Tratto da: ildirittoamministrativo.it
Autrice: Stefania Cantisani
Abstract
Il testo esamina i problemi di compatibilità insorti tra il Codice del Terzo settore, che ha introdotto modelli innovativi di “amministrazione condivisa”, e il Codice dei contratti pubblici che recepisce la normativa pro-concorrenziale eurounitaria, in relazione ai servizi di interesse economico generale che possono essere offerti sul mercato anche da organizzazioni no-profit.
La questione, dopo la decisione della Corte Costituzionale n.131/2020, ha trovato un punto di approdo nell’art.6 del nuovo Codice dei contratti (d.lgs. n.36/2023) che, nel recepirne le indicazioni, riconosce l’estraneità delle procedure del Codice del Terzo settore dal campo di applicazione del Codice dei contratti e amplia la possibilità di ricorrere a ulteriori modelli di amministrazione condivisa, introducendo per la selezione degli enti affidatari l’innovativo principio del risultato.
In questo nuovo scenario, la scelta di avvalersi dei modelli del Codice del Terzo settore appare, tuttavia, condizionata dagli indirizzi interpretativi della giurisprudenza amministrativa che tende a confinarla in ambiti ristretti rispetto ai tradizionali modelli pro-concorrenziali.
SOMMARIO: 1. I principi ispiratori del Codice del TS; 2. L’economia sociale nell’ottica dell’UE; 3. I problemi di compatibilità tra il Codice del TS ed il Codice dei contratti; 4. La sentenza della Corte Costituzionale n.131/2020; 5. Il Terzo settore nel nuovo codice dei contratti; 6. Brevi cenni conclusivi.
- I principi ispiratori del Codice del TS
Il Codice del Terzo settore approvato con il D.lgs. n.117/2017, com’è noto, è frutto della delega conferita al Governo con la legge 6 giugno 2016, n.106 per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale.
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*Già dirigente P.A. e cultore di diritto amministrativo presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Pisa.
La delega all’art.1, comma 2 lett. b) prevedeva la redazione di un apposito Codice del Terzo settore mediante il riordino e la revisione organica della disciplina, anche tributaria, degli enti del Terzo settore inteso come «il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi» con esclusione delle associazioni politiche, dei sindacati, delle associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche nonché delle fondazioni bancarie.
Si è trattato di un intervento resosi necessario e da tempo auspicato per sistematizzare in un corpus normativo unitario un settore, quale quello del non profit, caratterizzato da un’accentuata frammentazione normativa in ragione della diversificazione degli enti che ne facevano parte e delle connesse discipline applicabili incentrate per lo più sulle agevolazioni fiscali e sulle opportunità di convenzionamento con le pubbliche amministrazioni laddove le attività produttive di lucro “oggettivo” statutariamente consentite risultassero marginali rispetto a quelle di natura solidaristica.
Le indicazioni della legge delega sono state recepite dal Codice, che all’art.4, individua una serie di enti che possono far parte del Terzo settore, alcuni dei quali storicamente appartenenti al TS (organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale), altri che costituiscono una novità per il nostro sistema (enti filantropici), tutti oggetto di una specifica disciplina, ai quali si aggiungono le imprese sociali, regolamentate dal D.lgs. n.112/2017; vi è poi una categoria residuale di soggetti, cioè «gli altri enti carattere privato, diversi dalle società», che è destinata ad abbracciare una serie importante di enti non espressamente citati, a patto che abbiano natura privata e che non siano costituiti in forma societaria. Tali enti devono risultare iscritti nel RUNTS (v. in proposito l’art.7, c.1 del DM 106/2020, che dispone «l’iscrizione nel RUNTS ha effetto costitutivo relativamente all’acquisizione della qualifica di Ente del Terzo Settore»). L’appartenenza degli enti elencati al citato art.4 del Codice è qualificata dall’assenza di fini di lucro e dal perseguimento di «finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale» che avviene «mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi» nel campo di azione tassativamente indicato all’art.5 del Codice ed all’art.2 del D.lgs. n.112/2017 per le imprese sociali.
La categorizzazione così effettuata riconosce ed enfatizza «l’importanza di questa vera e propria area di «economia sociale» in concomitanza con i fenomeni di government failure (inadeguatezza dell’intervento statale a cagione della crisi fiscale) e market failure (impossibilità per il mercato informato al sistema dei prezzi di soddisfare determinati interessi generali)» (Parere dell’Adunanza speciale del Consiglio di Stato n.1405 del 14 giugno 2017 reso sullo schema di codice del TS).
Il ruolo ed il coinvolgimento del c.d. “privato sociale” si inserisce così in un contesto nel quale a causa della crescente crisi economica l’intervento pubblico non è in grado di rispondere alla domanda sempre più pressante di servizi sociali alla quale il privato è invece capace di far fronte mediante forme di autofinanziamento e attraverso il ricorso all’opera disinteressata dei singoli finendo, peraltro, per colmare, grazie alla vicinanza ai soggetti in favore dei quali è svolta l’attività, le «asimmetrie informative tra pubblica amministrazione e realtà socio-economica in cui opera»[1].
Il Codice detta, poi, al Titolo VII dedicato al rapporto con gli enti pubblici, le modalità per favorire il coinvolgimento del TS nei servizi e nelle attività di interesse generale organizzati soprattutto a livello locale, introducendo agli artt.55 e 56 tre istituti innovativi (co-programmazione, co-progettazione e convenzioni per l’affidamento di «attività o servizi sociali») che realizzano, attraverso il dialogo che si instaura tra le amministrazioni e gli enti del TS, una forma di amministrazione condivisa e cioè un nuovo modello di amministrazione «fondato sulla collaborazione fra amministrazione e cittadini» e «sull’ipotesi che allo stadio attuale di sviluppo della società italiana esistano i presupposti per impostare il rapporto fra amministrazione e cittadini in modo tale che questi ultimi escano dal ruolo passivo di amministrati per diventare co- amministratori, soggetti attivi che, integrando le risorse di cui sono portatori con quelle di cui è dotata l’amministrazione, si assumono una parte di responsabilità nel risolvere problemi di interesse generale»[2].
Il Codice teorizza dunque un modello che si inserisce pienamente nell’ottica del partenariato pubblico-privato ed in primis del partenariato sociale, nel solco di quel concetto di “demarchia” che configura il rapporto del soggetto privato nei confronti del potere amministrativo regolato «non più secondo una linea verticale di superiore-inferiore, ma secondo una linea orizzontale di divisione di compiti e di collaborazione tra centri di decisione distinti e ordinati fra loro in funzione del provvedimento finale, al quale tutti ugualmente devono collaborare»[3].
Nell’ambito dell’erogazione dei servizi alla collettività, il TS occupa uno spazio riconosciuto e normato a livello costituzionale: il principio di sussidiarietà orizzontale ex art.118, comma 4 della Costituzione secondo cui «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà» esprime un ripensamento del ruolo del potere pubblico chiamato a «ricondurre a sintesi la molteplicità delle istanze avanzate dall’insieme delle realtà, private e pubbliche, costituenti la “Repubblica”»[4] in chiave di valorizzazione delle realtà organizzative espressive della comunità che vengono investite di compiti tradizionalmente pubblici in un’ottica collaborativa e relazionale tra pubblico e privato.
L’attuazione di tale principio nei termini disciplinati dall’art.55 del Codice TS si traduce, in ultima analisi, nell’assicurare l’effettiva partecipazione dei cittadini alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese ex art. 3 Cost., dando vita «ad un modo nuovo di esercitare la sovranità popolare definito cittadinanza attiva, che completa ed integra le forme tradizionali della partecipazione politica e della partecipazione amministrativa» così come riportato nell’art.1 della Carta della sussidiarietà, approvata durante la Prima Convenzione nazionale della sussidiarietà (12 marzo 2004)[5].
In questo senso si è rilevato come vi sia «un rapporto di complementarità tra democrazia partecipativa e amministrazione condivisa, che non sarebbe poi altro che il rapporto di complementarità fra “partecipazione nel decidere” e “partecipazione nel trovare soluzioni”» sebbene si tratti di concetti da tenere distinti poiché «…Se la sussidiarietà orizzontale rafforza la prospettiva di una partecipazione di stampo amministrativo permettendo all’autonoma iniziativa della società civile di farsi portatrice del cd. “interesse generale”, la democrazia partecipativa rafforza una partecipazione di carattere più politico, intesa come coinvolgimento diretto di quelle forze sociali nella definizione dell’interesse pubblico da parte delle istituzioni politiche»[6]. Da qui la distinzione tra Terzo settore “di servizi” inteso come produttore di servizi nell’ambito del sistema di welfare e Terzo settore “di advocacy” che fa riferimento al ruolo da esso assunto nell’elaborazione di politiche pubbliche nel più ampio contesto della c.d. democrazia partecipativa.
