tratto da fiscooggi.it

L’area di stoccaggio in un interporto non può essere classata come immobile a destinazione particolare, in quanto destinata ad autonoma attività imprenditoriale

In tema di classamento catastale, l’inquadramento di un immobile nella categoria E/1, quale sottoclasse degli “immobili a destinazione particolare”, presuppone non solo che lo stesso sia privo di autonomia funzionale e reddituale, ma anche che sia strettamente strumentale al servizio pubblico. Così si è espressa la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 21790/2025 ribadendo il principio di diritto consolidato secondo cui in una struttura (nella specie, un interporto) destinata a soddisfare esigenze di pubblico interesse, le aree in cui viene svolta un’attività secondo parametri economico – imprenditoriali e che quindi presentano autonomia reddituale e funzionale, come quelle utilizzate come magazzino o per lo stoccaggio delle merci in transito, devono essere ricondotte ad una categoria catastale diversa da quella dell’immobile che le ricomprende.

La vicenda processuale
La vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte di una società che gestiva un interporto, di due avvisi di accertamento catastale con cui l’ufficio aveva rideterminato il classamento e la rendita, rispettivamente, di due aree situate all’interno della struttura interportuale, una asfaltata e servita da raccordi stradali destinata al carico/scarico e movimentazione delle merci e l’altra adibita allo stoccaggio delle stesse. La contribuente sosteneva che tali aree dovevano rientrare nella categoria catastale E/1 “Stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei”, in quanto connesse e funzionali all’attività principale dell’interporto.

Il verdetto del giudice di prime cure, sfavorevole alla parte privata, veniva ribaltato in appello: la Commissione tributaria regionale della Toscana, con sentenza n. 71 del 2023, accoglieva infatti le doglianze della contribuente, ritenendo che le aree in questione non presentassero autonomia funzionale e reddituale, in quanto strettamente connesse alle finalità del complesso interportuale, giudicando quindi corretta l’attribuzione della categoria catastale E/1 proposta dall’interessata.

Ricorrendo in sede di legittimità, con un unico motivo, l’ufficio censurava la sentenza della Ctr per violazione e falsa applicazione della disciplina in materia di classamento catastale, lamentando che il giudice regionale avesse errato nel ritenere le aree in contestazione riconducibili alla categoria catastale E/1, senza considerare che possono essere strumentali al bene principale solo gli immobili utilizzati esclusivamente per l’erogazione del servizio di trasporto pubblico, requisito che nel caso di specie sarebbe invece mancato. 

La pronuncia della suprema Corte
Il Collegio di piazza Cavour ha accolto il ricorso dell’Agenzia, ribadendo un orientamento che, nella specifica materia, appare ormai consolidato.

L’inquadramento di un immobile nella categoria catastale E/1 è riservato esclusivamente a quei beni che sono strumentali al servizio pubblico, dovendo invece escludersi da detto àmbito quelli che, pur inseriti nel complesso infrastrutturale di riferimento, siano utilizzati per lo svolgimento di attività economiche.

Si legge in particolare che: «[…] non è revocabile in dubbio che, mentre gli spazi sosta veicoli adibiti al servizio pubblico ed i parcheggi auto ad uso del personale dipendente siano strettamente strumentali all’esercizio delle funzioni coerenti con la destinazione d’uso dell’interporto, non altrettanto possa dirsi per i magazzini e per le aree di deposito per stoccaggio container o merci in genere».

La suprema Corte ha operato un parallelismo con la sentenza n. 5070/2019, ove, relativamente agli impianti di risalita al servizio di piste sciistiche, è stato affermato che gli stessi possono essere classificati come mezzi pubblici di trasporto e dunque accatastati in categoria “E” ove “pur soddisfacendo un interesse commerciale siano anche funzionali alle esigenze di mobilità generale della collettività”. I giudici hanno inoltre osservato che le aree oggetto dell’accertamento erano utilizzate, per stessa ammissione della contribuente, per lo stoccaggio di merci in transito e per il traffico di autovetture di nuova importazione e che “l’attività di stoccaggio delle auto nel piazzale dell’interporto, in attesa di rispedirle alle destinazioni finali (venendo caricate su mezzi di trasporto), non è funzionale ad esigenze di mobilità generale della collettività”.

