27/04/2022 – Incompatibilità del sindaco ex articolo 63, comma 1, n. 4), d.lgs. n. 267/2000.

Territorio e autonomie locali

 22 Aprile 2022

Categoria 

12 Cause ostative all’assunzione e all’espletamento del mandato elettivo

Sintesi/Massima 

Sussiste la causa di incompatibilità prevista dall’art. 63, comma 1, n. 4), quando vi è un giudizio pendente tra il comune e un consigliere comunale. Se i termini, di cui all’art. 69 tuel, assegnati al consiglio comunale per la verifica della incompatibilità fossero considerati ordinatori e non perentori, si ritiene non sia possibile sospendere il procedimento di verifica già avviato in attesa dell’esito del contenzioso, né decidere con una convalida con riserva perché ciò vanificherebbe la ratio dell’art. 41 tuel che richiede la verifica della legittima costituzione dell’organo consiliare come primo adempimento.

Testo 

Viene richiesto l’orientamento di questo Ministero riguardo alla contestabilità della causa di incompatibilità, di cui all’articolo 63 comma 1 n. 4 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 a causa di un contenzioso tra un consigliere e un Comune in relazione a sanzioni amministrative comminate ai sensi del regolamento comunale sulla pubblicità. 

Al riguardo, con nota Prot. n. 1302 del 17.01.2022, si osserva, in punto di diritto, che l’articolo 63 comma 1 del decreto legislativo 267 del 2000 individua le cause ostative all’espletamento del mandato elettivo. In particolare, l’articolo 63 comma 1 n. 4 del Tuel citato dispone che “non può ricoprire la carica di Sindaco, Presidente della Provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale, … colui che ha lite pendente in quanto parte di un procedimento civile o amministrativo, rispettivamente con il Comune o con la Provincia..”. Si evidenzia che le cause di incompatibilità di cui alla norma citata, ascrivibili al novero delle c.d. incompatibilità d’interessi, hanno la finalità di impedire che possano concorrere all’esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli dell’ente locale o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l’imparzialità (cfr. Corte Costituzionale, sentenza 20 febbraio 1997 n. 44, sentenza 24 giugno 2003 n. 220).Il diritto di elettorato passivo, quale diritto fondamentale, intangibile nel suo contenuto di valore ed annoverabile tra i diritti inviolabili riconosciuti e garantiti dall’articolo 2 della Costituzione, può essere esclusivamente disciplinato dalla legge che può limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali parimenti fondamentali e generali; pertanto, essendo le disposizioni normative in materia di ineleggibilità e di incompatibilità di stretta interpretazione ed applicazione, le stesse non sono suscettibili di interpretazione analogica (Corte Cost. 44/1997; Cass. Civ. sez. I n. 28504/2011). In relazione alla ipotesi specifica di cui all’art. 63 comma 1 n. 4 del Tuel, la giurisprudenza di legittimità precisa in maniera costante che, per la sussistenza della predetta causa di limitazione all’espletamento del mandato elettivo è necessario fare riferimento al concetto tecnico di parte in senso processuale.Le parti del processo sono individuabili nei soggetti che, a seguito del compimento di determinati atti processuali (proposizione della domanda, costituzione del processo), assumono la qualità e la conseguente titolarità di una serie di poteri e facoltà processuali. Dunque, secondo opinione condivisa in dottrina e in giurisprudenza, parte in senso processuale non è il soggetto meramente interessato all’esito della lite né tutti coloro interessati ad ottenere un vantaggio dalla pronuncia giurisdizionale in quanto, opinando in tal senso, si aprirebbe il varco ad una compressione ingiustificata del diritto costituzionalmente garantito di ricoprire una carica amministrativa.Tale orientamento, sostenuto dalla giurisprudenza  (Cass.Civ. sez. I 19.05.2001 n. 6880;  Corte Cost. sent. 240/2008), risulta condiviso in maniera unanime anche dalla dottrina. Deve trattarsi, dunque, di una effettiva controversia giudiziaria e non di una lite potenziale o di un contrasto potenziale, o reale, di interessi.La “lite” deve riflettere uno scontro di interessi tra le parti che devono risultare contrapposte. Per “lite pendente”, quindi, deve intendersi la pendenza di una controversia giudiziaria e non risulta sufficiente la mera constatazione dell’esistenza di un procedimento civile o amministrativo nel quale siano coinvolti, attivamente o passivamente, l’eletto o l’ente ma occorre che a tale dato formale corrisponda una concreta contrapposizione di parti, ossia una reale situazione di conflitto, onde