La dimensione della sussidiarietà orizzontale per come emerge dal Codice si intreccia strettamente con quella della sussidiarietà verticale di cui all’art.118, comma 1 Cost. considerato che alle attività di interesse generale di cui all’art.5 del Codice che gli enti del TS svolgono “in via esclusiva o principale” corrispondono «funzioni tradizionalmente svolte e organizzate a livello locale e disciplinate dai legislatori regionali in quanto servizi pubblici o, (…) servizi di interesse generale. Si pensi agli interventi e servizi sociali e socio sanitari (lett. a) e b), alla formazione professionale (lett. d), alla valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale e turistico o, ancora, agli interventi di housing sociale»[7].
Occorre comunque tenere presente che se l’assenza di scopo di lucro è l’elemento caratterizzante dell’attività del Terzo settore che fonda la propria azione su basi solidaristiche ponendosi al di fuori sia delle logiche di mercato come da quelle autoritative tipiche della P.A., ciò non sta a significare che tale attività sia priva del carattere dell’economicità.
L’attività economica diretta alla produzione di beni e servizi può ben essere svolta, infatti, al di fuori di un’organizzazione imprenditoriale e dunque anche da enti del TS.: si veda ad esempio il caso degli ospedali no-profit che realizzano utili elevati offrendo prestazioni sanitarie in un settore nel quale vi è scarsa concorrenza.
In questo senso l’art.6 del Codice consente agli enti del TS di svolgere attività diverse quindi anche commerciali, purché “secondarie e strumentali” rispetto a quelle di interesse generale.
Per inciso, è opportuno ricordare che le categorie di “terzo settore e “settore non-profit” non sono sovrapponibili e che tra di esse non intercorre un rapporto di genere a specie, presentando disomogeneità sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Si è detto a riguardo che «(S)se il non profit rinviene infatti nel divieto di distribuzione degli utili il suo (unico) elemento identificativo, vari, ulteriori e diversi sono invece gli elementi identificativi del terzo settore, al punto che possono esservi enti del terzo settore (le imprese sociali societarie) cui è consentito, sebbene entro precisi limiti (oggettivi e soggettivi), distribuire utili ai soci. D’altra parte, non tutti gli enti non profit sono necessariamente del terzo settore, vuoi perché gli enti non profit per poter essere del terzo settore, oltre allo scopo non lucrativo, devono possedere ulteriori elementi di qualificazione (lo svolgimento di attività di interesse generale, l’iscrizione al RUNTS, ecc.), vuoi perché vi sono enti non profit ai quali l’accesso al terzo settore è a priori precluso dalla legge (ad es., sindacati, partiti politici, ecc.)»[8].
- L’economia sociale nell’ottica dell’UE
Nell’ottica dell’Unione europea da un’originaria definizione di “organizzazioni non profit” si è passati a considerare le organizzazioni del TS come soggetti appartenenti all’economia sociale. Per la definizione di “economia sociale” occorre riferirsi alla Raccomandazione del Consiglio del 27 novembre 2023 n.1344 “sullo sviluppo delle condizioni quadro dell’economia sociale”, emanata in attuazione del “Piano d’azione per l’economia sociale”, adottato dalla Commissione europea il 9 dicembre 2021(COM (2021) 778 final del 9.12.2021)[9].
Secondo la citata Raccomandazione e tenendo conto dei quadri giuridici esistenti degli Stati membri, si definisce “economia sociale” «un insieme di soggetti di diritto privato che forniscono beni e servizi ai propri membri o alla società, tra cui rientrano forme organizzative quali cooperative, società mutualistiche, associazioni (anche di beneficienza), fondazioni o imprese sociali o altre forme giuridiche che operano in conformità dei principi e delle caratteristiche seguenti: i) il primato delle persone, nonché del fine sociale o ambientale, rispetto al profitto; ii) il reinvestimento della totalità o della maggior parte degli utili e delle eccedenze per perseguire le proprie finalità sociali o ambientali e svolgere attività nell’interesse dei loro membri/ utenti («interesse collettivo») o della società in generale («interesse generale»); e iii) la governance democratica o partecipativa».
In definitiva, dunque, nella definizione di economia sociale, assumono rilevanza fondamentale «i requisiti di scopo (“il primato delle persone, nonché del fine sociale o ambientale, rispetto al profitto”), impiego degli utili per le finalità tipiche (“il reinvestimento della totalità o della maggior parte degli utili e delle eccedenze per perseguire le proprie finalità sociali o ambientali e svolgere attività” nell’interesse dei membri/utenti o della società in generale) e governance (“democratica o partecipativa”), requisiti che tutti gli enti (a prescindere dalla loro forma giuridica) devono possedere per potersi qualificare come soggetti dell’economia sociale».
Alla luce della citata definizione contenuta nella Raccomandazione n.1344/2023 la dottrina ha evidenziato come «economia sociale europea e terzo settore italiano finiscono per essere in larga parte coincidenti, anche se l’economia sociale rimane una categoria più ampia che potenzialmente comprende, oltre agli enti del terzo settore, incluse le imprese sociali (in qualsiasi forma costituite), anche le associazioni e le fondazioni non iscritte al RUNTS (in particolar modo le diverse decine di migliaia di associazioni sportive dilettantistiche di cui al d.lgs. 36/2021) e le cooperative (anche se non sociali ex l. 381/1991 e anche se non munite della qualifica di impresa sociale ex d.lgs. 112/2017), purché “a mutualità prevalente” (dubbi si pongono invece con riguardo alle cooperative che tali non siano)»[10].
Alle iniziative dell’Unione europea finalizzate a creare un modello alternativo a quello concorrenziale promuovendo l’economia sociale quale fattore essenziale per lo sviluppo economico e sociale dell’Europa si è aggiunta la proposta di direttiva relativa alle associazioni transfrontaliere europee (COM 2023(516) final del 5 settembre 2023 volta ad introdurre negli ordinamenti degli Stati membri, una nuova forma giuridica di associazione transfrontaliera europea senza scopo di lucro (European Cross-Border Association, ECBA), che, una volta stabilita in uno Stato membro, sarà riconosciuta automaticamente in tutti gli altri Stati membri e potrà svolgervi attività, comprese quelle economiche[11].
L’obiettivo generale dell’iniziativa è quello di introdurre norme armonizzate che facilitino l’esercizio delle attività transfrontaliere delle associazioni senza scopo di lucro eliminando gli ostacoli amministrativi e normativi per le associazioni che operano in più di uno Stato membro, al fine di liberare il loro pieno potenziale per generare valore economico e sociale nell’UE.
Lo spirito di solidarietà che anima gli attori dell’economia sociale si traduce, poi, nella materia dei contratti pubblici in norme di favore che agevolano la partecipazione di tali soggetti alle ordinarie procedure d’appalto. La nozione di “operatore economico” accolta dall’ordinamento europea ai fini dell’applicazione della normativa in materia di tutela della concorrenza e del mercato interno ricomprende, infatti, anche i soggetti no-profit e gli enti del TS che, anche in assenza di scopo di lucro, offrono sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi: la giurisprudenza del Consiglio di Stato, sul punto, in linea con le affermazioni della Corte di giustizia, si è chiaramente espressa nel senso di riconoscere la qualifica di “operatore economico” anche al «soggetto senza fine di lucro che operi occasionalmente sul mercato o goda di finanziamenti pubblici», divergendo dalla nozione di imprenditore commerciale che invece richiede la continuità dell’attività di impresa, ai sensi dell’art. 2082 c.c. (Cons. Stato, Sez. VI, 23 gennaio 2013, n.387).
Peraltro, come si è in precedenza accennato, la preoccupazione del legislatore europeo e nazionale è quello di approntare uno scenario normativo che consenta agli enti no-profit di gareggiare ad armi pari con le imprese commerciali. Ci si riferisce in proposito, agli articoli art.61 «Contratti riservati» e 129 «Appalti riservati» dell’attuale Codice dei contratti che rappresentano la trasposizione in ambito nazionale dei rispettivi artt.20 «Appalti riservati» e 77 «Appalti riservati per determinati servizi» della Direttiva 2014 (24) UE.
