Tratto da: Ildirittoamministrativo.it 

Autrice: Laura Pergolizzi

Abstract

Il principio fondamentale di pianificazione urbanistica è funzionale non solo all’interesse all’ordinato sviluppo edilizio del territorio, ma è rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti.

I poteri di derogare la pianificazione urbanistica sono eccezionali e consentono entro ristretti limiti una diversa utilizzazione del territorio esclusivamente per la realizzazione di opere di interesse pubblico.

Introduzione

Il permesso di costruire in deroga risponde ad un’esigenza di flessibilità che nell’ambito della realizzazione di edifici di interesse pubblico possa consentire un’efficace convergenza sul territorio di interessi diversificati, nonché contemperare le esigenze dei singoli con quelle dell’intera collettività[1].

L’articolo 14 del D.P.R. 380/01, che ne detta la disciplina, nella sua formulazione più recente, al comma 1 bis, contempla il concetto di rigenerazione urbana, richiamo contenuto in altri articoli del D.P.R. 380/01[2].

Nell’ambito della rigenerazione urbana rientra una molteplicità diversificata di tipologie d’intervento: dalla riconversione delle aree abbandonate, al recupero delle periferie degradate, alla rivitalizzazione dei centri storici marginalizzati[3].

Il richiamo nell’ambito dell’art 14 del D.P.R. 380/01, in verità, rischia di confondere il concetto di rigenerazione urbana con quello di rinnovamento edilizio che prevede benefici in favore di interventi di ristrutturazione e di cambio di destinazione d’uso mirati alla riqualificazione non già del tessuto di interi ambiti, ma di singoli edifici d’interesse pubblico.

La presente analisi mira pertanto ad evidenziare come l’istituto del permesso di costruire in deroga, disciplinato dall’art 14 del D.P.R. 380/01, continui ad avere una limitata applicazione in quanto provvedimento eccezionale a contenuto discrezionale, volto a soddisfare determinati interessi pubblici in base a valutazioni contingenti.

In chiave moderna il potere di pianificazione urbanistica dovrebbe essere inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche le finalità economico-sociali di riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente, nell’ottica della sostenibilità socio-ambientale e del minor consumo di suolo, da conseguire mediante l’attuazione di programmi di rigenerazione “urban regeneration” e di progetti di rinnovamento “urban renewal”[4].

Per il perseguimento di tale finalità è necessario che il Legislatore intervenga in concreto su diversi fronti con procedure ad hoc[5] e/o con provvedimenti settoriali o atti a regolare specifiche fattispecie[6], in parte anche in deroga alle disposizioni ordinarie, mediante le quali effettuare un riassetto globale di una intera area con una visuale programmatica.

 

  1. Carattere eccezionale dell’istituto

Dal punto di vista normativo prima dell’entrata in vigore del Testo Unico l’istituto definito licenza/concessione in deroga[7] consentiva di realizzare edifici o impianti pubblici o di interesse pubblico in deroga alle previsioni del Piano Regolatore o del Regolamento edilizio, laddove tali strumenti ne prevedessero la possibilità. Il rilascio era inoltre subordinato ad una previa deliberazione favorevole del Consiglio Comunale, nonché al Nulla Osta sia della Sezione Urbanistica Regionale che della Soprintendenza.

L’art 14 del D.P.R. 380/2001 ne ha ridefinito i presupposti e i caratteri peculiari recependo le indicazioni di matrice giurisprudenziale[8].

Il permesso di costruire in deroga è un istituto di carattere eccezionale[9] rispetto all’ordinario titolo edilizio in quanto la disciplina generale dettata dal d.P.R. n. 380 del 2001, art. 12, comma 1) stabilisce che il permesso di costruire sia rilasciato “in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico – edilizia vigente”.

Rappresenta l’espressione di un potere ampiamente discrezionale che si concretizza in una decisione di natura urbanistica da cui trova giustificazione la necessità di una previa delibera del Consiglio comunale e di una motivazione quanto più congrua e adeguata, che dia conto delle puntuali ragioni giuridiche sottese al suo rilascio[10].

La sua natura discrezionale e le possibili conseguenze che il suo utilizzo può determinare sull’assetto programmato del territorio hanno indotto il Legislatore a prevederne l’applicazione solo per la necessità di soddisfare esigenze straordinarie, nei limiti previsti dalla legge e purché non vi siano significative ed irreversibili alterazioni degli standard urbanistici[11].

Il perimetro della nozione di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è determinato in via generale dall’art. 14 del D.P.R. n. 380/01, rubricato “Permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici”[12].

La norma prevede quanto segue:

“1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (ora Dlgs n. 42 del 2004 – n.d.r.) e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.”

“3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d’uso ammissibili fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.”

La giurisprudenza ha osservato che l’art. 14 citato non consente di ipotizzare alcuna abdicazione del Comune alla sua istituzionale potestà pianificatoria, sì da rendere l’approvazione della deroga pressoché obbligatoria, spettando al contrario all’amministrazione comunale la valutazione – autonoma e largamente discrezionale – necessaria a giustificare sul piano urbanistico la deroga, per il caso singolo, alle regole poste dallo strumento vigente[13].

Siffatta discrezionalità dell’amministrazione locale è stata ribadita recentemente anche dalla Corte di Cassazione  «Il permesso in deroga non è un atto dovuto, ma costituisce piuttosto oggetto di esercizio di poteri discrezionali, che devono comparare l’interesse alla realizzazione dell’opera con molteplici altri interessi, quali quello urbanistico, edilizio, paesistico, ambientale»[14].

