Tratto da: Ildirittoamministrativo.it
Autrice: Emanuela Ippolito
Abstract
Il principio del legittimo affidamento, fondato sui canoni della certezza del diritto e della buona fede, assume un ruolo cruciale nel settore edilizio, soprattutto nella gestione delle opere realizzate sulla base di titoli edilizi successivamente annullati.
Il presente contributo analizza, in particolare, la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, 8 gennaio 2024, n. 277, che chiarisce il ruolo del legittimo affidamento in materia edilizia, ponendo le basi per una riflessione approfondita sulla fiscalizzazione dell’abuso edilizio, secondo quanto previsto dall’art. 38 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Si approfondisce, altresì, la pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243, con cui viene esaminata l’applicabilità dell’art. 38 del d.P.R. 380/2001 ai casi di annullamento giurisdizionale dei titoli edilizi, evidenziando i limiti dell’estensione di tale norma.
Il contributo analizza, infine, il rinvio operato dall’articolo 38 all’articolo 36 del medesimo decreto e discute l’inapplicabilità del principio del one shot temperato, a fronte dell’esigenza di un bilanciamento fra la tutela dell’interesse pubblico e il rispetto del legittimo affidamento del privato. Attraverso questa disamina, l’articolo intende offrire un contributo critico sulla configurazione attuale e sulle prospettive future della fiscalizzazione dell’abuso edilizio, in un quadro di crescente attenzione ai principi costituzionali e sovranazionali.
- Il crescente “potenziamento” del principio del legittimo affidamento nell’ordinamento amministrativo e nel settore dell’edilizia.
Il principio del legittimo affidamento rappresenta, ormai da tempo, un fondamento consolidato dell’ordinamento giuridico eurounitario e nazionale[1], che impone all’Amministrazione di salvaguardare le situazioni soggettive che si sono consolidate attraverso atti o comportamenti idonei a generare un ragionevole affidamento nel destinatario. Tuttavia, la tutela dell’affidamento non è sempre stata pacifica in materia amministrativa. Infatti, secondo un risalente orientamento, il privato non vantava alcun legittimo affidamento nei confronti della Pubblica Amministrazione, la quale opera nel perseguimento dell’interesse pubblico e quest’ultimo – secondo tale orientamento – non avrebbe potuto mai essere sacrificato a fronte di un interesse privato.
Alla fine degli anni ’50, per la prima volta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato il dovere della Pubblica Amministrazione di tener conto del legittimo affidamento ingenerato nei privati nell’esercizio del potere di autotutela; così la Corte di Giustizia ha sancito la necessità di un bilanciamento tra gli interessi pubblici e gli quelli del privato, il quale ha interesse al mantenimento della posizione acquisita.[2]
Secondo i giudici di Lussemburgo sono da tenere in considerazione il “fattore temporale”, in grado di generare il consolidamento nel tempo della situazione di vantaggio nel privato, l’elemento oggettivo, rappresentato dal provvedimento vantaggioso per il destinatario, e l’elemento soggettivo della buona fede, in quanto l’illegittimità del provvedimento non deve dipendere dal dolo o dalla colpa del privato[3].
Con la sentenza Topfer[4], la Corte di Giustizia europea eleva il legittimo affidamento a principio comunitario, quale corollario del principio di certezza del diritto.
Nell’ordinamento italiano, almeno prima dell’entrata in vigore della Legge 11 febbraio 2005, n. 15, il trascorrere del tempo comportava solo un obbligo per l’Amministrazione di agire con maggiore cautela nel bilanciamento tra l’interesse pubblico alla rimozione del provvedimento e gli interessi a favore della sua conservazione, richiedendo uno più intenso sforzo motivazionale.
La Legge n. 15/2005 ha segnato una svolta significativa, ispirata dalla giurisprudenza comunitaria, modificando le norme sul potere di annullamento e revoca della Pubblica Amministrazione disciplinate dalla Legge sul procedimento amministrativo (L. 7 agosto 1990, n. 241). Nel 2005 viene introdotto l’art. 21 nonies nel testo della Legge sul procedimento amministrativo, successivamente modificato con la Legge 7 agosto 2015, n.124, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”. Secondo l’articolo in parola un provvedimento amministrativo di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici illegittimo può essere annullato d’ufficio, quando ci siano ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole[5] e considerando gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Il termine ragionevole è evidentemente posto a tutela del legittimo affidamento nutrito dal privato destinatario del provvedimento, in ossequio a quanto affermato dai giudici di Lussemburgo, purché il provvedimento vantaggioso ma illegittimo non derivi da un comportamento doloso o colposo del destinatario, così come si evince dal comma 2 bis dell’art. 21 nonies, ai sensi del quale “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1”.[6]
Sempre con la legge n. 15/2005 è stato introdotto nella Legge sul procedimento amministrativo l’art. 21 quinquies, il quale disciplina il potere di revoca in autotutela del provvedimento inopportuno e, sebbene ammetta che la Pubblica Amministrazione possa sempre esercitare il suo potere di revoca quando vi siano sopravvenuti motivi di interesse pubblico, quando vi è stato il mutamento della situazione di fatto alla base del provvedimento o quando sia sopravvenuta una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, prevede un indennizzo nel caso in cui la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, proprio in un’ottica di tutela del legittimo affidamento[7].
