Tratto da: Lavori Pubblici
La demolizione e ricostruzione rientra sempre nella ristrutturazione edilizia? Oppure, in determinati contesti, le norme regionali e comunali possono limitarla fino a vietarla del tutto? In area vincolata, qualsiasi incremento di volume o modifica della sagoma è automaticamente una variazione essenziale? E se dopo l’abuso i volumi vengono riportati ai valori assentiti, si può comunque ottenere la sanatoria?
Domande certamente interessanti che trovano risposta nella sentenza n. 5920 del 8 luglio 2025, con cui il Consiglio di Stato conferma un assunto che dovrebbe essere chiaro quando si parla di edilizia: va bene conoscere nel dettaglio la normativa nazionale, ma le norme locali e gli strumenti urbanistici comunali risultano determinanti nel far scivolare un intervento apparentemente “ordinario” in un abuso insanabile.
Nel caso oggetto della sentenza siamo di fronte a un intervento su un complesso rurale, originariamente assentito come ristrutturazione con recupero funzionale (permesso di costruire). In sede di verifica, il Comune ha accertato che le opere si erano tradotte in una demolizione e ricostruzione pressoché integrale, con incremento volumetrico e trasformazione della sagoma, in area sottoposta a vincolo paesaggistico.
Ulteriore criticità derivava dall’aumento delle unità abitative, con conseguente incremento della capacità insediativa vietato dalle NTA comunali. L’intervento era stato assentito sulla base di una legge regionale (Piemonte) che prevede un regime edilizio-urbanistico eccezionale per il recupero dei rustici e, al contempo, vieta la demolizione e ricostruzione.
Il ricorrente aveva presentato istanza di compatibilità paesaggistica (art. 181, comma 1-ter, d.lgs. 42/2004), accolta dalla Soprintendenza nei limiti delle proprie competenze e con rinvio al Comune per le verifiche ex artt. 167, comma 4, e 181 del Codice. Il Comune ha poi confermato la non sanabilità paesaggistica, stante la creazione/aumento di superfici utili e volumi.
In primo grado il TAR ha respinto il ricorso, qualificando l’intervento come demolizione e ricostruzione vietata dalla normativa regionale, quindi variazione essenziale, e comunque in contrasto con le NTA. Da qui l’appello al Consiglio di Stato.
Il Consiglio di Stato conferma integralmente la decisione del TAR. Chiarisce anzitutto che, quando la legge regionale vieta la demolizione e ricostruzione (come nei programmi di recupero dei rustici), l’intervento non può essere ricondotto a ristrutturazione: integra una variazione essenziale rispetto al titolo rilasciato. In più, in area vincolata ogni modifica apprezzabile di sagoma o aumento di volume assume rilievo di difformità grave, con conseguente obbligo di ripristino (art. 31, d.P.R. 380/2001).
La tesi difensiva della riduzione ex post dei volumi non regge: riportare i parametri a quelli assentiti è mera esecuzione dell’ordine di ripristino, non produce alcun effetto sanante. Né è ammissibile “spezzare” l’intervento in singole opere accessorie per ridurne l’impatto: la valutazione è unitaria e, se nel complesso si determina un incremento di unità abitative e di carico urbanistico, l’opera resta illegittima. Conclusione: manca la doppia conformità, presupposto imprescindibile per qualsiasi sanatoria.
Il cuore della vicenda è nel rapporto tra quadro statale, regole regionali e NTA locali. Il Testo Unico Edilizia definisce le categorie d’intervento e, in astratto, ricomprende anche la demolizione e ricostruzione nella ristrutturazione. Ma si tratta di una cornice definitoria: Regioni e Comuni possono legittimamente restringere l’ambito degli interventi ammissibili in determinati contesti.
Il Piemonte, con la disciplina sul recupero dei rustici, ha scelto di valorizzare il costruito senza sostituzioni integrali: per questo esclude la demolizione e ricostruzione. Le NTA del PRG rafforzano la stessa logica: ammettono ristrutturazioni parziali e adeguamenti igienico-funzionali, escludono la demolizione integrale e vietano l’aumento della capacità insediativa residenziale.
A ciò si somma il Codice dei beni culturali e del paesaggio, che in ambito vincolato riduce drasticamente gli spazi di regolarizzazione: la creazione o l’incremento di nuovi volumi e superfici utili non è sanabile, proprio per evitare trasformazioni irreversibili del paesaggio.
In definitiva: la definizione statale da sola non basta; decide la disciplina sostanziale regionale e locale applicabile al caso concreto. Qui l’intervento, pur “in astratto” qualificabile come ristrutturazione, era vietato da regole regionali e NTA: quindi abusivo e insanabile.
Il TAR aveva già evidenziato la sostituzione integrale di murature, solai e strutture portanti: un quadro tecnico che depone per la ricostruzione totale, incompatibile con la ratio regionale del recupero conservativo.
Il Consiglio di Stato ha ribadito che il richiamo alla definizione statale non legittima l’intervento se la disciplina regionale/comunale lo esclude. La riduzione successiva dei volumi non sana: documenta solo l’ottemperanza parziale all’ordine. Decisiva la lettura unitaria dell’opera e l’incremento delle unità abitative, che incide sulla capacità insediativa vietata dalle NTA, escludendo la doppia conformità.
Il Consiglio di Stato ha, dunque, respinto l’appello, confermando la legittimità dell’ordinanza di demolizione e del diniego di sanatoria, e fornito alcune indicazioni utili:
- verificare sempre i limiti regionali e comunali: la definizione statale di ristrutturazione edilizia non autorizza automaticamente la demolizione e ricostruzione in tutti i contesti;
- l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato rappresenta una variazione essenziale;
- una variazione essenziale su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso;
- la sanatoria condizionata è applicabile unicamente agli abusi parziali e alle variazioni essenziali ai sensi dell’art. 36-bis del TUE;
- dai due punti precedenti si comprende che se una variazione essenziale in area vincolata va considerata totale difformità dal titolo, significa che l’unica via per la sanatoria è l’art. 36 del TUE (con tutte le difficoltà note e meno note);
- mai confidare in aggiustamenti successivi: la riduzione dei volumi non elimina l’illegittimità originaria;
- considerare sempre l’intervento nella sua unitarietà funzionale, senza frammentazioni artificiose;
- valutare attentamente l’impatto sull’aumento della capacità insediativa: se le NTA lo vietano, la sanatoria è impossibile.