La disciplina urbanistica italiana prevede che i piani attuativi abbiano una durata limitata nel tempo. Tuttavia, cosa accade quando un privato richiede un permesso di costruire su un’area soggetta a un piano ormai decaduto? Le disposizioni del piano attuativo restano vincolanti? Con la sentenza n. 549/2025, il TAR Lazio si è espresso su un caso esemplare, fornendo importanti chiarimenti interpretativi sull’efficacia ultrattiva delle previsioni pianificatorie dei piani attuativi decaduti.
Il caso
Un privato aveva presentato al Comune un’istanza di permesso di costruire per la realizzazione di due capannoni artigianali e per la ristrutturazione urbanistica di un edificio di proprietà, sito in un’area disciplinata da un Piano Particolareggiato Esecutivo (PPE), ormai da tempo non attuato. Il progetto prevedeva, oltre alla nuova edificazione, la realizzazione di una nuova viabilità e di opere di urbanizzazione.
Il Comune ha rigettato la domanda, motivando che l’intervento sarebbe in contrasto con le previsioni del PPE ancora vincolanti e, di conseguenza, richiederebbe una variante urbanistica ai sensi della L.R. Lazio n. 36/1987. L’interessato ha quindi proposto ricorso al TAR, chiedendo l’annullamento del diniego.
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento comunale per eccesso di potere e travisamento dei fatti: il PPE era da ritenersi decaduto ai sensi dell’art. 17 della Legge Urbanistica 1150/1942, non essendo stato attuato nei dieci anni successivi alla sua adozione. In assenza di efficacia del PPE, doveva ritenersi “riespansa” la disciplina generale del PRG, che consente l’edificazione dell’area.
La nuova viabilità non costituiva un elemento pianificatorio autonomo, ma un necessario adeguamento alla situazione urbanistica di fatto.
Il Comune ha sostenuto la legittimità del diniego, evidenziando che:
- la proposta progettuale si discostava dalla conformazione urbanistica prevista dal PPE;
- l’intervento, configurandosi come ristrutturazione urbanistica, necessitava di una specifica variante ordinaria;
- le norme invocate dal ricorrente (art. 8 delle NTA) non erano applicabili al caso concreto, poiché riferite alle “zone bianche”, ossia quelle per le quali non era stato mai adottato alcun strumento attuativo, circostanza diversa da quella oggetto del giudizio.
Un piano particolareggiato decaduto perde ogni efficacia vincolante?
Il TAR Lazio ha respinto il ricorso, ritenendo infondati i motivi avanzati dal ricorrente.
In primis, il Tribunale ha preliminarmente riconosciuto che il Piano Particolareggiato Esecutivo (PPE F2) risulta “ampiamente scaduto”, per effetto della mancata attuazione entro il termine decennale previsto dalla normativa urbanistica. Più precisamente, si richiama l’art. 17, comma 1, della Legge 1150/1942, secondo cui i piani attuativi diventano inefficaci per la parte inattuata decorso il termine di dieci anni dalla loro approvazione.
Il TAR ha ritenuto, in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale, che la decadenza del piano attuativo non estingue l’efficacia delle previsioni urbanistiche di zonizzazione. In particolare, si afferma che: il piano particolareggiato (a voler ritenere ascrivibile a tale genus anche il Piano di lottizzazione) diventa sì inefficace decorso il termine di dieci anni, ma rimane fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso.
Nel caso in cui, come nella situazione in esame, il piano attuativo sia decaduto, occorre fare riferimento all’art. 17 della Legge urbanistica n. 1150 del 1942. Secondo tale norma, la decadenza del piano attuativo comporta la perdita di efficacia solo per le previsioni di natura espropriativa, mentre le altre disposizioni restano valide. In questo senso, il piano attuativo continua a produrre effetti (è quindi “ultrattivo”), mantenendo la disciplina sull’uso del territorio con una certa stabilità (cfr. TAR Abruzzo, sent. n. 112/2023; TAR Campania Napoli, Sez. III, sent. n. 4681/2016).
Le previsioni contenute nel piano attuativo costituiscono una concreta e dettagliata regolamentazione della proprietà privata, specificando le modalità di conformazione stabilite dal piano regolatore generale, ai sensi dell’art. 869 del codice civile. In linea generale, tali previsioni rimangono efficaci senza limiti di tempo, in quanto definiscono i contenuti e i limiti del diritto di proprietà sulle aree interessate.
Di conseguenza, se una proposta edilizia è in contrasto con le previsioni del piano particolareggiato (PPE), è legittimo negare il permesso di costruire, senza dover valutare ulteriori motivazioni a sostegno del diniego.
In conclusione, il piano particolareggiato scaduto per decorrenza del termine decennale mantiene efficacia per le previsioni urbanistiche generali, che continuano a vincolare l’attività edilizia sino all’approvazione di un nuovo strumento attuativo. Il Comune può legittimamente negare il permesso di costruire qualora l’intervento risulti incompatibile con tali prescrizioni.