Ebbene il primo di tali articoli (peraltro da ultimo rimaneggiato dal Decreto correttivo d.lgs. n.209/2024 che ha introdotto, tra l’altro, al comma 2-bis una ulteriore riserva di partecipazione e di esecuzione in favore delle piccole e medie imprese nel sotto-soglia «tenuto conto dell’oggetto e delle caratteristiche delle prestazioni o del mercato di riferimento») prevede che «Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono riservare il diritto di partecipazione alle procedure di appalto e di concessione o possono riservarne l’esecuzione a operatori economici e a cooperative sociali e loro consorzi il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate, o possono riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti quando almeno il 30 per cento dei lavoratori sia composto da lavoratori con disabilità o da lavoratori svantaggiati»; il secondo articolo, attribuisce alle stazioni appaltanti la facoltà di riservare agli enti che abbiano determinate caratteristiche «il diritto di partecipare alle procedure per l’affidamento dei servizi sanitari, sociali e culturali individuati nell’allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014».
Le condizioni che gli enti riservatari devono rispettare attengono agli obiettivi statutari (missione di servizio pubblico legata alla prestazione dei servizi in questione), alla previsione di un vincolo di reinvestimento dei profitti finalizzati al conseguimento di tali obiettivi o, comunque di una distribuzione degli utili fondata su criteri partecipativi, all’obbligo di coinvolgimento “attivo” nella gestione/proprietà delle strutture di pertinenza da parte dei dipendenti, utenti o soggetti interessati.
Occorre rilevare, infine, che la riserva di cui all’art.129 dell’attuale Codice che riproduce, peraltro, il contenuto del precedente art.143 del Codice De Lise, non opera nei confronti degli enti già aggiudicatari dei servizi in parola negli ultimi tre anni e che comunque la durata del contratto non può eccedere i tre anni, cautele, queste, che rispondono ad una logica di bilanciamento tra il principio di concorrenza e quello solidaristico che presiede all’affidamento dei servizi alla persona e segnatamente dei servizi sociali.
La disciplina per affidamento di tali servizi, a mente dell’art.128, è sottoposta ad un c.d. “regime intermedio” che di fatto risulta “alleggerito” rispetto alla procedura ordinaria: a norma di detto articolo, infatti, «l’affidamento deve garantire la qualità, continuità, accessibilità, disponibilità e completezza dei servizi, tenendo conto delle esigenze specifiche delle diverse categorie di utenti, compresi i gruppi svantaggiati e promuovendo il coinvolgimento e la responsabilizzazione degli utenti»[12].
Il particolare regime che caratterizza il mercato dei servizi alla persona, in bilico tra concorrenza e solidarietà, trova giustificazione nella specificità di tali servizi, una specificità riconosciuta anche a livello europeo.
Il Considerando 114 della direttiva (2014) 24 UE prevede, infatti, che:
«Certe categorie di servizi, per la loro stessa natura, continuano ad avere una dimensione limitatamente transfrontaliera, segnatamente i cosiddetti servizi alla persona quali taluni servizi sociali, sanitari e scolastici. I servizi di questo tipo sono prestati all’interno di un particolare contesto che varia notevolmente da uno Stato membro all’altro a causa delle diverse tradizioni culturali. Occorre quindi stabilire un regime specifico per gli appalti pubblici aventi per oggetto tali servizi, con una soglia più elevata di quella che si applica ad altri servizi» (soglia ad oggi pari a 750.000 euro).
Per i servizi sopra soglia il citato Considerando 114 precisa poi che (…) «In ragione dell’importanza del contesto culturale e della sensibilità di tali servizi, gli Stati membri dovrebbero godere di un’ampia discrezionalità così da organizzare la scelta dei fornitori di servizi nel modo che considerano più adeguato» aggiungendo che, proprio in relazione alle differenti esigenze degli Stati membri, le norme della direttiva si limitano a imporre «solo il rispetto dei principi fondamentali di trasparenza e di parità di trattamento» e ad assicurare che «le amministrazioni aggiudicatrici abbiano la facoltà di applicare criteri di qualità specifici per la scelta dei fornitori di servizi»(…).
Le disposizioni della direttiva riconoscono dunque deroghe al regime ordinario degli appalti pubblici in ragione degli scopi solidaristici che contraddistinguono questa categoria di servizi valorizzando e incentivando «forme alternative di affidamento attraverso una rinnovata fiducia di cooperazione tra pubblico e privato»[13].
In questo quadro si colloca il rapporto tra enti del TS e soggetti for profit con riferimento, in particolare, agli strumenti di dialogo tra TS e pubblica amministrazione previsti dal Codice del TS rispetto ai quali si è paventato il possibile contrasto con i principi di libera concorrenza oltre che di trasparenza e di par condicio tra operatori economici che presiedono alle procedure definite dal Codice dei contratti.
Ciò in ragione della contendibilità sul mercato dei contratti che hanno ad oggetto servizi di interesse economico generale (Cfr. Considerando 6 della direttiva 2014/24 che esclude dall’ambito della direttiva (2014) 24 UE i servizi non economici di interesse generale)[14].
- I problemi di compatibilità tra il Codice del TS ed il Codice dei contratti
La questione è stata esaminata dal Consiglio di Stato che è stato chiamato dall’Anac a pronunciarsi sulla compatibilità tra l’art.55 del Codice del TS e le procedure di affidamento dei servizi sociali di cui all’allora vigente Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n.50/2016).
In particolare l’Anac, dovendo procedere all’aggiornamento delle Linee guida in materia di servizi sociali precedentemente approvate dall’Autorità (Delibera n.32 del 20 gennaio 2016), interpellava il supremo organo di giustizia amministrativa affinché risolvesse i dubbi emersi in ordine al possibile contrasto con il diritto euro-unitario delle forme di affidamento dei servizi (pubblici) di interesse generale di cui al Codice del TS, normativa che poteva configurarsi come derogatoria rispetto a quella del Codice dei contratti.
Ebbene il Consiglio di Stato con il parere del 20 agosto 2018 n.2052[15], nel richiamarsi al parere già espresso sullo schema del Codice TS (Parere n. 1405 del 14 giugno 2017) che evidenziava il fatto che i Trattati Europei non attribuiscono all’Unione alcuna competenza in materia di enti non profit, ma che, ciò nonostante, «la competenza degli Stati membri deve, nondimeno, essere esercitata nel rispetto della disciplina in materia di concorrenza (CGCE, sentenza 14 settembre 2006 in causa C- 386/04, Stauffer)» e dunque suggeriva di «considerare con più attenzione la necessità (imposta dal diritto europeo) di mediare le due contrapposte esigenze: valorizzare le organizzazioni non lucrative e, al contempo, salvaguardare gli equilibri funzionali del libero mercato», giungeva alla conclusione che «le procedure previste dal Codice del terzo settore (e, in generale, dalla normativa ancora in vigore in subiecta materia) configurano, in ottica europea, appalti di servizi sociali e, pertanto, sono sottoposte anche alla disciplina del Codice dei contratti pubblici, che si affianca, integrandola, a quella apprestata dal Codice del terzo settore».
Da questo inquadramento generale, sarebbero da ritenere estranee al codice «unicamente le procedure di accreditamento c.d. libero e le procedure di co-progettazione e partenariato finalizzate a rapporti puramente gratuiti» laddove per “gratuità” s’intende «la creazione di ricchezza tramite il lavoro del prestatore di servizi non remunerato dal profitto» e l’assenza di eventuali «costi senza rimborso né remunerazione, a puro scopo di solidarietà sociale».
In questo senso, «la effettiva gratuità si risolve contenutisticamente in non economicità del servizio poiché gestito, sotto un profilo di comparazione di costi e benefici, necessariamente in perdita per il prestatore» e dunque il servizio non è reso dal mercato ma è fuori dal mercato.
Al fine di valutare se l’affidamento del servizio sociale rientri o meno nell’ambito di applicazione di interesse dell’UE , il giudice amministrativo afferma che «solo il rimborso spese a piè di lista», che cioè «escluda la remunerazione, anche in maniera indiretta, di tutti i fattori produttivi e comprenda unicamente le documentate spese vive», consente di affermare la gratuità della prestazione e di postulare per questa via la estraneità all’ambito del Codice dei contratti pubblici non trattandosi di un servizio di interesse economico generale.
Se dunque le procedure del Codice del TS, fatte salve le eccezioni sopra ricordate in tema di gratuità, devono considerarsi appalti di servizi sociali, se ne deduce di conseguenza che «In considerazione della primazia del diritto euro-unitario … la disciplina recata dal Codice dei contratti pubblici prevale in ogni caso sulle difformi previsioni del Codice del terzo settore, ove queste non possano in alcun modo essere interpretate in conformità al diritto euro-unitario: troverà, in tali casi, applicazione il meccanismo della disapplicazione normativa, costituente un dovere sia per il Giudice sia per le Amministrazioni».