L’importante e crescente rilevanza assunta dal principio del legittimo affidamento è ulteriormente evidenziata dalla sua recente inclusione nel Codice dei contratti pubblici. L’art. 5 del Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 rubricato “Principi di buona fede e tutela dell’affidamento”, stabilisce infatti che “Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento”[8]. La disposizione recepisce la giurisprudenza, europea e nazionale, la quale da tempo sanciva l’esistenza di un dovere di tutela dell’affidamento privato nel corso delle trattative contrattuali, nella fase di stipulazione e in quella dell’esecuzione del contratto.
Il principio del legittimo affidamento ha assunto una progressiva rilevanza nel settore dell’edilizia.
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 la materia edilizia è stata oggetto di un processo di semplificazione, iniziato con la sostituzione della “licenza edilizia” con la “concessione edilizia” (Legge Bucalossi: Legge 28 gennaio 1977, n. 10), la quale prevedeva il pagamento del costo di costruzione oltre a quello tradizionale degli oneri di urbanizzazione e l’introduzione di una “autorizzazione gratuita” per gli interventi minori[9].
La riforma ha riguardato anche le misure sanzionatorie; difatti, alla tradizionale sanzione demolitoria, il legislatore ha sostituito un sistema di “gradazione della sanzione”.
Il processo di semplificazione è continuato con l’estensione del silenzio assenso sulle istanze di autorizzazione (Legge 7 agosto 1990, n. 241) e con l’ampliamento degli strumenti di autocertificazione di conformità (DIA, poi SCIA, CIL e CILA) che permettono un sistema di controlli ex post[10].
Di particolare rilevanza è stata la direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva “Bolkestein”), recepita in Italia con il Decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, la quale ha limitato i controlli ex ante ai soli casi in cui siano giustificati da motivi imperativi d’interesse generale e nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità.
In questo processo, una tappa fondamentale è stata, senza dubbio, l’adozione del Testo Unico in materia edilizia (TUE, Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), con l’introduzione del “permesso di costruire”, necessario solamente per gli interventi edilizi di maggiore rilevanza[11].
I presupposti per il rilascio del permesso di costruire sono codificati all’art. 12 del Testo Unico Edilizia, ai sensi del quale “il permesso di costruire è comunque subordinato alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte del comune dell’attuazione delle stesse nel successivo triennio, ovvero all’impegno degli interessati di procedere all’attuazione delle medesime contemporaneamente alla realizzazione dell’intervento oggetto del permesso”.
Si tratta di un provvedimento di natura vincolata, adottato in applicazione dei parametri previsti dalle norme di settore e rispetto a cui è, pertanto, esclusa la sussistenza di un margine di scelta in capo all’Amministrazione procedente[12].
Nell’ambito dell’attività edilizia sono, tuttavia, diversi i provvedimenti di natura vincolata. L’Adunanza Plenaria 17 ottobre 2017, n. 9, ha precisato che anche l’ordine di demolizione, sia pure tardivo, avendo natura vincolata, rigidamente attinente al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non necessita di motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Tale principio, però, non può valere nei confronti di chi ha operato in conformità ad un titolo abilitativo solo successivamente dichiarato illegittimo, in quanto “nel caso di ritiro tardivo in autotutela di un atto amministrativo illegittimo ma favorevole al proprietario, si radica comunque un affidamento in capo al privato beneficiato dall’atto in questione”.
Detto principio è stato affermato anche dalla sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n. 8, secondo la quale l’esercizio del potere di autotutela intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole.
In particolare, con altra pronuncia, il Consiglio di Stato ha affermato che “deve riconoscersi (non sul piano oggettivo […] ma sul piano soggettivo) che esiste una ontologica diversità tra la condizione del privato che costruisce senza alcun titolo abilitativo, od in difformità rispetto a quest’ultimo, e quella del privato che edifica un manufatto in conformità ad un titolo che, poi, venga riconosciuto illegittimo. In questa ultima ipotesi, in particolari condizioni (accertata buona fede) il privato potrebbe andare esente dalla pena irrogabile invece a chi consapevolmente edifica un manufatto abusivo”.[13]
I principi di matrice giurisprudenziale sopra esposti riprendono quella che è la ratio di tutela del legittimo affidamento.
- La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, 8 gennaio 2024, n. 277 e il legittimo affidamento in materia edilizia.
Nell’analisi del rapporto tra legittimo affidamento e attività amministrativa nel settore dell’edilizia assume particolare rilevanza la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, 8 gennaio 2024, n. 277. La vicenda attiene alla realizzazione di lavori di demolizione e ricostruzione di un fabbricato ubicato nel centro storico di G.D.P., in zona A2 del piano particolareggiato.
In particolare, la società D.H.I. s.r.l. impugnava la decisione del TAR per la Puglia[14] che aveva rigettato il ricorso da essa proposto nell’ambito del giudizio di ottemperanza alla sentenza del medesimo T.A.R (T.A.R. Puglia, Bari, n. 231/2015).
