Tratto da: Ildirittoamministrativo.it  

Autore: Michele Punzi

Abstract

Il contributo analizza il potere di ordinanza nel sistema giuridico italiano, con attenzione alla sicurezza pubblica e urbana. L’indagine comincia dalle radici costituzionali, chiarendo presupposti di legittimità e limiti applicativi, per poi ricostruire l’evoluzione dei concetti di “ordine pubblico” e “sicurezza pubblica”: dalla distinzione tra dimensione materiale e ideale alle scelte terminologiche del legislatore costituente. In tale quadro, la resilienza istituzionale è letta in chiave di governance multilivello, mettendo in luce il passaggio da un modello statocentrico a forme cooperative tra Stato, Enti locali e Forze di Polizia. Particolare attenzione è dedicata alla natura giuridica delle ordinanze, al bilanciamento tra legalità e necessità, e alla distinzione tra atti tipici ed extra ordinem, con riguardo al principio di proporzionalità e alle garanzie costituzionali. Viene approfondito il potere sindacale di ordinanza contingibile e urgente, sia nella formulazione originaria sia alla luce di riforme e orientamenti giurisprudenziali, evidenziando rischi e potenzialità nella gestione delle emergenze. L’analisi dimostra che, se esercitato entro confini temporali, procedurali e sostanziali rigorosi, il potere di ordinanza può rappresentare uno strumento di intervento rapido e flessibile, in grado di conciliare tempestività e tutela dei diritti fondamentali, salvaguardando lo Stato di diritto anche nelle fasi di crisi.

Sommario: 1. Il quadro costituzionale della pubblica sicurezza. – 1.1 Resilienza istituzionale e governance multilivello. – 1.2 Il riparto delle competenze e le funzioni di polizia. – 2. Il potere di ordinanza tra legalità e necessità. – 2.1 Tra regola ed eccezione: l’ordinanza come strumento flessibile. – 2.2 Il lato operativo dell’ordinanza – 3. I poteri extra ordinem del Sindaco. – 3.1 Espansione, limiti e ridefinizione del potere di ordinanza sindacale. – 3.2 La gestione delle emergenze urbane: i nuovi orizzonti della funzione sindacale. – 4. Conclusioni.

 

  1. Il quadro costituzionale della pubblica sicurezza**

L’individuazione e la definizione giuridica delle nozioni di ordine pubblico e sicurezza pubblica continuano a rappresentare, ancora oggi, un terreno complesso e problematico, sul quale convergono implicazioni teoriche, storiche e sistematiche. Si tratta di concetti intrinsecamente sfaccettati, caratterizzati da un’evoluzione non lineare e da una naturale adattabilità ai mutamenti del contesto politico-istituzionale e alle esigenze sociali emergenti[1].

Fin dalle prime sistemazioni teoriche dell’età moderna, la riflessione giuridica ha distinto due profili dell’ordine pubblico: uno materiale e uno ideale, distinzione poi consolidata nelle costituzioni di ispirazione illuministica della fine del XVIII Secolo[2]. Sul piano materiale, l’ordine pubblico riguarda la tutela di condizioni concrete e tangibili – sicurezza dei cittadini, tranquillità collettiva, salubrità ambientale – considerate indispensabili per il regolare svolgimento della vita comunitaria e per la salvaguardia di quel nucleo etico-giuridico minimo che sorregge lo Stato di diritto. Diversamente, la dimensione ideale si colloca sul terreno dei valori: essa raccoglie principi morali, politici ed etici che l’autorità pubblica assume come parametro di riferimento, soprattutto con funzione conservativa rispetto all’assetto istituzionale e all’ideologia prevalente[3], finendo talvolta per identificarsi con il concetto stesso di ordine legale costituito[4].

L’esperienza del ventennio fascista offre un esempio eloquente di come tale nozione possa trasformarsi in un contenitore concettuale elastico, funzionale a limitare in modo pervasivo le libertà fondamentali sulla base di premesse ideologiche. Proprio per sottrarre la materia a simili derive, il legislatore della Costituzione repubblicana del 1948 scelse consapevolmente di sostituire il termine “ordine pubblico” con “sicurezza pubblica”. Questa espressione, più ancorata a un significato oggettivo e operativo, intendeva circoscrivere il riferimento alla condizione pacifica della convivenza civile – intesa come assenza di violenza e rispetto reciproco – ed evitare che il concetto potesse essere piegato a interpretazioni assolute, impermeabili al pluralismo democratico e all’evoluzione sociale[5].

Questa opzione è stata, in sostanza, confermata dalla giurisprudenza costituzionale, che ha interpretato l’ordine pubblico in senso prevalentemente materiale, escludendone la configurazione come clausola assiologica assoluta[6]; ogni limitazione preventiva ai diritti fondamentali è legittima soltanto se sorretta da una fonte di rango costituzionale o legislativo che contenga un espresso richiamo a esigenze di sicurezza pubblica, di ordine pubblico o a un prevalente interesse pubblico[7]. In questa prospettiva, la sicurezza pubblica assume un duplice profilo: da un lato, si pone quale funzione essenziale e inderogabile dello Stato; dall’altro, può agire come limite alle libertà individuali, ma unicamente nel rispetto del principio di legalità e delle garanzie poste dall’ordinamento.

 

Va però ricordato che, in alcune pronunce, la Corte costituzionale ha adottato un’impostazione più ampia, recuperando – seppur in modo limitato – la dimensione ideale dell’ordine pubblico. In tali occasioni, esso è stato configurato come un limite implicito e trasversale a tutte le libertà fondamentali, anche in assenza di un esplicito riferimento nelle singole disposizioni costituzionali[8]. Pur trattandosi di un orientamento circoscritto, questa oscillazione interpretativa conferma l’esigenza di una riflessione costante sul bilanciamento, sempre complesso, tra garanzie individuali e coesione sociale.

 

  • Resilienza istituzionale e governance multilivello

La continua evoluzione delle minacce impone di concepire la sicurezza come nozione dinamica, refrattaria a definizioni rigide e immutabili, adattabile alle mutevoli esigenze della comunità e del contesto socio-politico, indice della capacità dell’ordinamento di garantire le proprie funzioni essenziali anche in presenza di rischi considerati sostenibili.

In altri termini, la sicurezza esprime la resilienza istituzionale, ossia l’attitudine delle strutture pubbliche ad agire come se la minaccia fosse assente o, comunque, contenuta entro margini gestibili[9].

Le più recenti elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali tendono a considerare ordine pubblico e sicurezza pubblica come espressioni di un unico nucleo concettuale, rappresentativo di una funzione primaria dello Stato: garantire la convivenza civile in tutte le sue declinazioni. Questa impostazione favorisce una lettura integrata dell’azione pubblica, strutturata lungo due assi strettamente interconnessi: la prevenzione[10] e la repressione, strumenti complementari nella tutela dell’equilibrio dell’ordinamento.

