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Finanza locale

 11 Marzo 2022

Categoria 

21.02 Nomina dei revisori degli enti locali

Sintesi/Massima 

La competenza alla determinazione del compenso è del Consiglio comunale che deve contemperare le esigenze di bilancio al principio dell’equo compenso

Testo 

Si fa riferimento alla nota con la quale un revisore chiede l’avviso di questo Ufficio sull’attualità dell’atto di orientamento dell’Osservatorio della finanza locale n.1 del 13 luglio 2017. In particolare, in data 21 settembre 2021 la Prefettura di XXX ha sorteggiato i componenti del collegio del Comune di XXX, ente di oltre 20 mila abitanti, per il quale il revisore è risultato il primo estratto. Seguendo l’iter propedeutico alla nomina, l’ente locale ha chiesto le dichiarazioni previste dalla legge in tema di sussistenza dei requisiti e delle compatibilità “pretendendo” l’accettazione del compenso proposto dalla Giunta pari ad euro 5.000 (comprensivo anche di rimborso per le trasferte). Il revisore ha quindi accettato l’incarico, proponendo di determinare il compenso in euro 12.890 pari a quello stabilito nel decreto interministeriale del 21 dicembre 2018 per gli enti della fascia precedente a quella di XXX. Come indicato nella nota a firma del Sindaco, allegata alla pec di riferimento, “le esigenze di contenimento della spesa corrente dell’ente non hanno consentito di accogliere la Sua proposta negoziale ….. Dal momento che non ha accettato il compenso proposto e che il Comune non ha la possibilità di sostenere per i compensi all’organo di revisione una spesa complessiva pari a più del doppio di quella attualmente sostenuta per il collegio uscente, procederemo alla nomina della riserva estratta che segue nell’ordine.”. La S. V. chiede a questo Ufficio se sia corretto il comportamento del Comune oppure se il Consiglio Comunale avrebbe dovuto comunque eleggere il primo estratto in quanto non rinunciatario con un compenso deciso dallo stesso Consiglio Comunale qualunque esso sia: 5.000 euro proposto dalla Giunta o 12.890 euro proposto o altro ancora. In via preliminare, occorre precisare che questo Ufficio non ha poteri di sovraordinazione rispetto all’ente locale e qualsiasi atto deliberato, non ritenuto legittimo, deve essere impugnato nelle sedi e nei termini previsti dalla legge. Ciò non toglie che, essendo la materia di stretta pertinenza alle funzioni di questo Ufficio, l’argomento meriti quantomeno una riflessione. Innanzitutto, si rileva un’ingerenza da parte del Sindaco e della Giunta in un’attività che la norma, ex articolo 235 del testo unico 267 del 2000, attribuisce al Consiglio comunale il quale, ai sensi del successivo articolo 241, comma 7, è chiamato a stabilire nella stessa delibera di nomina anche il relativo compenso. Naturalmente gli uffici comunali competenti, devono svolgere tutte le attività necessarie alla formulazione della proposta da sottoporre al Consiglio comunale ma la fissazione del compenso, soprattutto se oggetto di negoziazione, deve essere discussa in sede consiliare. I limiti di bilancio non possono di per sé costituire elemento decisorio sostitutivo della discussione consiliare, in quanto, anche in presenza di un bilancio già approvato, il consiglio comunale potrebbe sempre decidere per una variazione. Si ritiene, quindi che la problematica va quantomeno portata all’attenzione dell’organo deputato alla nomina del proprio organo di revisione economico-finanziaria. Per quanto riguarda la determinazione del compenso dell’organo di revisione economico-finanziaria, l’articolo 241 del testo unico 267 del 2000 al comma 1 rimanda al decreto interministeriale la fissazione dei limiti massimi del compenso base spettante ai revisori in relazione alla classe demografica. Con decreto interministeriale del 21 dicembre 2018, dopo anni di blocchi normativi all’aumento dei compensi negli enti locali, è stato possibile adeguare le tabelle fino ad allora in vigore previste con precedente decreto del 2005 in considerazione, come riportato nel decreto stesso, “che le funzioni del revisore contabile nell’ultimo decennio sono esponenzialmente aumentate alla luce della legislazione della finanza pubblica e che questo impone l’adeguamento dei compensi base, anche per rispettare i principi sull’equo compenso, di cui all’articolo 13 bis della legge 31 dicembre 2012, n.247”. Il preciso richiamo all’equo compenso, introdotto per i forensi e poi esteso a tutti, nasce dalla necessità di garantire la qualità e l’affidabilità dei lavori richiesti al professionista in relazione al dettato del comma 3 dell’articolo 19-quaterdecies, del d.l. n.148 del 2017 che ha precisato che “La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.”