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Se c’è un obbrobrio giuridico di portata incommensurabile, è l’articolo 1, comma 557, della legge 311/2004. Però, nel “decreto rafforzamento” della PA si prevede di estenderlo ai comuni fino a 15.000 abitanti.

Si tratta di un istituto che viene continuamente frainteso e sviato nei suoi fini e nella sua struttura, a partire dalla qualificazione come “scavalco”, posto che non si tratta affatto di uno scavalco, ma della possibilità, per un dipendente locale, di costituire un rapporto di lavoro subordinato ulteriore e diverso da quello che già conduce, alle dipendenze di altro ente locale e per un massimo di 12 ore.

Fino ad oggi, questo mostro giuridico è stato limitato a comuni di piccole dimensioni: un “metadone” organizzativo, un palliativo per poche ore in organizzazioni minute, che invece di far sparire, si tengono a forza in piedi, anche con dotazioni lavorative scarse e limitate nel tempo, solo talvolta in parte adeguate a dimensioni così piccole da essere paragonabili, per complessità, a condomini cittadini di poche famiglie.

Il presunto “scavalco di eccedenza” scatena mille problemi: lo si confonde con convenzioni, non si comprende che si tratta di un rapporto di lavoro autonomo, che richiede la sottoscrizione di un contratto, non ne si sa gestire la connessa complessità (ferie, permessi, assenze, valutazioni: la ripartizione nelle competenze per la gestione, pur essendo semplice, perchè spettante separatamente a ciascuno dei due comuni presso i quali il dipendente lavora, è invece sempre trattata in modi diversi e fantasiosi).

Ovviamente, si tratta di uno strumento che, lungi dal determinare un “rafforzamento” amministrativo, certifica lo stato quasi comatoso dell’ente che se ne avvale, a meno di non dimostrare che davvero il fabbisogno ed il carico sia limitato a 12 ore la settimana. Ma, allora, ha senso tenere in piedi strutture, chiamate allo svolgimento di tutta la burocrazia connessa, che lavorano 12 ore la settimana?

Invece, dunque, di eliminare simile strumento, che fa da “concorrente” al ben più utile, chiaro e funzionale istituto dello scavalco vero e proprio, regolato dall’articolo 1, comma 124, della legge 145/2018 e dall’articolo 23 del Ccnl 16.11.2022, la solita “ideona” è quella di estenderne l’utilizzo addirittura fino a comuni di 15.000 abitanti, ove iniziano ad entrare in gioco organizzazioni anche da diverse decine di dipendenti e di una complessità di natura medio-piccola comunque non trascurabile. Organizzazioni nelle quali un supporto da 12 ore rappresenta solo un palliativo, nulla di serio e nulla di davvero utile.

Il che estenderebbe ulteriormente la disfunzionale concorrenzialità con lo scavalco vero e proprio ricordato sopra.

Ma, quel che appare paradossale, è l’inserimento – per richiesta dell’Anci, davvero specializzata nel voler far involontariamente del male ai propri associati – di questa norma in un decreto dedicato al “rafforzamento” delle capacità amministrative.

Fino a prova contraria, tale rafforzamento dovrebbe rinvenirsi nel ridisegno degli iter e delle organizzazioni e dei profili, così da verificare se le dotazioni organiche siano da ridurre o lasciare quel che sono o aumentare.

Un comparto come quello delle Funzioni Locali, che in 20 anni si è ridotto numericamente di un quarto circa dei dipendenti, ad occhio e croce, come appunto da sempre lamenta l’Anci, avrebbe bisogno di un rafforzamento che passi da un mirato rimpinguamento degli organici.

Invece, il presunto “rafforzamento” avviene con imbarcate di precari stabilizzabili, cioè assumendo personale che già c’è; oppure, non appunto assumendo forze nuove, profili innovativi, giovani, ma utilizzando in parte un tempo di lavoro limitatissimo di lavoratori già alle dipendenze del comparto, dunque per lo più anziani, con competenze spesso obsolete e profili non aggiornati.

Non lo chiameremmo “rafforzamento” ma un modo per arrangiarsi, per altro paradossale, visto che arriva pochissimi mesi dopo la stretta che, invece correttamente, il Ministro Brunetta aveva dato al meccanismo dei comandi, che dava spesso vita a conseguenze disfunzionali non dissimili dal deleterio “scavalco di eccedenza”.

Se a tutto questo aggiungiamo il ripristino delle progressioni verticali come selezioni esclusivamente interne e anche la pretesa avanzata da molti (totalmente contrastante con ogni principio costituzionale e le chiarissime limitazioni disposte dalla legge) di effettuarle oltre il limite del 50% dei posti indicati dai fabbisogni, si restituisce un quadro desolante: il “rafforzamento” degli organici null’altro sarebbe che una sorta di gioco delle tre carte, la sola riqualificazione di personale anziano e con profili obsoleti e per altro anche magari privo del titolo di studio per l’accesso dall’esterno, la stabilizzazione di chi già lavora p l’utilizzo delle frattaglie orarie di lavoratori di altri enti. Davvero, tutto ciò è quanto di più lontano si possa immaginare da un “rafforzamento delle capacità amministrative” degli enti locali.

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