Deve aggiungersi inoltre che la giurisprudenza ha precisato che

«L’eventuale sussistenza dei presupposti di cui all’art. 14 del D.P.R. 380/2001 per il rilascio del titolo edilizio in deroga, costituisce condizione minima necessaria ma non certo sufficiente al fine dell’assentibilità del richiesto intervento, permanendo in capo al Comune un’ampia discrezionalità circa l’an stesso ed il quomodo della prestazione dell’eventuale assenso».

Il D.L. 133/2014, convertito in L. 164/2014,  (c.d. Sblocca Italia[15]) ha introdotto in seno all’art 14 un nuovo comma 1-bis che estende l’operatività del permesso di costruire in deroga per gli interventi di ristrutturazione edilizia, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l’interesse pubblico limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del consumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall’articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214[16].

La giurisprudenza ha sottolineato, in relazione a detta nuova estensione dell’istituto, che la finalità sottesa alla disciplina in materia di insediamento di attività produttive non può comportare né lo stravolgimento dei principi e delle regole essenziali per una corretta e razionale gestione del territorio comunale né, soprattutto, l’esautoramento dei poteri di controllo su tutti gli altri interessi implicati.

Il Legislatore ha delimitato in modo puntuale l’ambito di operatività di questo istituto straordinario, allo scopo evidente di evitare che un uso poco attento dello stesso si risolvesse in un aggiramento surrettizio della pianificazione[17].

 

  1. I diversi momenti dell’iter procedimentale

Il permesso di costruire in deroga costituisce una fattispecie a formazione progressiva che contempla due diversi momenti:

– una valutazione tecnico-politica da parte del Consiglio Comunale per verificare la sussistenza dell’interesse pubblico dell’intervento, sull’assentibilità della istanza in deroga, all’esito di una comparazione dell’interesse privato con quello pubblico, che si conclude con l’adozione della Delibera Consiglio comunale dell’interesse pubblico nella quale deve essere data evidenza della preminenza dell’interesse collettivo rispetto a quello dell’applicabilità delle norme derogate[18].

– una valutazione tecnica della derogabilità e compatibilità dell’intervento con gli strumenti urbanistici, a cura dell’Ufficio tecnico che provvede al rilascio del titolo edilizio.

Sotto il profilo logico – sistematico la scansione procedimentale non è esente da interpretazioni diversificate sul ruolo dei soggetti coinvolti.

Secondo una parte della giurisprudenza la disposizione prevede testualmente la “previa” deliberazione del Consiglio comunale, superando ogni dubbio in merito alla circostanza che la determinazione dell’organo collegiale debba necessariamente precedere l’adozione, da parte del responsabile del competente ufficio comunale, del titolo edilizio in deroga.

L’assenso, dunque, deve essere rimesso al discrezionale apprezzamento dell’organo espressione dell’indirizzo politico dell’Ente locale, al quale sono istituzionalmente devolute le scelte di pianificazione urbanistica che confluiscono nel P.R.G., trattandosi di estrinsecazione del potere di “governo del territorio” di competenza del predetto organo collegiale[19].

Inoltre, l’assenso preventivo dell’organo consiliare si appalesa necessario anche considerato l’obbligo di dare comunicazione dell’avvio del procedimento agli “interessati ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241”, come dispone chiaramente il comma 2 dell’art. 14[20].

La valutazione tecnico-politica da parte del Consiglio Comunale, all’esito di una comparazione dell’interesse privato con quello pubblico, si estrinseca nell’adozione della Delibera Consiglio comunale dell’interesse pubblico quale interesse prevalente rispetto a quello dell’applicabilità delle norme derogate[21]

Secondo tale teorica, dall’esegesi dell’art. 14 del D.P.R. 380/01, sembra corretto ritenere che il Consiglio si esprime con delibera sulla richiesta del permesso di costruire e che il Responsabile dell’Ufficio Tecnico dovrà adeguarsi, rilasciando o negando il titolo richiesto sulla base delle indicazioni dell’organo consiliare.

Quindi, la decisione del Consiglio è fondamentale per l’esistenza della deroga e vincolante per l’operato dell’Ufficio tecnico.  Sul punto la giurisprudenza ritiene che “Se la deliberazione preliminare del Consiglio comunale costituisce un elemento necessario del procedimento amministrativo destinato a sfociare nel rilascio o diniego della concessione in deroga, con la conseguenza che la sua assenza vizia il procedimento stesso, d’altro canto, l’atto terminale del procedimento è costituito dal permesso di costruire in deroga, mentre la previa deliberazione del Consiglio comunale (salvo il caso di determinazione negativa) si configura come atto interno del procedimento, non immediatamente lesivo, impugnabile assieme agli atti di uguale natura confluiti nel procedimento stesso, solo congiuntamente all’atto finale, una volta emanato”.

Altra parte della giurisprudenza ritiene che il Consiglio delibera senza assumere competenze sovrapponibili rispetto a quelle dell’Ufficio tecnico in ordine alla “fattibilità” tecnico-giuridica dell’operazione e l’Ufficio tecnico non è affatto vincolato dalla precedente delibera del Consiglio comunale, che si esprime nei limiti della valutazione della sussistenza dell’interesse pubblico dell’intervento, potendo concludere la verifica con un diniego rivolto direttamente alla parte interessata.

La valutazione della compatibilità con gli strumenti urbanistici, ai fini del rilascio del permesso in deroga, rientra nella competenza dell’Ufficio tecnico, il quale, nell’esercizio della propria verifica in ordine alla fattibilità tecnica dell’opera, laddove riscontri nel corso (e soprattutto all’esito) dell’istruttoria tecnica, che sussistano ostacoli tecnico-edilizi che escludono, già dal punto di vista edilizio, l’accoglibilità della richiesta, ben può concludere la verifica con un diniego rivolto alla parte interessata, senza investire inutilmente il Consiglio comunale che nel complesso procedimento in questione assume competenze non sovrapponibili rispetto a quelle dell’ufficio tecnico in ordine alla “fattibilità” tecnico-giuridica dell’operazione[22]

In un’ottica di equilibrio nell’ambito del procedimento per l’adozione del permesso di costruire in deroga si devono tenere distinte da una parte la competenza del Consiglio comunale, che è soggetto chiamato ad operare una comparazione tra l’interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del soggetto privato ad attuare l’interesse costruttivo e dall’altra la competenza dell’ Ufficio tecnico che accerta la fattibilità tecnica dell’opera.