La controversia ha origine dal fatto che il permesso di costruire originariamente rilasciato al Sig. L. era stato successivamente annullato in autotutela per “alterazione della rappresentazione grafica dello stato di fatto preesistente … alterazione decisiva ai fini del rilascio del medesimo permesso e che aveva consentito la realizzazione di una volumetria eccedente rispetto a quella assentibile”, con conseguente ordinanza di sospensione dei lavori.
Il ricorso proposto avverso i suddetti provvedimenti veniva rigettato dal T.A.R. Puglia[15]. Proposto appello avverso tale decisione, in pendenza di giudizio l’originario ricorrente ed il Comune stipulavano un accordo integrativo, il quale prevedeva il rilascio di un nuovo titolo edilizio da parte del Comune e la rinuncia all’appello proposto.
Il nuovo permesso di costruire veniva impugnato dalla società proprietaria di un immobile confinante, censurando il difetto di motivazione dell’atto[16]. Il T.A.R. accoglieva il ricorso.[17]
La società agiva, quindi, per l’ottemperanza della suddetta sentenza, il cui giudizio[18] si concludeva[19], con la nomina del Prefetto di Bari, quale Commissario ad acta. Quest’ultimo incaricava il dirigente responsabile di procedere alla determinazione dell’importo della sanzione eventualmente irrogabile, ai sensi dell’art. 38, co. 1, d.P.R. n. 380 del 2001.
Proposto ricorso avverso tali atti da parte della società D.H.[20], il T.A.R. di Bari precisava che la giurisprudenza considera la demolizione quale extrema ratio, preferendo, laddove applicabili, rimedi alternativi, tra cui quello della cd. fiscalizzazione dell’abuso ex art. 38 d.P.R. 380/2001[21].
Tale ultima pronuncia veniva appellata.
All’esito di suddetta complessa vicenda si colloca la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, 8 gennaio 2024, n. 277, la quale, nell’accogliere il ricorso, si pronuncia sul tema del legittimo affidamento in materia edilizia.
La pronuncia, in primo luogo, analizza l’ambito di applicazione e i presupposti dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001 e cerca di chiarire se detta disposizione preveda o meno una “precisa graduazione delle modalità di intervento in ipotesi di annullamento del permesso di costruire”, tale che “le sanzioni repressive (restituzione in pristino o sanzione pecuniaria) vanno irrogate solo ove non sia possibile la rimozione dei vizi che hanno condotto all’annullamento del permesso di costruire”, dovendosi considerare “la demolizione di opere realizzate sulla base di titolo annullato quale extrema ratio”.
In secondo luogo, il Consiglio di Stato affronta la questione se tra i “vizi formali” dell’atto annullato che giustificano l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria possa essere ricompreso il difetto di motivazione dell’atto.
Infine, la sentenza analizza i casi in cui l’impossibilità della restituzione in pristino determinano l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria.
- Fiscalizzazione dell’abuso edilizio: l’art. 38 del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, n. 380.
La prima questione affrontata dalla pronuncia riguarda l’ambito di applicazione e i presupposti dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001.
Tale disposizione si riconduce alla tutela del legittimo affidamento del privato e si basa su un principio di salvaguardia degli interessi privati, con l’intento di introdurre un regime sanzionatorio meno severo per le opere edilizie conformi a un titolo abilitativo successivamente annullato, rispetto a interventi abusivi realizzati fin dall’inizio senza alcun titolo. Questo approccio mira a proteggere la fiducia del privato, cercando di conservare un bene che, pur soggetto a sanzioni, è stato realizzato in buona fede. Ciò implica che, nel caso di annullamento del titolo da parte dell’autorità giurisdizionale, l’effetto conformativo della decisione di annullamento non impone automaticamente al Comune l’obbligo di procedere alla demolizione delle opere realizzate in base al titolo annullato. È, infatti, responsabilità della Pubblica Amministrazione valutare, con una motivazione specifica e tenendo conto di eventuali cambiamenti di fatto o di diritto, se i difetti riscontrati siano emendabili o meno. Inoltre, la Pubblica Amministrazione deve considerare se la demolizione sia effettivamente fattibile, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche valutando l’opportunità di ricorrere a tale misura mediante la ponderazione tra l’interesse pubblico al ripristino dello status quo ante e le posizioni giuridiche soggettive del privato incolpevole.[22]
Anche la Cassazione penale ha sottolineato che la ratio della disposizione di cui all’art. 38 Testo Unico Edilizia è quella di tutelare l’affidamento ingeneratosi nel privato a seguito dell’ottenimento del titolo edilizio da parte dell’Amministrazione, introducendo una deroga al principio generale che prevede la demolizione delle opere edilizie abusive[23].
Pertanto, sebbene il Testo Unico Edilizia disponga, quale sanzione principale, quella demolitoria, al ricorrere di determinate circostanze è possibile applicare una sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, configurando così la cd. “fiscalizzazione dell’abuso edilizio”. Con tale terminologia ci si riferisce ad una serie di procedure contemplate agli artt. 33, comma 2[24], 34, comma 2[25], 37, comma 1[26] e 38 d.P.R. 380/2001, i quali prevedono che venga comminata una sanzione pecuniaria secondo criteri e modalità stabiliti dalle norme stesse.
In particolare, l’art. 38, comma 1, del Testo Unico sull’edilizia stabilisce che “In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa”.
