tratto da biblus.acca.it

L’inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione paesaggistica imposte dalla Soprintendenza determina l’illegittimità e l’annullamento in autotutela del titolo stesso?

La sentenza n. 447/2025 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana affronta l’annullamento in autotutela del titolo edilizio in caso di difformità esecutive. Il giudice chiarisce che, in assenza di vizi originari del titolo o di un interesse pubblico prevalente, l’amministrazione non può revocare il titolo per irregolarità nella realizzazione dell’opera, ma deve ricorrere a misure proporzionate, come l’ordinanza di demolizione. Una decisione che ribadisce i limiti del potere amministrativo e la centralità del principio di proporzionalità.

Il caso

Con ricorso presentato al T.A.R. Sicilia nell’aprile del 2016, due cittadini hanno impugnato un provvedimento di annullamento in autotutela emesso dal Comune di appartenenza. Tale atto revocava la concessione edilizia n. 6 del 9 febbraio 2012, rilasciata per ristrutturare un immobile destinato ad attività artigianale (lavorazione marmi), situato in contrada omissis.

Il Comune aveva subordinato la concessione all’osservanza di precise condizioni contenute nell’Autorizzazione Paesaggistica rilasciata dalla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento. I lavori furono completati l’8 settembre 2014, ma un sopralluogo del maggio 2015 rilevò presunte difformità rispetto all’autorizzazione paesaggistica. Da qui l’annullamento del titolo edilizio con provvedimento dell’8 febbraio 2016.

Nel ricorso originario, i ricorrenti hanno sollevato vari motivi, tra cui:

  • violazione dei principi costituzionali (artt. 3 e 97 Cost.) e dell’art. 1 L. 241/1990 per ingiustificati ritardi procedimentali;
  • violazione dei termini procedurali (art. 2 L. 241/1990);
  • difformità dei pareri rilasciati dalla Soprintendenza rispetto alla conferenza di servizi;
  • invasione di competenze da parte della Soprintendenza;
  • incompatibilità dei firmatari del provvedimento per interessi personali;
  • assenza di motivazione e di bilanciamento tra interesse pubblico e interesse privato nella decisione comunale.

Il Comune si è costituito chiedendo il rigetto del ricorso, sostenendo la legittimità dell’annullamento motivato dalla violazione delle condizioni paesaggistiche previste nel titolo edilizio.

Il T.A.R. ha respinto il ricorso confermando la legittimità dell’annullamento in autotutela e condannando i ricorrenti alle spese.

Con atto di appello notificato, i ricorrenti hanno impugnato la sentenza, contestandone la motivazione e riproponendo i seguenti motivi del ricorso di primo grado:

  • primo motivo d’appello: ripropone il settimo motivo (difetto di motivazione e mancato bilanciamento degli interessi pubblici/privati);
  • secondo motivo d’appello: ripropone il quinto motivo (invasione di competenze da parte della Soprintendenza);
  • terzo motivo d’appello: ripropone il sesto motivo (incompatibilità dei firmatari del provvedimento).

Passando all’esame del settimo motivo del ricorso di primo grado, riproposto come primo motivo d’appello, il Collegio ne riconosce la fondatezza.

In effetti, il provvedimento impugnato del Comune ha violato i principi di ragionevolezza e proporzionalità, in quanto, pur a fronte della constatazione di lavori eseguiti in difformità dall’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Soprintendenza, ha disposto in autotutela l’annullamento integrale della concessione edilizia, invece di limitarsi a ordinare la demolizione delle sole opere realizzate in contrasto con le condizioni previste dal titolo edilizio.

Inoltre, il provvedimento di autotutela, adottato due anni dopo la conclusione dei lavori, non ha nemmeno esplicitato l’esistenza di un interesse pubblico prevalente che giustificasse l’annullamento totale della concessione, come richiesto dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990. Il Collegio osserva che, in generale, la violazione di prescrizioni contenute nel titolo edilizio (in questo caso, principalmente di tipo estetico richieste dalla Soprintendenza) non rende automaticamente illegittimo il titolo stesso, e quindi non giustifica il suo annullamento in autotutela.

Nel caso in esame, il titolo edilizio, sebbene non pienamente rispettato, era comunque legittimo. L’illegittimità riguarda piuttosto l’opera così come realizzata, che si discosta dal progetto autorizzato. Pertanto, l’interesse pubblico può essere pienamente tutelato attraverso strumenti repressivi diversi dall’annullamento, come l’ordinanza di demolizione delle opere eseguite in difformità, lasciando impregiudicata la possibilità di un successivo adeguamento dell’opera al titolo originario, secondo quanto previsto dall’art. 34, comma 2, c.p.a. Questa soluzione rispetta i principi di proporzionalità e dell’utilizzo del mezzo meno invasivo per il raggiungimento dello scopo pubblico.

Il settimo motivo del ricorso di primo grado deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

In considerazione dell’accoglimento del settimo motivo, i restanti motivi (quinto e sesto del ricorso di primo grado, riproposti rispettivamente come secondo e terzo motivo d’appello) risultano assorbiti.

In conclusione, il primo motivo d’appello deve essere accolto; i restanti motivi vanno assorbiti. In parziale riforma della sentenza impugnata (per la parte non già passata in giudicato), deve essere accolto il settimo motivo del ricorso di primo grado, con conseguente annullamento del provvedimento comunale, restando salva ogni ulteriore attività repressiva dell’abuso edilizio.

Questa sentenza sottolinea l’importanza di distinguere tra illegittimità del titolo edilizio e difformità dell’opera eseguita, richiamando l’obbligo per l’Amministrazione di adottare misure proporzionate, come la demolizione parziale, anziché l’annullamento in autotutela del titolo. In tali contesti, risulta fondamentale per il tecnico incaricato documentare in modo preciso lo stato dei luoghi e valutare la possibilità di un adeguamento dell’opera alle prescrizioni originarie.

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