La prevenzione, tradizionalmente collocata nell’alveo della polizia di sicurezza, trova il suo fondamento nel diritto amministrativo – senza esaurirvisi – e si orienta a garantire l’osservanza di regole poste a tutela della collettività. La repressione, per contro, appartiene primariamente all’ambito penalistico, ma non esclusivamente: accanto ad essa si collocano, per esempio, anche sanzioni amministrative, la cui natura ha sollevato vivaci dibattiti dottrinali, pur potendosi oggi considerare prevalentemente riconducibili alla dimensione amministrativa. Essa si realizza nell’irrogazione di misure punitive nei confronti di chi trasgredisce le regole di condotta poste a presidio dell’ordine pubblico. Pur operando su piani distinti, le due funzioni sono legate da un rapporto di necessaria continuità: l’intervento punitivo sopraggiunge laddove gli strumenti preventivi non abbiano sortito l’effetto desiderato. Ne deriva che l’efficacia dell’azione preventiva diventa un elemento decisivo per ridurre il ricorso a misure repressive e contenere le minacce all’ordine pubblico.

Dal punto di vista soggettivo, la distinzione resta marcata: l’attività preventiva è affidata a Ufficiali e Agenti di Pubblica Sicurezza, nell’ambito amministrativo; quella repressiva spetta alla polizia giudiziaria, operante sotto l’autorità dell’organo giurisdizionale. Nella realtà operativa, le stesse Forze di Polizia esercitano entrambe le funzioni, ma la separazione concettuale continua a rappresentare una garanzia sistemica, riflesso del principio di distinzione tra amministrazione della sicurezza e amministrazione della giustizia.

L’assetto odierno, tuttavia, si discosta dal tradizionale modello statocentrico: la sicurezza è divenuta una responsabilità condivisa, strutturata su più livelli istituzionali. La sicurezza urbana[11], in particolare, si fonda su modelli di cooperazione multilivello che coinvolgono in modo sinergico Comuni, Prefetture e Forze di Polizia statali e locali, in un’ottica di governance integrata e partecipativa[12]. In tale quadro, il ruolo degli Enti locali è cresciuto sensibilmente, grazie anche alla possibilità di ricorrere non solo alle ordinanze contingibili e urgenti – spesso finalizzate alla tutela del decoro e della fruibilità degli spazi pubblici – ma anche a strumenti di programmazione condivisa, come i «patti per la sicurezza». Questi ultimi hanno assunto un rilievo strategico ancora maggiore in seguito all’adozione del cosiddetto «Decreto Sicurezza»[13], che ha consolidato il quadro normativo di riferimento, fornendo una cornice più organica e vincolante per la pianificazione coordinata degli interventi sul territorio. Tali disposizioni extracodicistiche adottate negli ultimi anni sotto il segno della «legislazione dell’emergenza» costituiscono, tuttavia, interventi spesso strutturati in blocchi legislativi eterogenei, privi di una visione organica e animati più da finalità di carattere simbolico-repressivo che da un coerente disegno di politica criminale[14] (si possono ricordare la L. 92/2008, la L. 94/2009 e la L. 50/2010).

 

  • Il riparto delle competenze e le funzioni di polizia

La definizione dell’assetto delle competenze in materia di sicurezza pubblica ha rappresentato, per il legislatore, una delle questioni più delicate e strategiche, tanto nell’attività normativa ordinaria quanto nei momenti di revisione costituzionale. Il nodo centrale riguarda la possibilità – e l’estensione – della partecipazione di Regioni ed Enti locali all’esercizio di funzioni connesse alla tutela dell’ordine pubblico, tradizionalmente presidio dello Stato centrale. In altri termini, si tratta di valutare fino a che punto l’ordinamento possa aprirsi a un modello di governance condivisa della sicurezza, capace di bilanciare l’unitarietà dell’indirizzo nazionale con le esigenze di prossimità e di risposta tempestiva che caratterizzano le realtà territoriali.

Un primo passo in questa direzione si è avuto con il D.L. 31 marzo 1998, n. 112[15], che ha avviato un processo di decentramento amministrativo, pur riaffermando il principio dell’unitarietà delle funzioni essenziali. L’articolo 159, comma 2, individua con chiarezza le attribuzioni in materia di ordine e sicurezza pubblica, precisando che esse concernono “le misure preventive e repressive dirette al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si fonda l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché la salvaguardia delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni”. Da tale impostazione prende forma una concezione di ordine pubblico non ridotta a un quadro immobile di regole, ma intesa come realtà dinamica, capace di adattarsi alle mutevoli esigenze della collettività. La sua funzione non si limita a preservare l’assetto esistente: essa mira a sostenere la coesione sociale e a garantire l’equilibrio complessivo dell’ordinamento, ancorandosi a un nucleo di valori considerati essenziali per la stessa continuità e vitalità della comunità. In questa prospettiva, l’ordine pubblico diviene un elemento vitale, chiamato a coniugare stabilità e capacità di risposta di fronte alle trasformazioni politiche, economiche e culturali che attraversano la società.

Tale impostazione è stata consolidata dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione[16] (L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), che, all’articolo 117, c. 2, lettera h), ha attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la “tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza”. La scelta, mirava a sottrarre tale materia alla disponibilità del legislatore regionale, evitando frammentazioni o letture ideologiche della nozione di ordine pubblico.

 

Sul piano sistematico, la normativa e la giurisprudenza hanno consolidato la distinzione – elaborata dalla dottrina e ripetutamente confermata dalla Corte costituzionale – tra funzioni di polizia di sicurezza e funzioni di polizia amministrativa[17]. Le prime attengono al nucleo essenziale e primario della tutela dell’ordine pubblico e rientrano nella competenza esclusiva dello Stato, in quanto dirette alla salvaguardia dei beni giuridici fondamentali, presupposto irrinunciabile della sopravvivenza dell’ordinamento[18]. Le seconde, invece, appartengono alla gestione dell’amministrazione attiva affidata agli Enti territoriali, finalizzate alla prevenzione e repressione di illeciti nell’ambito delle attività soggette a vigilanza pubblica. Anche dopo la riforma del 2001, la Corte ha mantenuto ferma questa impostazione, riconoscendo a Regioni ed Enti locali[19] soltanto compiti complementari, purché strettamente connessi alla polizia amministrativa o inseriti in modelli di sicurezza integrata[20].

Anche nella contemporaneità, l’ordine pubblico si articola nelle sue due storiche dimensioni. Da un lato, quella materiale, rivolta a garantire la tranquillità sociale e la protezione della sicurezza collettiva; dall’altro, quella ideale, orientata a salvaguardare i valori fondativi dell’ordinamento e a tutelare la struttura democratica dello Stato. In questa duplice prospettiva, l’Autorità di Pubblica Sicurezza mantiene il potere di intervenire in via preventiva, potendo disporre misure idonee non solo a fronteggiare pericoli già manifesti, ma anche a neutralizzare minacce potenziali capaci di compromettere la pacifica convivenza o di mettere in discussione l’incolumità dei cittadini. Tale prerogativa, radicata nella funzione primaria di tutela della collettività, riflette l’esigenza di coniugare tempestività operativa e salvaguardia dei principi democratica.