Da ultimo deve rilevarsi che sebbene nessuna norma di legge fissi il termine entro il quale il Consiglio Comunale deve provvedere a rendere il parere di sua competenza, da intendersi come atto interno necessario nell’ambito del procedimento amministrativo delineato dall’art. 14 del TUE [23](cfr. TAR Piemonte, sez. II, sent. 29 gennaio 2016, n. 91), sussiste comunque l’obbligo di provvedere della pubblica amministrazione con provvedimento espresso (positivo o negativo). In molteplici occasioni infatti il Giudice amministrativo ha accertato il silenzio inadempimento in tutte quelle ipotesi in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, ex art. 97 Cost., sorga in capo al privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano, da parte del Consiglio Comunale[24].

 

  1. Il necessario perseguimento dell’interesse pubblico

Dal tenore della norma emerge che il permesso di costruire in deroga incontra un duplice limite: il primo attinente al fine perseguito, nel senso che la deroga deve essere funzionale alla realizzazione di opere di pubblico interesse; l’altro pertinente all’oggetto della deroga, individuabile con la sole norme di regolamento edilizio e di attuazione del piano regolatore, ferma la precipua osservanza delle scelte di tipo urbanistico.

Sotto il primo profilo l’art 14 del D.P.R. n. 380 del 2001 dispone che il permesso di costruire in deroga può essere rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti appartenenti ad enti pubblici o che abbiano, prescindendo dalla titolarità del bene, un interesse pubblico[25].

Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito che non è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico dell’edificio o del suo utilizzo, ma è sufficiente che coincida con gli effettivi benefici per la collettività che dalla deroga potenzialmente derivano, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità del caso:

 «Si vuol cioè dire che il “sacrificio” delle previsioni pianificatorie e dell’ordine in esse precostituito – consistente nella modifica della destinazione d’uso ed in un modestissimo incremento dell’altezza con conseguente incremento volumetrico, ferma la salvaguardia dei valori monumentali e paesaggistici – ha un peso comparativamente minimo rispetto ai miglioramenti che ne derivano in relazione ad una serie di concorrenti interessi pubblici pure affidati alla cura dell’autorità amministrativa locale (recupero, accessibilità, fruibilità, incremento occupazionale, etc.)[26] ».

In altri termini, la giurisprudenza attribuisce fondamentale rilevanza al c.d. elemento funzionale, ossia allo specifico riconoscimento dell’interesse pubblico per gli edifici che, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, risultino idonei a soddisfare interessi o bisogni di rilevanza pubblica, indipendentemente dalla qualità dei soggetti che li realizzino.

L’introduzione da parte del Legislatore nell’art 14 di un nuovo comma 1-bis, che estende l’operatività del permesso di costruire in deroga per gli interventi di ristrutturazione edilizia, ha confermato la succitata interpretazione giurisprudenziale.

Il Legislatore, tuttavia, con l’inserimento del comma 1 bis non ha inteso liberalizzare e generalizzare ogni intervento edilizio incrementativo degli edifici esistenti, collegando l’obiettivo di rilancio dell’attività edilizia a specifiche e ineludibili finalità relative all’interesse, di pari rilievo e preminenza, anche costituzionale, ad un miglioramento del tessuto urbanistico, cui sono chiaramente correlate le due alternative finalità/condizioni di ammissibilità dell’intervento, “razionalizzazione del patrimonio edilizio”, “riqualificazione dell’area urbana degradata”[27].

La specifica valutazione in concreto dell’interesse pubblico, incombe esclusivamente in capo al Consiglio Comunale, che tramite la propria deliberazione decide di asseverare o negare la richiesta inerente il permesso di costruire in deroga.

La “previa” delibera consiliare, infatti, si atteggia in termini di preventiva autorizzazione rispetto a progetti edilizi che, altrimenti, mai potrebbero essere assentiti, e questa non può che essere rimessa al Consiglio comunale, al quale compete, in via esclusiva, la valutazione ex ante (di natura discrezionale) circa l’esistenza delle pregnanti ragioni di pubblico interesse che, sole, legittimano la deroga alla vigente disciplina urbanistico-edilizia di ordine generale (e fermo restando, in ogni caso, il limitato perimetro entro cui tale deroga può operare, come pacificamente desumibile dal disposto di cui al comma 3 dell’art. 14)[28].

Per costante orientamento giurisprudenziale, il Consiglio comunale è chiamato ad operare una comparazione tra l’interesse pubblico al rispetto della pianificazione urbanistica e quello del privato ad attuare l’interesse costruttivo. Come ogni altra scelta pianificatoria, la valutazione di interesse pubblico della realizzazione di un intervento in deroga alle previsioni dello strumento urbanistico è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui l’Amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità in sede giurisdizionale solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità e dall’evidente travisamento dei fatti[29].

