13/01/2022 – Esecuzione d’ufficio: lavori in danno dell’appaltatore inadempiente

In cosa consiste l’istituto dell’esecuzione d’ufficio nei casi di negligenza con ritardi nell’esecuzione delle opere e/o contravvenzioni agli obblighi ed alle condizioni stipulate?

La grande quantità di risorse, che, ogni anno, viene impiegata dagli enti pubblici per soddisfare le necessità (giustizia, scuole, trasporti, ecc) dei contribuenti e la natura pubblica della spesa hanno indotto il legislatore, fin dalla prima stesura delle norme, ad introdurre nella procedura di realizzazione delle opere pubbliche una serie di precauzioni e di assicurazioni che hanno lo scopo di garantire i risultati prefissati alle migliori condizioni possibili e con il giusto impegno di denaro pubblico.

In tale contesto di appalti numerosi e di conseguenti notevoli risorse impegnate, può verificarsi, ed è normale e fisiologico, che si generino casi di negligenza con ritardi nell’esecuzione delle opere e/o che si contravvenga agli obblighi ed alle condizioni stipulate.

Il legislatore ha ritenuto, fin dall’emanazione del primo impianto normativo, di contrastare tale fenomeno, fra l’altro, mediante l’istituto dell’esecuzione d’ufficio, che può assumere diverse forme a seconda della natura e della gravità del pregiudizio da correggere.

Deve, però, tenersi sempre conto dell’interesse della committente, che ha, essenzialmente, la necessità di completare l’opera nel rispetto dei vincoli contrattuali (tempo e risorse) e, conseguentemente, di riprendere l’inconveniente in forma specifica e non mediante un risarcimento del danno per equivalente. Infatti, quest’ultimo obbligherebbe la committente stessa ad attivare una nuova procedura  per eliminare l’inconveniente con un ulteriore ritardo per la fruizione dell’opera.

L’esecuzione d’ufficio, pertanto, è un istituto, predisposto a favore delle pp.aa (pubbliche amministrazioni), per garantire, unitamente ad altri simili istituti, la corretta realizzazione delle opere nel termine previsto.

In presenza di eventuale inadempimento dell’appaltatore, la committente, che ha l’ovvia necessità di intervenire, spesso rapidamente, deve applicare tempestivamente i rimedi previsti a seconda della fase dell’appalto, della natura e della gravità dell’inadempimento.

E’ opportuno, infine, rilevare che l’esecuzione d’ufficio non ha goduto in passato e non gode tuttora del favore sia degli operatori e sia della dottrina. Quest’ultima ne proponeva l’adozione in casi estremi e/o di assoluta necessità. Infatti, il relativo procedimento (cfr infra: esecuzione in forma specifica) è di notevole gravità nei confronti dell’appaltatore, il quale, oltre a perdere, in alcuni casi, la gestione parziale dell’opera, anche se temporanea, e dell’utile conseguente, è costretto a subire una perdita di immagine ed un notevole discredito.

Nel prosieguo, sarà presa in considerazione soltanto la garanzia denominata esecuzione d’ufficio, anche perché è condivisibile il pensiero di un esperto di lavori pubblici, il quale, in merito, espresse il parere che: …… l’istituto non è compiutamente disciplinato ……..

All’interno della complessa procedura, adottata nei vari impianti normativi succedutisi nel tempo per la realizzazione dell’opera appaltata, disciplinata ciascuna, in genere, da una legge e da un regolamento, sono inserite, in entrambi, sub-procedure che disciplinano singole fasi dell’appalto (consegna, sospensione, ripresa, ultimazione dei lavori, collaudo, bonario accordo ecc) in modo ragionevolmente compiuto sia per l’aspetto teorico che operativo. Gli stessi legislatori e quelli che, negli anni, si sono occupati in seguito della materia, invece, non hanno prestato la stessa attenzione all’istituto dell’esecuzione d’ufficio.

La committente ha la facoltà di intervenire in qualunque fase dell’appalto, in presenza del contratto, per qualunque tipo di inadempimento o di mancato rispetto delle obbligazioni normative e contrattuali.

E’ da temere che, in presenza di una norma non compiutamente disciplinata, si possano verificare, da parte della committente, abusi anche involontari, che potrebbero avvantaggiare l’appaltatore. Quest’ultimo, infatti, sarebbe portato a reagire mediante censure all’operato della committente stessa, ad inserire riserve negli atti contabili ed a ricorrere alla soluzione giudiziaria o arbitrale.

E’ probabile, in generale, che, ad una contestazione della d.l., facciano seguito le controdeduzioni dell’appaltatore e, di fatto, si inneschi un rapporto conflittuale che, in genere, peggiora con il passare del tempo e può sfociare nell’accesso alle vie legali.

