L’ultrattività della società estinta non “paralizza” l’azione erariale
Il prolungarsi in vita della Srl è una “permanenza artificiosa” che non preclude le distinte esigenze erariali, quando queste si indirizzano nei confronti del beneficiario di assegnazioni patrimoniali
La Cassazione, con l’ordinanza n. 24023 del 27 agosto 2025, ha chiarito, in tema di società estinta, che non occorre il decorso del quinquennio, ai sensi dell’articolo 28 del Dlgs n. 175/2014, per la notifica dell’atto impositivo al socio unico/amministratore chiamato a rispondere ex articolo 36 del Dpr n. 602/1973. L’avviso notificato al socio non deve contenere una motivazione specifica per far valere detta responsabilità, se l’accertamento societario include già gli elementi utili a consentire la sua difesa.
Il fatto
Un contribuente impugnava due avvisi d’accertamento, inerenti alle maggiori imposte per redditi non dichiarati in un biennio, attribuibili a una Srl, cancellata dal registro delle imprese, della quale il ricorrente era stato socio unico e amministratore e, per la qual ragione, era stato chiamato a rispondere ai sensi dell’articolo 36 del Dpr n. 602/1973.
Sia la Ctp di Napoli, adita dal contribuente che la Ctr della Campania, presso cui aveva presentato gravame l’ufficio, concordavano con la prospettazione del socio unico, ritenendo l’erroneità della notifica degli atti al contribuente ex articolo 28, comma 4, Dlgs n. 175/2014, nella sua qualità, appunto, di socio unico della Srl, per non essere ancora decorsi cinque anni dalla cancellazione della società. In particolare, il Collegio d’appello sosteneva che, per procedere alla notifica al socio ex articolo 36 citato, fosse necessario il decorso dell’intero termine quinquennale previsto dall’articolo 28 richiamato e l’emissione di un differente avviso d’accertamento, motivato sulle ragioni di imputabilità del debito o delle responsabilità trasferite dalla società al socio.
L’Amministrazione finanziaria, nel proporre ricorso per cassazione, eccepiva, per quanto ci occupa in questa sede, che l’articolo 28 del Dlgs n. 175/2014 non contrastava con il potere dell’ufficio di rilevare le responsabilità dei soci per l’occultamento di utili societari, così evadendo le imposte a carico della società. Al contrario – tenendo conto del ruolo del contribuente nelle vicende della società estinta, socio unico della stessa e già suo amministratore sino a qualche mese prima della richiesta di cancellazione – era proprio il tenore dell’articolo 36 del Dpr n. 602/1973 a consentire la notifica di atti che, oltre a contenere la pretesa erariale nei confronti della società a mezzo della notifica all’ultimo amministratore, costituiva espresso accertamento delle responsabilità del socio unico, in ragione della posizione peculiare rivestita nella Srl cancellata e dell’occultamento di utili, per i quali egli non poteva dirsi estraneo.
L’ordinanza della Cassazione
Nell’accogliere il ricorso erariale, la suprema Corte ritiene la valutazione operata dal giudice campano contrastante con la più recente e autorevole giurisprudenza di legittimità, che, nel trattare dell’articolo 28 del Dlgs n. 175/2014 e della dilazione dei tempi di estinzione della società, così come prevista dall’articolo 2495 cc, ai soli fini della definizione dei rapporti fiscali pendenti, ha chiarito quanto segue: “… il richiamo all’art. 28, pur assunto nella sua portata anche sostanziale – volta ad attribuire all’ex liquidatore il potere di compiere ogni attività, appunto anche sostanziale, finalizzata e strumentale alla definizione della pendenza fiscale – non può tuttavia spingersi fino ad incidere sul regime della responsabilità patrimoniale del socio per il debito fiscale della società estinta. Non può non osservarsi, in proposito, come l’artificiosità della permanenza in vita di un ente collettivo che in realtà non esiste più ad ogni altro effetto se, da un lato, agevola l’Ufficio nella notificazione degli atti (facilitando il raggiungimento del soggetto debitore ed il rispetto dei termini di decadenza e prescrizione) affida, dall’altro, le sorti del vaglio giurisdizionale sul debito fiscale all’iniziativa ed alla solerzia di un soggetto tendenzialmente ad esso indifferente perché ormai per definizione privo – a liquidazione esaurita – di patrimonio, e come tale certamente fin dall’inizio inidoneo a soddisfare il credito, con ciò determinandosi, in pratica, una situazione di debito senza responsabilità. L’inopponibilità per legge al Fisco degli effetti della cancellazione societaria non è quindi in grado di risolvere le questioni di causa: non solo perché comunque temporanea (dovendo, allo scadere del quinquennio, riprendere pieno vigore la disciplina anche processuale come detto rinveniente dall’art. 2495 c.c.), ma anche e soprattutto perché intatta resta, per il creditore pubblico, l’esigenza di far valere, con l’avvio di nuovo e diverso procedimento amministrativo di accertamento ex art. 36 cit., la responsabilità patrimoniale degli ex soci nei limiti delle attività sociali da costoro riscosse”(cfr Cassazione, sezioni unite, n. 3625/2025).
