20/09/2022 – Notifica – Natura – Conoscenza dell’atto – Validità dell’atto notificato

Sentenza del 31/08/2022 n. 25629 – Corte di Cassazione – Sezione/Collegio 5

Intitolazione:

Notifica – Natura – Conoscenza dell’atto – Validità dell’atto notificato.

Massima:

In materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e agli effetti sull’osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi di imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dall’art.60 del D.P.R. 29 settembre 1973 n.600, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli adempimenti necessari ai fini della notifica dell’atto e non quello, eventualmente successivo, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente. L’atto amministrativo d’imposizione tributaria è una dichiarazione recettizia solitaria che non necessita di per sé della collaborazione cognitiva di altri soggetti per svolgere la sua funzione, ma è solo per la sua forza di limitazione della sfera di un altro soggetto che si vuole che questi sia posto in condizione di conoscibilità e che a tale condizione sia subordinata l’efficacia della dichiarazione. Ne deriva, a differenza della dichiarazione recettizia non solitaria, per la quale la conoscenza del destinatario è condizione necessaria perché la dichiarazione esplichi, non solo i suoi effetti giuridici, ma anche la sua funzione pratica, l’idoneità della decisione amministrativa tributaria a produrre, anche da sola, il risultato effettivo per il quale è stata formulata, sicché, l’atto tributario, perfetto e valido sin dal momento della sua emissione, esplica i suoi effetti (di incisione sulla sfera giuridica del contribuente e di attivazione del contraddittorio tra questi e l’amministrazione finanziaria) con la sua notificazione che rimane, però, momento susseguente e autonomo, rispetto a quello di giuridica formazione dell’atto, tant’è che eventuali vizi del procedimento notificatorio non incidono sull’esistenza e sulla validità dell’atto stesso.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Testo:

Fatti di causa

M.M.L. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 30 giugno 2016 n. 4300/09/2016, che, in controversia su impugnazione di cartella di pagamento sul presupposto di avviso di liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale in dipendenza della revoca dell’agevolazione della c.d. “prima casa” per il mancato riacquisto di altra abitazione entro il termine di un anno dall’alienazione dell’abitazione acquistata con il beneficio fiscale, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della medesima e dell’EQUITALIA S.p.A.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il 28 gennaio 2015 n. 1465/61/2015, con condanna alla rifusione delle spese giudiziali. Ritenendo estraneo alla vicenda processuale l’agente della riscossione, la Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure, sul presupposto che l’avviso di liquidazione fosse stato regolarmente notificato alla contribuente senza essere impugnato nel termine di decadenza e la notifica della cartella di pagamento alla contribuente fosse stata eseguita prima della scadenza del termine di prescrizione dell’iscrizione a ruolo. Il ricorso è affidato a tre motivi. L’Agenzia delle Entrate si è tardivamente costituita al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione. Con ordinanza interlocutoria, il collegio ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo in attesa della pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte sulla questione dell’applicabilità del principio di scissione soggettiva degli effetti anche alla notificazione degli atti impositivi ed alla notificazione effettuata dal messo notificatore. All’esito, la trattazione della causa è stata fissata per l’udienza pubblica del 28 giugno 2022. Con conclusioni scritte, il P.M. ha chiesto il rigetto del ricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi di ricorso

1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’artt. 115, 116, 327 e 437 c.p.c., il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 16 e 57, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado: 1) che l’appello fosse stato tempestivo a causa della consegna del plico dal messo notificatore all’agente postale per la spedizione dopo ben due giorni dalla scadenza del termine lungo di impugnazione, nonostante l’apposizione di data antecedente sulla relata di notifica; 2) che l’appellante potesse proporre nuove eccezioni nel corso del giudizio di appello; 3) che la prova della conoscenza dell’avviso di liquidazione potesse essere desunta dalla proposizione dell’istanza di autotutela e non dalla relativa notificazione.

2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e/c, falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 52 e 76, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546art. 19, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado che la notifica dell’avviso di liquidazione si fosse perfezionata con la proposizione dell’istanza di autotutela, la quale, pur denotando la conoscenza aliunde dell’atto impositivo, non poteva, comunque, valere come surrogato della notificazione ai fini dell’impugnazione dinanzi al giudice tributario.

3. Con il terzo motivo, si denuncia omessa motivazione circa fatti controversi decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per essere stato accolto l’appello dal giudice di secondo grado con motivazione omessa o insufficiente.

RAGIONI DELLA DECISIONE;

1. Ragioni di priorità logica e giuridica inducono a discostarsi dall’ordine numerico di prospettazione introduttiva dei motivi e ad esaminare in via preliminare il terzo motivo, che censura l’adeguatezza motivazionale della sentenza impugnata nel suo complesso.

1.1 Ciò detto, il terzo motivo è inammissibile.

1.1 Nella specie, la doglianza motivazionale è formulata in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo previgente ratione temporis (cioè, nella versione antecedente alla novella del 2012).

In proposito, è pacifico che, ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2012, n. 143, la nuova formulazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, vale a dire alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012 (in termini: Cass., Sez. 3, 18 dicembre 2014, n. 26654).

