Tratto da: Sentenzeappalti  

Sommario: 1. Sull’onere di immediata impugnazione del bando non conforme ai CAM; 2. Sull’eterointegrazione della lex specialis di gara; 3. Sul ruolo dei criteri premianti; 4. Sul principio del risultato in relazione ai CAM; 5. Sul principio della fiducia in relazione ai CAM.

Il focus propone una rassegna ragionata sui principali orientamenti giurisprudenziali di TAR e Consiglio di Stato (con link alla versione integrale) riguardo ai criteri ambientali minimi (CAM), soprattutto in considerazione della crescente rilevanza assunta dalla tutela dell’ambiente nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica (art. 57 D.Lgs. 36/2023).

L’evoluzione giurisprudenziale di cui si darà atto riflette la trasformazione che ha interessato negli ultimi anni la disciplina dei contratti pubblici: si è, infatti, passati da una concezione unipolare (ancorata alle sole esigenze di contabilità pubblica), ad una bipolare (che, alla prima, ha affiancato il perseguimento dell’interesse pro-concorrenziale), ad una multipolare, secondo una logica ispirata ad un uso alternativo dell’appalto.

Il contratto d’appalto si è così trasformato da mero strumento di acquisizione di beni, servizi e forniture a strumento di politica economica e di politiche sociali e ambientali, capace di orientare i modelli economici, indirizzandoli verso una maggiore sostenibilità ambientale, economica, sociale ed etica. In sostanza, l’interesse pubblico di ogni Stazione Appaltante continua ad essere orientato alla scelta del miglior offerente, ma il miglior offerente non si valuta più solo sul piano dell’affidabilità e dell’economicità, ma anche in base alla sua capacità di concorrere a tutelare concretamente gli ulteriori interessi pubblici assegnati per legge alla cura dell’amministrazione.

Di conseguenza, considerato che la ratio della disciplina dei criteri ambientali minimi è posta a presidio di interessi superindividuali della collettività (e delle generazioni future), anche la capacità dell’offerente di attuare le politiche ambientali, alle quali i CAM risultano funzionali, assumerà un peso sempre più determinante ai fini dell’aggiudicazione.

1. Sull’onere di immediata impugnazione del bando non conforme ai CAM.

Sulla sussistenza o meno di un onere di immediata impugnazione del bando di gara nell’ipotesi in cui quest’ultimo non contenga alcun riferimento alle specifiche tecniche, alle clausole contrattuali e ai criteri premiali previsti dai decreti CAM di riferimento si registrano due opposti orientamenti in giurisprudenza.

1.1. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, la mancata impugnazione del bando di gara entro il termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione non determina l’irricevibilità del ricorso. La non conformità della lex specialis di gara agli artt. 57, comma 2, e 83, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023 non integra un vizio tale da imporre un onere di immediata impugnazione, non sussistendo le condizioni che “impongono/consentono l’immediata impugnazione del bando, ovvero che la clausola contestata sia escludente o impedisca di formulare l’offerta” (TAR Roma, 13.11.2024 n. 20198); essendo queste le uniche due categorie di clausole che la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato, a seguito della sentenza dell’Adunanza plenaria n. 4/2018, grava dell’onere di immediata impugnazione.

Né, come chiarito dai Giudici di Palazzo Spada, si ravvisano ragioni per addivenire ad una rimeditazione di tale orientamento, posto che proprio i criteri sanciti dalla ricordata sentenza n. 4/2018 dell’Adunanza Plenaria impediscono di addivenire ad un diverso esito interpretativo (Consiglio di Stato, sez. III, 27.05.2024 n. 4701). In alcun modo, infatti, l’illegittimità dei criteri ambientali minimi influisce sulla formulazione dell’offerta: non solo in termini di impossibilità assoluta, ma neppure in termini di condizionamento relativo (Consiglio di Stato, sez. III, 08.02.2024 n. 1300).

Nella materia specificamente attinente ai criteri ambientali minimi, in forza di tale indirizzo giurisprudenziale, la non conformità della legge di gara all’art. 57, comma 2, del d.lgs. 36/2023 non è quindi un vizio tale da imporre un’immediata e tempestiva impugnazione del bando.