 

  1. Il potere di ordinanza tra legalità e necessità

Le ordinanze si collocano nella categoria delle cosiddette «fonti dubbie» del diritto, espressione utilizzata per indicare quegli atti la cui natura giuridica non è univocamente definita. Il principale dibattito dottrinale riguarda la loro qualificazione: se debbano essere ricondotte a meri provvedimenti amministrativi, destinati a produrre effetti limitati a specifici soggetti, oppure a veri e propri atti normativi, capaci di incidere in via generale sull’ordinamento. Questa incertezza ne giustifica l’inquadramento tra le fonti atipiche, collocate in una zona intermedia tra la funzione normativa e quella amministrativa.

Il potere di ordinanza costituisce espressione della discrezionalità amministrativa nelle situazioni di necessità e urgenza e si caratterizza per un’elevata elasticità: la legge, infatti, non ne predetermina in modo tassativo il contenuto, ammettendo l’esercizio di un potere atipico, anche in deroga alle competenze ordinarie o attraverso procedimenti straordinari. Tale peculiarità, che appare in potenziale tensione con il principio di tipicità dei poteri amministrativi – corollario del principio di legalità – solleva la questione di come assicurare la tutela dei destinatari pur nell’ambito di una deroga alla regola ordinaria.

 

Per comprendere la funzione e la legittimità delle ordinanze, è indispensabile collocarle nel quadro del diritto amministrativo dell’emergenza, ambito nel quale esse trovano la propria giustificazione. Il potere di ordinanza nasce dall’esigenza di affrontare situazioni eccezionali, impreviste e imprevedibili, che non possono essere fronteggiate con gli strumenti ordinari dell’ordinamento. In tale prospettiva, esso opera come una “valvola di sfogo” del sistema, consentendo interventi rapidi e flessibili in contesti di crisi.

Secondo una parte della dottrina, il fondamento di tale potere non risiede tanto nel principio di legalità, quanto nella sua temporanea sospensione, resa necessaria dall’eccezionalità delle circostanze. È la logica sintetizzata dal brocardo latino necessitas non habet legem: nei momenti di emergenza, le regole ordinarie – inclusi i vincoli di legalità formale e sostanziale – possono essere derogate nella misura strettamente indispensabile a ristabilire condizioni di normalità. Ne discende che la legalità è principio cardine dell’ordinario funzionamento dell’amministrazione, ma può essere compresso, entro confini rigorosi, nel contesto dell’eccezionalità.

Pur in assenza, nella Costituzione italiana, di uno “statuto generale dell’emergenza” simile a quello previsto in altri ordinamenti, il nostro sistema contempla una pluralità di disposizioni che disciplinano ipotesi straordinarie, riconoscendo poteri eccezionali a determinati organi[21]. La Corte costituzionale ha tracciato i limiti entro i quali il potere di ordinanza può ritenersi compatibile con la Carta fondamentale: rispetto delle riserve di legge, osservanza dei principi generali dell’ordinamento, adeguata motivazione e pubblicazione degli atti, nonché limitazione temporale della loro efficacia[22]. In tal modo, il bilanciamento dinamico tra l’esigenza di prontezza dell’azione amministrativa e il rispetto dei principi costituzionali assicura che il potere di ordinanza, pur derogando alle regole ordinarie, resti ancorato a un quadro di legalità sostanziale e non si traduca in un arbitrio incompatibile con lo Stato di diritto.

 

  • Tra regola ed eccezione: l’ordinanza come strumento flessibile

È opportuno distinguere, in via preliminare, tra due principali categorie di ordinanze.

Gli atti necessitati, o ordinanze tipiche, presentano un contenuto puntualmente predeterminato dalla legge; in questi casi, l’amministrazione dispone soltanto di un margine di discrezionalità relativo al momento della loro adozione, senza che si pongano particolari problemi di compatibilità con il principio di legalità. Rientrano in questa categoria l’ordinanza di requisizione di cui all’art. 7 dell’All. E alla L. 2248/1865, l’ordinanza di occupazione d’urgenza e la precettazione in caso di sciopero prevista dalla L. 146/1990.

Le ordinanze extra ordinem, o atipiche, si distinguono invece per un contenuto non predeterminato dalla legge e per l’ampia discrezionalità riconosciuta all’autorità amministrativa nel definire le misure da adottare. In tali casi, l’ordinamento conferisce una sorta di «delega in bianco», suscettibile di porre rilevanti questioni di compatibilità con il principio di legalità sostanziale. Non può passare inosservato, al riguardo, come – nelle materie non coperte da riserva di legge – una parte minoritaria della dottrina abbia riconosciuto la possibilità per l’ordinanza di derogare temporaneamente alla legislazione vigente, attribuendole, almeno in astratto, una forza analoga a quella legislativa, pur restando soggetta al sindacato giurisdizionale amministrativo. È una prospettiva suggestiva, che evidenzia come, in situazioni straordinarie, una norma di legge possa cedere il passo a un atto amministrativo motivato da uno stato di necessità, ridefinendo il confine tra diritto ordinario e gestione dell’emergenza.

Esemplificativo, in tal senso, è il sistema delle ordinanze contingibili e urgenti del Sindaco[23], delle ordinanze dell’Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza[24], di quelle previste dal D.Lgs. 1/2018, in materia di protezione civile, nonché delle ordinanze adottate in caso di emergenze sanitarie o igienico-sanitarie, anche a carattere esclusivamente locale[25]. A queste si affiancano le ordinanze volte alla tutela del decoro urbano e della sicurezza pubblica, che il Sindaco può emanare per fronteggiare situazioni di degrado ambientale, incuria o turbamento della quiete pubblica, confermando la funzione di garanzia sociale di tali poteri. Non meno rilevante è che questi provvedimenti, di natura cautelare e dotati di immediata efficacia, possano incidere sulla sfera giuridica dei privati ancor prima della loro formale comunicazione[26]. In alcune ipotesi, l’ordinanza può essere adottata direttamente dall’organo politico, in deroga alla regola generale che attribuisce l’adozione degli atti amministrativi ai dirigenti[27], a conferma del ruolo centrale della decisione politica nei momenti di crisi. Occorre, tuttavia, distinguere il potere di ordinanza da altri atti tipici e nominati – come i provvedimenti d’urgenza di contenuto predeterminato – che, pur emanati su presupposto di urgenza, non godono della medesima flessibilità contenutistica[28].

In particolari contesti emergenziali, quali calamità naturali, epidemie o gravi pericoli per l’igiene e la sicurezza pubblica, l’amministrazione può adottare provvedimenti straordinari che, pur mantenendo contenuti normativamente tipizzati, assumono la connotazione di misure necessitate. In questi casi, il tradizionale nomen iuris di ordinanza può essere sostituito da espressioni come “provvedimento necessitato”, a sottolineare l’eccezionalità dei presupposti e la necessità di un intervento tempestivo. Ne sono esempio le ordinanze di demolizione di edifici pericolanti o quelle di abbattimento di animali infetti, che, pur collocandosi nel novero degli atti tipici, si giustificano in ragione dell’urgenza e della tutela immediata di beni primari quali la salute pubblica e la sicurezza collettiva.

