tratto da biblus.acca.it

È possibile ottenere il condono edilizio se l’abuso in area vincolata è avvenuto per un errore del progettista?

La recente sentenza del Tar Lazio, sentenza n. 16417/2025 affronta un caso emblematico di diniego di condono edilizio, sollevando questioni cruciali sulla sanatoria di abusi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico e sul valore del silenzio-assenso.

Il caso in esame riguarda il proprietario di un immobile che nel 2004 ha presentato una domanda di condono edilizio per l’ampliamento e il cambio di destinazione d’uso di un fabbricato. Dopo un lungo iter amministrativo, l’Amministrazione comunale, nel 2022, ha emesso un diniego definitivo al permesso di costruire in sanatoria. La ragione principale del rifiuto è stata che l’intervento interessava un’area sottoposta a vincolo paesaggistico ex lege (art. 142 comma 1 lettera c) D.Lgs. 42/2004 in contrasto con l’art. 32 comma 27 lettera d) D.L. 269/2003 convertito con L. 326/2003 e con l’art. 3 L.R. 12/2004. A seguito di questo, il ricorrente ha deciso di impugnare il provvedimento comunale davanti al Tar.

Il ricorrente ha basato la sua difesa su tre motivi principali:

  • difetto di istruttoria e irrilevanza paesaggistica: ha sostenuto che l’ampliamento del piano seminterrato non aveva nessuna incidenza paesaggistica, essendo un’opera interna; L’indicazione “fuori sagoma” negli elaborati progettuali, che aveva motivato in parte il diniego comunale, sarebbe stato un semplice errore del progettista;
  • vincolo paesaggistico successivo all’abuso:  la parte ricorrente ha argomentato che il vincolo paesaggistico, legato alla presenza di un corso d’acqua, non era stato imposto al momento della realizzazione delle opere. Tale vincolo sarebbe stato introdotto solo nel 2019, e anche quella delibera è stata successivamente annullata da una sentenza della Corte Costituzionale. Per questo, secondo il ricorrente, l’amministrazione avrebbe dovuto convocare una conferenza di servizi per valutare la situazione;
  • silenzio-assenso e illegittimità del rigetto: secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché adottato dopo la scadenza dei termini previsti per il silenzio-assenso di cui all’art. 3 della legge regionale 12/2004, senza i necessari presupposti formali e sostanziali per l’adozione di un atto di autotutela e, inoltre, dopo che all’interessato era stato assegnato solo un termine di dieci giorni, con il preavviso di rigetto, per presentare le proprie osservazioni.

Il Tar ha respinto il ricorso del proprietario dell’immobile, dichiarandolo infondato.

TAR Lazio: anche un errore progettuale va dimostrato da prove adeguate

Il TAR ha ribadito che l’onere di dimostrare la condonabilità di un intervento edilizio spetta esclusivamente al richiedente. La tesi del ricorrente riguardo all’errore del progettista sull’indicazione “fuori sagoma” non è stata supportata da prove adeguate, come relazioni peritali o documentazione fotografica. Al contrario, il tribunale ha osservato che la stessa documentazione prodotta dal ricorrente ha dimostrato che l’ampliamento è stato realizzato fuori dalla sagoma originaria dell’edificio.

Sul secondo motivo di ricorso, il tribunale ha chiarito che il vincolo paesaggistico non è stato imposto successivamente all’abuso. Il corso d’acqua in questione era già qualificato come “acqua pubblica da tutelare” e iscritto negli elenchi del regio decreto n. 1775/1933 a seguito di una deliberazione del 2002. Il ricorrente stesso aveva dichiarato che i lavori sono stati completati nel luglio 2002. Pertanto, il vincolo era già esistente prima della realizzazione dell’intervento. La sentenza della Corte Costituzionale del 2020, che aveva annullato il piano paesaggistico regionale, non era quindi rilevante per la decisione.

L’intervento è stato quindi qualificato come un “abuso maggiore,” che consisteva in un incremento di volumetria e superficie utile. In questi casi, la legge non permette la sanatoria se l’abuso si trova in una zona sottoposta a vincolo, rendendo l’intervento non sanabile fin dall’inizio.

Quando è valido il silenzio-assenso?

Infine, il TAR ha smentito l’argomento del silenzio-assenso. Il tribunale ha stabilito che nessun titolo abilitativo tacito può formarsi in presenza di un abuso che, per sua natura, non può essere condonato. In questi casi, la legge predetermina l’esito del procedimento, rendendo irrilevante la mancata adozione di un provvedimento entro il termine previsto. Il mancato rispetto del termine di 60 giorni per le osservazioni è stato ugualmente giudicato irrilevante. L’esito del procedimento era già vincolato e non avrebbe potuto essere diverso, rendendo la violazione del termine un vizio formale non determinante.

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