Con il successivo parere n.802 del 3 maggio 2022 il Consiglio di Stato ha poi superato questa prima restrittiva interpretazione dei moduli organizzativi di cui al Codice del TS qualificati, alla luce della normativa sui contratti pubblici, forme di appalti di servizi sociali rientranti «nel fuoco della normativa europea».
- La sentenza della Corte Costituzionale n.131/2020
Il cambio di rotta è avvenuto grazie alla sentenza “manifesto”n.131/2020 della Corte Costituzionale[16] alla quale ha fatto seguito l’intervento del legislatore che con il DL n.76/2020 convertito nella Legge n.120/2020, ha modificato il Codice dei contratti nel senso indicato da tale pronuncia.
La sentenza è scaturita dal ricorso avanzato dallo Stato nei confronti della legge n.2 dell’11 luglio 2019 approvata dalla Regione Umbria che definiva “le cooperative di comunità” come società cooperative che «anche al fine di contrastare fenomeni di spopolamento, declino economico, degrado sociale urbanistico, perseguono l’interesse generale della comunità in cui operano, promuovendo la partecipazione dei cittadini alla gestione di beni o servizi collettivi, nonché alla valorizzazione, gestione o all’acquisto collettivo di beni o servizi di interesse generale». La norma impugnata (art.5, comma 1, lett.b) riconoscendo il rilevante valore sociale della cooperazione e delle cooperative di comunità in particolare, si proponeva di disciplinare «le modalità di attuazione della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento previste dall’articolo 55 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106) e le forme di coinvolgimento delle cooperative di comunità e adotta appositi schemi di convenzione-tipo che disciplinano i rapporti tra le cooperative di comunità e le stesse amministrazioni pubbliche operanti nell’ambito regionale».
Così facendo, secondo il ricorrente, la norma regionale amplierebbe il novero dei soggetti del TS individuati e disciplinati dalla legge statale e dal diritto privato, così invadendo la materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Ebbene, la Corte nel rigettare la questione sottoposta al suo esame in virtù del fatto che la legge regionale non aveva qualificato le cooperative di comunità come ETS e dunque non aveva alterato la definizione del Codice del TS, ha colto l’occasione per puntualizzare la ratio legis dello stesso Codice ed il ruolo degli ETS partendo dall’analisi dell’art.55 del Codice.
Secondo la Corte, il citato articolo, che apre il Titolo VII del CTS, disciplinando i rapporti tra ETS e pubbliche amministrazioni, «rappresenta una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.»
Attraverso questo principio il testo costituzionale ha inteso riconoscere «le implicazioni di sistema derivanti dal riconoscimento della «profonda socialità» che connota la persona umana (sentenza n. 228 del 2004) e della sua possibilità di realizzare una «azione positiva e responsabile»(sentenza n. 75 del 1992): fin da tempi molto risalenti, del resto, le relazioni di solidarietà sono state all’origine di una fitta rete di libera e autonoma mutualità che, ricollegandosi a diverse anime culturali della nostra tradizione, ha inciso profondamente sullo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese.Prima ancora che venissero alla luce i sistemi pubblici di welfare, la creatività dei singoli si è espressa in una molteplicità di forme associative (società di mutuo soccorso, opere caritatevoli, monti di pietà, ecc.) che hanno quindi saputo garantire assistenza, solidarietà e istruzione a chi, nei momenti più difficili della nostra storia, rimaneva escluso».
La disposizione costituzionale valorizza dunque «l’originaria solidarietà dell’uomo» che si esprime nel «privato sociale» superando l’idea per cui solo «l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una “autonoma iniziativa dei cittadini” che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese».
Gli enti del TS operano, perciò, in «un ambito di organizzazione delle «“libertà sociali”», non riconducibili né allo Stato, né al mercato, ma a «“forme di solidarietà” che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese “tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente”».
In tale ambito l’art.55, in espressa attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’ultimo comma dell’art.118 Cost, «realizza per la prima volta in termini generali una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione sussidiaria» ponendo in capo ai soggetti pubblici il compito di assicurare il coinvolgimento attivo degli enti del TS nella programmazione, nella progettazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi, nei settori di attività di interesse generale definiti dall’art. 5 del medesimo CTS.
Nel nuovo rapporto collaborativo che così si stabilisce agli ETS, in quanto rappresentativi della “società solidale”, è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione dell’interesse generale contribuendo, nei settori di attività definiti dal Codice del TS, ad una maggiore efficacia ed economicità dell’azione amministrativa.
In forza dell’art.55 s’instaura tra i soggetti pubblici e gli ETS «un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.
Il modello configurato dall’art.55, infatti, non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico».
La Corte dunque attraverso un “ragionamento illuminato”[17] sconfessa l’orientamento del Consiglio di Stato che configurava il ricorso all’amministrazione condivisa come eccezione alla regola generale dell’espletamento della procedura ad evidenza pubblica prevista dal Codice dei contratti: non esiste conflittualità tra le esigenze del mercato e quelle della solidarietà in quanto l’art.55 del Codice TS rappresenta una modalità alternativa di affidamento diretto dei servizi sociali di interesse generale riservato «in via esclusiva» agli enti del TS e cioè agli enti identificati dal Codice come «un insieme limitato di soggetti giuridici dotati di caratteri specifici (art. 4), rivolti a «perseguire il bene comune» (art. 1), a svolgere «attività di interesse generale» (art. 5), senza perseguire finalità lucrative soggettive (art. 8), sottoposti a un sistema pubblicistico di registrazione (art. 11) e a rigorosi controlli (articoli da 90 a 97)».
La Corte costituzionale prefigura, quindi, «un sistema di affidamento alternativo rispetto a quello delineato dal codice dei contratti pubblici, quest’ultimo basato esclusivamente sulla «corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata», quale bene della vita conteso dagli operatori economici for profit in un regime di libera concorrenza» (Berrettini).
La sentenza chiarisce, inoltre, che il modello proposto è in linea sia con le direttive europee in materia di pubblici appalti che con la relativa giurisprudenza della Corte di giustizia (in particolare Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, sentenza 28 gennaio 2016, in causa C-50/14, CASTA e a. e Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, sentenza 11 dicembre 2014, in causa C-113/13, Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a.) che «tendono a smorzare la dicotomia conflittuale fra i valori della concorrenza e quelli della solidarietà» mantenendo, in ultima analisi, in capo agli Stati membri «la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo ispirato non al principio di concorrenza ma a quello di solidarietà (sempre che le organizzazioni non lucrative contribuiscano, in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente al perseguimento delle finalità sociali)».
Il superamento del rapporto di conflittualità tra il Codice del TS ed il Codice dei contratti per come emerge dal pronunciamento della Corte Costituzionale n.131/2020 è acclarato anche dal parere n.802 del 3 maggio 2022 del Consiglio di Stato che, interpellato nuovamente dall’ANAC sullo schema delle linee guida in materia di affidamenti di servizi sociali (poi Linee guida n.17/2022) – schema elaborato a seguito delle modifiche introdotte dal Dl.76/2020 convertito nella legge n.120/2020 a fini di coordinamento tra il codice dei contratti ed il codice del TS-ha rilevato come «sia in sede legislativa che in sede di interpretazione giurisprudenziale emerge chiaramente una linea evolutiva della disciplina degli affidamenti dei servizi sociali che, rispetto a una fase iniziale di forte attrazione nel sistema della concorrenza e del mercato, sembra ormai chiaramente orientata nella direzione del riconoscimento di ampi spazi di sottrazione a quell’ambito di disciplina».
- Il Terzo settore nel nuovo Codice dei contratti
Sulla scia della sentenza della Corte si è posto infine l’art.6 del nuovo Codice dei contratti intitolato, non a caso, «Principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale. Rapporti con gli enti del Terzo settore» che è stato inserito tra i principi generali collocati nel Titolo I, Parte I del Libro I del Codice e che così recita:
«In attuazione dei principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale, la pubblica amministrazione può apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, modelli organizzativi di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici, fondati sulla condivisione della funzione amministrativa con gli enti del Terzo settore di cui al codice del Terzo settore di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, sempre che gli stessi contribuiscano al perseguimento delle finalità sociali in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato. Non rientrano nel campo di applicazione del presente codice gli istituti disciplinati dal Titolo VII del codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017».
Il testo dell’articolato conferma dunque come principio di carattere generale la separazione tra la disciplina dei contratti pubblici e gli istituti co-programmazione, co-progettazione, accreditamento e convenzione disciplinati dal codice del terzo settore, recependo così la soluzione cui era già pervenuto il legislatore con il decreto semplificazione (Dl 76/2020 cit).
