23/05/2023 – La sentenza del TAR Campania: il criterio di qualificazione dell’opera e del derivante titolo edilizio risiede nel suo “impatto sul territorio”

Muro di cinta: basta una SCIA?

La sentenza del TAR Campania: il criterio di qualificazione dell’opera e del derivante titolo edilizio risiede nel suo “impatto sul territorio”

Il muro di recinzione rappresenta una nuova costruzione soggetta a permesso di costruire oppure una SCIA potrebbe essere sufficiente a legittimare la realizzazione dell’opera?

Una risposta univoca non c’è, come spiega il TAR Campania con la sentenza n. 2285/2023, e l’orientamento giurisprudenziale prevalente propende sulla valutazione dell’impatto sul territorio che la sua realizzazione comporta.

Il caso riguarda l’ordine di demolizione notificato su un immobile facente parte di una lottizzazione convenzionata, a seguito della quale il Comune ha rilasciato le concessioni edilizie e persino le autorizzazioni a varianti in corso d’opera, per poi invece notivicare il provvedimento sanzionatorio.

In particolare, l’Amministrazione contestava ai singoli proprietari lottizzatori, in alternativa all’adempimento dell’obbligo convenzionalmente pattuito  di cessione al Comune di aree da dedicare a standards urbanistici, la realizzazione di opere ritenute abusive e sanzionate. Il riferimento è prorio al muro di cinta che, non a caso, rileva il giudice campano, si presenta funzionale a delimitare il confine fra le proprietà pubblica e privata.

Sostanzialmente il presupposto dell’ordinanza di demolizione poggiava su un’edificazione avvenuta in violazione all’obbligo previsto in convenzione di cessione delle aree da dedicare a standards, che, sotto tale profilo può ritenersi divenire requisito per il rilascio e il mantenimento del titolo abilitativo edilizio oneroso.

Il Tribunale ha invece dato ragione al proprietario: in conformità al progetto di lottizzazione approvato, il Comune aveva rilasciato le concessioni edilizie e le varianti in corso d’opera con cui veniva assentita la realizzazione, tra l’altro, del muro di recinzione degli immobili.Viene pertanto a cadere il presupposto dell’abusività costituito dalla mancanza del titolo abilitativo edilizio che giustifichi l’ordine di demolizione.

Non solo: l’errore del Comune risiede anche nell’avere ritenuto che per la realizzazione o il mantenimento di un muro di cinta in c.a. i proprietari avrebbero dovuto conseguire  uno specifico ed espresso titolo abilitativo edilizio, mentre è corretto ritenere che la realizzazione delle predette opere sia piuttosto da inquadrare nel regime di liberalizzazione in senso lato, quale libera esplicazione dell’attività dei privati che non necessita di essere conformato da un titolo legittimante della p.a.

In particolare, fermo restando, di regola, la non necessarietà di un espresso titolo abilitativo edilizio, i lavori di recinzione dell’appezzamento di terreno, e la relativa manutenzione, risultano riconducibili agli interventi soggetti a SCIA, ai sensi dell’art. 22, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia).

Si rileva sul punto in giurisprudenza che: “In linea generale, la realizzazione di recinzioni, muri di cinta e cancellate rimane assoggettata al regime della d.i.a. (ora s.c.i.a.) ove dette opere non superino in concreto la soglia della trasformazione urbanistico-edilizia, occorrendo — invece — il permesso di costrire, ove detti interventi superino tale soglia”.

Spiega il giudice che il Testo Unico Edilizia non indica espressamente se il muro di cinta necessiti del permesso di costruire, in quanto intervento di nuova costruzione (artt. 3, comma 1, lettera e), e 10), ovvero se sia sufficiente la segnalazione di inizio di attività (art. 22 del medesimo d.P.R.).

Il Collegio, ha quindi adottato l’orientamento prevalente ritenendo che “più che all’astratto genus o tipologia di intervento edilizio (sussumibile nella categoria delle opere funzionali a chiudere i confini sui fondi finitimi) occorrere far riferimento all’impatto effettivo che le opere a ciò strumentali generano sul territorio: con la conseguenza che si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione (con quanto ne consegue ai fini del previo rilascio dei necessari titoli abilitativi) quante volte abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie”.

Di conseguenza, a prescindere “dal mero e astratto nomen iuris utilizzato per qualificare l’opus quale muro di recinzione (o altre simili), la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo e altezza è generalmente assoggettabile al solo regime della denuncia di inizio di attività di cui all’articolo 22 e, in seguito, al regime della segnalazione certificata di inizio di attività di cui al nuovo articolo 19 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso: Cons. Stato, IV, 3 maggio 2011 n. 2621)”.

Pertanto, non potendo indicarsi a priori il regime giuridico a cui soggiace la realizzazione di un muro di recinzione (se sia necessario il permesso di costruire o sia sufficiente la S.c.i.a., ma non certo la CILA), il criterio preferibile è quello elaborato dal Consiglio di Stato, ovvero l’effettivo impatto sul territorio.

Solo nel caso in cui l’intervento sia tale da integrare una trasformazione urbanistica del territorio con la creazione di una “nuova costruzione”, ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. f), lo stesso necessita del previo rilascio di un espresso titolo abilitativo edilizio, ai sensi del successivo articolo 20, la cui mancanza è sanzionata con la demolizione ai sensi del successivo articolo 31 del Testo Unico Edilizia.

In questo caso quindi la sanzione da correttamente irrogare sarebbe stata soltanto quella pecuniaria per omessa produzione di segnalazione certificata di attività, ai sensi dell’articolo 22 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto