili con la pendenza della sanatoria.

    Il nuovo intervento del Consiglio offre un quadro giurisprudenziale chiaro e particolarmente utile per i tecnici, i professionisti e le amministrazioni comunali chiamate a gestire situazioni complesse di abuso edilizio in pendenza di procedimenti di sanatoria. I principali punti operativi che emergono sono i seguenti:

    • il condono pendente non sospende i poteri repressivi: la semplice presentazione di una domanda di condono, anche se formalmente ricevibile e non ancora definita, non impedisce all’amministrazione di adottare ordinanze di demolizione per opere ulteriori o difformi. L’azione repressiva è infatti un potere-dovere vincolato, esercitabile anche in assenza di esiti sulla sanatoria;
    • ogni intervento successivo a un abuso non regolarizzato è anch’esso abusivo: se l’immobile non ha ancora ottenuto il titolo sanante, ogni modifica, ampliamento o trasformazione realizzata successivamente è di per sé illecita e non può essere giustificata dalla mera pendenza della sanatoria. Gli interventi ulteriori ereditano l’illegittimità dell’opera principale;
    • valutazione unitaria dell’intervento edilizio: la giurisprudenza esclude approcci parcellizzati e impone una lettura complessiva dell’abuso. L’amministrazione deve valutare l’incidenza urbanistica dell’intervento nel suo insieme, per evitare manovre elusive fondate sulla frammentazione artificiosa delle opere;
    • l’ordinanza di demolizione è un atto vincolato: non è richiesta una motivazione articolata, né una comparazione tra l’interesse pubblico e privato. L’unico presupposto sufficiente è la constatazione della realizzazione di opere in assenza o in difformità del titolo edilizio;
    • la mancanza della comunicazione di avvio procedimento non invalida l’atto: trattandosi di provvedimenti vincolati, l’omissione degli adempimenti partecipativi ex art. 7 L. 241/1990 non incide sulla legittimità del provvedimento. È applicabile l’art. 21-octies, che esclude l’annullamento in assenza di effettivo pregiudizio;
    • attenzione ai vincoli paesaggistici: nei casi in cui le opere ricadano in aree vincolate, l’assenza dell’autorizzazione paesaggistica rafforza la gravità dell’abuso e preclude l’applicazione di sanzioni pecuniarie alternative. La tutela del paesaggio impone infatti un livello più elevato di vigilanza;
    • ruolo della verificazione tecnica: gli accertamenti disposti in sede contenziosa hanno un ruolo fondamentale per validare o confutare le tesi difensive. I tecnici incaricati devono documentare in modo puntuale la consistenza delle opere e la loro incidenza urbanistica, evitando superficialità e valutazioni parziali.

    In definitiva, la pronuncia rafforza un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, volto a contrastare le pratiche elusive legate alla presentazione strumentale delle domande di condono. Per i tecnici, è essenziale considerare l’immobile nella sua evoluzione complessiva, verificare puntualmente le opere esistenti, e non dare per acquisita la legittimità in presenza di istanze di sanatoria non definite.

    Una decisione che chiama tutti gli attori del procedimento edilizio – professionisti, uffici tecnici e organi giurisdizionali – a un approccio sistemico, coerente e trasparente nella valutazione della legittimità degli interventi edilizi.

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