In particolare, il legislatore si è mosso «secondo una prospettiva a cerchi concentrici»[18] teorizzando, nella prima parte dell’art.6, la possibilità per le amministrazioni, in attuazione dei principi di solidarietà sociale e sussidiarietà orizzontale, di costruire modelli organizzativi alternativi di amministrazione condivisa (cioè privi di rapporti sinallagmatici come statuito dalla sent. 131/2020 della Corte Costituzionale) con gli enti del TS per il perseguimento di finalità sociali, ulteriori rispetto a quelli già codificati; questi ultimi, rappresentati dagli istituti della co-programmazione, della co-progettazione e dell’accreditamento si collocano in un sottoinsieme all’interno del primo cerchio più ampio, possedendo già tutte le caratteristiche salienti che connotano i rapporti tra PA e TS.
Lo spazio dell’amministrazione condivisa si proietta dunque ben oltre il Codice del TS trovando corrispondenza nel successivo art.7 del Codice dei contratti che afferma il principio di auto-organizzazione delle pubbliche amministrazioni: in definitiva il codice lascia alle pubbliche amministrazioni la libertà di definire il loro modello organizzativo e di riflesso, sulla base di questa scelta, delinea anche il perimetro entro il quale il codice dei contratti si applica[19].
Per altro verso vi è chi ha sottolineato [20] uno sfumato disallineamento tra l’articolato e la relazione illustrativa al codice che «pare connotata da uno slancio innovativo assai maggiore rispetto a quello riconducibile alla stesura letterale della norma, che ne individua un ambito decisamente più limitato».
Secondo questa lettura, l’art.6 avrebbe un perimetro circoscritto nel quale non rientrano tutte le possibili declinazioni del partenariato sociale e ciò troverebbe giustificazione nella stessa rubrica della norma “Principi di solidarietà e sussidiarietà orizzontale. Rapporto con gli Enti del terzo settore” che chiarisce immediatamente che «non di sussidiarietà in generale si sta parlando, ma solo di quella sua estrinsecazione tipica, oggetto di procedimentalizzazione da parte del legislatore, che attiene agli Enti del Terzo settore».
Inoltre, anche l’endiadi, presente in rubrica, che affianca la “solidarietà” alla “sussidiarietà” sembrerebbe privilegiare la prima rispetto alla seconda indirizzando verso modelli di amministrazione condivisa solo laddove l’attività degli enti del TS avesse finalità, oltre che sociali, come espressamente previsto dalla norma («attività a spiccata valenza sociale») anche solidali. Quest’ultimo riferimento («attività a spiccata valenza sociale») che legittima il ricorso all’amministrazione condivisa sembra peraltro «controbilanciare lo spazio di autonomia di definire l’amministrazione condivisa, che va oltre il codice del terzo settore» lasciando margine di discrezionalità agli interpreti anche se, come se com’è stato rilevato, «la capacità condizionante del limite della spiccata valenza sociale appare ridotta»[21].
La lettura “restrittiva” dell’ambito di operatività della norma di cui all’art.6 si riflette anche sull’introduzione nel testo dell’articolo dell’innovativo principio del risultato previsto dall’art.1 del Codice dei contratti.
L’art.6, infatti, stabilisce che i modelli di amministrazione condivisa che le amministrazioni possono utilizzare sono fatti salvi se contribuiscono al perseguimento di finalità sociali «in condizioni di pari trattamento, in modo effettivo e trasparente e in base al principio del risultato».
Ebbene, vi è chi ha rilevato[22]che, ove non sussistesse un autonomo ambito di operatività della norma citata, essa finirebbe per risolversi in un limite ulteriore rispetto a quelli già previsti dall’art.55 del Codice del TS, innestando nel partenariato sociale come declinato dall’art.55 il principio del risultato oltre alla necessità di dover rispettare quelli di trasparenza già previsti da tale articolo:in definitiva, cioè, «la norma, per come formulata, rischia di essere letta solo come ribadita affermazione del diverso perimetro di operatività degli affidamenti dei servizi di “spiccata rilevanza generale” agli enti del terzo settore, per giunta aggravandoli del rispetto del principio del risultato, che nel d.lgs. n. 117 del 2017 non figura».
Diversamente, altri studiosi hanno osservato come la norma in questione, richiamando il principio del risultato, potrebbe addirittura rafforzare l’amministrazione condivisa.
Ciò in relazione all’affermazione di cui al comma 4 dell’art.1, secondo cui il principio del risultato costituisce il criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto ai fini della valutazione della responsabilità del personale e per l’attribuzione degli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva. Partendo dal presupposto che l’esperienza dell’amministrazione condivisa è innanzitutto «esercizio creativo di autonomie che si incontrano, quella amministrativa e quella sociale, e che ricercano la regola da applicare non in astratto o in modo predefinito ma nel concreto», l’introduzione del principio di risultato potrebbe servire «ad esaltare l’amministrazione responsabile a scapito di quella difensiva» attraverso l’azione di funzionari responsabili che possono ricorrere ai modelli di amministrazione condivisa per la risoluzione del caso concreto senza dover ricercare appigli normativi specifici per motivare la scelta adottata[23].
Vi è, infine, chi, paventando il rischio di «una interpretazione del principio del risultato che porti a ritenere che il principio del risultato imponga una sorta di comparazione fra ricorso all’amministrazione condivisa e applicazione degli istituti del codice dei contratti pubblici», ciò che significherebbe negare la ratio dell’art.6 che si fonda sull’esigenza di costruire forme di collaborazione pubblico-privato che valorizzino non solo “il risultato” ma anche “il processo”, legge nel richiamo al citato principio «una più generale esigenza di congruità fra le scelte procedimentali e gli esiti attesi, di misurazione degli esiti effettivi raggiunti, di responsabilizzazione di tutti gli attori (pubblici e del Ts)»[24].
- Brevi cenni conclusivi
Qualunque sia la lettura della norma di cui all’art.6 del nuovo codice, non vi è dubbio che possa condividersi l’opinione che la giurisprudenza costituzionale e le indicazioni provenienti dalle disposizioni di principio introdotte nel nuovo CCP hanno evidenziato l’emergere di un nuovo modello economico-sociale che si relaziona con il modello economico-concorrenziale non in termini di incompatibilità ma in termini di coesistenza e alternatività, un modello che si sviluppa intorno all’idea di un nuovo welfare, che si è definito «welfare di comunità»[25].
Pur tuttavia, la scelta tra i due modelli organizzativi non è per la pubblica amministrazione così semplice come potrebbe apparire a prima vista: si tratta di una scelta discrezionale che è strettamente collegata e condizionata dagli obiettivi, scopi e finalità che si intendono perseguire in concreto attraverso la specifica procedura intrapresa[26].
In questo senso, il ricorso ai moduli di amministrazione condivisa di cui al codice del TS richiede un «approccio sostanzialista»[27] funzionalizzato al singolo servizio da affidare e soprattutto orientato al risultato da ottenere in termini di qualità e adeguatezza delle prestazioni da offrire all’utenza.
Recente giurisprudenza amministrativa, ad esempio[28], ha individuato la necessità di motivare adeguatamente il percorso che conduce alla “co-progettazione” in ossequio al principio generale dell’art.3 della legge n.241/1990 precisando che «qualora opti per gli stilemi procedimentali del codice del terzo settore, dai quali sono escluse le imprese profit, l’ente pubblico deve indicare i profili di preferenza di tali procedure, nella concreta vicenda, rispetto ad un’ordinaria gara d’appalto»[29].
Per fare “buon uso” delle procedure di cui al codice del TS occorre in definitiva dimostrare il valore aggiunto dell’amministrazione condivisa[30], un valore aggiunto che giustifica la riserva di dette procedure in favore degli enti del TS e la conseguente esclusione dei soggetti no-profit: in assenza della componente solidaristica, infatti, il servizio ben potrebbe essere esteso ad una platea di operatori economici anche for profit, ottenendo, in ipotesi, risultati anche migliori, laddove, come nel caso di specie, la componente tecnologica prevalga su quella solidaristica (si trattava, infatti, di un servizio di video-interpretariato volto all’inclusione di persone con disabilità uditiva)[31].
Ma il nodo forse più intricato da sciogliere per dar vita ad una procedura corretta sotto il profilo amministrativo è rappresentato dal concetto di “gratuità” del servizio erogato dagli enti del TS attraverso il ricorso a modelli di cooperazione.