La disposizione di cui all’art. 38 Testo Unico Edilizia si propone di comporre i diversi – e opposti – interessi in rilievo (ossia quello del legittimo affidamento del privato esecutore delle opere, quello pubblico generale del corretto assetto urbanistico – edilizio e del buon governo del territorio, nonché quello del controinteressato, spesso il vicino di casa[27]) per mezzo di una “compensazione monetaria di valore pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite”.[28]
Quello previsto dall’art. 38 d.P.R. 380/2001 è un regime intermedio tra quello degli abusi relativi a interventi soggetti a permesso di costruire o s.c.i.a. alternativa e quello degli interventi eseguiti in assenza o, comunque, in difformità dalla s.c.i.a. ordinaria. In tal caso, in ragione della tutela che il legislatore ha inteso riconoscere all’affidamento del privato ingenerato dal titolo successivamente annullato è stata prevista la possibilità di una sanzione alternativa alla demolizione,[29] la cui finalità è “quella di tenere indenne il cittadino, che ha confidato nella legittimità del titolo rilasciatogli, dalle conseguenze dell’annullamento del provvedimento”.[30]
I presupposti applicativi della norma si possono distinguere in soggettivi e oggettivi.
Sul piano soggettivo, è necessario che il privato non abbia tenuto, nel procedimento volto all’emanazione dell’atto illegittimo, comportamenti – commissivi o omissivi – dolosi, colposi o, comunque, violativi dei principi di buona fede e di collaborazione, tali da influire sul contenuto del provvedimento finale. Inoltre, è necessario che l’illegittimità dell’atto non sia palese secondo criteri di “normale diligenza”[31].
Per quanto riguarda i presupposti oggettivi, questi sono costituiti dall’annullamento del titolo abilitativo edilizio per motivi di legittimità e dall’impossibilità di rimuovere i vizi delle procedure amministrative o della restitutio in integrum.[32]
Al sussistere di tali presupposti la sanzione demolitoria può essere sostituita dal pagamento di una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o delle parti che risultano abusive. Ai sensi del comma 2 dell’articolo 38 d.P.R. 380/2001 “l’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36[33]”, ossia della regolarizzazione dell’abuso.
La giurisprudenza maggioritaria ha interpretato rigorosamente i presupposti richiesti dalla legge.
In tema di impossibilità di restituzione in pristino dei luoghi, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che l’applicazione della sanzione pecuniaria presuppone la dimostrazione della oggettiva impossibilità di procedere alla rimozione.
L’impossibilità di restituzione in pristino dei luoghi non può essere ravvisata “nella circostanza che, per effetto della demolizione, si provocherebbe danno o pregiudizio alla restante costruzione di proprietà dell’autore dell’illecito (preesistente o legittimamente assentita) o a quella di terzi”. Posto che risulta difficile ipotizzare una attività di demolizione che non comporti danni o pregiudizi, anche minimi, alla costruzione preesistente o legittimamente assentita (mentre nel caso di immobile totalmente abusivo è, in linea di massima, da escludere l’impossibilità di demolizione).[34] Pertanto, l’impossibilità di restituzione in pristino si ravvisa solamente nel caso in cui la demolizione risulti tecnicamente impossibile, nel caso in cui la stessa esponga a pericolo l’incolumità pubblica o privata ovvero quando la demolizione comporti danni ingenti a terzi ed il relativo risarcimento risulti eccessivamente oneroso.[35]
Comunque, “trattandosi di una deroga al principio di ordine generale che privilegia la demolizione delle opere abusive, l’onere motivazionale deve essere, a fortiori, maggiormente rigoroso e puntuale”[36].
Inoltre, la natura dell’impossibilità, in quanto riferita ad aspetti di ordine tecnico – costruttivo, esclude che essa possa essere rinvenuta nella temporanea indisponibilità dell’ente alla demolizione di ufficio (per ragioni finanziarie o altro).
Tuttavia, la parte più problematica della disposizione è quella che attiene alla definizione dei vizi delle procedure. Infatti, se, da un lato, è chiaro che “la fiscalizzazione dell’abuso è applicabile ai soli casi in cui i vizi che hanno determinato l’annullamento del titolo edilizio riguardino la forma e la procedura”[37], dall’altro, la norma non specifica la natura – formale o sostanziale – dei vizi delle procedure. A seguito di tale dubbio interpretativo sono sorti tre orientamenti giurisprudenziali.
Il primo orientamento riconosce la possibilità di fiscalizzazione per qualsiasi forma di abuso edilizio, indipendentemente dalla natura formale o sostanziale dei vizi che hanno determinato l’annullamento del titolo originario, secondo un ragionamento che considera tale istituto come un caso specifico di condono.
Un secondo orientamento, più restrittivo e sviluppatosi in vigenza della precedente normativa (ossia l’art. 11 L. 47/1985), sostiene che la fiscalizzazione degli abusi edilizi è ammissibile solo nel caso di vizi formali o procedurali emendabili, mentre in tutti gli altri casi l’Amministrazione dovrebbe ordinare la rimessione in pristino, escludendo la logica del condono.