Con le sentenze 11.11.2024 n. 19910 e 13.11.2024 n. 20198, anche la Seconda Sezione del TAR Roma, ha condiviso l’orientamento sostenuto dal Consiglio di Stato. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativo, avallato dall’Adunanza Plenaria (n.1/2003 e 4/2018), la lesività immediata del bando si può configurare solo per le clausole cd. “immediatamente escludenti, tali essendo sia quelle che, in senso proprio e diretto, fissano requisiti illegittimi di accesso al procedimento selettivo, sia quelle che, in modo indiretto, impediscono tout court la formulazione di un’offerta seria e consapevole. Il mancato recepimento dei CAM non si presenta, quindi, realmente impeditivo della partecipazione ovvero della presentazione dell’offerta, determinando piuttosto una violazione delle regole di ingaggio della competizione, destinata ad assumere carattere lesivo solamente con l’aggiudicazione (in senso conforme, TAR Salerno, 01.10.2024 n. 1767 e Consiglio di Stato, sez. III, 30.12.2024 n. 10473).

Recentemente, anche il TAR Napoli (sentenze Sez. I 15.01.2025 n.427 e Sez. IV 17.01.2025 n.488) ha ribadito che la dedotta non conformità della legge di gara ai criteri ambientali minimi non integra un vizio tale da imporre l’immediata e tempestiva impugnazione del bando di gara, essendosi al di fuori dei casi eccezionali di clausole escludenti o impeditive della partecipazione.

Al tempo stesso, secondo tale orientamento, la partecipazione alla procedura di gara non costituisce acquiescenza alle regole poste alla base del confronto competitivo e non impedisce la proposizione di un eventuale gravame, “essendo l’impugnazione proponibile solo all’esito della procedura e avverso l’aggiudicazione, senza che ciò possa qualificarsi come un venire contra factum proprium” (Consiglio di Stato, sez. III, 30.12.2024 n. 10473TAR Napoli, 15.01.2024 n. 377).

D’altra parte, l’interesse principale dell’operatore economico è all’aggiudicazione della commessa, adeguando l’offerta alla domanda pubblica (con il limite della possibilità di formulazione dell’offerta): laddove l’interesse pubblico sotteso al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal piano d’azione per la sostenibilità ambientale si radica – in forza di un preciso obbligo normativo – in capo all’amministrazione che predispone la legge di gara (Consiglio di Stato, sez. III, 30.12.2024 n. 10473). Di conseguenza, fino all’assegnazione (a terzi) della gara (con l’aggiudicazione), non è riscontrabile alcun vulnus irreparabile per l’impresa partecipante (TAR Napoli, 17.01.2025 n. 488).

1.2. Per un secondo filone interpretativo, invece, sussiste un onere di immediata impugnazione della legge di gara (TAR Roma, nn. 44934494 e 4495 del 06.03.2024 e TAR Bari, 28.05.2024 n. 675).

La tesi dell’immediata lesività del bando, ove violativo dei CAM, è stata confermata dalla Sezione Seconda Ter del TAR Roma, con la sentenza n. 21878 del 04.12.2024 che ha inteso dare continuità all’orientamento già intrapreso da altri TAR (da ultimo, TAR Napoli, 02.12.2024 n. 6698), per cui è tardivo il ricorso con il quale il ricorrente si duole del mancato inserimento delle regole sui c.d. CAM nel bando di gara, senza però impugnare la medesima nei trenta giorni decorrenti dalla sua pubblicazione; invero la giurisprudenza amministrativa ha ammesso l’immediata impugnazione della lex specialis quando l’interesse a ricorrere dipende da clausole del bando che, in quanto contemplanti requisiti di ammissione alla procedura, risultino impeditive della partecipazione dell’interessato alla gara, oppure che prevedano oneri di partecipazione manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati. Tuttavia, è pur vero che “quando la violazione dei principi che informano le procedure di evidenza pubblica risulta già immediatamente evidente e percepibile al momento dell’indizione della gara … posporre l’impugnazione della lex specialis fino al momento dell’aggiudicazione non solo non risulta coerente, ma si pone anche in contrasto con il dovere di leale collaborazione e con i principi di economicità dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento, immanenti anche nel procedimento amministrativo che governa le procedure evidenziali” (TAR Roma, 04.12.2024 n. 21878).

2. Sull’eterointegrazione della lex specialis di gara.

Sulla questione dell’eterointegrazione della disciplina di gara ad opera dei decreti CAM si registrano due opposti orientamenti, l’uno favorevole ad ammettere siffatto meccanismo, l’altro contrario.