A parte la mancata fruizione dell’opera, il fatto suindicato è reso più oneroso dalla soccombenza nei giudizi della pubblica amministrazione, come risulta, per gli arbitrati sia liberi che amministrati, dalle relazioni al parlamento dell’Avcp (Autorità di vigilanza dei contratti pubblici). Quest’ultima, ad esempio, ha accertato che la soccombenza della p.a., anche se riferita ad un numero non elevato di arbitrati, era stata:

  • nell’anno 2010 (relazione: anno 2011 – pag. 164): 99,98%;
  • nell’anno 2011 (relazione: anno 2012 – pag.   12): 97,50% – soccomb. totale: 87,30%;
  • nell’anno 2012 (relazione: anno 2013 – pag. 313): 95,00%.

Può essere, pertanto, un vantaggio per la committente operare con una (nuova) norma che disciplini l’istituto dell’esecuzione d’ufficio e che coordini, in modo compiuto, la norma generale ed il regolamento, oggi, in corso di perfezionamento ed approvazione.

L’istituto, nel tempo, è stato disciplinato, essenzialmente, da:

  • Legge 20 marzo 1865, n. 2248 alleg. F: artt.340 – 341;
  • R. D. 25 maggio 1895, n. 350: artt. 27 – 28 – 66, lett.e, punto 19, e segg;
  • D.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063 (cap. gen. app).: art. 23;
  • Legge 11 febbraio 1994, n. 109:
  • D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554: art. 121, c. 2; art. 122, c. 6;
  • D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163: art. 125, c. 6 lett. f; art. 134, c. 6; art. 139, c. 1;
  • D. P. R. 5 ottobre 2010, n. 207: art. 146, c. 1; art. 167, c. 3; art. 229, c. 3;
  • D.Lgs 18 aprile 1016, n. 50 (coord. e annotato sino al D.L. 16 luglio 2020, n.76 convertito dalla legge 11 settembre 2020, n. 120: artt. 107, commi 1,2,4; 108;109;
  • D. M. 7 marzo 2018, n. 49: art.6.

L’istituto era ed è, ovviamente, necessario ed utile, ma, per la relativa applicazione, devono verificarsi alcune condizioni ed, in particolare, che l’appaltatore:

  1. si sia reso colpevole di frode o di grave negligenza e non rispetti gli obblighi e le condizioni stipulate oppure che i lavori, a giudizio del d.l. (direttore dei lavori), siano in ritardo e non possano essere completati entro i termini contrattuali;
  2. non ottemperi all’ingiunzione della committente e/o rifiuti il proprio intervento per eliminare l’inconveniente lamentato.

Accertato un inadempimento dell’appaltatore, la committente poteva e può adottare, fra i rimedi previsti nell’impianto normativo in vigore nel periodo, con provvedimento amministrativo insindacabile, quello che riteneva e ritiene più idoneo al caso da risolvere.

In generale ed anche per il principio della conservazione del contratto, cercava e cercherà di evitare il recesso o la risoluzione del contratto, che hanno valore residuale per gli inadempimenti gravi, mentre l’intervento in forma specifica, consente, in genere, minori tempi di esecuzione.

Sarà anche necessario, se ritenuto opportuno, valutare l’efficacia del sistema lavori in economia, previsto nell’art. 66, punto 19, e segg., del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 (oggi, abrogato).

Occorre tenere anche conto che gli interventi sono effettuati a cura dell’amministrazione ed a spese dell’inadempiente.

Poiché l’istituto non è compiutamente disciplinato, è necessario tenere presente che, secondo i principi generali, unitamente agli interessi della committente, occorre salvaguardare anche quelli dell’appaltatore, e devono essere evitati, si ribadisce, procedure e comportamenti, che, in mancanza di una regolamentazione puntuale ed affidabile, possano essere ritenute disposizioni arbitrarie, che potrebbero dar luogo a riserve da parte dell’appaltatore e conseguenti controversie.

In presenza di inadempimenti dell’appaltatore, la committente deve potere adottare diversi rimedi ed, in particolare: il recesso o la risoluzione del contratto oppure il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente, tutti a spese dell’inadempiente. La scelta, naturalmente, non è arbitraria, ma per valutarne l’efficacia nelle varie fattispecie, si deve tenere conto dell’urgenza, dell’importanza, del fine dell’opera da realizzare, ecc.

Si può ipotizzare che buona parte degli inconvenienti che si verificano in cantiere, siano dovuti al mancato rispetto del contenuto delle schede tecniche e delle disposizioni contrattuali.