Infine, secondo un terzo orientamento, intermedio, la fiscalizzazione è consentita non solo nei casi di vizi formali, ma anche nei casi di vizio sostanziale emendabile. In tal caso non si configurerebbe una regolarizzazione (rectius, sanatoria) dell’abuso, poiché quest’ultimo verrebbe effettivamente eliminato mediante le necessarie modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall’accertamento di conformità ex art. 36 Testo Unico Edilizia perché non richiederebbe la doppia conformità.
Sulla questione è intervenuta l’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 17/2020[38], la quale ha affermato che “i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione”; pertanto, l’espressione “vizi delle procedure” non può essere interpretata estensivamente fino a comprendere profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria.
Pertanto, l’Adunanza Plenaria n. 17/2020 ha disatteso l’opposta linea interpretativa volta a ricomprendere nella rivalutazione ex art. 38 anche i vizi di natura sostanziale che abbiano determinato l’annullamento di un permesso di costruire. Inoltre, il Supremo Consesso ha precisato che “la tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito”.[39]
In questa ottica, deve considerarsi il vizio di legittimità relativo alla motivazione (nelle diverse ipotesi di difetto, insufficienza, contraddittorietà o irragionevolezza). Secondo il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 277/2024, il vizio motivazionale “fuoriesce dall’ambito dei vizi formali dello stesso provvedimento amministrativo e non può che costituirne vizio sostanziale” perché la motivazione è un elemento obbligatorio del provvedimento[40] e il suo vizio non può che incidere sulla “sostanza regolatoria del rapporto amministrativo”.
- La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243 e l’applicabilità dell’art. 38 d.P.R. 380/2001 al caso di annullamento giurisdizionale dei titoli edilizi.
Altra questione rilevante in tema di ambito di applicazione dell’istituto della fiscalizzazione dell’abuso edilizio è quella relativa all’applicabilità dell’art. 38 d.P.R. 380/2001 al caso in cui l’annullamento dei titoli edilizi abilitativi derivi non dall’esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione, bensì da una pronuncia giurisdizionale. Questo aspetto è stato trattato nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243[41].
In particolare, gli appellanti hanno lamentato la violazione del giudicato già formato sulla questione per mezzo dei provvedimenti impugnati. Invero, secondo gli appellanti, la natura speciale e derogatoria dell’art. 38 Testo Unico Edilizia imporrebbe l’applicazione restrittiva ai soli casi di annullamento in via amministrativa del titolo edilizio. Pertanto, a seguito del giudicato di annullamento dei titoli edilizi sarebbe dovuto conseguire necessariamente l’ordine di demolizione.
Tuttavia, il Collegio ha affermato che il giudicato “ha per oggetto il mero annullamento dei titoli edilizi e non si estende anche all’obbligo di demolizione delle opere edilizie realizzate sulla base dei titoli annullati”[42]; infatti, la stessa sentenza resa in sede di ottemperanza[43] ha precisato che “la domanda di condanna del Comune […] alle demolizioni delle costruzione […] non può essere accolta, trattandosi di vicenda ulteriore, eventuale e successiva, che non costituisce conseguenza diretta ed automatica della […] pronuncia”[44].
Ciò che il giudicato impone, invero, è un mero obbligo di risultato, consistente nell’eliminazione dei vizi di legittimità accertati in sede giurisdizionale. Quanto attiene al quomodo, invece, è rimesso alla discrezionalità amministrativa; pertanto, l’Amministrazione comunale ben può irrogare la sanzione pecuniaria. Infatti, quest’ultima, al ricorrere dei presupposti legislativi, si pone come alternativa alla sanzione demolitoria e ne condivide il carattere reale e ripristinatorio dell’ordine giuridico violato.[45]
Inoltre, il Collegio ha affermato che un’interpretazione restrittiva della disposizione – ossia, l’applicabilità della stessa ai soli casi di annullamento in via amministrativa – non trova riscontro nel dato positivo e non è nemmeno coerente con la finalità della norma, la quale consiste nella tutela dell’affidamento del titolare del permesso di costruire circa la legittimità dell’edificazione conseguente al rilascio del titolo.
Questo principio è stato affermato anche dall’Adunanza Plenaria n. 17/2020, la quale ha sottolineato come l’articolo 38 non approfondisca la natura giurisdizionale o amministrativa dell’annullamento.
- Il rinvio operato dall’articolo 38 all’articolo 36 d.P.R. 380/2001.
Ulteriore aspetto affrontato dal Consiglio di Stato, in particolare nella sentenza n. 9243/2023 riguarda il rinvio operato dall’art. 38 all’art. 36 del Testo Unico. In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno affermato che il rinvio all’art. 36, contenuto nel secondo comma dell’art. 38 d.P.R.380/2001, è solo quoad effectum.[46] Infatti, l’art. 38 costituisce un temperamento eccezionale al principio secondo il quale la costruzione abusiva deve essere sempre demolita[47], così come l’art. 36.
Già l’Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 17/2020, aveva chiarito che il temperamento disciplinato dall’art. 38 si determina in ragione non della c.d. doppia conformità urbanistica – prevista per il permesso di costruire in sanatoria – bensì per la presenza di un permesso di costruire che ha giustificato l’edificazione, generando un affidamento in capo al privato sulla base della presunzione di legittimità degli atti amministrativi.
Pertanto, non è necessaria la conformità urbanistica passata e presente ai fini dell’irrogazione della sanzione alternativa alla demolizione.
