Tratto da: Lavori Pubblici  

Nel sistema dei contratti pubblici, gli accordi quadro rappresentano uno strumento di programmazione e razionalizzazione degli acquisti. Ma possono davvero essere considerati modelli rigidi, da replicare in modo meccanico nei contratti applicativi? Oppure ammettono un certo margine di adattamento, per rispondere alle esigenze operative e ai mutamenti del contesto tecnico?

A queste domande risponde la sentenza del Consiglio di Stato del 6 ottobre 2025, n. 7786, che affronta un caso complesso di adesione a una convenzione-quadro per servizi energetici e di successiva definizione del contratto applicativo.

L’amministrazione aveva inserito alcune prestazioni integrative e migliorative rispetto al contenuto standard dell’accordo, generando contestazioni sull’eventuale violazione dei principi di concorrenza e sulla natura delle modifiche apportate.

Il cuore del contenzioso riguarda il confine tra modifica ammissibile e modifica sostanziale. L’impresa ricorrente sosteneva che l’inserimento di nuovi servizi integrativi — non previsti dal capitolato tecnico originario — avesse dato luogo a un affidamento diretto di prestazioni estranee alla convenzione, eludendo così le regole di evidenza pubblica.

L’amministrazione, al contrario, riteneva che si trattasse di mere attività accessorie, necessarie per assicurare continuità gestionale e miglioramento delle prestazioni senza alterare l’equilibrio economico complessivo.

Il Consiglio di Stato è stato chiamato a stabilire se tali modifiche potessero essere considerate compatibili con l’accordo quadro o se, invece, avessero natura sostanziale e quindi illegittima.

Il Collegio colloca la vicenda nel quadro delineato dal D.Lgs. n. 36/2023, in particolare:

  • l’art. 59, che disciplina la stipula e l’esecuzione degli accordi quadro,
  • e l’art. 120, che individua i casi in cui una modifica del contratto è da considerarsi sostanziale.

L’articolo 59 del nuovo Codice dei contratti pubblici è la norma che più di ogni altra ridefinisce il perimetro dell’accordo quadro, trasformandolo da semplice strumento di centralizzazione degli acquisti in un modello di programmazione flessibile capace di adattarsi al ciclo reale delle esigenze della pubblica amministrazione.

La disposizione parte da una definizione essenziale: l’accordo quadro è l’intesa tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici volta a fissare le clausole e le condizioni fondamentali (tecniche, economiche e procedurali) che regoleranno una serie di affidamenti da aggiudicare in un periodo determinato.
Non è, dunque, un contratto in senso stretto ma una cornice regolatoria, all’interno della quale prenderanno forma i singoli contratti applicativi.

Il Codice riconosce che l’accordo quadro non è un modello rigido, ma un meccanismo a geometria variabile, in cui la stazione appaltante può calibrare l’ampiezza della concorrenza in funzione del grado di dettaglio già fissato in fase di gara.

Un principio di fondo, tuttavia, resta fermo: l’accordo quadro non può essere modificato in modo sostanziale durante la sua durata. Ogni variazione che ne alteri i presupposti essenziali — prezzo, oggetto, durata o equilibrio economico –  comporta la necessità di una nuova procedura di gara. Si tratta di un presidio di legalità che serve a impedire pratiche elusive: l’amministrazione non può utilizzare la fase applicativa per introdurre prestazioni o condizioni non contemplate in origine.

Il sistema normativo ammette variazioni limitate, finalizzate a garantire la funzionalità e la continuità dell’appalto, purché non comportino un mutamento dell’oggetto o un significativo incremento del valore economico.

A ciò si aggiunge la giurisprudenza del Consiglio di Stato (tra cui la sentenza n. 9253/2023), che riconosce la legittimità di adattamenti marginali e coerenti con la finalità della convenzione, in un’ottica di proporzionalità e risultato.

Muovendo da questo contesto, il Collegio ha analizzato nel dettaglio le prestazioni contestate, qualificandole come interventi accessori e di miglioramento riconducibili alla logica funzionale dell’accordo quadro. Tali attività — di natura tecnica e non economica — non introducevano elementi nuovi nell’oggetto del contratto, ma si limitavano a completare e rendere più efficiente la prestazione principale.

Da qui il passo logico decisivo della sentenza, secondo cui “gli aggiustamenti e le estensioni nel passaggio dagli accordi quadro ai contratti applicativi sono ammissibili quando non siano radicalmente estranei alla convenzione, non producano effetti economici autonomi e restino nel limite cruciale della tollerabilità”.

Il Consiglio di Stato chiarisce che la “tollerabilità” costituisce il parametro per distinguere l’adattamento fisiologico dalla modifica sostanziale.

Essa dipende da una valutazione congiunta di incidenza economicafunzionalità della prestazione e coerenza sistematica con l’accordo quadro.

Solo quando la variazione incide sull’equilibrio complessivo del rapporto o determina un vantaggio competitivo indebito, si supera quel limite e sorge l’obbligo di procedere con una nuova gara.

Nel corpo della motivazione, il Consiglio di Stato richiama anche l’istituto dell’avvalimento, ma solo in chiave sistematica. Il riferimento serve a ribadire che, anche nei contratti derivanti da accordi quadro, rimane ferma la possibilità per gli operatori economici di far valere requisiti altrui secondo le regole generali di qualificazione. Tuttavia, l’avvalimento non incide sulla ratio decidendi: il tema centrale resta la legittimità delle estensioni contrattuali e il rispetto del limite della tollerabilità.

Il Collegio collega infine il proprio ragionamento ai principi generali del Codice dei contratti pubblici, in particolare al principio del risultato e a quello di proporzionalità.

L’obiettivo non è sanzionare ogni variazione, ma garantire che gli adattamenti contrattuali rispondano a esigenze effettive di buon andamento e non alterino la par condicio tra operatori. Ne deriva una concezione moderna dell’accordo quadro: non una struttura rigida, ma un meccanismo flessibile che consente di bilanciare concorrenza, continuità e qualità del servizio.

La sentenza conferma che l’accordo quadro non è uno schema rigido, ma uno strumento flessibile che consente alle amministrazioni di adattare i contratti applicativi alle esigenze concrete, nel rispetto dei limiti di legge.

Le modifiche sono ammissibili quando restano coerenti con l’oggetto della convenzione, hanno incidenza economica marginale e non alterano le condizioni di partecipazione o l’equilibrio del rapporto.

Il Collegio richiama così un principio chiaro: la flessibilità è legittima solo entro il limite della tollerabilità, che si misura in termini di proporzionalità e continuità del servizio.
Oltre quella soglia, l’intervento diventa sostanziale e richiede una nuova procedura di gara.

Per le stazioni appaltanti, la decisione fornisce un orientamento pratico:

  • ogni adattamento va motivato e documentato;
  • le variazioni devono essere tecnicamente e funzionalmente collegate all’accordo quadro;
  • l’obiettivo resta quello di garantire il risultato e la trasparenza senza alterare la concorrenza.

In sintesi, il Consiglio di Stato definisce un equilibrio operativo chiaro: adattare sì, rinegoziare no. Entro questo confine, l’accordo quadro si conferma uno strumento di efficienza, capace di coniugare flessibilità gestionale e rispetto delle regole.

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