sussiste l’esigenza di evitare che il conflitto di interessi, che ha determinato la lite, possa orientare le scelte dell’eletto in pregiudizio per l’ente o, comunque, possa ingenerare all’esterno, sospetti a riguardo (cfr. Cass. Civ. sez. I n. 10335 del 28.07.2001). Ai fini della sussistenza della causa di incompatibilità della lite pendente con il Comune non sono, infine, sindacabili i motivi del giudizio pendente, dovendo unicamente rilevarsi il dato formale ed obiettivo di tale pendenza che esaurisce, ex se, il presupposto dell’incompatibilità che continuerà a perdurare per tutta la durata del contenzioso in essere indipendentemente dai possibili e futuri sviluppi processuali (Cass. Civ. sez. I n. 1666 del 1991). Sulla scorta delle coordinate normative e giurisprudenziali sopra delineate, e poiché pende un giudizio in cui il Comune e il consigliere sono parti contrapposte, sussiste nei confronti dell’amministratore  la causa di incompatibilità di cui all’art. 63 comma 1 n. 4 Tuoel. Resta fermo che, in conformità al principio generale per cui ogni organo collegiale è competente a deliberare sulla regolarità dei titoli di appartenenza dei propri componenti, spetta al consiglio comunale la verifica della sussistenza di cause ostative all’espletamento del mandato elettivo, secondo la procedura di cui all’art. 69 Tuoel che garantisce il contraddittorio tra organo ed amministratore interessato, assicurando a quest’ultimo l’esercizio del diritto di difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa ostativa contestata (Cass. Civ. 12809/2004). Viene richiesto, inoltre, se è di carattere perentorio il termine di cui all’art. 69 citato per la contestazione dell’incompatibilità e la sua successiva trattazione in consiglio nonché se sussista la possibilità di sospendere il procedimento in attesa della definizione del giudizio. Si rappresenta che non si rinvengono pronunce specifiche sulla natura dei termini ivi previsti, registrandosi, invece, puntuali orientamenti riguardanti i termini riportati in altre disposizioni del Tuoel che, in via generale, è utile richiamare. In particolare, il Consiglio di Stato (n.640/2006), con riferimento all’art. 40 comma 1 del Tuoel a mente del quale “la prima seduta del consiglio comunale (..) deve tenersi entro il termine di dieci giorni dalla convocazione”, ha evidenziato che “il termine di dieci giorni stabilito dall’art. 40 comma 1 del d.lgs. 267/2000 per la prima seduta del consiglio comunale dopo la sua elezione, non è perentorio ma è solo acceleratorio, rivolto com’è a far effettuare, con la maggiore sollecitudine possibile, i primi adempimenti del consiglio comunale stabiliti dall’art. 41 del Tuoel, perché questo possa entrare quanto prima nel pieno delle sue funzioni. L’art. 40 citato non conferisce espressamente carattere di perentorietà al termine in questione né tale carattere può desumersi in via di interpretazione, giacchè, a parte la considerazione ora espressa è evidente che la norma impone incombenze ineludibili e quindi da ottemperare anche oltre il predetto termine”. Nella stessa pronuncia, il Consiglio di Stato afferma che neanche il termine stabilito dall’art. 38 comma 8 Tuoel per la surrogazione dei consiglieri dimissionari ha natura perentoria non essendo collegato alla sua eventuale inosservanza alcun effetto sanzionatorio. Ad avviso del Consiglio di Stato, la disposizione in esame, per la quale il consiglio deve procedere alla surroga entro e non oltre dieci giorni, non ha affatto reso perentorio il predetto termine non collegando alcun effetto all’eventuale superamento dello stesso ma ha solo accentuato il suo carattere acceleratorio. Ciò detto, quand’anche i termini di cui all’art. 69 fossero considerati ordinatori e non perentori, per natura finalizzati ad accelerare l’esito del procedimento, si ritiene che non sia possibile sospendere il procedimento di verifica già avviato in attesa dell’esito del contenzioso, né tantomeno decidere con una “convalida con riserva” e ciò in considerazione del fatto che i tempi processuali sono non preventivabili, e che si verrebbe a vanificare la ratio dell’art. 41 comma 1 Tuoel che richiede come primo adempimento la verifica della legittima costituzione dell’organo consiliare laddove chiaramente dispone che “nella prima seduta il consiglio comunale (..) prima di deliberare su qualsiasi altro oggetto (..) deve esaminare la condizione degli eletti a norma del capo II titolo III  e dichiarare la ineleggibilità di essi quando sussista alcuna delle cause ivi previste, provvedendo secondo la procedura indicata nell’art. 69”.

 

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