Ebbene, sotto questo aspetto la gratuità costituisce «uno degli elementi costitutivi della possibilità di utilizzare le procedure di affidamento disciplinate dal codice del terzo settore e di sottrarsi, quindi, all’applicazione delle norme unionali in materia di appalti pubblici e al codice dei contratti che di quelle costituiscono recepimento»[32] identificandosi, seguendo gli insegnamenti espressi nel parere del Consiglio di Stato n.2052/2018, nel conseguimento di un aumento patrimoniale da parte della collettività, cui corrisponde la diminuzione patrimoniale di altro soggetto, ossia il prestatore del servizio: solo l’esclusione di qualsiasi corrispettivo o di qualsiasi forma di remunerazione dell’attività prestata consente di sottrarre le procedure di cui al dlgs. 117/2017 dall’ambito disciplinare degli appalti pubblici in quanto lo svolgimento del servizio in forma gratuita da parte dell’organismo del TS, si risolve in un fenomeno non economico, ossia strutturalmente al di fuori delle logiche di mercato poiché gestito, sotto un profilo di comparazione di costi e benefici, necessariamente in perdita per il prestatore.
Ne consegue che, ragionando sul concetto di “onerosità”, concetto speculare rispetto a quello di “gratuità” e che, secondo il citato parere del Consiglio di Stato, costituisce «la linea di faglia» fra i servizi economici di interesse generale rientranti nel Codice dei contratti, ed i servizi non economici di interesse generale, estranei a tale materia «solo il rimborso spese a pie’ di lista che, in particolare, escluda la remunerazione, anche in maniera indiretta, di tutti i fattori produttivi e comprenda unicamente le documentate spese vive, correnti e non di investimento, incontrate dall’ente, consente di affermare la gratuità della prestazione del servizio e, dunque, di postulare la estraneità all’ambito del Codice dei contratti pubblici».
In conclusione, al fine di accertare l’effettiva gratuità della prestazione «dev’essere acclarata l’assenza, a carico del soggetto pubblico affidante, di qualunque compenso per i membri e per il personale dell’ETS, dipendente o volontario, quale che ne sia la formale denominazione e qualunque sia il meccanismo economico o contabile; inoltre, non devono ricorrere forme di forfetizzazione dei rimborsi, né di finanziamento o contributo a compenso dell’attività espletata direttamente dall’ente»[33]
A conferma dell’orientamento seguito, il giudice amministrativo richiama, sul piano normativo, la disposizione dell’art.56 del codice del TS secondo cui le convenzioni che le amministrazioni pubbliche possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, possono prevedere il solo rimborso delle «spese effettivamente sostenute e documentate» (c.2), «con esclusione di qualsiasi attribuzione a titolo di maggiorazione, accantonamento, ricarico o simili, e con la limitazione del rimborso dei costi indiretti alla quota parte imputabile direttamente all’attività oggetto della convenzione»(c.4).
La formula utilizzata dal legislatore, si afferma in linea con la giurisprudenza eurounitaria che consente l’affidamento diretto di servizi alle associazioni di volontariato (servizio di trasporto sanitario di urgenza) allo scopo di perseguire obiettivi di solidarietà e di efficienza di bilancio, a condizione che tali associazioni «non traggano alcun profitto dalle loro prestazioni, a prescindere dal rimborso di costi fissi, variabili e durevoli nel tempo necessari per fornire le medesime, e che non procurino alcun profitto ai loro membri» e che l’attività da esse svolta si avvalga di lavoratori «unicamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento» con l’ulteriore precisazione che per quanto riguarda il rimborso dei costi «occorre vegliare a che nessuno scopo di lucro, nemmeno indiretto, possa essere perseguito sotto la copertura di un’attività di volontariato, e altresì a che il volontario possa farsi rimborsare soltanto le spese effettivamente sostenute per l’attività fornita, nei limiti previamente stabiliti dalle associazioni stesse»[34].
Il mero rimborso dei costi non è però un elemento decisivo per escludere l’applicazione della normativa sovranazionale in tema di contratti pubblici di appalto considerato che per i giudici eurounitari «la natura onerosa di un appalto pubblico presuppone che ciascuna delle parti si impegni a eseguire una prestazione in cambio di un’altra, senza tuttavia escludere che la controprestazione dell’amministrazione aggiudicatrice consista unicamente nel rimborso dei costi sostenuti per la fornitura del servizio concordato», affermazione dalla quale si trae la conseguenza che «un contratto non può esulare dalla nozione di “appalto pubblico di servizi” per il solo fatto che (…) il corrispettivo previsto è limitato al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio convenuto»[35].Alla luce delle considerazioni che precedono l’orientamento del giudice amministrativo che si è allineato in maniera acritica al parere del Consiglio di Stato n.2052/2018 sul regime dei rimborsi[36], sembra indirizzarsi verso una nozione di “gratuità” che finisce per circoscrivere eccessivamente il novero delle spese rimborsabili depotenziando così gli istituti del codice del TS in contrasto, peraltro, con le stesse indicazioni della giurisprudenza eurounitaria che, in definitiva, concentra l’attenzione sul fatto che le voci di spesa oggetto di rimborso siano analiticamente dettagliate in maniera da evitare che il rimborso si traduca surrettiziamente in un corrispettivo[37].
A riguardo si è evidenziato che il fraintendimento alla base di una simile lettura del concetto di “gratuità” è, in sostanza, la considerazione che «la riconducibilità di determinati rapporti al modello dell’amministrazione condivisa, e quindi l’attestazione del relativo carattere non sinallagmatico, trovi il suo presupposto nell’esclusione integrale della remunerazione dei fattori produttivi»[38] quando, in realtà, come autorevolmente affermato dalla Corte Costituzionale, i moduli cooperativi del codice del TS si fondano «sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale»[39].
Se si segue l’impostazione della Suprema Corte, allora, non può che condividersi l’osservazione che la costruzione di percorsi condivisi si realizza anche «attraverso il coinvolgimento di professionalità specifiche da impiegare nelle condivise finalità di interesse generale, alle quali, come tali, non può non riconoscersi un corrispettivo per la prestazione erogata» pena esiti indesiderabili che potrebbero compromettere l’istituto della co-progettazione sotto il duplice profilo dell’insostenibilità dei costi sul piano economico-finanziario ovvero dell’esclusione del coinvolgimento delle professionalità necessarie allo svolgimento dell’attività degli enti del TS con buona pace del principio del risultato che costituisce la “stella polare” anche per i moduli organizzativi “privi di rapporti sinallagmatici” ex art.6 del dlgs. n.36/2023[40].
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[1] A. Berrettini, La co-progettazione alla luce del Codice del terzo settore e nella penombra del Codice dei contratti pubblici, in Federalismi.it, n.27/2022, pp.1-47.
[2] G. Arena, Introduzione all’amministrazione condivisa, in Studi parl. pol. cost., 1997, p. 29 e ss.; ID, Amministrazione e società. Il nuovo cittadino, in Riv.trim.dir.pubblico, Fasc.1/2017, pp.43-55; V. Cerulli Irelli, L’amministrazione condivisa nel sistema del diritto amministrativo, in G. Arena, M. Bombardelli (a cura di), L’amministrazione condivisa, Trento, 2022, pp.21-30; F. Giglioni, Forme e strumenti dell’amministrazione condivisa, in L’amministrazione condivisa, Trento, 2022, pp.65-112.
Sugli istituti della co-programmazione e della co-progettazione i contributi sono ormai consistenti. Tra i tanti v. L. Gili, Il codice del Terzo settore ed i rapporti collaborativi con la p.a., in Urb. app., 2018, pp. 15-22; ID., La co-programmazione e la co-progettazione su istanza di parte, in Urb. app., 2022, p. 25-31; L. Gori, La “saga” della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti fra Terzo settore e P.A., in Federalismi.it, n.14/2020, pp.179-208; F.Giglioni, A.Nervi, Gli accordi delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 2019, p. 239; A. Gualdani, Programmazione e pianificazione dei servizi sociali: il ruolo dei soggetti del terzo settore, in Munus, 2019, pp. 525-544 ; M. Tiberii, Il settore “no profit” nella programmazione e gestione dei servizi pubblici, in Munus, 2019, pp. 575-597; E. Frediani, La co-progettazione dei servizi sociali, Torino, Giappichelli, 2021; S.S. Scoca, L’amministrazione condivisa nei servizi sociali: una complessa strada ancora da percorrere, in Dir. econ., n.3/2021, pp. 83-112; L. Galli, La coprogrammazione e la coprogettazione dei servizi di integrazione dei migranti. Paradigmi di coinvolgimento della società civile nei percorsi di inclusione sociale, Torino, Giappichelli, 2022.
[3] F. Benvenuti, Il nuovo cittadino. Tra libertà garantita e libertà attiva, Venezia, Marsilio, 1994.
[4] V. Tondi Della Mura, Della sussidiarietà orizzontale (occasionalmente) ritrovata: dalle linee guida dell’Anac al codice del terzo settore, in Rivista AIC, 1/2018, pp.1-23.