Va precisato che il Legislatore ha attribuito all’ente locale, previa deliberazione del Consiglio Comunale la facoltà – e non anche l’obbligo – di assentire la realizzazione di un intervento edilizio pubblico ovvero di interesse pubblico, in deroga agli strumenti urbanistici. Ciò a valle di una valutazione discrezionale di cui deve essere dato conto mediante la predisposizione di una congrua motivazione, con la quale l’Amministrazione individui l’esistenza di un interesse pubblico alla realizzazione dell’intervento ed a condizione che l’interesse pubblico possa dirsi prevalente non soltanto rispetto allo specifico assetto di interessi pubblici ex ante dal pianificatore, in sede di predisposizione delle regole urbanistiche oggetto di deroga, ma anche rispetto alle posizioni di controinteresse, eventualmente sussistenti, le quali devono, evidentemente, emergere nel corso del procedimento[30]

Infatti, poiché la concessione della deroga potrà avere ripercussioni anche nei confronti dei privati terzi (si pensi, ad esempio, ad una deroga in materia di distanza), l’art. 14, comma 2, del DPR 380/01 richiede il necessario coinvolgimento degli interessati ai sensi dell’art. 7 della Legge n. 241/90, ai quali deve essere inviata, a cura dell’ufficio tecnico, la comunicazione di avvio del procedimento, purché individuati o facilmente individuabili, anche con l’ausilio del richiedente.

Tale comunicazione è funzionale a consentire la partecipazione al procedimento da parte dei soggetti che potrebbero essere pregiudicati dall’intervento, al fine di metterli in grado di esercitare i diritti di cui all’art. 10 della Legge n. 241/1990, consentendo al privato di apportare informazioni ed elementi utili per l’istruttoria, che così viene arricchita e completata.

Eventuali osservazioni poste dagli interessati consentiranno al Consiglio comunale – il quale è l’unico organo deputato alla loro valutazione nell’ambito del procedimento e sulle quali dovrà motivatamente esprimersi[31] – di pervenire ad una migliore e più consapevole ponderazione degli interessi direttamente e indirettamente coinvolti dall’agire amministrativo, in armonia con i principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.[32]

 

  1. Ambito di applicazione della deroga

L’art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2001 riferisce la deroga ad ipotesi tassative, prevedendo al comma 3 “La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi nonché le destinazioni d’uso ammissibili fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.”

Dal tenore testuale emerge in primo luogo come la deroga si riferisca esclusivamente ai limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi[33], non potendo incidere sulle scelte di tipo urbanistico né sul il rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza.

Una delle questioni più dibattute è quella relativa alla derogabilità o meno delle destinazioni di zona.

La giurisprudenza chiariva già con riferimento alle disposizioni, poi confluite nell’art. 14 del D.P.R. n. 380 del 2001, che prevedevano la possibilità di rilasciare concessioni edilizie in deroga ai piani regolatori ed alle norme di regolamento edilizio, che “vanno interpretate restrittivamente”. Più precisamente “Tali deroghe non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel piano, con la conseguenza che non possono essere oggetto di deroga le destinazioni di zona che attengono all’impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici”[34].

Una lettura in chiave restrittiva dell’ambito di applicazione della deroga è stata ribadita dalla giurisprudenza amministrativa più recente, la quale, richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato succitata, ha chiarito che è inapplicabile alla conformazione urbanistica, ossia alla zonizzazione: “deve ritenersi legittimo il rigetto della richiesta del permesso di costruire in deroga tenuto conto dell’incidenza del programmato aumento di volumetria su zona B1 “ satura e destinata al verde, vieppiù considerato che l’asservimento della volumetria da un lotto ad un altro, finalizzato a lucrare maggiore capacità edificatoria, è consentito solo con riferimento ad aree omogenee, ossia aventi la medesima destinazione urbanistica, posto che, diversamente, verrebbero ad alterarsi le caratteristiche tipologiche di zona e potrebbe determinarsi, nella zona in cui viene aggiunta cubatura, un superamento della densità edilizia massima consentita dalla pianificazione”[35].

La deroga, non potendo incidere sulle scelte di tipo urbanistico, può operare solo nel caso in cui l’area sia edificabile secondo le previsioni di piano, con la conseguenza che non può ritenersi ammissibile il rilascio di permessi in deroga, ad esempio, per aree a destinazione agricola o a verde pubblico o privato mancando in tal caso il presupposto dell’edificabilità dell’area, necessario non per il rilascio in deroga del permesso di costruire ma per il permesso stesso.

In chiave ancora più restrittiva si è affermato che “all’interno della pianificazione urbanistica può trovare spazio l’esigenza di contenere l’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi e la destinazione di un’area a verde agricolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione, e quindi essere funzionale ad un uso strettamente agricolo del terreno, ben potendo giustificarsi con le esigenze dell’ordinato governo del territorio, tra le quali la necessità di impedire ulteriori edificazioni o un congestionamento delle aree, ovvero di garantire l’equilibrio delle condizioni di vivibilità, compensando gli effetti dell’espansione dell’aggregato urbano”[36].

In definitiva presupposto essenziale per il rilascio del permesso di costruire in deroga è l’edificabilità dell’area: quando lo strumento urbanistico non prevede la possibilità di rilasciare un ordinario permesso di costruire non sarebbe possibile procedere al rilascio di un permesso in deroga, costituendo quest’ultimo una procedura attuativa finalizzata a realizzare costruzioni d’interesse pubblico.

Dal tenore testuale emerge inoltre la diretta precettività delle disposizioni e dei limiti fissati dal D.M. 1444 del 1968 (compresi densità, altezze, distanze) che hanno efficacia inderogabile e vincolante.

In realtà il Legislatore con l’art 14 del D.P.R. n. 380 del 2001 ha fornito una risposta negativa alla questione dibattuta ampiamente in dottrina e giurisprudenza sul tema della derogabilità o meno degli standard urbanistici[37].

Parte della giurisprudenza infatti escludeva l’inderogabilità degli standard urbanistici sulla base dell’art 1 dello stesso D.M. 1444 del 1968 che prevede un previo recepimento delle sue disposizioni da parte dello strumento urbanistico. Ciò ne escluderebbe l’immediata forza precettiva perché una volta recepite, tali disposizioni urbanistiche primarie diventerebbero norme di attuazione del P.R.G. con la conseguente legittimità di una loro deroga non avendo natura di fonti normative primarie, bensì di norme di mero dettaglio[38].

