La sez. giur. Campania, della Corte dei conti, con la sentenza n. 430 del 18 agosto 2024, condanna alcuni impiegati pubblici infedeli (operanti all’interno dell’area contabile dei contratti di un ente territoriale) e il tesoriere (istituto bancario affidatario del servizio di tesoreria, a titolo con partecipazione) per la liquidazione di mandati di pagamento a fronte di prestazioni fittizie, falsificando la realtà e la verità, che ne connota il reato, la c.d. fede pubblica.
In termini più divulgativi, è emerso che venivano effettuati pagamenti al tesoriere senza controlli di sorta, su mandati del tutto falsi, poiché riferiti ad attività mai eseguite, rectius crediti inesistenti.
La vicenda
La vicenda parte da una segnalazione della Procura della Repubblica alla Procura erariale per aver richiesto il rinvio a giudizio nei confronti dei convenuti che, in concorso con imprenditori e alcuni dipendenti del tesoriere, erano accusati di plurime condotte delittuose, consistenti nell’aver determinato l’indebito pagamento di ingenti somme di denaro in favore imprese private per lavori pubblici mai eseguiti o già saldati.
I titoli di pagamento del tutto falsi al fine di consentire la liquidazione da parte del tesoriere e la suddivisione dei relativi proventi tra i compartecipi dell’accordo delittuoso, alla stregua di uno stabile sodalizio criminale, ex art. 416 c.p. (fatti già oggetto di precedente giudizio penale ed erariale, in parte passato in giudicato, dunque una condotta illecita reiterata nel tempo, quasi un vizio malsano).
La Procura erariale, a seguito di ulteriori e separate indagini (con adeguato riscontro investigativo), ha appurato che i mandati di pagamenti alle imprese devono «ritenersi radicalmente indebiti e altresì privi di ontologici presupposti, facendo riferimento a causali giustificative solo formalmente inerenti a corrispettivi per l’esecuzione di lavori pubblici, ma in realtà in toto inesistenti e artefatte alla bisogna da funzionari e dirigenti del Settore Finanziario» dell’Ente, con conseguente elementi costitutivi dell’illecito amministrativo-contabile:
- rapporto di servizio;
- danno patrimoniale legato al carattere indebito dei pagamenti;
- condotte antidoverose, ravvisabili nella posizione di ciascun convenuto (dipendente pubblico dell’Amministrazione danneggiata);
- nesso di causalità rinvenibile tra queste ultime (liquidazioni per prestazioni inventate) e l’evento dannoso (la liquidazione);
- connotazione dolosa dell’elemento soggettivo dell’illecito (consapevolezza e volontà, con adesione all’accordo criminoso, ovvero del movente egoistico del profitto perseguito);
- condotta dell’istituto bancario gravemente colposa (legata alla PA da un rapporto di servizio, ossia dall’esistenza di una relazione funzionale che implichi la partecipazione del soggetto alla gestione di risorse pubbliche e il suo conseguente assoggettamento ai vincoli e agli obblighi volti ad assicurare la corretta gestione di tali beni)[1], nella sua veste di “agente contabile”, soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti[2].