In questo quadro, merita menzione l’ordinanza del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che può imporre ai responsabili di un illecito ambientale il ripristino dello stato dei luoghi, configurandosi come una forma di risarcimento in forma specifica, ovvero, in alternativa, il pagamento di una somma a titolo di risarcimento pecuniario[29]. In tali casi, il contenuto dell’obbligo di ripristino – determinato dall’amministrazione, anche a livello politico – si sostituisce alla pronuncia del giudice, confermando come, in situazioni eccezionali, l’autorità amministrativa possa assumere un ruolo di supplenza e di impulso nel ristabilire l’ordine giuridico violato.

In un profilo teorico, il dibattito dottrinale sulla natura giuridica delle ordinanze si concentra attorno a tre principali posizioni. Una tesi minoritaria ne sostiene la natura normativa, in ragione della loro capacità di derogare a disposizioni legislative e della possibilità di contenere precetti generali e astratti rivolti a una pluralità di destinatari indeterminati; tale ricostruzione, in ogni caso, si scontra con la loro temporaneità, con l’assenza di innovazione dell’ordinamento e con la mancata previsione tra le fonti normative secondarie nella L. 400/1988. La tesi maggioritaria le qualifica invece come atti amministrativi, valorizzando la possibilità di impugnarle dinanzi al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. q), c.p.a.[30], la loro finalità concreta di provvedere a situazioni eccezionali, l’obbligo di motivazione sancito dall’art. 3 della L. 241/1990 e la soggezione di comunicazione ai destinatari in luogo della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Una posizione intermedia propone, infine, un approccio casistico, distinguendo tra ordinanze di natura meramente provvedimentale e quelle che, per contenuto generale e astratto, assumono una valenza regolamentare.

Sul piano dei limiti sostanziali, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che le ordinanze devono rispettare i principi fondamentali dell’ordinamento e della Costituzione, non possono intervenire in materie soggette a riserva di legge assoluta, devono conformarsi al diritto dell’Unione europea (la cui derogabilità è ammessa solo in emergenze di portata sovranazionale e, preferibilmente, con autorizzazione delle istituzioni europee) e devono rispettare i principi di proporzionalità e ragionevolezza. L’efficacia è limitata al perdurare della situazione emergenziale[31].

Sotto il profilo procedurale, l’adozione di un’ordinanza richiede una motivazione rafforzata, specie se incide su libertà fondamentali; una fase istruttoria, seppur accelerata dalle esigenze di urgenza; e la possibilità, prevista dall’art. 7 della L. 241/1990, di omettere la comunicazione di avvio del procedimento per ragioni di celerità, con conseguente esclusione della partecipazione degli interessati (inaudita altera parte). In questo equilibrio tra ampia discrezionalità e necessarie garanzie si colloca la legittimità del potere di ordinanza, la cui natura eccezionale impone un esercizio rigoroso, proporzionato e temporalmente circoscritto, a presidio dello Stato di diritto anche nei momenti di maggiore crisi.

 

 

  • Il lato operativo dell’ordinanza

Va precisato, in via generale, che il termine “ordinanza” è talvolta impiegato, in senso lato, per indicare ordini rivolti a una pluralità di destinatari, circostanza che impone una lettura sistematica e rigorosa, atta a evitare confusioni di natura semantica e giuridica. Nel diritto amministrativo, il termine “ordinanza” – così come quello di “ordine” – ricorre con frequenza nella molteplicità degli atti posti in essere dalle pubbliche amministrazioni. La denominazione, tuttavia, non si limita a designare provvedimenti puntuali e specifici, ma si estende anche a strumenti normativi, come i regolamenti o i bandi militari, nonché ad atti generali di competenza di organi monocratici, quali, ad esempio, le ordinanze sindacali previste dal Codice della strada.

Tra i provvedimenti amministrativi, gli ordini rappresentano atti autoritativi che impongono in maniera vincolante un determinato comportamento, positivo o negativo, al quale il destinatario è tenuto a conformarsi. In dottrina si osserva, in forma sintetica, che della corretta esecuzione dell’ordine risponde chi lo ha impartito; ciò nondimeno, permane la responsabilità personale dell’esecutore qualora l’adempimento dell’ordine comporti la commissione di un reato. In simili ipotesi, il limite tracciato dalla legge prevale sull’obbligo gerarchico, con conseguente responsabilità penale dell’esecutore. L’ordine si fonda tipicamente su una relazione gerarchica interna all’amministrazione, configurandosi come strumento di direzione e comando nei rapporti interni; quando, invece, è rivolto a soggetti esterni, costituisce un’imposizione puntuale del comportamento da tenere, secondo le previsioni della normativa di riferimento.

In questo contesto, il rapporto tra ordinanze e libertà fondamentali riveste un ruolo decisivo. Trattandosi di strumenti capaci di imporre ordini, divieti o prescrizioni – siano essi obblighi di facere o di non facere – essi incidono in modo diretto sulla sfera giuridica dei cittadini, potendo limitare diritti primari quali la libertà di circolazione, di riunione, di culto e di iniziativa economica privata. L’esperienza del lockdown durante la pandemia da COVID-19 ha offerto un esempio concreto: simili provvedimenti possono essere impiegati per la tutela di beni di rango primario, come la vita e l’integrità fisica, ma le relative restrizioni devono sempre trovare fondamento in un interesse pubblico prevalente e rispettare il principio di proporzionalità rispetto all’obiettivo perseguito.

In questa prospettiva si colloca il principio di precauzione, di matrice comunitaria e recepito nell’art. 3-ter del Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), nato in materia ambientale ma progressivamente esteso dalla giurisprudenza anche alla sfera sanitaria. Esso consente all’autorità pubblica di adottare misure preventive anche in assenza di certezze scientifiche consolidate circa la pericolosità di un fenomeno o di un prodotto, quando emerga un rischio potenziale per beni giuridici di primario valore, come la salute o l’ambiente. La precauzione si distingue dalla cautela: quest’ultima si applica quando il rischio è scientificamente provato o altamente probabile, come nello sgombero di un edificio pericolante; la precauzione, invece, opera nelle situazioni di incertezza scientifica, quando non è possibile né confermare né escludere la presenza di un rischio.

Il ricorso al principio di precauzione non può, tuttavia, assumere carattere assoluto: deve essere sempre bilanciato con il principio di proporzionalità, evitando la deriva ideologica del cosiddetto “rischio zero”. Pretendere l’eliminazione totale di ogni rischio rappresenta un obiettivo irrealistico, capace di paralizzare le attività umane ed economiche. La Corte costituzionale, nei giudizi relativi allo stabilimento ILVA, ha ribadito la necessità di un equilibrio tra diritti fondamentali – salute, lavoro, iniziativa economica – escludendo la prevalenza assoluta di uno sugli altri e orientando l’azione pubblica verso la mitigazione del rischio, non la sua eliminazione[32].

 

La legittimità di un’ordinanza richiede, infine, un’istruttoria completa e adeguata, fondata su elementi tecnici e scientifici in grado di dimostrare l’esistenza di un pericolo concreto e attuale. In tale fase, il ruolo degli organi tecnici – come il Dipartimento della Protezione Civile e le sue articolazioni specialistiche (ingegneri, sismologi, meteorologi) – è determinante per fornire le competenze necessarie alla valutazione del rischio. Il rapporto tra istruttore e decisore politico è particolarmente delicato: una carenza o un errore nell’istruttoria comporta il vizio dell’atto per difetto di istruttoria o travisamento dei fatti, mentre uno scostamento immotivato dal parere tecnico può dar luogo a responsabilità, anche di natura amministrativa o penale, qualora l’evento dannoso si verifichi.

In sintesi, il potere di ordinanza si configura come uno strumento che conferisce all’amministrazione flessibilità e rapidità di intervento, permettendole di affrontare situazioni straordinarie ed emergenziali, pur nel rispetto delle garanzie costituzionali. Sebbene non connotato da una definizione tecnico-giuridica univoca, esso mantiene un peso rilevante nell’ordinamento amministrativo, richiamando quel potere straordinario che, nei momenti di maggiore criticità, consente di agire con tempestività per la tutela degli interessi pubblici primari. Rappresenta, in ultima analisi, il punto di incontro tra legalità e necessità, tra regola e deroga, tra diritto e contingenza, delineando i confini di un diritto dell’eccezione che rimane, al tempo stesso, disciplinato e responsabile[33].

 

  1. I poteri extra ordinem del Sindaco

Nell’ordinamento giuridico italiano, il potere del Sindaco di adottare ordinanze contingibili e urgenti rappresenta uno strumento straordinario e residuale, destinato a fronteggiare situazioni eccezionali e imprevedibili che minacciano l’ordine pubblico o la sicurezza collettiva. Si tratta di una prerogativa che si colloca in una posizione di equilibrio tra l’esigenza di una tutela immediata e il rispetto rigoroso dei principi costituzionali e delle garanzie individuali[34].

Il Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L.) attribuisce al Sindaco due distinti ambiti di intervento: da un lato, l’articolo 50 prevede l’adozione di ordinanze in qualità di rappresentante della comunità locale, con riferimento a emergenze sanitarie o di igiene pubblica di carattere esclusivamente locale; dall’altro, l’articolo 54 disciplina i provvedimenti adottati dal Sindaco nella veste di Ufficiale del Governo[35], diretti alla prevenzione e alla rimozione di gravi pericoli per l’incolumità pubblica e per la sicurezza urbana. In quest’ultima ipotesi, il provvedimento deve essere preventivamente comunicato al Prefetto, al fine di assicurare il coordinamento delle attività e la conformità alle direttive ministeriali.

Pur differenziandosi per finalità e contesto, entrambe le tipologie di ordinanze condividono presupposti imprescindibili: l’urgenza, intesa come impossibilità di differire l’intervento di fronte a un pericolo imminente e concreto; la contingibilità, dovuta alla straordinarietà e imprevedibilità dell’evento; la necessità, in quanto la situazione non può essere affrontata con gli strumenti ordinari previsti dall’ordinamento; la temporaneità, poiché l’efficacia dell’atto deve essere limitata alla durata dell’emergenza.

L’ordinanza contingibile e urgente si configura come espressione di un potere atipico e residuale, idoneo a derogare al principio di tipicità degli atti amministrativi esclusivamente in presenza di un pericolo attuale e oggettivo, accertato in maniera puntuale e documentata. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che tale potere può essere esercitato anche per rimuovere situazioni di pericolo già esistenti da tempo, purché queste sussistano al momento dell’adozione del provvedimento[36].

L’esercizio di tale potere incontra limiti invalicabili: il rispetto della Costituzione e delle norme imperative primarie, l’osservanza del principio di legalità e dei principi generali dell’ordinamento, la proporzionalità e la ragionevolezza delle misure adottate, così da ridurre al minimo il sacrificio imposto agli interessi privati a fronte della tutela dell’interesse pubblico. Fondamentali garanzie di legittimità e trasparenza sono costituite dall’obbligo di motivazione e dall’adeguata istruttoria, strumenti che assicurano il rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa.

In nuce, il potere del Sindaco di adottare ordinanze extra ordinem costituisce una risorsa eccezionale, da utilizzare con equilibrio e senso di responsabilità. Esso risponde a un’esigenza primaria: garantire un intervento immediato per tutelare la sicurezza pubblica e l’incolumità collettiva, senza mai compromettere i pilastri valoriali dello Stato di diritto.

 

  • Espansione, limiti e ridefinizione del potere di ordinanza sindacale

Delineato il quadro normativo che attribuisce al Sindaco specifici poteri di intervento, è necessario esaminare come tali prerogative abbiano trovato concreta applicazione nella tutela della sicurezza urbana, con particolare attenzione alle evoluzioni legislative e interpretative che ne hanno ridefinito portata e limiti.

Un passaggio di rilievo in questo processo si colloca con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, che ha ampliato le competenze riconosciute al potere di ordinanza sindacale, autorizzando l’adozione di provvedimenti anche di natura contingibile e urgente, purché sorretti da una motivazione adeguata. L’inserimento, nel testo legislativo, dell’avverbio “anche” non fu privo di significato: esso lasciava intravedere un’estensione del potere sindacale oltre la gestione delle sole emergenze, aprendo alla possibilità di intervenire in via ordinaria per prevenire e contrastare gravi pericoli per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Alla base di tale scelta vi era il riconoscimento del ruolo strategico degli Enti locali – e in particolare dei Sindaci – quali attori privilegiati nel rilevare tempestivamente le criticità dei contesti territoriali e nell’attuare interventi mirati e immediati. Tuttavia, la novella non definiva in modo puntuale l’esatto perimetro applicativo del potere così rinnovato, rinviando tale compito al Decreto del Ministro dell’Interno 5 agosto 2008, adottato in attuazione dell’art. 54, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 267/2000. In quel provvedimento, l’«incolumità pubblica» veniva qualificata come tutela dell’integrità fisica della popolazione, mentre la «sicurezza urbana» era definita quale bene pubblico da proteggere attraverso azioni volte ad assicurare la vivibilità degli spazi urbani, la convivenza civile e la coesione sociale.

Alla luce di tali definizioni, ai Sindaci veniva attribuita la competenza a intervenire non solo contro minacce dirette alla sicurezza, ma anche contro comportamenti e condizioni idonei a compromettere la qualità della vita urbana. Tra questi rientravano fenomeni eterogenei quali il degrado e l’isolamento sociale, lo spaccio di sostanze stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio molesto, il danneggiamento di beni pubblici o privati, l’occupazione abusiva di immobili, l’abusivismo commerciale e, più in generale, le condotte lesive del decoro urbano o tali da limitare la libera fruizione degli spazi pubblici.

Pur ispirata da esigenze preventive e di maggiore efficacia operativa, questa estensione del potere di ordinanza suscitò sin dall’inizio dubbi di legittimità costituzionale. L’assenza di un ancoraggio chiaro ai requisiti di eccezionalità e temporaneità, unita all’ampia discrezionalità concessa, rischiava infatti di svincolare l’azione amministrativa da un solido fondamento legislativo, ponendola in potenziale contrasto con l’art. 23 della Costituzione[37], che limita la possibilità di imporre obblighi ai cittadini ai soli casi previsti da norme primarie.

La questione fu affrontata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 115 del 7 aprile 2011, pronunciata a seguito di un’ordinanza di rimessione del TAR Veneto del 22 marzo 2010. La Consulta dichiarò parzialmente illegittimo l’art. 54, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, nella parte in cui conteneva la locuzione «anche» prima delle parole «contingibili e urgenti», ritenendo che tale formulazione ampliasse in maniera eccessiva e indeterminata la discrezionalità amministrativa. Nel richiamare i principi dello Stato di diritto, la Corte evidenziò come un simile potere, se esercitato in assenza di una cornice legislativa chiara e uniforme, avrebbe potuto generare provvedimenti eterogenei e incoerenti, compromettendo il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. A seguito di questa pronuncia, il potere di ordinanza sindacale è stato ricondotto alla sua natura originaria di strumento eccezionale, circoscritto a situazioni contingibili e urgenti, in un assetto coerente con le garanzie costituzionali e con il primato della legge quale fonte di disciplina dei limiti all’azione amministrativa.

In tale prospettiva, le ordinanze contingibili e urgenti trovano oggi il loro fondamento in disposizioni specifiche, come l’art. 2 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza[38], i sopracitati artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267/2000 e l’art. 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, che attribuiscono a determinati organi territoriali poteri straordinari per far fronte a situazioni di pericolo imminente per l’ordine pubblico o per la salute collettiva. Si tratta di un potere che, proprio in ragione della sua natura eccezionale, deve essere esercitato con prudenza, proporzionalità e pieno rispetto delle garanzie dello Stato di diritto.

 

  • La gestione delle emergenze urbane: i nuovi orizzonti della funzione sindacale

Come già evidenziato, i recenti interventi normativi – in particolare il D.L. 20 febbraio 2017, n. 14, e il D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 – hanno significativamente rafforzato il ruolo del Sindaco nella governance della sicurezza urbana, ampliandone le prerogative operative attraverso gli strumenti previsti dagli articoli 50 e 54 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Nell’esercizio delle funzioni di rappresentante della comunità locale, il Sindaco è oggi legittimato ad adottare provvedimenti contingibili e urgenti non solo in caso di emergenze sanitarie o igienico-pubbliche, ma anche in presenza di gravi condizioni di incuria o degrado del territorio, dell’ambiente o del patrimonio culturale, nonché di situazioni che compromettano il decoro e la vivibilità urbana, con attenzione particolare alla salvaguardia della tranquillità e del riposo dei residenti.

Tale evoluzione legislativa ha introdotto un approccio più dinamico e multilivello alla sicurezza urbana, valorizzando il Sindaco come figura centrale, capace di integrare le competenze amministrative locali con responsabilità dirette nella gestione delle criticità territoriali. In questa prospettiva, assume rilievo strategico il nuovo comma 7-bis dell’art. 50, che consente al Sindaco, nelle aree urbane soggette a intenso afflusso di persone, specie in occasione di eventi o fenomeni di aggregazione notturna, di emanare ordinanze – anche prive del requisito della contingibilità e urgenza[39] – della durata massima di trenta giorni, finalizzate a limitare, nei limiti e nelle modalità stabilite dall’atto, l’orario di vendita e somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche, comprese quelle destinate all’asporto; lo svolgimento di attività di vendita degli esercizi alimentari o misti e delle attività artigianali di produzione e somministrazione di alimenti pronti al consumo immediato; l’erogazione di alimenti e bevande tramite distributori automatici[40].

Parallelamente, l’art. 54 del T.U.E.L. è stato oggetto di riforma ad opera del D.L. n. 14/2017, con l’obiettivo di chiarire e consolidare il quadro giuridico delle ordinanze sindacali in materia di sicurezza. Il rinnovato comma 4-bis specifica che le ordinanze contingibili e urgenti concernenti l’incolumità pubblica devono essere rivolte alla tutela dell’integrità fisica della popolazione, mentre quelle relative alla sicurezza urbana devono mirare a prevenire e contrastare situazioni idonee a favorire l’insorgenza di fenomeni criminosi o di illegalità, quali il traffico di sostanze stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione e la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori o disabili, l’abusivismo e l’occupazione illecita di spazi pubblici, nonché episodi di violenza, anche connessi all’abuso di alcol o droghe.

Questa riforma ha avuto il merito di fornire una base normativa più solida e coerente al potere di ordinanza del Sindaco, superando le incertezze interpretative derivanti dalla precedente formulazione, che rinviava a un decreto ministeriale per la definizione degli ambiti di intervento. In tal modo, il legislatore ha rafforzato la legittimazione costituzionale di tali poteri, in conformità al principio di riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione, garantendo una cornice uniforme e giuridicamente chiara per l’esercizio delle funzioni sindacali in materia di sicurezza urbana.

Ne emerge, in definitiva, un modello di sicurezza urbana a regìa locale, in cui il Sindaco assume un ruolo di sintesi tra le istanze della comunità e le esigenze di ordine pubblico, operando all’interno di un sistema coordinato con le altre istituzioni dello Stato. Un modello che, se esercitato con senso di misura e responsabilità, può costituire uno strumento efficace di prevenzione e gestione delle criticità, rafforzando il legame di fiducia tra amministrazione e cittadini e confermando che, anche nell’ambito della sicurezza, il rispetto delle regole è la condizione imprescindibile per garantire libertà e coesione sociale.

 

  1. Conclusioni

La ricostruzione svolta mette in luce come le diverse forme di gestione della sicurezza – dalla prevenzione alla repressione, sino all’impiego di strumenti extra ordinem – non costituiscano comparti stagni, ma segmenti di un continuum funzionale che l’ordinamento deve saper integrare. In realtà, ciò che emerge è l’immagine di una “costellazione della sicurezza”, nella quale ogni strumento assume senso solo se letto in rapporto dialettico con gli altri: la prevenzione non esaurisce la propria portata senza l’effettività della sanzione, mentre la repressione rischia di tradursi in sterile coazione se non è preceduta da un solido tessuto di misure preventive. L’ordinanza, con la sua natura atipica e flessibile, si colloca in questa trama come cerniera, capace di coniugare urgenza e legalità, eccezione e regola, mostrando al tempo stesso i limiti e le potenzialità di un sistema che vive nella tensione tra necessità e garanzia.

Proprio il diritto amministrativo dell’emergenza rappresenta, infatti, la declinazione più chiara di tale dinamica: si tratta di quella branca del diritto pubblico che, in presenza di situazioni eccezionali, consente la deroga alle procedure ordinarie per garantire risposte rapide ed efficaci. I suoi istituti emergenziali – emblematicamente le ordinanze contingibili e urgenti – evocano la deviazione dalla normalità procedurale, ma sono funzionali a scongiurare il rischio che la rigidità delle regole comprometta la tutela immediata di beni primari. La loro legittimazione trova un fondamento indiretto nell’art. 77 Cost.[41], che, disciplinando l’adozione del Decreto-Legge in casi straordinari di necessità e urgenza, ha consacrato il principio secondo cui l’ordinamento può ricorrere a strumenti eccezionali per fronteggiare le crisi. Tale principio, pur riferito alla funzione legislativa, riverbera nel campo amministrativo, legittimando l’idea stessa di un diritto “straordinario” che opera nel segno della temporaneità e della proporzionalità.