Il d.l., o per accertamento diretto o dai rapporti del direttore o dagli assistenti del cantiere, accertato un inadempimento o il mancato rispetto di altre obbligazioni contrattuali, deve adottare i rimedi necessari per eliminare gli inconvenienti riscontrati.

Qualora, a seguito di diffida del d.l., l’appaltatore intervenga ed adempia a quanto disposto dallo stesso d.l., l’inconveniente è risolto ed i lavori possono proseguire in base alle previsioni contrattuali.

Se, invece, l’appaltatore non possa intervenire e/o rifiuti il proprio intervento, la committente può utilizzare altri rimedi come l’istituto dell’esecuzione d’ufficio in forma specifica.

Esclusi, in questo esempio, il recesso e la risoluzione del contratto per quanto brevemente esposto (maggiore tempo di esecuzione), si potrebbe utilizzare il sistema dei “Lavori in economia”,  del primo impianto normativo (paragr. 2, penult. comma), naturalmente, con le opportune modifiche ed eventuali miglioramenti.

Per la soluzione in forma specifica, non in amministrazione, ma per cottimi (art. 67 del reg.        n. 350/1895), i lavori dovrebbero essere eseguiti da un’impresa diversa dall’appaltatore originario e, per evitare la contemporanea presenza di due esecutori nello stesso cantiere, lo stesso dovrebbe essere estromesso dalla parte di cantiere interessato dall’intervento, previo, naturalmente, l’accertamento dello stato dei luoghi sia prima che dopo l’intervento stesso, per valutare, fra l’altro, le somme spese e da porre a carico dell’inadempiente.

L’appaltatore, poiché, si ribadisce, l’estromissione sarebbe parziale e temporanea, eseguiti i lavori di ripristino dalla nuova impresa, è riammesso nel cantiere per il completamento dell’appalto.

Per gli eventuali inadempimenti dell’appaltatore (es. scolastico: categorie di lavoro eseguite in modo difforme dalle prescrizioni contrattuali), la committente può eseguire la demolizione delle lavorazioni eseguite male ed il ripristino delle stesse a regole d’arte (lavori in danno o d’ufficio).

Tale carenza, che presupponeva e presuppone sia l’allontanamento dell’esecutore dalla zona dell’intervento e sia la presenza in cantiere di personale, estraneo all’appaltatore, per eseguire i lavori necessari, determinava l’inizio o il peggioramento dei cattivi rapporti fra i contraenti e, spesso, l’instaurazione del contenzioso vero e proprio.

Con riferimento a quanto esposto, in definitiva, si è preso atto e si è del parere che:

  1. è condivisibile il parere dell’esperto citato nell’ultimo comma della premessa e cioè che l’istituto dell’esecuzione d’ufficio non è compiutamente disciplinato. Infatti, la procedura di esecuzione non presenta dettagli e disposizioni analoghe a quelle di altre sub-procedure (consegna, sospensione lavori, bonario accordo, ecc), che ne rendano agevole l’applicazione e riducano dubbi e perplessità;
  2. la committente, in caso di inadempimento dell’appaltatore, sceglie o deve potere scegliere la procedura, che ritiene più idonea al caso in esame;
  3. l’esecuzione d’ufficio, nelle varie forme approvate, gestita direttamente dalla committente e che opera nell’interesse della stessa, deve essere curata nel miglior modo possibile, in quanto può vanificare azioni, dilatorie e costose, dell’appaltatore. Si rammenti che, per la perdita di produzione del cantiere, dovuta al prolungamento dell’appalto per cause dovute alla committente, spetta all’esecutore il risarcimento del danno.
  4. la difficoltà dell’individuazione dei materiali e delle lavorazioni non rispondenti alle prescrizioni contrattuali, anche per la presumibile costante contestazione da parte dell’appaltatore, l’estromissione dello stesso, anche solo da una parte del cantiere, e la riammissione dopo che la committente o l’impresa subentrata abbia eseguito i lavori previsti e le riparazioni necessarie, ecc giustificano, anche se in parte, il limitato utilizzo dell’istituto ed il conseguente poco interesse del legislatore;
  5. durante il periodo di estromissione dell’appaltatore dal cantiere, il contratto originario poteva e può mantenere la propria validità;
  6. la riscrittura, oggi in corso, del regolamento citato, rende possibile disciplinare, ufficialmente, anche la suindicata procedura, che potrebbe ridurre, poco o molto, i motivi di attrito ed il contenzioso fra l’appaltatore e la committente e consentire la fruizione dell’opera da parte del contribuente nei termini contrattuali.
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