. Ciò nonostante, negli ultimi anni sono pervenute segnalazioni circa il comportamento di alcuni enti locali, ben lontano dallo spirito normativo che aveva portato alla formulazione del nuovo decreto di fissazione dei compensi, che ritengono che la spending review vada fatta anche, e a volte soprattutto, sui compensi dei revisori la cui attività è spesso ritenuta dagli enti locali inutile e ingombrante. All’organo di revisione dei conti sono affidati compiti non meramente collaborativi e di consulenza, bensì di controllo e vigilanza sotto il profilo tecnico-contabile sull’operato degli organi di amministrazione attiva anche tramite l’imprescindibile rapporto di collaborazione con la Corte dei conti, istituendo, pertanto, uno stretto raccordo sul piano soggettivo tra i controlli interni e quelli esterni relativi alla gestione. Il comma 1 dell’articolo 241, nella formulazione attuale, delega a una norma di rango secondario la determinazione dei soli limiti massimi del compenso base spettante ai revisori dei conti, prendendo quali parametri oggettivi di riferimento la classe demografica e le spese di funzionamento e di investimento dell’ente locale. La disciplina in vigore, per contro, non fissa espressamente un limite minimo, esponendo quindi il revisore a offerte di remunerazione in misura oggettivamente incongrua, rispetto alla delicatezza della funzione cui è chiamato, oltre che inadeguata a garantire gli elevati standard di diligenza e professionalità richiesti dalla complessità dell’incarico, con il rischio di comprometterne l’efficienza a detrimento dell’interesse pubblico tutelato e al principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione fissato anche dall’articolo 97 della Costituzione. Proprio per cercare di colmare tale vuoto normativo, l’Osservatorio sulla finanza e contabilità degli enti locali del Ministero dell’Interno, con atto di orientamento del 13 luglio 2017, ex articolo 154 comma 2, del testo unico 267 del 2000, ha precisato che i limiti minimi al compenso vadano considerarsi coincidenti – nel silenzio del legislatore – con il limite massimo della fascia demografica immediatamente inferiore e, per i revisori dei Comuni con meno di 500 abitanti e delle Province e Città Metropolitane sino a 400 mila abitanti, con l’80 per cento del compenso base annuo lordo stabilito per la fascia di appartenenza. Gli atti dell’Osservatorio, nella forma di atti di indirizzo o di orientamento, non hanno valore normativo, ma rappresentano una linea d’azione per l’esercizio di compiti e funzioni suscettibili di condivisione per la motivazione dei provvedimenti e potenzialmente utile a realizzare un sistema di disciplina coerente con i principi ed omogeneo negli effetti. Anche le pronunce della Corte dei Conti, pur non fissando un limite minimo nei compensi (Autonomie n.16 del 2017, n.14 del 2019 cui il Sindaco fa riferimento per avallare le proprie determinazioni) prevedono la necessità di una fissazione equa dei compensi. In occasione dell’entrata in vigore del nuovo decreto interministeriale del 2018 nella delibera delle Autonomie n.14 del 2019 si legge: “In particolare gli organi consiliari – ai quali il combinato disposto degli articolo 243 e 241 TUEL intesta la competenza a determinare l’emolumento di cui trattasi – dovranno verificare se “la misura del compenso inizialmente deliberata dall’ente locale si manifesti chiaramente non più rispondente ai limiti minimi di congruità ed adeguatezza che, anche sulla base di principi derivanti dall’ordinamento comunitario, sono considerati esistenti in materia” e, previa verifica della compatibilità finanziaria e della sostenibilità dei nuovi oneri, adottare i conseguenti provvedimenti necessari per riportare il compenso ad un livello conforme ai suddetti parametri”. Si precisa, inoltre, che il decreto del 20 maggio 2005 già fissava un limite massimo pari ad euro 10.020,00 aumentato ad euro 15.670,00 dal decreto attualmente in vigore. Infine, si ritiene ugualmente inappropriato non riconoscere il rimborso delle spese di trasferta, considerando il compenso comprensivo delle stesse, laddove l’articolo 3 del decreto interministeriale 21 dicembre 2018 prevede che: “Ai componenti dell’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente aventi la propria residenza al di fuori del comune ove ha sede l’ente, spetta il rimborso delle spese di viaggio, effettivamente sostenute, per la presenza necessaria o richiesta presso la sede dell’ente per lo svolgimento delle proprie funzioni, nel limite massimo pari al 50 per cento del compenso annuo attribuito al netto degli oneri fiscali e contributivi”.

 

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