2.1. Per il primo orientamento interpretativo, il contenuto dei decreti ministeriali entra a far parte della legge di gara attraverso il meccanismo dell’eterointegrazione automatica disciplinato dall’art. 1374 c.c., persino nelle ipotesi di completa omissione, atteso che si è in presenza di un obbligo che discende direttamente da una norma imperativa e cogente, che opera indipendentemente da una sua espressa previsione negli atti di gara (TAR Venezia, 29.01.2024 n. 150). In tali casi, “è ravvisabile una mera lacuna nella legge di gara, dal momento che la Stazione appaltante ha omesso di inserire la regola sul rispetto dei CAM, prevista come obbligatoria dall’ordinamento giuridico. E tale lacuna può quindi essere colmata, in via suppletiva, attraverso il meccanismo di integrazione automatica, in base alla normativa vigente in materia” (TAR Napoli, 15.01.2024 n. 377 riformata da Consiglio di Stato, sez. III, 27.05.2024 n. 4701).

2.2. Nel secondo orientamento interpretativo, invece, è esclusa la possibilità di fare ricorso all’eterointegrazione.

Per il TAR Roma 11.11.2024 n. 19910 e 13.11.2024 n. 20198 tale orientamento è maggiormente conforme al tenore ed alla ratio palesati dalla legge, che impone alla stazione appaltante non già di richiamare, in modo formalistico, i candidati in ordine alla necessità di rispettare i criteri ambientali minimi, bensì di innervare l’intera disciplina di gara attraverso un puntuale inserimento delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contemplate dal decreto ministeriale di riferimento.

Sul punto, nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 27.05.2024 n. 4701 si legge: “La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è pacifica nel rinvenire la ratio dell’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi nell’esigenza di garantire “che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari” e nel diffondere l’occupazione “verde”. La previsione in parola, e l’istituto da essa disciplinato, contribuiscono dunque a connotare l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un “segmento dell’economia circolare“. Ed ancora, si legge: “Va conclusivamente osservato sul punto che la tesi della eterointegrazione, che ha consentito al primo giudice di ritenere legittima la legge di gara, per un verso contraddice – come accennato – la tesi delle parti appellate circa la completezza della relativa documentazione; per altro verso – stante la genericità sul punto di disciplinare e capitolato, e la conseguente necessità di integrarne ab extrinseco la disciplina – ha l’effetto di spostare nella fase di esecuzione del contratto ogni questione relativa alla conformità della prestazione ai criteri ambientali.”.

Ad avviso del TAR Roma, un generico rinvio alla fonte secondaria “se pure assolve a uno scopo formale, non è idoneo a conformare la funzione del contratto, in punto di scelta della migliore offerta, agli obiettivi avuti di mira dalla norma” (TAR Roma, 13.11.2024 n. 20198Consiglio di Stato, sez. III, 27.05.2024 n. 4701). Da tale impostazione – considerata maggiormente conforme alla ratio sottesa all’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi – discende l’illegittimità della lex specialis che si limiti a un mero richiamo ai decreti CAM di riferimento, senza declinare puntualmente le specifiche tecniche e le clausole contrattuali applicabili alla prestazione oggetto di affidamento, con conseguente annullamento di tutti gli atti della procedura di gara, ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione,  in ragione della violazione di norme poste “a presidio di interessi superindividuali” (Consiglio di Stato, sez. III, 11.11.2024, n. 8171).

3. Sul ruolo dei criteri premianti.

Anche sul ruolo di detti criteri si registrano posizioni dissonanti.

3.1. Secondo un primo indirizzo, “non c’è alcuna norma che imponga l’indicazione dei CAM tra i criteri premiali (…)(TAR Trieste, 13.12.2023 n. 384). Né può essere contestata l’esiguità dei punti (5) assegnati per il rispetto dei CAM, sul totale dei 70 attribuibili all’offerta tecnica, in ragione dell’ampia discrezionalità spettante alla P.A. circa la fissazione dei criteri di valutazione delle offerte e la correlativa attribuzione di punteggi (TAR Napoli, 15.01.2025 n. 427).

3.2. Ad avviso di un secondo filone giurisprudenziale, maggiormente diffuso, anche se è vero che “le stazioni appaltanti non hanno l’obbligo di dedicare ai criteri ambientali un valore maggioritario (ossia superiore alla metà dei punti complessivamente attribuiti alle offerte tecniche) e nemmeno particolarmente «significativo»”, cionondimeno “dalla norma primaria deriva comunque l’obbligo, per la stazione appaltante, pur nell’esercizio della discrezionalità che il Codice dei contratti le assegna, di non attribuire ai criteri ambientali un peso eccessivamente ridotto, fino a divenire irrisorio, pena la frustrazione della ratio legis della norma primaria, che mira a garantire che l’aspetto ambientale sia rilevante nel procedimento selettivo (e non solo nella fase di esecuzione del contratto) ed anche nella fase di valutazione qualitativa delle offerte tecniche” (TAR Roma, 11.11.2024 n. 19910).

L’orientamento in esame ha, conseguentemente, considerato esigua l’attribuzione di 2, 3, 4 o 7 punti ai profili connessi con la sostenibilità ambientale nell’ambito della valutazione complessiva dell’offerta tecnica, visto che “i partecipanti alla procedura ben avrebbero potuto decidere di non adeguare le offerte ai criteri ambientali minimi e, ciononostante, risultare aggiudicatari” (TAR Roma, 13.11.2024 n. 20198).

4. Sul principio del risultato in relazione ai CAM.

Nella sentenza Consiglio di Stato, 27.05.2024 n. 4701, il Giudice di appello ha affrontato il problema relativo all’individuazione della soglia minima normativa di esigibilità della previsione dei criteri ambientali minimi all’interno della legge di gara. Come rilevato dal Collegio, occorre trovare un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte: l’esigenza di semplificazione della lex specialis (e della gara stessa) per un verso, e la non meno rilevante esigenza di effettività dell’operatività dei criteri ambientali minimi nella fase di esecuzione del contratto. Alla luce dei dati normativi e dei principi richiamati nelle massime, la Sezione ha ritenuto illegittima la legge di gara che si era limitata a rinviare alla disciplina dei criteri ambientali minimi relativi ai settori considerati, senza tuttavia declinare coerentemente tale richiamo all’interno della “documentazione di gara”. Infatti, mentre il TAR, in primo grado, aveva ritenuto legittima la legge di gara così strutturata, facendo ricorso al principio del risultato, il Consiglio di Stato non ha condiviso tale impostazione. Secondo i Giudice di Palazzo Spada, infatti, l’impostazione del TAR, che considera prevalente l’interesse della stazione appaltante e del singolo operatore alla presentazione dell’offerta e all’effettuazione della gara, trascura in realtà di considerare che il risultato avuto di mira dalla legge in questo caso non è “l’effettivo e tempestivo” svolgimento del servizio (a qualsiasi condizione), ma lo svolgimento del servizio finalizzato all’attuazione delle politiche ambientali alle quali risultano funzionali i criteri ambientali minimi.

È nota del resto, in tal senso, la qualificazione funzionale dei contratti pubblici operata in relazione all’evoluzione normativa della causa degli stessi: dalla concezione c.d. unipolare (limitata elle esigenze contabilistiche); a quella bipolare (che alla prima ha affiancato il perseguimento dell’interesse proconcorrenziale e alla libera circolazione); a quella, infine, multipolare, mediante la quale l’arricchimento funzionale della disciplina assegna al contratto anche il ruolo di strumento di politiche sociali ed ambientali (soprattutto per effetto del considerando 2 della Direttiva 2014/24/UE).

Sul tema, il Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare che “Nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è, infatti, soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma – per utilizzare categorie civilistiche – uno “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento – plurifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente” (Consiglio di Stato, sez. V, 25.01.2024 n. 807, in materia di clausole sociali). Il che, a ben vedere, si pone in chiave di coerenza evolutiva rispetto all’originaria funzione, posto che si amplia l’area dell’interesse pubblico primario: che è sempre quello alla scelta del migliore offerente, ma non più tale solo sul piano dell’affidabilità e dell’economicità, bensì anche sul terreno della capacità di concorrere a concretamente tutelare gli ulteriori interessi pubblici nel frattempo normativamente assegnati alla cura dell’amministrazione. Non trova dunque giuridico fondamento la tesi per cui la positivizzazione in materia contrattuale del principio del risultato avrebbe sancito il primato logico dell’approvvigionamento: non foss’altro perché tale principio è strettamente correlato a (e condizionato da) quello della fiducia, e dunque si differenza dalla logica del risultato “statico” di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 per rivolgersi invece alla effettività della tutela degli interessi di natura superindividuale la cui cura è affidata all’amministrazione, fra i quali quello della tutela ambientale assume un ruolo decisamente primario alla luce sia della richiamata Direttiva 2014/24/UE, che del riformato art. 9 della Costituzione. Il Consiglio di Stato ha sancito, quindi, la necessità di un’effettiva declinazione nella lex specialis della disciplina dei criteri ambientali minimi, non bastando l’eterointegrazione del bando a mezzo del rinvio alla relativa disciplina, né applicabile il principio del risultato (espresso dal nuovo codice dei contratti pubblici).

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5. Sul principio della fiducia in relazione ai CAM.

Nella sentenza TAR Campania, Napoli, Sez. I, 15.01.2025 n.427, il Collegio prende atto che il principio del risultato non può valere a far salva una disciplina di gara priva della concreta declinazione dei criteri minimi ambientali.

Tuttavia, ad avviso del TAR, tenendo conto degli elementi concreti del caso specifico, resta però l’esigenza di una coniugazione del principio del risultato con il principio della fiducia, ex art. 2 del Codice dei contratti pubblici (principi che sono “avvinti inestricabilmente”, Consiglio di Stato, Sez. V, 19.11.2024 n. 9254).

Sul principio della fiducia, à stato peraltro affermato nella giurisprudenza del TAR Campania che: “Non si tratta, peraltro, di una fiducia unilaterale o incondizionata. La disposizione precisa infatti che la fiducia è reciproca e, dunque, investe anche gli operatori economici che partecipano alle gare. È legata a doppio filo a legalità, trasparenza e correttezza, rappresentando, sotto questo profilo, una versione evoluta del principio di presunzione di legittimità dell’azione amministrativa ” (TAR Napoli, Sez. V, 6.5.2024 n. 2959).

In questo contesto, il principio della fiducia – che permea anche la fase di partecipazione alla gara – rende l’azione amministrativa più “fluida”, superando gli steccati tra parte pubblica e privata e facendo sì che si instauri un’interrelazione tra i soggetti della procedura che, reciprocamente, ripongono per l’appunto la propria “fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici” (art. 2, cit.).

Declinato in termini propositivi, il principio della fiducia opera in favore di un positivo coordinamento tra i soggetti, rendendo il concorrente “corresponsabile” del perseguimento del fine a cui è preordinata l’azione amministrativa, “compenetrato” nel ruolo di soggetto fattivamente operante verso l’obiettivo da raggiungere.

Oltretutto, proprio la tematica della sostenibilità ambientale degli appalti è oramai entrata a far parte di una specifica professionalità dell’operatore economico interessato, il quale appronta risorse umane e strumentali per corrispondere ai dettami di legge volti alla preservazione dell’ambiente naturale nell’affidamento di contratti pubblici.

Di conseguenza, posto che per pacifica giurisprudenza l’interpretazione degli atti amministrativi, tra cui i bandi di gara, soggiace alle stesse regole dettate dagli artt. 1362 ss. per l’interpretazione dei contratti, vengono in rilievo l’esigenza di prendere in considerazione la ragione pratica dell’atto o contratto (c.d. criterio funzionale) e il principio della buona fede, per effetto del quale ognuna delle parti valuta non solo il proprio interesse ma orienta il proprio comportamento al soddisfacimento, assieme ad esso, anche di quello della controparte.

In sostanza, quindi, nell’ottica della buona fede e della sua declinazione costituita dal principio della fiducia, secondo il TAR Napoli, l’applicazione di quest’ultimo soccorre nell’interpretazione della legge di gara, militando nella prospettiva di escludere a posteriore i supposti vizi della procedura e della formulazione degli atti, qualora emerga con ampio grado di attendibilità che il concorrente abbia formulato un’offerta consapevole in pieno dei criteri ambientali minimi applicabili, esaustivamente esplicitandoli, lamentandone solo dopo l’aggiudicazione a terzi la mancata declinazione.

Pertanto, alla stregua del principio della fiducia possono essere valutati e risolti i dubbi sulla legittimità della disciplina di gara, in tutte le ipotesi di insorgenza di aspetti critici che, a ben vedere, non si sostanziano in vizi che abbiano avuto incidenza sostanziale e lesiva della posizione soggettiva della parte.

Il principio della fiducia pone, quindi, una presunzione di legittimità dell’azione amministrativa, superabile con fondati elementi di segno opposto, da cui trarre in maniera adeguata il convincimento dell’opacità dell’operato della P.A., tale da aver precluso al privato di poter compiutamente svolgere la propria attività.

Nel caso esaminato dal TAR Napoli era emerso, al contrario, che la Ricorrente avesse adeguato la propria offerta all’osservanza dei criteri minimi ambientali, così da non poter strumentalmente far valere in seguito l’incompletezza della legge di gara, mettendo da parte la fiducia che, in un rapporto di reciproco scambio, ha reso collimanti il tenore degli atti di gara ad opera della parte pubblica con la corrispondente formulazione dell’offerta della parte privata.

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