Pertanto, la ricostruzione della disciplina offerta dalle sezioni unite rende palese che quel termine dilatorio, posto sicuramente a tutela degli interessi erariali ai fini della verifica e definizione di rapporti fiscali controversi, non si trasforma per l’Amministrazione finanziari in un termine vincolante, ai fini della notifica di atti fiscali, quando si ha necessità di rivolgere l’attenzione non nei confronti della compagine sociale, ma nei riguardi del socio che risponda ai sensi del citato articolo 36.
Dunque – osserva il Collegio di nomofilachia – il prolungarsi in vita della società resta una fictio, una “permanenza artificiosa” della società, che non giunge a “paralizzare” le diverse e distinte esigenze erariali, quando queste si indirizzano nei confronti di colui che è ritenuto l’effettivo titolare della responsabilità patrimoniale nei confronti dell’Erario e, dunque, il soggetto passivo del credito dell’Amministrazione finanziaria, la quale, quindi, non solo può, ma “deve” avere tutta l’urgenza di aggredire chi, a seguito della cessazione di ogni attività sociale (e che pertanto ha già liquidato il suo patrimonio, così cancellandosi dal registro delle imprese, ancorché artificiosamente in vita ex articolo 28 citato), è – o è ritenuto – il beneficiario di assegnazioni patrimoniali, anche non emerse in sede di liquidazione perché occultate, per ciò stesso insorgendo in capo all’Agenzia delle entrate il diritto a pretese erariali nei suoi confronti.
Quindi, richiamando un ulteriore precedente delle sezioni unite, la Cassazione argomenta che “ragioni sistematiche dovrebbero indurre a concludere che, come qualunque creditore sociale insoddisfatto, anche l’erario possa agire direttamente nei confronti dei soggetti sussidiariamente responsabili per quei debiti, tra i quali il liquidatore ex articolo 36 citato anche nel caso in cui non disponga di un titolo che formalizza l’obbligazione tributaria nei confronti della società ormai estinta … In effetti, a seguire l’orientamento tradizionale la posizione dell’erario rispetto a un qualsiasi altro creditore appare ingiustificatamente deteriore, dovendosi l’Amministrazione finanziaria necessariamente precostituire un titolo, per di più esecutivo, e ciò anche in contrasto con il principio di economia dei mezzi giuridici e un inutile sacrificio dell’interesse pubblico alla pronta realizzazione del credito tributario” (cfr Cassazione, sezioni unite, n. 32790/2023). Si tratta di un ragionamento che, valido e corretto per l’ipotesi del liquidatore, lo è a maggior ragione quando si tratti del socio: nel caso specifico, si trattava, addirittura, del socio unico della compagine societaria.
Occorre un ulteriore atto da notificare all’ex socio?
Nessun problema, infine, secondo la suprema Corte, se gli avvisi notificati al socio – come nel caso scrutinato nella sentenza in commento – siano i medesimi notificati alla società. Infatti, l’esigenza di notificare, ai sensi dell’articolo 36, comma 5 Dpr 602/1973, un atto distinto e motivato, non vuol significare che il contenuto debba plasticamente distinguersi. Se, in definitiva, l’atto indirizzato nei confronti della compagine sociale contiene già la ricostruzione delle condotte illegittime, valide nei confronti della società, ma sufficientemente descrittive dei fatti riconducibili all’amministratore o al socio, essi possono ben essere riprodotti tal quali nei confronti del socio (o dell’amministratore): ciò che conta è che il destinatario sappia da cosa e perché debba difendersi, cosa gli si chiede e a che titolo siano formulate pretese nei suoi confronti, ex articolo 36 citato.

