Atto di adesione, con rata omessa, valida la cartella senza motivazione
Il contribuente conosce già i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, quindi, l’onere motivazionale può essere assolto con un mero richiamo all’atto da lui sottoscritto
Con la pronuncia n. 24715 del 7 settembre 2025, la Suprema corte ha affermato, accogliendo una tesi favorevole all’Amministrazione finanziaria in tema di motivazione degli atti impositivi, che la cartella di pagamento che fa seguito all’omesso versamento di una o più rate in relazione alla sottoscrizione di un atto di accertamento con adesione non necessita di una specifica motivazione in quanto il contribuente è già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con la diretta conseguenza che l’onere motivazionale può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante il mero richiamo all’atto di adesione stesso.
I fatti di causa
La vicenda trae origine da una cartella di pagamento inviata dall’Agente della riscossione ad una società toscana in liquidazione con la quale veniva richiesto l’importo complessivo di quasi un milione di euro a titolo di Irap, Iva, sanzioni e accessori, relativo all’annualità 2009, per omesso versamento di alcune rate relative ad una per rateizzazione concessa a seguito di atto di adesione.
Impugnato l’atto impositivo dinanzi ai giudici di merito, lo stesso veniva in parte annullato, relativamente a determinati importi richiesti alla società contribuente, dalla competente Commissione tributaria regionale della Toscana per un asserito difetto di motivazione dell’atto stesso.
Avverso tale determinazione dei magistrati tributari, l’amministrazione finanziaria decideva di ricorrere in ultimo grado dinanzi la Suprema corte di cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell’ articolo 25 del Dpr n. 602/1973 (relativo al contenuto minimo che deve caratterizzare ogni cartella di pagamento) per avere la Ctr annullato l’iscrizione a ruolo di una parte dell’importo dell’intera cartella per un vizio di motivazione in quanto la dicitura relativa all’importo annullato (codice tributo 0161 “Iva, diritti e compensi a terzi”) non conteneva alcun riferimento all’originaria sanzione relativa ai tributi erariali.
Il fisco riteneva, infatti, che i giudici tributari avessero errato laddove non avevano considerato che la cartella impugnata era stata emessa a seguito del mancato versamento delle rate relative ad un previo accertamento con adesione per cui, trattandosi unicamente della liquidazione di quanto ancora dovuto, l’onere di motivazione doveva considerarsi assolto dall’Ufficio mediante il mero richiamo all’atto di adesione dal quale derivava la debenza dell’importo indicato in cartella oggetto di giudizio.
La decisione della Suprema corte
La Cassazione, pronunciandosi definitivamente sulla questione in oggetto, ha accolto la tesi dell’amministrazione finanziaria.
Precisato innanzitutto come anche la cartella di pagamento, in quanto atto impositivo, deve essere motivata in relazione ai presupposti di fatto e di diritto che ne stanno alla base, i giudici romani hanno sottolineato come la verifica dell’osservanza dell’obbligo dell’Ufficio finanziario di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche del proprio atto è indagine che va compiuta non in astratto bensì in concreto alla luce delle finalità che tale obbligo è chiamato ad assolvere. L’atto sarà così congruamente motivato (e sul punto si veda anche, tra le altre, Cassazione n. 26485/2008 e n. 27653/2005) se mediante lo stesso, da un lato, il contribuente sarà edotto del “se” (an) e del “quanto” (quantum) della pretesa fiscale, anche per consentirgli eventualmente di difendersi in modo adeguato, e, dall’altro, saranno delimitare le ragioni dell’Ufficio nella successiva ed eventuale fase contenziosa.
Inoltre, i giudici di ultima istanza hanno richiamato la propria ordinanza n. 23133/2014 dove è stato chiarito che la cartella con cui l’Amministrazione chiede il pagamento delle imposte, dichiarate dal contribuente e non versate, non necessita di specifica motivazione, proprio perché la pretesa tributaria scaturisce dalla pura e semplice obbligazione di pagamento delle imposte, determinate nella dichiarazione del contribuente, spettando, eventualmente, a quest’ultimo, l’onere di allegare e provare di avere effettuato in tutto o in parte i versamenti richiesti.
In particolare, hanno proseguito i giudici, quando si proceda alla liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, il contribuente è chiaramente nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio anche mediante semplice richiamo alla dichiarazione medesima.
E quanto sopra è validamente applicabile anche nell’ipotesi che riguarda il caso di specie, ovvero nell’ipotesi di cartella di pagamento che faccia seguito all’omesso versamento di alcune rate in relazione alla sottoscrizione di un atto di accertamento con adesione, trovandosi anche in tal caso il contribuente nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale.
In ragione di quanto precede, definitivamente pronunciandosi, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso dell’amministrazione fiscale e ha condannato la società contribuente al pagamento dell’intera cartella esattoriale, enunciando il seguente principio di diritto: “La cartella di pagamento che faccia seguito all’omesso versamento di una o più rate in relazione alla sottoscrizione di un atto di accertamento con adesione non necessita di una specifica motivazione atteso che il contribuente già si trova nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere motivazionale può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante il mero richiamo all’atto di adesione”.