Altra parte della giurisprudenza invece chiariva che “il rilascio della concessione in deroga è possibile se e nei limiti in cui non pregiudichi in termini significativi gli standard urbanistici. La materia delle licenze (o concessioni edilizie o permessi di costruzione) in deroga è stata affrontata con circolare ministeriale dell’allora competente Ministero dei Lavori pubblici seguita da altre circolari in materia (i cui principi orientativi di fondo appaiono tuttora validi ed applicabili), secondo cui nella concessione di maggiori altezze o di maggiori distacchi o di altra qual si voglia eccezione alle misure massime consentite in via normale si applichi il criterio del compenso dei volumi e, cioè, non si sviluppi un volume fabbricativo complessivo maggiore di quello che risulterebbe dalla corrente applicazione di tutte le norme edilizie per la zona indicata (onde dovrà farsi luogo ad una congrua, contemporanea riduzione di altri elementi quali la superficie occupata, ritiri di fronte etc.)[39].

Il Legislatore con l’art 14 del D.P.R. n. 380 del 2001 ha definitivamente superato l’annosa questione.

La più recente giurisprudenza conferma che “deve escludersi che la deroga possa riguardare aumenti di volumetria rispetto a quelli oggetto di pianificazione, potendo consentire soltanto a parità di volume edificabile, che l’intervento si concretizzi, ad esempio con altezza, superficie coperta, destinazione diverse da quelle previste dal PRG” [40].

In conclusione si assiste ad una limitata operatività in concreto della deroga considerato che nel caso in cui (che è il più frequente) i limiti di cui al D.M. 1444 del 1968 coincidano con quelli adottati dal piano urbanistico non residua spazio per ulteriori eccezioni.

 

  1. Il rapporto tra l’articolo 14 comma 3 e l’articolo 2 bis del D.P.R. 380/01

Sotto ulteriore profilo va evidenziato che la Corte costituzionale ha chiarito in molteplici occasioni che le prescrizioni e i limiti fissati dal D.M. 1444 del 1968, hanno efficacia inderogabile e vincolante anche verso il Legislatore regionale, salvo quanto previsto oggi dall’art. 2 bis del D.P.R. n. 380 del 2001, costituendo principi fondamentali della materia[41].

L’art 2 bis del D.P.R. n. 380 del 2001 al comma 1 prevede che “le leggi regionali possono derogare al D.M. 1444 del 1968, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici, comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali”.

Il campo di applicazione dell’art 2 bis è divenuto oggetto di grande attenzione anche a seguito delle modifiche introdotte al comma 1 ter dall’art 10 “Semplificazioni e altre misure in materia edilizia” della Legge 120 del 2020, finalizzate ad assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo [42].

La giurisprudenza amministrativa ha esaminato in diverse occasioni l’ambito di operatività dell’art 2 bis in presenza di una normativa regionale derogatoria, che in relazione ad alcuni interventi di riqualificazione consente che “Gli eventuali incentivi volumetrici riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati con la soprelevazione dell’edificio originario, anche in deroga al D.M. n. 1444 del 1968, artt. 7, 8 e 9, nonchè con ampliamento fuori sagoma dell’edificio originario laddove siano comunque rispettate le distanze minime tra fabbricati di cui all’art. 9 del medesimo decreto o quelle dagli edifici antistanti preesistenti, se inferiori”.

E’ stato chiarito che l’art 2 bis recepisce gli assunti della giurisprudenza costituzionale[43], secondo cui le leggi regionali possono derogare alle limitazioni fissate nel D.M. 1444 del 1968, ma solo a condizione che le deroghe siano recepite da strumenti urbanistici attuativi (funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio) e non riguardino singoli edifici come, del resto, già previsto dall’art. 9, ultimo comma, del D.M. n. 1444 del 1968.

Ne consegue pertanto che le disposizioni derogatorie regionali assunte ai sensi dell’art. 2 bis comma 1 DPR 380/01, che prevedono per l’appunto deroghe ai limiti di densità edilizia, di altezza e distanza tra fabbricati previsti dal D.M. 1444 del 1968, debbono essere recepite nell’ambito di strumenti urbanistici attuativi in cui siano approvate anche specifiche previsioni volumetriche[44].

La succitata sentenza si pone in linea di continuità con un orientamento consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale volto ricondurre le leggi regionali introduttive di fattispecie di deroga al rispetto del principio fondamentale “di pianificazione urbanistica del territorio” che informa l’ordinamento giuridico e al cui rispetto deve altresì conformarsi anche il legislatore regionale.

La Corte costituzionale ha precisato che il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse all’ordinato sviluppo edilizio del territorio, ma è rivolto anche alla realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti[45].

Costituisce principio fondamentale della materia del governo del territorio quello secondo cui gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti soltanto in presenza di pianificazione urbanistica e nel rispetto delle sue prescrizioni, come espresso nell’art. 41quinquies della legge n. 1150 del 1942 che, nel prevedere l’osservanza di limiti inderogabili nella formazione degli strumenti urbanistici, presuppone la necessaria sussistenza del sistema della pianificazione del territorio.

Interventi regionali che dispongano, nell’esercizio della propria competenza concorrente in materia di «governo del territorio», deroghe generali al principio fondamentale di pianificazione urbanistica del territorio, per determinate tipologie di interventi edilizi, sono ammissibili solo in quanto presentino i caratteri dell’eccezionalità e della temporaneità e siano diretti a perseguire obiettivi specifici coerenti con i detti caratteri, diretti ad escludere in particolare che essi assurgano a disciplina stabile, vanificando il principio del necessario rispetto della pianificazione urbanistica[46].

I medesimi principi sono stati recentemente ribaditi dalla Corte costituzionale nel giudizio di legittimità costituzionale proposto avverso alcuni articoli della legge reg. Piemonte n. 7 del 2022, per aver introdotto una novella dell’art. 5 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, che si porrebbe in aperto contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi fondamentali della materia «governo del territorio», recati dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, come attuato mediante il D.M. n. 1444 del 1968[47].

Il comma 9 del citato art. 5 della legge reg. Piemonte n. 16 del 2018, come novellato, prevede infatti che «[g]li interventi di cui ai commi precedenti possono superare i parametri edilizi e urbanistici previsti dagli strumenti urbanistici e possono: a) comportare l’incremento o il decremento del numero di unità immobiliari sottoposte a ristrutturazione edilizia; b) superare le densità fondiarie stabilite dall’articolo 7 del [d.m. n. 1444 del 1968]; c) superare l’altezza massima consentita dagli strumenti urbanistici fino alla quantità necessaria per sopraelevare il fabbricato di un piano».

La Corte ha ribadito che tale previsione scardinerebbe il principio fondamentale statale, secondo cui gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sarebbero consentiti soltanto nel quadro della pianificazione urbanistica, nell’ambito della quale si esercita una funzione di disciplina degli usi del territorio necessaria e insostituibile, in quanto idonea a fare sintesi dei molteplici interessi, anche di rilievo costituzionale, che afferiscono a ciascun ambito territoriale.

Diversamente da quanto previsto dal legislatore regionale, il regolatore statale avrebbe perciò previsto la possibilità di assentire interventi in deroga alla pianificazione urbanistica soltanto in forza di una decisione assunta, caso per caso, a livello locale, sulla base di una ponderazione di interessi che tenga conto del contesto territoriale. Ciò determinerebbe che alla Regione non sarebbe consentito «introdurre deroghe generalizzate ex lege alla pianificazione urbanistica», tanto più ove tali «deroghe generalizzate assumano carattere stabile nel tempo».

A conforto di tale esito, la Corte ricorda come la stessa normativa sul piano casa «esclud [a] la possibilità di derogare al d. m. n. 1444 del 1968» Dunque, se tanto è stato previsto con riferimento alla normativa sul piano casa, che si qualifica per il suo carattere straordinario e derogatorio, a maggior ragione dovrebbe «ritenersi valevole con riferimento a disposizioni regionali, quale quella in questione, che introducono deroghe generalizzate alla pianificazione urbanistica, in assenza di copertura di una norma statale».

 

  1. Conclusioni

La presente analisi consente di concludere che l’istituto del permesso di costruire in deroga, nonostante le novità introdotte dal Legislatore nella norma di riferimento, continua ad avere una limitata applicazione, avulsa da quelle ulteriori finalità di più ampio respiro al cui perseguimento dovranno essere dedicati altri istituti.

In particolare, il richiamo nell’ambito dell’art 14 del D.P.R. 380/01 del concetto di rigenerazione urbana non deve essere confuso con quello di rinnovamento edilizio che prevede benefici in favore di interventi di ristrutturazione e di cambio di destinazione d’uso mirati alla riqualificazione non già del tessuto di interi àmbiti, ma di singoli edifici d’interesse pubblico.

Il permesso di costruire in deroga non può surrogare la necessità di una normativa speciale di favore giacché gli interventi di rigenerazione urbana, di regola, presuppongono un’apposita strumentazione attuativa, se non addirittura una strumentazione primaria ad hoc[48].

In ragione della natura straordinaria del permesso di costruire in deroga, i relativi presupposti devono essere accertati in modo puntuale e rigoroso attraverso una indispensabile valutazione caso per caso, sulla base di una ponderazione di interessi pubblici che tenga conto del contesto territoriale. 

Invero sussiste un principio fondamentale “di pianificazione urbanistica del territorio e nel suo necessario rispetto, come condizione del rilascio di atti permissivi della sua trasformazione”, che informa l’ordinamento giuridico e al cui rispetto deve altresì conformarsi anche il legislatore regionale, come statuito in più occasioni dalla stessa Corte Costituzionale nel vaglio di leggi regionali introduttive di fattispecie di deroga.

Infatti se si ammettessero ampi poteri di deroga allo strumento urbanistico comunale, si potrebbero avere effetti di “destrutturazione dell’ordinato assetto del territorio”, che può essere assicurato esclusivamente dalla pianificazione urbanistica.

 

 

 

 

 

 

[1] M. Calabro, Testo unico dell’edilizia a cura di M.A. Sandulli, sub art 14, Milano 2004, 201 e ss; L. Cimellaro, Gli atti di assenso agli interventi edilizi, Milano, 2002; L. Stevanato, Procedimenti e regimi in urbanistica e in edilizia, Padova 2002, 127 e ss.

[2] In particolare: – l’art. 3, comma 1, lett. d), stabilisce che, nei casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, l’intervento di ristruttura-zione edilizia può dar luogo ad incrementi di volumetria “anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”; – l’art. 14, comma 1-bis, stabilisce che il consiglio comunale può attestare l’interesse pubblico di un intervento di ristrutturazione edilizia in deroga allo strumento urbanistico “limitatamente alle finalità di rigenerazione urbana, di contenimento del con-sumo del suolo e di recupero sociale e urbano dell’insediamento”; – l’art. 17, comma 4-bis, consente la riduzione del contributo di costru-zione “al fine di agevolare gli interventi di rigenerazione urbana, di decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo, di ristrutturazione, nonché di recupero e riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione, rispetto a quello previsto dalle tabelle parametriche regionali”; l’art. 23-quater, comma 1, ammette l’utilizzazione temporanea di edifici ed aree per usi diversi da quelli previsti dallo strumento urbanistico “allo scopo di attivare processi di rigenerazione urbana, di riqualificazione di aree urbane degradate, di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e favorire, nel contempo, lo sviluppo di iniziative economiche, sociali, culturali o di recupero ambientale”.