Inoltre, il Consiglio di Stato aveva già avuto modo di sottolineare le differenze tra gli istituti della fiscalizzazione dell’abuso e della sanatoria, affermando che le stesse sono ravvisabili perfino nella diversità delle relative conseguenze economiche[48].
In effetti, una diversa interpretazione comporterebbe un’estensione oltre i limiti letterali dell’equiparazione tra le due situazioni stabilita dal secondo comma dell’articolo 38.
- L’inapplicabilità del principio del one shot
Infine, nella pronuncia n. 9243/2023 il Consiglio di Stato ha avuto modo di sottolineare che nel caso in cui la questione non riguardi la “rinnovazione” dello stesso provvedimento annullato in sede giurisdizionale, bensì l’ottemperanza “al giudicato di annullamento del titolo edilizio mediante l’adozione del diverso e succedaneo provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria in alternativa all’ordine di demolizione” non trova applicazione il principio del one shot temperato.
Tale principio è volto ad evitare che l’Amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale e trova applicazione nei casi in cui, a seguito di giudicato di annullamento di un primo provvedimento sfavorevole, l’Amministrazione adotti un nuovo provvedimento di identico contenuto[49].
Il principio non si applica al caso in cui, in ottemperanza al giudicato di annullamento del titolo edilizio, l’Amministrazione adotti il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria in alternativa all’ordine di demolizione.[50]
In conclusione, possiamo affermare che, sebbene in passato, nella concezione autoritaria del pubblico potere, non si ammetteva che il potere dialogasse con il privato, oggi è quasi scontato che tra il privato e la Pubblica Amministrazione intercorra un rapporto giuridico caratterizzato dall’affidamento e dalla buona fede.
Nell’attuale ordinamento sono diverse le disposizioni che rimandano a tali principi, prima tra tutte l’art. 21 nonies L. 241/1990 sull’annullabilità d’ufficio e più recentemente gli artt. 1, co. 2 bis, L. 241/1990 (sui rapporti in generale tra cittadino e Pubblica Amministrazione) e 5 D. lgs. 36/2023 in materia di contratti pubblici.
Quello dell’affidamento è un principio che permea tutto l’attuale ordinamento amministrativo anche nei settori in cui non è espressamente codificato.
Anche nell’ambito dell’attività edilizia si rinvengono disposizioni che tutelano il legittimo affidamento del privato. In particolare, si è visto l’articolo 38 del d.P.R. n. 380/2001, il quale, muovendo da un principio di salvaguardia degli interessi privati, prevede un regime sanzionatorio meno severo per le opere edilizie conformi a un titolo abilitativo successivamente annullato.
L’analisi delle recenti pronunce del Consiglio di Stato, Sez. II, 8 gennaio 2024, n. 277 e Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243, mette in evidenza l’importanza crescente del principio del legittimo affidamento nel settore edilizio e l’evoluzione della normativa e della giurisprudenza in materia di fiscalizzazione dell’abuso edilizio. Le pronunce, muovendo da principi ormai consolidati, individuano i limiti all’applicazione dell’istituto della fiscalizzazione, ritenendo ammissibile l’applicabilità dello stesso non solo ai casi di annullamento in autotutela bensì anche a quelli di annullamento giurisdizionale, sia perché un’interpretazione restrittiva non trova riscontro nel dato positivo e sia perché la stessa non è coerente con la finalità della norma che è proprio quella della massima tutela dell’affidamento del privato.
La giurisprudenza si è interrogata anche sul rapporto che intercorre tra l’art. 38 e l’art. 36 del Testo Unico Edilizia, pervenendo alla soluzione che il rinvio operato dall’art. 38 all’art. 36 rileva solo ai fini degli effetti da raggiungere, in quanto la ratio della fiscalizzazione dell’abuso edilizio si fonda sulla presenza di un permesso di costruire, il quale ha generato l’affidamento del privato, e non sulla presenza della “doppia conformità” richiesta ai fini della “sanatoria edilizia”.
Le soluzioni a cui è giunta la più recente giurisprudenza sembrano essere compatibili con la sempre maggiore attenzione del legislatore alla tutela dell’affidamento del privato e con gli attualissimi interventi di riforma, volti a cristallizzare e disciplinare espressamente nel nostro ordinamento il principio – di matrice europea – della tutela del legittimo affidamento.
[1] Si pensi all’inserimento da parte del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120. del comma 2 bis all’art. 1 L. 241/1990, secondo il quale “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.
Sulla riconduzione dell’affidamento al principio della buona fede si v. G. MANNUCCI, L’affidamento nel rapporto amministrativo, Editoriale scientifica, 2023, in cui l’autrice prende le distanze dalla matrice civilistica della buona fede e riconduce l’affidamento alla c.d. “vicenda di potere”.
[2] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 12 luglio 1957, cause riunite C-7/56 e da C-3/57 a C-7/57, Alghera.
[3] F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, XV ed., 2022.
[4] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 3 maggio 1978, causa C-12/77, Topfer.
[5] Originariamente 18 mesi. Con il D.L. 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 luglio 2021, n. 108, il termine è stato ridotto a 12 mesi.