[5] Si veda la Relazione tenuta in quell’occasione da G. Arena, Un nuovo modo di amministrare, 12 marzo 2004.
[6] G. Gotti, La co-programmazione tra politica e amministrazione. Teoria, prassi e nuoveprospettive, in Federalismi.it, n.8/2024, pp.51-91.
[7] S. Pellizzari, La co-progettazione come forma di collaborazione tra P.A. e enti del Terzo settore, in Munus, n.2/2019, pp.545-573.
[8] A. Fici, L’evoluzione del Terzo settore tra numeri e norme, in Terzjus report 2024, Napoli, Editoriale scientifica, Cap.I, pp.19-94.
[9] Sul quale v. G. Salvadori, Dal piano d’azione europeo alla prospettiva nazionale: il momento dell’economia sociale, in Terzjus report 2024, cit., Cap.XIII, 427-442; per uno sguardo d’insieme del tema dell’amministrazione condivisa nella prospettiva europea si veda S. Pellizzari, L’amministrazione condivisa tra dimensione europea e dimensione nazionale, in E. Frediani (a cura di), Lezioni sull’amministrazione condivisa, Torino, Giappichelli, 2025
[10] A. Fici, L’evoluzione del Terzo settore, cit.pp.71-74. Per una mappatura degli enti dell’economia sociale e del loro impatto economico sotto il profilo occupazionale v. G. Gagliardi, Gli enti dell’economia sociale dal registro delle imprese: settori di attività, impatto occupazionale e competenze, in Terzjus report 2024, cit., Cap.VI, pp.257-279.
[11] Sulla proposta di direttiva v. il Dossier curato dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea della Camera dei Deputati n.36 del 3 novembre 2023, Proposta di direttiva relativa alle associazioni transfrontaliere europee https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/ES036.pdf
[12] Sul punto v. A. Albanese, Servizi sociali nel Codice del Terzo Settore e nel Codice dei Contratti Pubblici: dal conflitto alla complementarietà, in Munus, n.1/2019, pp. 139-186 e A. Magliari, Servizi sociali di interesse generale e appalti pubblici: concordia discors? in Munus, 2/2019, pp.599-640.
[13] A. (Berrettini), La co-progettazione cit., p. 17.
[14] Il Considerando 6 della direttiva 2014/24 lascia liberi gli Stati membri di «organizzare la prestazione di servizi sociali obbligatori o di altri servizi, (…), in quanto servizi di interesse economico generale o in quanto servizi non economici di interesse generale ovvero in quanto combinazione di tali servizi». A riguardo è opportuno richiamare gli atti dell’Unione europea e, in particolare la Comunicazione sui servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo [Bruxelles, 20 novembre 2007, COM(2007) 725 def] nella quale si è precisato che il carattere economico di un servizio non dipende «dallo status giuridico del prestatore (ad esempio un ente non a scopo di lucro), né dalla natura del servizio, bensì dalle effettive modalità di prestazione, organizzazione e finanziamento di una determinata attività» riconoscendo in tal modo che qualora i servizi socio-assistenziali abbiano rilevanza economica e siano assimililabili ai SIEG (servizi di interesse economico generale), la questione dell’affidamento di detti servizi si apre alla concorrenza e dunque le soluzioni adottate dai singoli Stati nazionali devono in qualche modo allinearsi con la disciplina eurounitaria in materia di appalti pubblici.
[15] Parere commentato criticamente da G. Arena, F. Scalvini et altri, Il diritto del Terzo settore preso sul serio. Una riflessione a tutto campo, partendo da una lettura critica del parere del Consiglio di Stato n. 2052 del 20 agosto 2018 sul Codice del Terzo settore, in Welfare Oggi, 1.2019, pp. 3-10; M. Bombardelli, Alcune considerazioni di sintesi sul rapporto tra pubblica amministrazione e terzo settore, in S. Pellizzari, A. Magliari (a cura di), Pubblica amministrazione e Terzo settore. Confini e potenzialità dei nuovi strumenti di collaborazione e sostegno pubblico, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, p.228 e ss.; M. Tiberii, Il settore ‘no profit’ nella programmazione e gestione dei servizi pubblici, in Munus, 2/2019, pp. 596-597.
[16] Così la definisce M. Lanotte, La prospettiva europea e nazionale sul Terzo settore, quale modello alternativo al mercato, in Federalismi.it, n.9/2024, p.150; sulla quale v. i commenti di E. Rossi, Il fondamento del Terzo settore è nella Costituzione, in Forum Quaderni costituzionali, 3/2020, pp.49 e ss.; G. Arena, L’amministrazione condivisa ed i suoi sviluppi nei rapporti con cittadini ed enti del Terzo settore, in Giurisprudenza costituzionale, n. 3, 2020, p. 1449; M. Galdi, Riflessioni in tema di terzo settore e interesse generale. Osservazioni a C. cost. 26 giugno 2020, n.131, in Federalismi.it, n.32/2020, pp.88-121; L. Gori, Gli effetti giuridici ‘a lungo raggio’ della sentenza n. 131 del 2020 della Corte Costituzionale, in Impresa Sociale, 3.2020, p. 89 e ss.; F. Pizzolato, Il volontariato davanti alla Corte Costituzionale, www. dirittifondamentali.it, fasc. 3, 2020; S. Pellizzari, C. Borzaga (a cura di), Terzo settore e pubblica amministrazione. La svolta della Corte Costituzionale, Instant book edito da Euricse, 2020; F. Ciarlariello, Un conflitto di competenza sul terreno della sussidiarietà: quale rapporto tra pubblica amministrazione ed enti del terzo settore? in Diritti regionali n.1/2022, pp.262-287;
[17] M. Lanotte, La prospettiva europea e nazionale sul Terzo settore, cit., p.154.
[18] L. Gori, Come il Codice dei contratti pubblici riconosce il rapporto con il Terzo settore, in www.cantiereterzosettore.it, 16 maggio 2023.
[19] F. Giglioni, L’Amministrazione condivisa nel nuovo codice dei contratti pubblici, in Labsus.org, 17 aprile 2023.
[20] A. Manzione, Il principio di sussidiarietà orizzontale: trasferimento immobiliare come corrispettivo dell’appalto, opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione e partenariato sociale, in www.giustizia-amministrativa.it 9 giugno 2023.
[21] F. Giglioni, L’Amministrazione condivisa, cit.
[22] A. Manzione, Il principio di sussidiarietà orizzontale, cit.
[23] F. Giglioni, L’Amministrazione condivisa, cit. Condivide questa interpretazione N. Vettori, L’amministrazione condivisa nel nuovo codice dei contratti pubblici: matrici teoriche, disallineamenti sistematici e profili innovativi, in Pa Persona e Amministrazione, n.2/2023, p.847 che rileva aspetti critici dell’art. 6 con riferimento agli ambiti soggettivo ed oggettivo della norma.
[24] L. Gori, Come il Codice dei contratti pubblici, cit.
[25] M. Lanotte, La prospettiva europea e nazionale sul Terzo settore, cit., p.157, che, in relazione all’affermarsi di questa nuova idea di welfare, afferma la necessità di ripensare ai servizi alla persona puntando a valorizzare sia i bisogni individuali cui dare risposte settoriali sia il concetto di prossimità del servizio da rendere agli utenti.
[26] A. Santuari, Appaltare o co-progettare: Is that (really) the question? in IS Forum, 17 aprile 2025.
[27] E. Frediani, Il buon governo della co-progettazione, in Giorn. dir. amm., 5/2024, p.709.
[28] Tar Liguria, Sez.I, 3 maggio 2024, n.310.
[29] Considerato in diritto 5.1.
[30] Cfr. A. Santuari, Co-progettazione e il sistema giuridico-amministrativo impermeabile al cambiamento, in Welforum.it, 24 maggio 2024. L’A., prendendo ad esempio proprio la sentenza del Tar Liguria citata nel testo, evidenzia che gli istituti giuridici cooperativi «sembrano ancora, almeno in taluni contesti di intervento, ritenuti marginali, eccezionali, forse addirittura residuali, rispetto a quelli più invalsi e conosciuti». In pratica, «l’impermeabilità delle decisioni politiche-amministrative» rispetto a tali istituti deriverebbe «anche da una mancanza di conoscenza approfondita ovvero da una interpretazione errata degli istituti giuridici previsti dal Codice del Terzo settore».
[31] Sul punto, afferma il Tar che «nella specie non appare immediatamente percepibile il valore aggiunto del privato sociale» visto che i servizi da prestare in favore dei sordi e degli ipoudenti mediante l’utilizzo di sistemi innovativi per abbattere le barriere della comunicazione erano caratterizzati «da una determinante componente tecnologica (e non umano-solidaristica), onde appare all’opposto presumibile che un confronto esteso alla generalità degli operatori economici possa accrescere la qualità dei progetti in lizza» (Considerato in diritto 5.2).