L’analisi suggerisce che la vera sfida non consista tanto nel delimitare rigidamente i confini tra le varie forme di tutela, quanto nell’elaborare modelli di governance che sappiano valorizzarne la complementarità, evitando sovrapposizioni e dispersioni. In questo senso, la prospettiva multilivello della sicurezza urbana – in cui Stato, Prefetti, Sindaci e Forze di Polizia cooperano in forme nuove e differenziate – costituisce il banco di prova più significativo: qui si misura la capacità dell’ordinamento di coniugare il primato della legalità con la duttilità richiesta dalla realtà sociale, sempre più mutevole e complessa. Le ordinanze contingibili e urgenti, lungi dal rappresentare una deroga patologica, diventano allora il simbolo di una legalità “resiliente”, che non abdica ai propri principi ma si piega per resistere, evitando rotture e garantendo continuità funzionale.

Tale quadro invita a riflettere su una prospettiva di lungo periodo: occorre interrogarsi su come costruire un diritto della sicurezza che non sia né un diritto dell’eccezione permanente né un apparato meramente simbolico, ma un sistema capace di apprendere dalle crisi e di trasformarle in occasioni di crescita istituzionale. Non è un caso che la stessa Costituzione italiana, a differenza di altre, abbia rifiutato di introdurre una clausola generale sullo stato di emergenza, temendo il rischio di un uso distorto dei “pieni poteri”. Il ricordo degli abusi del regime fascista ha condotto l’Assemblea Costituente a confinare la previsione all’art. 78 Cost., limitata allo stato di guerra, lasciando così al legislatore ordinario e alla prassi amministrativa il compito di modulare strumenti eccezionali per le altre emergenze.

Le trasformazioni sociali – dalla digitalizzazione alla gestione delle nuove vulnerabilità urbane – impongono di ripensare categorie e strumenti, investendo su modelli di coordinamento flessibili e su un uso proporzionato delle misure straordinarie. In questa direzione, si apre lo spazio per un’elaborazione dottrinale e applicativa che, senza rinunciare al rigore della legalità, sappia immaginare soluzioni innovative, in grado di garantire al tempo stesso efficienza, giustizia e coesione sociale. La gestione della sicurezza si configura così come un’opera corale, che richiede l’integrazione di funzioni e livelli istituzionali diversi, la valorizzazione del principio di proporzionalità e il costante bilanciamento tra libertà e ordine. In ultima analisi, solo un approccio integrato, flessibile e adattivo potrà restituire allo Stato e agli Enti territoriali la capacità di governare l’incertezza, preservando i valori costituzionali e trasformando l’eccezione in occasione di rinnovata fiducia tra cittadini e istituzioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sitografia

 

 

 

* Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri

** Il paragrafo riprende parzialmente, con modifiche, riformulazioni e integrazioni, temi sviluppati in Punzi M., La costruzione giuridica della pubblica sicurezza. I profili storici e costituzionali, La Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, 2025, in corso di pubblicazione

[1] Zanobini G., Ordine pubblico, in Enciclopedia italiana, Volume XXV, Roma-Milano, 1935; Panza G., Ordine pubblico. I) Teoria generale, in Enciclopedia giuridica, Volume XXII, Roma, 1990

[2] Giupponi T.F., La sicurezza e le sue “dimensioni” costituzionali, Bononia University Press, Bologna, 2008

[3] Pace A., Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana, in Archivio Giuridico Filippo Serafini, Volume CLXV, 1965

[4] Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte speciale, Volume 1, Sesta edizione, Zanichelli Editore, 2021

[5] Corso G., Ordine pubblico, in Enciclopedia del Diritto, Volume XXX, Milano, 1980

[6] Corte cost., 27 marzo 1987, n. 77 e Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 218

[7] Pace A., Ordine pubblico, ordine pubblico costituzionale, ordine pubblico secondo la Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1971

[8] In esecuzione della L. 15 marzo 1997, n. 59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa

[9] Pajno A., Amato G., La sicurezza urbana, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2010

[10] In base al principio di proporzionalità; utile la separazione terminologica tra “precauzione” e “cautela”. Vedi oltre, par. 2.2 Il lato operativo dell’ordinanza

[11] Il concetto riguarda la prevenzione di fenomeni criminosi e di degrado che incidono sulla vivibilità delle città (spaccio, accattonaggio, abusivismo)

[12] D.L. 20 febbraio 2017, n. 14 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città

[13] Le prime misure di carattere urgente sono state introdotte con il D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’Interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata

[14] Fiandaca G., Musco E., Diritto penale. Parte specialeOp. cit.

[15] https://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/pre_2006/440.pdf. Consultato il 05/08/2025

[16] L’art. 117, comma 2, della Costituzione attribuisce in via esclusiva allo Stato, tra le altre competenze, quella in materia di ordine pubblico e sicurezza, fatta salva la polizia amministrativa locale, che resta invece sottratta a tale riserva legislativa

[17] La polizia amministrativa si riferisce all’insieme delle misure volte a prevenire danni o pregiudizi nei confronti di persone, beni e attività, nell’ambito delle materie di competenza degli enti che le esercitano. Tali interventi operano in modo da non compromettere né porre in pericolo i beni e gli interessi tutelati in funzione dell’ordine e della sicurezza pubblica (art. 159 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59”)

[18] Corte cost., 3 novembre 1988, n. 1013

[19] Il criterio di riparto delle competenze legittima il mantenimento – anche nei settori attribuiti alla competenza locale – di poteri statali volti alla salvaguardia della sicurezza pubblica. In tale prospettiva, emblematico è il potere riconosciuto al Questore di sospendere o revocare la licenza di esercizi pubblici qualora sussistano pericoli per l’ordine pubblico, la moralità, il buon costume o la sicurezza dei cittadini (art. 100 R.D. 18 giugno 1931, n. 773 “T.U.L.P.S.”, cit.)

[20] La Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità di interventi posti in essere dalle Regioni con l’obiettivo di integrare e supportare l’azione statale, purché tali interventi non si configurino come una sovrapposizione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico (23 dicembre 2019, n. 285)

[21] Tra le situazioni eccezionali, l’art. 78 Cost. prevede che le Camere deliberino lo stato di guerra, attribuendo al Governo i poteri necessari, configurando così la massima deroga all’ordinario riparto delle competenze; l’art. 77 Cost. disciplina il decreto-legge, quale strumento a disposizione dell’Esecutivo per fronteggiare “casi straordinari di necessità e d’urgenza”; nel T.U.L.P.S. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) si rinvengono disposizioni risalenti – in particolare gli artt. 214, 215 e 216 – che conferiscono poteri emergenziali alle autorità amministrative, la cui compatibilità con l’art. 13 Cost., in tema di libertà personale, è oggetto di ampio dibattito; il Codice della protezione civile (D.Lgs. 2 gennaio 2018, n. 1), che ha sostituito la legge 24 febbraio 1992, n. 225, costituisce il principale riferimento settoriale per le emergenze di protezione civile, in prevalenza connesse a calamità naturali, pur essendo stato applicato in via estensiva anche in contesti diversi, come durante la pandemia da COVID-19