[6] In tema la sentenza Consiglio di Stato, Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940 ha precisato che “il superamento del termine è consentito sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive, nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale; sia nel caso in cui (l’acclarata) erroneità dei predetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all’Amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo (equiparabile di solito alla colpa grave e corrispondente, nella fattispecie, alla mala fede oggettiva) della parte” (così Sull’annullamento del provvedimento amministrativo. Una lettura sistemica e critica degli articoli 21 octies e nonies della legge 241/90, di MICHELE DI SALVO). Inoltre, ha affermato che “il passaggio in giudicato della sentenza è necessario solo nel caso di accertamento del falso dichiarativo e non anche nel caso di falso rappresentativo, poiché quando il privato effettua autodichiarazioni sostitutive di certificazione, sta svolgendo una funzione certativa che gli viene attribuita dalla legge, la quale può essere messa in discussione solo dal giudice penale. Viceversa, quando il privato effettua una mera rappresentazione dei fatti, la funzione certativa resta in capo alla PA, la quale sarà essa stessa a doverne accertare la veridicità, senza dover attendere una pronuncia penale irrevocabile” (così Pubblica Amministrazione e tutela dell’affidamento del privato, a cura della dott.ssa FILOMENA FARINA e della dott.ssa FABIANA VAINO).
[7] Da notare che anche il privato, quando dialoga con la Pubblica Amministrazione, deve agire in buona fede, tant’è che, ai sensi dell’art. 21 quinquies, l’indennizzo tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità della contrarietà dell’atto all’interesse pubblico sia dell’eventuale concorso all’erronea valutazione della compatibilità dell’atto con l’interesse pubblico.
[8] La disposizione sottolinea la reciprocità dell’affidamento e della buona fede; infatti, prevede che “l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti”.
[9] Si v. M.A. SANDULLI, voce Edilizia, EdD, I tematici, 2022, 405.
[10] G. Strazza, La S.C.I.A. tra semplificazione, liberalizzazione e complicazione, Napoli, 2020.
[11] In base all’art. 10 del TUE, sono infatti subordinati a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione, di ristrutturazione urbanistica e di ristrutturazione edilizia “che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”. Per un’approfondita analisi dell’evoluzione in materia edilizia si v. M. A. Sandulli, Controlli sull’attività edilizia, sanzioni e poteri di autotutela, in Federalismi.it del 2 ottobre 2019.
[12] In tal senso Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 7263/2005; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 167/1999; TAR Veneto, Sez. II, 12.1.2011, n. 37; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 10.4.2001, n. 3092.
[13] Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 novembre 2018, n. 6246, par. 5.2 e 5.2.1.
[14] T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 7 febbraio 2023, n. 271
[15] T.A.R. Puglia, Bari, n. 371/2008.
[16] Unica società esistente all’epoca dei fatti.
[17] T.A.R. Puglia, Bari, n. 231/2015.
[18] Inizialmente sospeso in attesa della decisione del Consiglio di Stato sull’appello proposto avverso la stessa (decisione intervenuta con la sentenza n. 2238/2020 di rigetto).
[19] T.A.R. Puglia, Bari, 11 marzo 2021, n. 446.
[20] Società costituitasi nelle more per scissione dalla già citata società S. e alla quale erano stati attribuiti gli immobili che si assumevano pregiudicati dall’attività edilizia del Sig. L.
[21] T.A.R. Puglia, Bari, 7 febbraio 2023, n. 271.
[22] T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 2 dicembre 2022, n. 7543.
[23] Cassazione penale, Sez. III, 26 aprile 2012, n. 3740. In particolare, per la Cassazione penale il tenore letterale dell’espressione “in caso di annullamento del permesso di costruire” comporta che rientrino nella fattispecie di cui all’art. 38 solamente le ipotesi in cui l’intervento edilizio sia stato realizzato in forza di un titolo abilitativo richiesto in precedenza e che successivamente sia stato annullato. Ciò trova conferma nella stessa rubrica della disposizione, ossia “Interventi eseguiti in base a permesso annullato”. Detta interpretazione è stata confermata da Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 7 settembre 2020, n. 17.
[24] Art. 33 d.P.R. 380/2001, rubricato “Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità”, comma 2: “Qualora, sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all’applicazione della legge medesima, del parametro relativo all’ubicazione e con l’equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell’articolo 16 della medesima legge. Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile, determinato a cura dell’agenzia del territorio”.
[25] Art. 34 d.P.R. 380/2001, rubricato “Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”, comma 2: “Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.
[26] Art. 37 d.P.R. 380/2001, rubricato “Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità”, comma 1: “La realizzazione di interventi edilizi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”.
[27] Consiglio di Stato, Sez. VII, 2 febbraio 2024, n. 1077.
[28] In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 7 settembre 2020, n. 17.
[29] M. A. SANDULLI, Edilizia, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, fasc. 3, 1° giugno 2022, pag. 171 e ss.
[30] Consiglio di Stato, Sez. II, 8 gennaio 2024, n. 277.
In tema si è espresso anche Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 7 settembre 2020, n. 17, secondo il quale “Il pacifico effetto della disposizione in commento è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria”.