[32] Così Cons.Stato, Sez.V, 22 maggio 2024, n.4540. La sentenza richiama a riguardo la precedente pronuncia della stessa sezione datata 7 settembre 2021, n.6232. Nei termini, v. anche Cons.Stato, Sez.V, 26 maggio 2023, n.5217.
[33] Tar Liguria, Sez.I, 3 maggio 2024, n.310, Considerato in diritto 5.1.
[34] Così i punti 61 e 62 della sentenza Spezzino (CGUE, 11 dicembre 2014, C-113/13) citata da Cons. Stato, Sez.V, 26 maggio 2023, n.5217. In termini analoghi si esprime la sentenza CGUE,28 gennaio 2016, C-50/14, CASTA (Consorzio Artigiano Servizio Taxi e Autonoleggio) riferita al servizio di trasporto sanitario non di emergenza (punti da 63 a 65). Sulla specificità della normativa delle convenzioni ex art.56 del Codice del TS, v. A. Albanese, Servizi sociali nel Codice del Terzo Settore e nel Codice dei Contratti Pubblici, cit., pp. 151-164; per una panoramica più ampia degli istituti di cui al Titolo VII del Codice cfr. ID. La collaborazione fra enti pubblici e terzo settore nell’ambito dei servizi sociali: bilanci e prospettive, in Istituzioni del Federalismo, n.3/2022, pp.635-676; S. Franca, Le convenzioni con il Terzo settore tra gratuità del rapporto e regime dei rimborsi. Nota a Tar Toscana, 1 giugno 2020, n.666 in Impresa Sociale, n.4/2020, pp.94-99. Sulle decisioni Spezzino e Casta v. R. Caranta, Affidamento dei servizi di ambulanza al no-profit, in Urb. app., 2015, p. 508 ss.; F. Sanchini, L’affidamento diretto del servizio di trasporto sanitario al volontariato nella prospettiva della Corte di Giustizia e del giudice amministrativo: il problematico contemperamento tra principi di solidarietà, sussidiarietà e tutela della concorrenza, in Federalismi.it, n.9/2026, pp.2-35; A. Albanese, La Corte di giustizia rimedita sul proprio orientamento in materia di affidamento diretto dei servizi sociali al volontariato (ma sembra avere paura del proprio coraggio): nota a Corte giust. 11 dicembre 2014 causa C-113/13, in Foro it., 3, 2015, p. 151-157.
[35] Sentenza CGUE, Sez. IV, 14 luglio 2022, in causa C-436/20, Asade, (Punto 67 della motivazione che richiama, per analogia, il punto 52 della sentenza C-50/14, CASTA) che, con riferimento ai c.d. “accordi di azioni concertata” previsti dalla normativa della Comunidad Valenciana per l’affidamento di servizi alla persona con modalità semplificate in deroga alla ordinaria disciplina dei contratti pubblici, li ha definiti in astratto “contratti pubblici di appalto”riconoscendone la conformità alla direttiva 2014/24 UE (nello specifico, artt.76 e 77) indipendentemente dal valore stimato dei servizi ed anche se gli enti privati senza scopo di lucro cui era rivolta la procedura ed ai quali spettava il rimborso dei costi da essi sostenuti, non avevano i requisiti di cui all’art.77, «purché, da un lato, il contesto normativo e convenzionale nel cui ambito si svolge l’attività di tali enti contribuisca effettivamente al fine sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidarietà e di efficienza di bilancio su cui tale normativa è fondata e, dall’altro, il principio di trasparenza, come specificato in particolare all’articolo 75 di tale direttiva, sia rispettato». In sostanza, la Corte ha ammesso la facoltà per gli Stati di ricorrere a strumenti peculiari che coinvolgano nella gestione dei servizi sanitari e sociali organismi non lucrativi allo scopo di perseguire finalità non strettamente concorrenziali ma la condiziona, diversamente dalle ipotesi esaminate nelle sentenze Spezzino e Casta, al rispetto della necessaria pubblicità tramite un bando di gara o un avviso di pre-informazione come previsto dall’art.75 della direttiva, così da consentire il confronto concorrenziale tra gli enti del TS interessati alla conclusione degli accordi. La sentenza è commentata da S. Pellizzari, Forme di collaborazione tra enti pubblici e Terzo settore: la Corte di giustizia valorizza la discrezionalità degli Stati membri per un miglior bilanciamento tra solidarietà, efficienza e concorrenza, in Ist. del federalismo, 2022, pp.1021-1048 che rileva osserva l’importanza della decisione de qua «in quanto si è ritenuta compatibile con il diritto unionale la previsione a livello nazionale di strumenti giuridici peculiari che, seppur onerosi, non sono del tutto coincidenti con gli ordinari contratti pubblici di appalto in quanto possono riservare agli enti privati senza scopo di lucro la facoltà di fornire servizi di natura sociale». L’A. osserva, inoltre, che nello spirito della sentenza in parola, le amministrazioni potrebbero prevedere «forme riservate e concertate di affidamento agli enti del Terzo settore più in linea con quelle tradizionali e in grado di consentire la piena copertura dei costi diretti e indiretti realizzando, al contempo, un pieno bilanciamento tra efficienza di spesa, imparzialità dell’amministrazione, logiche erogative universalistiche e soddisfazione dell’utenza» e che, in tale ottica, può già leggersi l’art.18 del dlgs.n.201/2022 (sul quale v. A. Moliterni, Le nuove regole dei servizi pubblici locali, in Giorn.dir.amm.n.4/2023, pp.478-498 e più in generale, R.Chieppa, G.Bruzzone, A.Moliterni (a cura di ), La riforma dei servizi pubblici locali, Giuffrè, Milano, 2023) che nell’ambito della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, consente agli enti locali, in attuazione dei principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, di attivare su specifici progetti rapporti di partenariato con gli enti del TS regolati dal dlgs. n.117/2017 a condizione che le risorse pubbliche messe a disposizione non superino il rimborso dei costi, variabili, fissi e durevoli previsti per l’esecuzione dell’attività pattuita e sempre che la scelta sia motivata dalla relazione di cui all’art.14, comma 3 del decreto «con specifico riferimento alla sussistenza delle circostanze che, nel caso concreto, determina la natura effettivamente collaborativa del rapporto e agli effettivi benefici che tale soluzione comporta per il raggiungimento di obiettivi di universalità, solidarietà ed equilibrio di bilancio, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento». Inquadra l’art.18 del dlgs. n.201/2022 insieme all’art.6 del CCP nella prospettiva “armonizzante” tra concorrenza e solidarietà aperta dalla citata sentenza Asade, E. Caruso, L’amministrazione pubblica condivisa: terzo settore, contratti, servizi, in Pa Persona e Amministrazione, V.14 n.1/2024, p.220 e ss. A riguardo v. anche il commento di E. Fidelbo, La Corte di giustizia sull’affidamento di servizi sociali ad enti privi di scopo di lucro, in labsus.org, 3 aprile 2023 che osserva che l’apertura della Corte all’affidamento dei servizi sociali con procedure semplificate sui generis ad enti privati senza scopo di lucro non qualificati come in senso stretto come associazioni di volontariato, «potrebbe rendere non del tutto giustificata una disposizione, come quella di cui all’art. 56 del Codice del TS, che consente alle sole organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno sei mesi nel RUNTS , di stipulare convenzioni con le pubbliche amministrazioni finalizzate allo svolgimento a favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale».
[36] Sulla questione della gratuità/onerosità nell’amministrazione condivisa v. A. Fici, Gratuità e comunione di scopo nell’amministrazione condivisa, in B. Boschetti (a cura di) L’amministrazione condivisa come laboratorio di innovazione. Appunti e indicazioni per il futuro prossimo delle politiche pubbliche, Editoriale scientifica, Napoli, 2025, pp.39-62 e spec. pp.45-52.
[37] Così S. Franca, Le convenzioni con il Terzo settore cit. p.98.
[38] In questo senso si è rilevato (S. Franca, Ibidem) che «le differenziazioni operate nel (…) parere n. 2052/2018 – come la distinzione tra spese di investimento e spese “vive” – rappresentino interpretazioni autonome del Consiglio di Stato e trovino solo in parte riscontro nella giurisprudenza eurounitaria che, al contrario, in tema di social welfare, ha mostrato, pure in altri contesti, un approccio piuttosto pragmatico e nient’affatto granitico».
[39] R. Stupazzini, Sui presupposti per la co-progettazione, in labsus.org, 25 novembre 2024.
[40] R. Stupazzini, ibidem.