Eccezioni preliminari
Viene da principio:
- inquadrato l’oggetto del pregiudizio erariale, di oltre sei milioni di euro, cagionato all’ente territoriale «mediante la predisposizione di trentasei mandati di pagamento per crediti inesistenti, asseritamente confezionati dai dipendenti … nel periodo … ed eseguiti da compiacenti impiegati dell’Istituto bancario titolare della concessione del servizio di tesoreria»;
- dichiarata l’infondatezza dell’eccezione del doppio giudizio (violazione del principio del ne bis in idem), atteso che la costituzione di parte civile operata dall’Amministrazione di appartenenza nel processo penale(avente ad oggetto l’accertamento del danno derivante dal reato, con funzione essenzialmente riparatoria e integralmente compensativa, finalizzata al conseguimento del pieno ristoro a protezione dell’interesse particolare facente capo alla singola Amministrazione) non è preclusiva della autonoma valutazione dello stesso fatto da parte del Giudice contabile (avente ad oggetto l’accertamento dell’inosservanza dei doveri inerenti al rapporto di servizio, con funzione di tutela dell’interesse generale al buon andamento della PA ed al corretto impiego delle risorse pubbliche, ex 97 Cost.), sia nell’accertamento, sia nella quantificazione del danno arrecato, stante la autonomia dei due giudizi[3];
- appurata la mancata prescrizione visto che, in ipotesi di danno erariale cagionato da un fatto penalmente rilevante, ildies a quo coincide con l’esercizio dell’azione penale e, dunque, con la richiesta di rinvio a giudizio; con essa sorge l’obbligo di comunicazione dell’eventus damni al PM contabile, ai sensi dell’art. 129 disp. atto c.p.p.[4], osservando che, nella fattispecie, si verte in un caso di occultamento doloso del danno, direttamente connesso ad una condotta illecita, quale quella contestata ai convenuti[5], oltre al fatto che le condotte produttive del danno configurano anche reati, dove la prescrizione non possa decorrere prima che venga esercitata l’azione penale[6].
Merito
Gli effetti causativi dell’indebito pagamento di ingenti somme di denaro pubblico si allineano con i precedenti («il tratteggiato quadro delittuoso si pone in sostanziale continuità rispetto ad un pregresso procedimento penale») e, dall’apporto probatorio, anche in sede penale, oltre che da quanto acquisito in sede attorea, la richiesta della Procura erariale risulta fondata: i mandati di pagamento (affetti da macroscopica illeceità, privi di ogni riscontro con le disposizioni degli artt. 182 ss. del d.lgs. n. 267/2000, formati atti ex novo per documentare le “operazione” di attività mai avvenute) sono da «ritenersi radicalmente indebiti nonché privi dei necessari presupposti fattuali, facendo riferimento a causali giustificative solo formalmente inerenti a corrispettivi per l’esecuzione di lavori pubblici, in realtà del tutto inesistenti e artefatte alla bisogna da funzionari e dirigenti del Settore Finanziario dell’ente» con l’oggettiva sussistenza dell’illecito esborso (danno patrimoniale).
Sussiste il “nesso eziologico” e l’“elemento soggettivo” dell’illecito amministrativo-contabile, dove i convenuti, in qualità di dirigenti e funzionari della PA danneggiata, emisero sine titulo (ossia, senza sottostanti obbligazioni e senza il rispetto delle procedure interne) i relativi mandati di pagamento, con operazioni al di fuori di ogni regola/verifica/controllo, a favore di soggetti imprenditoriali consapevoli, pagati dal Tesoriere, pur in presenza di irregolarità ampiamente riscontrabili (omettendo, ad esempio i controlli antiriciclaggio, «in smaccata violazione di concorrenti e peculiari obblighi di servizio previsti a carico dell’istituto tesoriere dalla pertinente disciplina contrattuale»), riferiti a beneficiari diversi rispetto ai destinatari: fatti passati indenni (non confutati) nel giudizio penale.
Si comprende che il titolo soggettivo dell’illecito è provato dai fatti materiali e finalistici delle condotte (tutte dolose) poste in essere: ciascuno dei soggetti convenuti hanno contribuito, per la propria sfera di competenza, a individuare risorse finanziarie disponibili e a renderne possibile l’indebita liquidazione (nelle fasi di emissione, autorizzazione e pagamento dei relativi mandati di pagamento), dando luogo a patenti violazioni delle regole sostanziali e procedurali applicabili, tanto da rivelare la piena consapevolezza del carattere indebito degli esborsi (aspetti ben delineati e acclarati nei giudicati penali).
Il danno corrispondente viene ripartito in relazione all’apporto individuale (responsabilità) dei convenuti, in via solidale con l’istituto bancario, stante il titolo soggettivo doloso dell’addebito.
Osservazioni
La sentenza…..