[3]   Giani L., D’Orsogna M., Diritto alla città e rigenerazione urbana. Esperimenti di resilienza, in AA.VV., Scritti in onore di Picozza, vol. 3, Napoli, 2020.

[4] A. Giusti, La rigenerazione urbana. Temi, questioni e approcci nell’urbanistica di nuova generazione. Contributi di diritto amministrativo. 2018. Studi e monografie- Collana diretta da F.G. Scoca e G. Corso, M. D’Orsogna, M. Immordino, A. Police, M.A. Sandulli, M.R. Spasiano; Mantini P. Le trasformazioni del diritto urbanistico, Padova, Cedam, 2012, pag. 99. Losanno M., Rigenerazione urbana: prospettive di innovazione, in Techne, 2015, 10, 4 ss.

[5] Cfr Art. 28-bis. Permesso di costruire convenzionato, introdotto dall’art. 17, comma 1, lettera q), legge n. 164 del 2014. 1. Qualora le esigenze di urbanizzazione possano essere soddisfatte con una modalità semplificata, è possibile il rilascio di un permesso di costruire convenzionato. 2. La convenzione, approvata con delibera del consiglio comunale, salva diversa previsione regionale, specifica gli obblighi, funzionali al soddisfacimento di un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di regolamento degli interessi.

[6] Cfr decreti-legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito con legge 14 giugno 2019, n. 55 e 16 luglio 2020, n. 76

[7] Art 3 L. 1357/1955 poi integrato dall’art 41 della L. 1150/1942

[8] Cfr. sull’argomento, GE. Ferrari, Commento all’art. 14 d.P.R. n. 380/2001, in Garofoli – Ferrari, Codice dell’Edilizia, Roma, 2015.

[9] cfr.TAR Piemonte, sez. II, 9 dicembre 2022, n. 1099; TAR Lazio, Roma, sez. II quater, 4 luglio 2022, n. 9089; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 3 novembre 2022, n. 3096

[10] Cons. di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2022, n. 616 Ha chiarito la Sezione che a non diverse conclusioni deve giungersi per i permessi di costruire in deroga di cui al comma 1-bis del precitato art. 14, d.P.R. n. 380 del 2001 (e, prima, di cui all’art. 5, commi 9 e 14, d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla l. 12 luglio 2011, n. 106, come interpretato autenticamente dall’art. 1, comma 271, l. 23 dicembre 2014, n. 190), i quali sono semplicemente una species della più ampia categoria dei permessi di costruire in deroga di cui al predetto art. 14.

[11] Cons. di Stato sez. IV, 20 novembre 2023, n.9924

[12] R. De Nicolis – V. Poli, I titoli edilizi nel Testo unico e nella Legge Obiettivo, Milano 2003; M. Pampanin, Il permesso di costruire in deroga secondo il testo unico dell’edilizia, in Rivista giuridica di urbanistica, 2004; P. Stella Richter, I titoli abilitativi in edilizia (commento al T.U. in materia edilizia in vigore dal 30 giugno 2023) Torino 2003

[13] Cons. di Stato, sez. IV, 24 novembre 2019, n. 7228

[14] Corte di Cassazione Pen., sez. III, 9 aprile 2024 n. 14644

[15] Consiglio di Stato, con il parere n. 52/2001 nell’esaminare in sede consultiva la bozza del Testo Unico dell’edilizia, evidenziava all’Esecutivo l’opportunità che tale strumento fosse impiegato anche per derogare alle destinazioni d’uso impresse dai Piani Regolatori; osservazione che non venne recepita dal Legislatore salvo poi introdurla con il D.L. 133/2014 in una prospettiva di ampliamento delle potenzialità di tale strumento

[16] T.A.R. Piemonte, sez. I, 18 settembre 2018, n. 1028 La natura privata e speculativa dell’intervento edilizio non è di per sé ostativa alla individuazione di un interesse pubblico, tenuto conto che nel rilascio del permesso di costruire in deroga (già previsto dall’art. 5 del c.d. Decreto sviluppo n.70/2011 convertito in L. 106/2011), l’interesse del privato ad attuare l’intervento costruttivo assume un rilievo pubblicistico nella misura in cui consente di razionalizzare e riqualificare aree urbane degradate, con il solo limite che si tratti di destinazioni tra loro compatibili e complementari (in tal senso, cfr. TAR Piemonte, sez. II, 29 gennaio 2016 n. 91); sicchè il problema, di volta in volta, è quello di stabilire se l’intervento proposto dal privato, oltre a perseguire finalità imprenditoriali e lucrative, realizzi, nel contempo, le predette esigenze di carattere pubblicistico.

[17] T.A.R. Palermo, sez. II, 03 novembre 2022, n.3096

[18] Secondo la dottrina tedesca la deliberazione del Consiglio comunale determina l’insorgere di una specifica obbligazione pur senza obblighi primari di prestazione (i noti “Schuldverhältnisse ohne primäre Leistungspflichten”). L’atto schiuderebbe, infatti, la successiva fase procedimentale volta alla stipula della convenzione tra le parti. In sostanza, la favorevole determinazione dell’Organo politico segna l’apertura di una fase procedimentale diretta alla conclusione del negozio che regola i rapporti tra l’Ente e l’operatore privato.

