tratto da biblus.acca.it

Con sentenza n. 1621/2025, il Tar Sicilia ribadisce che per valutare la legittimità del condono edilizio occorre guardare all’unitarietà del fabbricato nel suo complesso, non alla frammentazione catastale o proprietaria. In presenza di un unico disegno costruttivo e di una titolarità familiare condivisa, il limite volumetrico è unico e cumulativo, senza possibilità di deroghe basate su suddivisioni fittizie.

Il caso riguarda un ricorso relativo al rigetto di due istanze di condono edilizio riferite a una villetta bifamiliare. I ricorrenti, madre e figlio, comproprietari dell’immobile, avevano chiesto la sanatoria per ciascuna delle due unità immobiliari in cui la villetta era suddivisa.

Il Comune, invece, aveva rigettato le istanze, ritenendo che la volumetria complessiva dell’edificio superasse il limite previsto dall’art. 39, comma 1, della legge 724/1994, che consente il condono solo entro il tetto di 750 m3. Secondo l’amministrazione, nonostante la suddivisione in due appartamenti, l’edificio costituiva un unico volume edilizio realizzato da soggetti appartenenti a un medesimo centro di interessi familiari, dunque da considerarsi come opera unitaria.

Secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 302 del 1996, in assenza di una norma che stabilisca diversamente, la concessione edilizia in sanatoria deve riferirsi all’intero edificio e non alle singole porzioni di esso. Tuttavia, nel caso specifico, i richiedenti erano membri della stessa famiglia e, dunque, riconducibili a un unico centro di interessi. Per questo motivo, le due domande presentate possono essere considerate come un’unica istanza, cioè cumulabili.

In linea di principio, ciascun comproprietario avrebbe potuto presentare autonomamente domanda di condono per la propria unità abitativa. Questo sarebbe stato possibile anche nel caso in cui l’edificio fosse suddiviso in due appartamenti distinti, identificati da mappali separati, condizione che avrebbe giustificato la possibilità di ottenere due condoni differenti.

Del resto, è la stessa Corte costituzionale, nella sentenza citata, a riconoscere che, in presenza di elementi legittimanti, è possibile procedere alla scissione delle istanze di sanatoria.

Il TAR ha respinto il ricorso. Secondo il principio dell’unitarietà edilizia, il TAR ha confermato il proprio orientamento già espresso in sentenza n. 1403/2024, secondo cui: ai fini del condono, laddove l’abuso riguardi un fabbricato suddiviso in più unità immobiliari, ancorché dotate di autonomia funzionale, il limite volumetrico va riferito all’edificio nel suo complesso e non alle singole unità immobiliari di cui il medesimo si compone, costituendo la previsione di una cubatura massima (pari a 750 mc) un limite assoluto e inderogabile che risulterebbe, in caso contrario, facilmente aggirabile. Anche se singole porzioni di immobile consistenti in autonome unità abitative possono legittimare distinte domande, se il proprietario o il centro di interesse è unico vanno sommate: l’opera edilizia abusiva va identificata con riferimento all’unitarietà dell’edificio realizzato ove sia stato compiuto dal costruttore in esecuzione di un disegno unitario.

Nel caso specifico, l’immobile in questione è una villetta su due piani, situata su un unico lotto, anche se divisa in due mappali, e al momento della richiesta di condono era di proprietà di due soggetti (madre e figlio), che hanno presentato due domande distinte per ciascuna unità. Non risultano poi nuclei familiari distinti, per cui si può ragionevolmente ritenere che si tratti di un edificio unitario.

Pertanto, in tema di condono edilizio, il limite volumetrico previsto dall’art. 39 della L. 724/1994 deve essere calcolato con riferimento all’intero edificio, anche se suddiviso in più unità immobiliari, qualora queste siano riconducibili a un unico centro di interessi, come nel caso di membri dello stesso nucleo familiare.

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