[31] Secondo la sentenza Consiglio di Stato, Sez. II, 8 gennaio 2024, n. 277, “nello specifico settore dell’edilizia, nelle ipotesi in cui i rapporti tra privato ed amministrazione sono obbligatoriamente “mediati” dall’assistenza di un tecnico qualificato è a quest’ultimo “livello” di diligenza che occorre riferirsi onde individuarne la “normalità”.
[32] T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 21 febbraio 2023, n. 2954.
[33] Art. 36 d.P.R. 380/2001: Accertamento di conformità: “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall’articolo 16. Nell’ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l’oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso.
Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.
[34] Consiglio di Stato, Sez. II, 8 gennaio 2024, n. 277.
[35] Sul tema anche: “La fiscalizzazione dell’abuso non è alternativa alla rimessione in pristino e trova la sua giustificazione unicamente in un eventuale danno alla parte legittima dell’opera che la rimessa in pristino provocherebbe” (T.A.R. Trentino – Alto Adige, Trento, Sez. I, 4 marzo 2022, n. 50) e “La fiscalizzazione è applicabile nel caso in cui la demolizione non possa avvenire senza incidere sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso, così contemperando l’esigenza di ristabilire lo status quo ante con quella di assicurare la sicurezza pubblica” (T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 17 giugno 2022, n. 587).
[36] T.A.R. Trentino – Alto Adige, Trento, Sez. I, 4 marzo 2022, n. 50.
[37] T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 11 ottobre 2021, n. 6411.
[38] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 7 settembre 2020, n. 17.
[39] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 7 settembre 2020, n. 17 e nello stesso senso Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2023 n. 136.
[40] Art. 3 L. 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui il provvedimento deve essere corredato dalla motivazione, la quale esplicita i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che hanno condotto a quel determinato provvedimento.
[41] La vicenda trae origine dall’impugnazione da parte dei vicini delle concessioni rilasciate dal Comune di Parma a favore di una società costruttrice per la realizzazione di due palazzine. Detto contezioso si è concluso con la sentenza del Consiglio di Stato di annullamento dei titoli edilizi (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 7731/2010) e, successivamente, con la sentenza di ottemperanza (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1986/2019), con la quale è stata dichiarata la nullità per violazione del giudicato del provvedimento di riedizione dei titoli medesimi.
In ottemperanza al giudicato, il Comune di Parma ha adottato i provvedimenti per l’irrogazione della sanzione pecuniaria invece di quella demolitoria ex art. 38 del d.P.R. 380/2001, imponendo in via solidale a tutti i comproprietari e all’impresa costruttrice una sanzione pecuniaria determinata sulla base della relazione di stima elaborata dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Parma.
Con due ricorsi (R.G. n. 216/2020 e R.G. n. 217/2020), integrati da motivi aggiunti, sono stati impugnati i provvedimenti con i quali il Comune di Parma ha irrogato la sanzione pecuniaria in luogo dell’ordine di demolizione. Tuttavia, il T.A.R. adito ha respinto entrambi i ricorsi nonché i motivi aggiunti perché il Comune di Parma aveva legittimamente irrogato la sanzione pecuniaria, in quanto la verificazione disposta nel corso del giudizio aveva confermato l’impossibilità di rimozione integrale degli abusi (T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 7 novembre 2022, n. 308).
Gli originari ricorrenti hanno chiesto la riforma della sentenza, riproponendo sostanzialmente le medesime censure già formulate con i ricorsi di I grado e respinte dal competente T.A.R., ovverosia lamentando l’illegittimità dei provvedimenti con cui l’Amministrazione comunale aveva irrogato la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, poiché, alla luce del giudicato di annullamento dei titoli edilizi, il Comune avrebbe dovuto ordinare la demolizione degli abusi.
All’esito di tale complessa vicenda processuale si colloca la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243, con la quale è stato respinto l’appello.
[42] Par. 8.3 della sentenza Consiglio di Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243.
[43] Sentenza Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1986/2019.
[44] Par. 7 della sentenza Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1986/2019.
[45] Consiglio di Stato, Sez. II, 5 novembre 2019, n. 7535.
[46] Il Consiglio di Stato ripropone quanto già affermato con la pronuncia in Adunanza Plenaria, 7 settembre 2020, n. 17, secondo la quale “L’equiparazione è solo quoad effectum, costituendo un eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la costruzione abusiva deve essere sempre demolita; temperamento in ragione, non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della stessa (oggetto della diversa fattispecie prevista dall’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 cit.), ma della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi”.
[47] Par. 10. 2 della sentenza Consiglio di Stato, Sez. II, 25 ottobre 2023, n. 9243.
[48] Ai sensi degli artt. 36 e 38 d.P.R. 380/2001, nel caso dell’accertamento di conformità è previsto il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia o, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella predeterminata dall’art. 16 (contributo per il rilascio del permesso di costruire); invece, nel caso di fiscalizzazione, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti eseguite abusivamente, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’Amministrazione comunale.
[49] “In seguito all’annullamento giurisdizionale è dovere della pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l’affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l’avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato; tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi” da One shot temperato in caso di annullamento giurisdizionale (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 maggio 2022, n. 3480).
[50] Fiscalizzazione dell’abuso edilizio: condizioni di applicabilità del principio dell’one shot temperato e legittima applicazione della “doppia conformità” di Redazione Scientifica Processo Amministrativo, in L’Amministrativista, 6 novembre 2023.