[19] La Corte costituzionale, con la sentenza n. 282 del 21.12.2016, si è espressa nel senso della necessità di una “previa deliberazione del Consiglio comunale”, dichiarando l’illegittimità costituzionale di una normativa regionale che prevedeva un procedimento difforme, rinviando alle “modalità previste nel regolamento edilizio comunale”  

[20]  T.A.R. Lazio, sez II quater, 04 luglio 2022 n. 9089 “…è del tutto ultroneo osservare che la comunicazione di avvio debba avere ad oggetto un iter procedimentale ancora in corso, e dunque non ancora concluso, posto che un coinvolgimento degli interessati soltanto successivo all’adozione del provvedimento conclusivo sarebbe del tutto inutile, sconfessando in radice la ratio che sorregge l’istituto della partecipazione al procedimento amministrativo, come disciplinato dalla l. n. 241/1990”.

[21] Secondo la dottrina tedesca La deliberazione del Consiglio comunale determina l’insorgere di una specifica obbligazione pur senza obblighi primari di prestazione (i noti “Schuldverhältnisse ohne primäre Leistungspflichten”). L’atto schiuderebbe, infatti, la successiva fase procedimentale volta alla stipula della convenzione tra le parti. In sostanza, la favorevole determinazione dell’Organo politico segna l’apertura di una fase procedimentale diretta alla conclusione del negozio che regola i rapporti tra l’Ente e l’operatore privato.

[22]Cons. di Stato, sez VI, 14 giugno 2021 n. 4591 Né la decisione oppositiva alla prosecuzione favorevole del procedimento di valutazione dell’istanza di variante espressa dall’ufficio tecnico comunale si pone in contraddizione con una asserita, iniziale, valutazione positiva di detta istanza, il quale, nell’esercizio della propria verifica in ordine alla fattibilità tecnica dell’opera, la cui valutazione positiva diventa presupposto essenziale per trasmettere la “prefattibilità documentale” al Consiglio comunale; l’ufficio tecnico conclude l’istruttoria con parere favorevole o negativo circa questa prefattibilità tecnica, e in caso di diniego non occorre coinvolgere inutilmente il Consiglio comunale della circostanza

[23] cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, sent. 29 gennaio 2016, n. 91

[24] T.A.R. Piemonte, sez. II, 7 giugno 2021, n. 589, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 2 agosto 2016, n. 8917; Cons. di Stato, sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 508; Cons. di Stato, sez. III, 8 settembre 2016, n. 3827; T.A.R. Salerno, sez. II, 9 settembre 2016, n. 2191; T.A.R. Palermo, sez. III, 13 luglio 2016, n. 1756,  T.A.R. Piemonte, Sez. II, 27.2.2017, n. 286; T.A.R. Piemonte, sez. II, 29.11.2017, n. 1292

[25] Il Ministero dei Lavori Pubblici con Circolare n. 3210 del 28 ottobre 1967 ha modificato la precedente impostazioni rigida e non funzionale alle finalità dell’istituto definendo “edifici ed impianti di interesse pubblico” quelli che, indipendentemente dalla qualità del soggetto realizzatore, che potrebbe essere sia pubblico che privato, sono tesi a finalità di carattere generale sotto l’aspetto economico, culturale, religioso ecc. Tale definizione è stata poi confermata con Circolare successiva n 25 del 1970

[26] Cons. di Stato, sez. IV, 05 giugno 2015 n. 2761.

[27] Cons. di Stato, sez. IV, 11 aprile 2014 n. 1767; id., 01 settembre 2015 n. 4088

[28] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II  Quater, 04 luglio 2022 n. 9089

[29] cfr., Cons. di Stato, sez. IV, 24 ottobre 2019, n. 7228; id., 7 settembre 2018, n. 5277; id., 26 luglio 2017, n. 3680

[30] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 06 giugno 2023, n. 9555.

[31] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 7 febbraio 2014, n. 417

[32] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, 4 luglio 2022, n. 9089 (cd. partecipazione in chiave collaborativa), ovvero rappresentare nell’ambito del procedimento gli stessi interessi che il privato potrebbe addurre in un eventuale processo amministrativo, così anticipando il contraddittorio in sede procedimentale, in un’ottica deflattiva (cd. partecipazione in chiave difensiva)

[33] Cons. di Stato sez. II, 17 novembre 2020, n.7159

[34] Cons. di Stato, sez. IV, 28 settembre 2009, n. 5847

[35] T.A.R. Campania  Napoli, sez. II, 5 gennaio 2022 n.117

[36] T.A.R. Brescia, sez. I, 17 maggio 2018, n. 487

[37] G. D’Angelo, Concessione edilizia in deroga e competenza della Giunta comunale, RG ED 1990, R.Rampazzo, Permesso di costruire in deroga AAVV testo unico sull’edilizia, coordinato da V. Italia, Milano 2003

[38] Cons di Stato, sez. V, 5 novembre 1999 n. 1841

[39] Cons. di Stato, sez. V, 11 giugno 2006 n. 42

[40] Cons. Stato, sez. VI, 7 agosto 2023 n. 4568

[41] Corte Costituzionale 15 febbraio 2023 n.17

[42] a) all’articolo 2-bis, il comma 1-ter, è sostituito dal seguente: «1-ter. In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell’area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l’intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell’altezza massima dell’edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e in ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell’ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatti salvi le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela»

[43] Corte costituzionale 24 febbraio 2017 n. 41 del 2017 e 3 novembre 2016 n. 231

[44] T.A.R. Emilia – Bologna, sez II, 2 maggio 2023 n. 261

[45] Corte costituzionale 23 novembre 2021 n. 219

[46] Corte Costituzionale 10 febbraio 2023, n. 17

[47] Corte Costituzionale 4 luglio 2024, n. 119

[48] Cartei G.F., Amante E., Strumenti giuridici per la rigenerazione urbana, in Passalacqua M., Fioritto A., Rusci S. (a cura di), Ri-conoscere la rigenerazione. Strumenti giuridici e tecniche urbanistiche, Santarcangelo di Romagna, 2018, 24 ss.

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