15/09/2022 –  Il reddito di dirigenza

Nel Paese nel quale infuria da anni il dibattito sull’opportunità stessa di mantenere il reddito di cittadinanza e nel quale si tentenna sempre per ogni decisione, nessun dubbio ha sfiorato nessuno, in Parlamento e nel Governo, sull’opportunità di elevare il “reddito di dirigenza”.

Non di tutta la dirigenza, sia ben chiaro: tra gli emendamenti revisionati dal Governo alla legge di conversione del decreto Aiuti bis è inizialmente passato quello che permette lo sforamento del limite annuo di 240.000 euro per gli altissimi vertici: Capo della polizia, Comandante generale dell’Arma dei carabinieri, Comandante generale della Guardia di finanza, Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Capo di stato maggiore della difesa, Capi di stato maggiore delle Forze armate, Comandante del comando operativo interforze, Comandante generale delle capitanerie di porto, Capi dipartimento della presidenza del Consiglio dei ministri, Capi Dipartimento dei ministeri, Segretario generale della Presidenza del consiglio, Segretari generali dei ministeri.

Un gruppo non folto, ma selezionatissimo, di dirigenti “apicali”, quelli, cioè, che la stessa Corte costituzionale ammette possano essere – come infatti avviene – nominati direttamente dalla politica applicando lo spoil system in base alla loro “personale adesione” all’orientamento politico della maggioranza in quel momento al vertice.

Generalmente, nei casi nei quali nelle norme viene inserita qualche norma molto antipatica e difficile da digerire, tipo eliminazione di limiti all’uso del contante oppure eliminazione di responsabilità per evasione fiscale, scatta subito il gioco tra chi, dai vertici del Governo e del Parlamento, afferma di non sapere nulla e di essere stato preso alla sprovvista, chi cerca la “manina” dispettosa i cui polpastrelli hanno digitato la norma e chi denuncia “irritazione” per l’avvenuto.

Certo, mentre galoppa l’inflazione, aumentano i prezzi, e non solo di gas ed energia elettrica, si riduce il potere di acquisto, l’occupazione stagna, i contratti collettivi di lavoro sono sempre in forte ritardo e mentre argomenti meritevoli di approfondimento come i ragionamenti su salario minimo (ma, soprattutto, interventi sull’eccessivo numero di contratti collettivi capaci di rendere caotico un sistema pur formalmente capace di coprire per oltre il 90% dei rapporti di lavoro con i Ccnl) o, appunto, correttivi al Reddito di cittadinanza per migliorarne i molti aspetti disfunzionali, addirittura con atteggiamenti di forte opposizione all’intervento sui contratti collettivi ed al Reddito stesso, del quale molti chiedono la semplice abrogazione; mentre tutto questo accade, senza alcun dibattito, senza nessuna faccia malmostosa sull’argomento, la “manina” elimina il tetto ai compensi dei dirigenti apicali, quelli vicini alla politica e nominati dalla politica; quelli che, spesso, garantiscono appunto “manine” esperte, capaci di inserire la parola, la virgola, il richiamo capace di rendere la norma da generale e astratta a specifica per precise categorie di “grandi elettori”; quelli che sono continuamente rinforzati dal un Legislatore frettoloso e approssimativo, dunque propenso a disporre norme incomplete, intrise di rinvii a successivi “decreti attuativi” terreno di conquista delle altissime burocrazie. Ove le “manine” si moltiplicano, non solo nei gesti della digitazione e scrittura di norme delicate, ma anche in quello di chiedere, e talvolta ottenere, privilegi, anche fuori contesto.

Sul “reddito di dirigenza”, dunque, non vi sono state incertezze, anche se nelle ultime ore le varie “irritazioni” stanno spingendo le forze politiche ad un ripensamento.

Tanta determinazione dimostra che determinate decisioni non si impantanano a causa delle “pastoie” burocratiche o di meccanismi esoterici: quando lo si vuole, le decisioni sono fulminee ed immediate e le “manine” veloci e chirurgiche.

 

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