tratto da biblus.acca.it

Il delegato alla sicurezza assume una posizione di garanzia trasversale rispetto a tutti i lavoratori operanti all’interno del perimetro del cantiere.

Nel corso dei lavori di pulizia all’interno di un cantiere temporaneo, un dipendente di una ditta subappaltatrice stava lavorando in un’area dove alcune tavole di legno erano state posizionate provvisoriamente per coprire un’apertura nel solaio. Mentre svolgeva le proprie mansioni, ha rimosso quelle tavole senza rendersi conto che sotto di esse si trovava un foro di circa 80 centimetri di diametro, ulteriormente occultato da un telo di stoffa che ne rendeva difficile l’individuazione. Ignaro del pericolo, ha messo un piede nel vuoto ed è precipitato attraverso l’apertura, cadendo per oltre tre metri fino al piano interrato, riportando lesioni gravi.

Secondo la ricostruzione accolta dai giudici, tale evento si è verificato perché l’amministratore delegato nonché delegato alla sicurezza della società affidataria/subappaltante non avrebbe garantito un’adeguata gestione del rischio legato alla botola aperta, omettendo di predisporre idonee misure di protezione e di prevenzione atte a impedirne la caduta.

Si tratta di un caso analizzato nella sentenza di cassazione penale n.37243/2025.

I ruoli e l’addebito di colpa

L’imputato era il legale rappresentante, amministratore delegato e delegato in materia di sicurezza dell’impresa affidataria/subappaltante del cantiere. Il suo ruolo apicale lo investiva della posizione di garanzia (di cui all’art. 299 D.lgs. 81/08), con l’obbligo di vigilanza e l’adozione delle misure preventive richieste dal Titolo IV del Testo Unico. L’addebito di colpa verteva sull’inosservanza degli obblighi di coordinamento (Art. 26 e Art. 97 del D.lgs. n. 81/2008), in particolare l’omessa valutazione dei rischi da interferenza e la mancata assicurazione della sicurezza delle aree di lavoro condivise o utilizzate da imprese terze.

La linea difensiva dell’imputato

La difesa sostiene che l’attribuzione della qualifica di datore di lavoro dell’infortunato sia giuridicamente errata. Il lavoratore, infatti, non dipendeva dalla società di cui l’imputato era amministratore, bensì solo della ditta affidataria. Di conseguenza – secondo il ricorrente – non poteva essere configurata in suo capo la posizione di garanzia tipica del datore di lavoro nei confronti del soggetto infortunato. In questa prospettiva, gli obblighi richiamati dalla sentenza d’appello (artt. 26 e 97 del D.lgs. 81/2008) avrebbero una natura diversa: essi non imporrebbero alla società affidataria un controllo diretto sulla sicurezza dei dipendenti delle altre imprese, ma solo un compito di coordinamento tra i vari operatori presenti in cantiere e di verifica generale del rispetto del Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC). Pertanto – secondo la difesa – non vi sarebbe stata alcuna violazione di obblighi specificamente riferibili al delegato in materia di sicurezza.

Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non avrebbe adeguatamente valutato né motivato:

  • l’assenza di scelte gestionali errate o lacune organizzative imputabili direttamente all’imputato;
  • la presenza in cantiere di una struttura articolata di preposti incaricati della vigilanza operativa (la filiera dei controlli era effettivamente operativa visto che erano presenti anche il  responsabile del cantiere e il supervisore della sicurezza);
  • l’attuazione, da parte della società, delle indicazioni impartite dal Coordinatore per la Sicurezza in Esecuzione (CSE) riguardo alle protezioni delle botole, come documentato nei verbali dell’8 e 15 novembre 2017;
  • la presenza, nel luogo dell’incidente, di più figure competenti alla supervisione del personale della ditta subappaltatrice.

Secondo la difesa, questi elementi avrebbero dovuto escludere la responsabilità dell’imputato, che operava da una posizione dirigenziale e non era tenuto ad un controllo diretto e continuo dell’area in cui è avvenuto l’infortunio.

L’incidente come evento “abnorme” e imprevedibile

Il ricorso insiste sulla natura anomala e imprevedibile della dinamica infortunistica: il lavoratore, inizialmente destinato a svolgere attività di facchinaggio all’esterno, sarebbe stato improvvisamente incaricato di occuparsi della pulizia dei locali interni, attività non programmata e non riconducibile ad una decisione dell’imputato. Dunque, l’evento non sarebbe correlato ad un difetto strutturale dell’organizzazione aziendale. L’episodio costituirebbe un comportamento estemporaneo e avulso dalle previsioni del PSC e della catena di comando aziendale.

La posizione della Cassazione

La Suprema Corte ha posto l’accento sul ruolo di delegato alla sicurezza del cantiere. Si riafferma il principio per cui il delegato alla sicurezza, rivestendo tale specifica funzione, assume una posizione di garanzia trasversale rispetto a tutti i lavoratori operanti all’interno del perimetro del cantiere, indipendentemente dal vincolo di dipendenza formale (contratto di lavoro) con l’impresa affidataria. Tale figura, godendo di piena autonomia decisionale e dei necessari poteri di spesa in materia prevenzionale, è il titolare dell’obbligo di protezione anche nei confronti dei dipendenti delle ditte subappaltatrici, superando così la rigida interpretazione del dovere di coordinamento che la difesa aveva tentato di limitare ai soli articoli 26 e 97 del D.lgs. 81/2008.

Ha ritenuto, inoltre, irrilevante il mutamento estemporaneo di mansioni del lavoratore in quanto operava comunque in un’area di rischio che rientrava pienamente nel dominio di controllo e di competenza del delegato alla sicurezza del cantiere. Il nesso causale è stato ricondotto alla condotta omissiva del prevenuto, il quale avrebbe dovuto e potuto tener conto dell’evoluzione dei lavori ed assicurare la continua e persistente messa in sicurezza dei fori aperti (botole), intrinsecamente pericolosi.

Torna in alto