[22] Corte cost., 20 giugno 1956, n. 8; Corte cost., 23 maggio 1961, n. 26; Corte cost., 4 gennaio 1977, n. 4; Corte cost., 5 aprile 1995, n. 127

[23] Il Sindaco, nell’esercizio delle funzioni attribuitegli in qualità di Ufficiale del Governo, è legittimato ad adottare – mediante provvedimento adeguatamente motivato – misure contingibili e urgenti, conformemente ai principi generali dell’ordinamento giuridico. Tali atti sono diretti alla prevenzione e alla rimozione di situazioni di grave e attuale pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. È altresì previsto l’obbligo di comunicazione preventiva al Prefetto, con l’obiettivo di agevolare la pianificazione e la predisposizione degli strumenti e delle risorse necessarie per assicurare l’efficace attuazione delle misure adottate (art. 54 c. 4 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”)

[24] Il Ministro dell’Interno è investito della legittimazione ad adottare ordinanze, anche in deroga alla normativa vigente, qualora le materie interessate presentino un collegamento funzionale con la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, così come previsto dall’art. 216 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 “Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza

[25] In situazioni di emergenze sanitarie o igienico-sanitarie di carattere esclusivamente locale, il Sindaco – quale rappresentante della comunità locale – è investito del potere di adottare provvedimenti contingibili e urgenti. Tali prerogative ordinatorie spettano al Sindaco anche qualora si presenti l’urgenza di intervenire per porre rimedio a circostanze caratterizzate da grave incuria, degrado del territorio, dell’ambiente o del patrimonio culturale, nonché da condizioni idonee a compromettere il decoro urbano e la vivibilità degli spazi pubblici. Particolare attenzione è riservata alla tutela della tranquillità e del diritto al riposo dei residenti (art. 50 c. 5 D.Lgs. 267/2000 “T.U.E.L.”, cit.)

[26] I provvedimenti che incidono in via cautelare e urgente sulla sfera giuridica dei soggetti privati producono immediatamente effetti, senza necessità di ulteriori atti di esecuzione (art 21-bis L. 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”)

[27] Si pensi, ad esempio, al Presidente del Consiglio dei Ministri che, al fine di perseguire le finalità del Servizio nazionale di protezione civile, è investito dei poteri di ordinanza in materia, così come previsto dall’art. 5 del D.L. 2 gennaio 2018, n. 1, “Codice della protezione civile

[28] Come le già menzionate «requisizioni in uso». In presenza di gravi e urgenti necessità di interesse pubblico, sia di natura civile che militare, l’ordinamento giuridico consente la requisizione di beni mobili o immobili, ai sensi dell’art. 835 del R.D. 16 marzo 1942, n. 262, che ha approvato il testo del Codice civile.

Analogamente, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile è autorizzato, mediante proprio decreto, a disporre la requisizione, sia in uso sia in proprietà, di beni appartenenti a soggetti pubblici o privati, qualora tali beni risultino indispensabili per la gestione e il contenimento di situazioni riconducibili allo stato di emergenza, come previsto dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19

[29] Qualora sia accertato un fatto causativo di danno ambientale e il soggetto responsabile non abbia avviato spontaneamente le procedure necessarie al ripristino dello stato dei luoghi, il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica emette un’ordinanza immediatamente esecutiva che impone agli stessi responsabili – individuati in base all’accertamento – l’obbligo di procedere al risarcimento in forma specifica mediante il ripristino ambientale entro un termine perentorio.

Tale ordinanza si applica non solo all’autore materiale del danno, ma anche, in via solidale, a colui che abbia posto in essere il comportamento lesivo nell’effettivo proprio interesse o che ne abbia tratto un vantaggio diretto, conformemente a quanto previsto dall’articolo 313, c. 1 e 3, del D.L. 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale

[30] Per il quale rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative ai provvedimenti, anche contingibili e urgenti, adottati dal Sindaco in materia di ordine e sicurezza pubblica, incolumità pubblica e sicurezza urbana, edilizia e polizia locale, nonché di igiene pubblica e dell’abitato

[31] Corte cost. 2 luglio 1956, n. 8 e Corte cost. 27 maggio 1961, n. 26

[32] Corte cost. 9 maggio 2013, n. 85, in tema di misure urgenti per lo stabilimento ILVA di Taranto, ha ritenuto legittimo il bilanciamento tra diritto alla salute (art. 32 Cost.) e tutela dei livelli occupazionali (art. 4 Cost.), escludendo la prevalenza assoluta di uno sull’altro e valorizzando la mitigazione del rischio

[33] Casetta E., Fracchia F., Manuale di Diritto Amministrativo, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021

[34] Antonelli V., Le ordinanze dei sindaci nelle decisioni dei giudici in Galdi A., Pizzetti F., I sindaci e la sicurezza urbana. Le ordinanze sindacali e i loro effetti, Donzelli, Roma, 2012

[35] Il Sindaco, nella sua qualità di Ufficiale del Governo, è investito della responsabilità di sovrintendere all’adozione degli atti a lui attribuiti dalla normativa vigente e dai regolamenti in materia di ordine e sicurezza pubblica. Egli è altresì incaricato di esercitare le funzioni che la legge assegna in materia di pubblica sicurezza e polizia giudiziaria, vigilando su ogni aspetto rilevante per la sicurezza e l’ordine pubblico, con l’obbligo di informare preventivamente il Prefetto (art. 54 c. 1 D.Lgs. 267/2000 “T.U.E.L.”, cit.)

[36] Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza 25 settembre 2006, n. 5639; Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza 28 marzo 2008, n. 1322; Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza 10 febbraio 2010, n. 670

[37] L’art. 23 Cost. sottolinea che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”

[38] Il Prefetto, in presenza di situazioni di urgenza o di grave necessità pubblica, può adottare i provvedimenti ritenuti indispensabili per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Avverso tali atti è ammesso ricorso al Ministro dell’Interno da parte di chi vi abbia interesse

[39] L’avvio del procedimento viene notificato sia ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, sia a coloro che, per disposizione di legge, sono tenuti a intervenire nel procedimento medesimo (art. 7 L. 241/1990, cit.)

[40] l successivo comma 7-bis, primo periodo, precisa che nei casi di violazione delle disposizioni previste si applicano significative misure sanzionatorie, a tutela dell’efficacia del quadro normativo (art. 50 c. 7-bis.1 D.Lgs. 267/2000 “T.U.E.L.”, cit.)

[41] L’art. 77, comma 2, Cost. stabilisce che il Governo, in casi straordinari di necessità e urgenza, può adottare provvedimenti provvisori con forza di legge, assumendosene la responsabilità politica e giuridica. Tali atti – i Decreti-Legge – devono essere immediatamente sottoposti al Parlamento per la conversione, che deve avvenire entro sessanta giorni dalla pubblicazione; in mancanza, i decreti perdono efficacia sin dall’inizio, salva la possibilità per le Camere di disciplinare con legge i rapporti sorti durante la loro vigenza

 

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