In definitiva, hanno spiegato i giudici, gli immobili oggetto della rettifica operata dall’ufficio non possono essere ricondotti alla categoria catastale E/1 perché destinati a un utilizzo imprenditoriale autonomo: tanto, in coerenza con la regola per cui ciò che rileva ai fini del classamento è che nell’unità immobiliare urbana soggetta ad accatastamento venga svolta attività industriale secondo parametri economico-imprenditoriali, senza che assuma rilevanza l’eventuale destinazione dell’immobile anche ad attività di pubblico interesse (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 12741 del 23/05/2018; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 2004 del 2019, secondo cui è proprio la destinazione del cespite ad una attività che sia svolta rispettando parametri economico-imprenditoriali ad essere decisiva in ordine alla classificazione in questione)”.

Alla luce di tali argomentazioni, la suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

Osservazioni
L’articolo 2, commi da 40 a 42, del decreto-legge n. 262/2006, ha introdotto alcune disposizioni in materia di classamento delle unità immobiliari “polifunzionali”, censite nelle categorie catastali del gruppo “E”, con esclusione delle categorie E/7 ed E/8.

Specificamente, il citato comma 40 ha stabilito che “Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale”; il comma 42 ha disposto che, “Con provvedimento (emanato il 2 gennaio 2007 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – serie generale n. 6 del successivo 9 gennaio, n.d.r.) del Direttore dell’Agenzia del territorio, sono stabilite le modalità tecniche e operative per l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41”.

Nel rinviare per ogni aspetto di maggiore dettaglio alla lettura della circolare dall’Agenzia del territorio n. 4 del 13 aprile 2007, in questa sede è utile ricordare che nell’ambito delle tipologie immobiliari per le quali la normativa prevede il censimento nelle categorie del gruppo E, la circolare, in coerenza con il quadro normativo, indica che è necessario procedere all’individuazione delle porzioni immobiliari delle unità complesse che possono conservare il censimento originario, rispetto a quelle che necessariamente richiedono un nuovo accatastamento, con censimento nella categoria catastale pertinente con l’uso effettivo e con le caratteristiche intrinseche ed estrinseche del bene.

Pertanto, relativamente ai complessi polifunzionali, il classamento si effettua distinguendo gli immobili che presentano le suddette caratteristiche con conseguente assegnazione della categoria più rispondente alla specifica destinazione. Con riferimento alla categoria “E/1- Stazioni per servizi di trasporto terrestri, marittimi ed aerei”, come quella di specie, è necessario quindi distinguere tra la parte strettamente funzionale alle esigenze di pubblico trasporto e le altre unità, autonome per funzionalità e redditività, censibili nelle specifiche categorie ordinarie o speciali.

Con particolare riguardo a situazioni analoghe, oltre che nella pronuncia n. 27544 del 2024, la suprema Corte ha avuto modo di esprimersi con l’ordinanza n. 597 del 2020, emessa in relazione ad avviso di accertamento con il quale l’ufficio aveva rettificato in D/8 la categoria catastale di un capannone sito in un’area immobiliare nel porto di Savona, che il contribuente aveva invece ritenuto di collocare in E/1: in questo caso, il Collegio di legittimità, dopo aver rilevato che la destinazione dell’immobile della cui classificazione si discuteva era stata individuata dai giudici di merito nel ricovero e nella custodia di materiale destinato all’imbarco e allo sbarco, ha concluso che nonostante la localizzazione del bene all’interno dell’area portuale, non ne era consentito il classamento nella categoria E, per l’acclarata assenza delle caratteristiche tipologico-funzionali tali da renderlo estraneo ad ogni uso commerciale o industriale.

In definitiva, l’ordinanza dello scorso 29 luglio ribadisce la regola interpretativa secondo la quale, in tema di classamento, non possono essere compresi nelle categorie da E/1 ad E/6 nonché in E/9 gli immobili di per sé stessi utili o atti a produrre un reddito proprio, anche se utilizzati per le finalità istituzionali del soggetto titolare, dovendo quindi procedersi alla classificazione catastale in base al criterio funzionale, vale a dire accertando “l’eventuale svolgimento negli immobili di un’attività realizzata secondo parametri imprenditoriali, e non sui criteri dell’interesse generale e della localizzazione, in ragione del valore preponderante che assume lo sfruttamento dell’area” (cfr Cassazione n. 25238/2025).

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