Invero, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverse della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le tante: Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., Sez. 6-3, 27 novembre 2014, n. 25216; Cass., Sez. 2″, 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., Sez. Lav., 21 ottobre 2019, n. 26764; Cass., Sez. 5, 12 luglio 202.1, nn. 19820, 19824, 19826 e 19827; Cass., Sez. 5″, 22 luglio 2021, n. 20963; Cass., Sez. 5″, 27 luglio 2021, n. 21431). L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, nella Legge 7 agosto 2012 n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., Sez. 1, 14 settembre 2018, n. 26305; Cass., Sez. 6″-1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5, 11 maggio 2021, n. 12:400; Cass., Sez. 5″, 24 luglio 2021, nn. 21457 e 21458) nè l’omessa disanima di questioni o argomentazioni (Cass., Sez. 6-1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5, 20 aprile 2021, n. 10285).

1.2 Ne discende che la deduzione del vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2012, n. 143) non è più idonea a censurare l’omissione o l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata in relazione a fatti controversi.

Secondo questa Corte, infatti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante a seguito della modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2012, n. 143, applicabile ratione temporis al caso in esame, il vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione non è più deducibile quale vizio di legittimità (tra le più recenti: Cass., Sez. 5, 12 aprile 2022, n. 11719).

2. Il primo motivo ed il secondo motivo – la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto – sono infondati.

2.1 Come si è anticipato, l’ordinanza interlocutoria depositata da questa Sezione il 21 luglio 2020 n. 15545 ha rimesso alle Sezioni Unite la questione concernente l’applicabilità del principio di scissione soggettiva degli effetti notificatori, quando la notificazione non sia effettuata dall’ufficiale giudiziario, ma dal messo notificatore speciale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 60, comma 1, lett. a, e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 4.

2.2 Secondo le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2021, n. 40543), per la soluzione della questione, assume precipuo rilievo l’ulteriore corollario che deriva dalla regola della scissione soggettiva degli effetti della notificazione. L’esigenza, posta alla base del principio, di evitare pregiudizi per attività in parte sottratte ai poteri di impulso del notificante sottende, infatti, una ratio più ampia, ovvero quella di impedire irragionevolmente un effetto di decadenza la quale ha senso come sanzione, solo se rapportata ad un’effettiva inerzia della parte nel termine fissato per legge e il termine previsto per il notificante per svolgere l’attività posta a suo carico, nella logica del bilanciamento degli interessi, gli deve essere riconosciuto per intero, sino allo scadere, altrimenti dominerebbe la totale incertezza giuridica.

In tale logica, rimane, allora, ininfluente la natura del soggetto notificatore (terzo o dipendente della parte notificante), essendo rilevante, ai fini dell’impedimento della decadenza, unicamente che la parte gravata svolga le attività poste a suo carico (emissione dell’atto e richiesta per la notificazione) nel termine perentorio di legge, e che, al fine di garantire l’effettività dell’esercizio dei suoi diritti, sia messa in grado di svolgerle sino all’ultimo momento.

Tale soluzione trova conforto nella sentenza depositata dalla Corte Costituzionale il 9 aprile 2019 n. 75, con la quale si è dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-septies, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, “nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anzichè al momento di generazione della predetta ricevuta”.

Il giudice delle leggi, in espressa applicazione della regola generale di scindibilità soggettiva degli effetti della notificazione, ha, infatti, ritenuto non giustificato il differirnento nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente, perchè in tal modo a quest’ultimo verrebbe “impedito di utilizzare appieno il termine utile per approntare la difesa senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto del riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta”.

A fronte di questa “oggettivazione” del principio di scissione degli effetti della notifica, che da regola del caso concreto è divenuto principio generale in materia, escluderne l’operatività alle notificazioni effettuate dall’amministrazione finanziaria a mezzo dei messi speciali autorizzati comporterebbe non solo una ingiustificata e irragionevole riduzione del termine per l’esercizio del potere impositivo nei confronti del ‘ente impositore solo perchè si sia avvalso, tra le varie tipologie di notificazione possibile, dell’opera di un soggetto che il legislatore ha appositamente previsto per l’esigenza opposta (ovvero assicurare una notificazione dell’atto impositivo la più diretta e, quindi, celere possibile), ma condurrebbe anche a incentivare forme di notificazione, contrarie allo stesso spirito della legge che tali speciali messi notificatori ha previsto, o comportamenti in violazione dello spirito di collaborazione che, pure, deve improntare il destinatario della notificazione.

2.3 Su tali premesse, è stato enunciato il seguente principio di diritto: “In materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e agli effetti di questa sull’osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi di imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, trova sempre applicazione, a ciò non ostando nè la peculiare natura recettizia di tali atti nè la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli adempimenti necessari ai fini della notifica dell’atto e non quello, eventualmente successivo, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente” (Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2021, n. 40543).

2.4 In conformità a tale principio, dopo aver accertato (in base alla narrazione degli antefatti processuali) che la sentenza appellata era stata pubblicata il 28 gennaio 2015, che la raccomandata era stata consegnata al servizio postale H (——) (come si evinceva dalla ricevuta di spedizione n. (——) del (——)) e che l’appello era stato spedito dal servizio postale il 30 luglio 2015, il giudice di secondo grado ha rigettato l’appello nel merito, avendo implicitamente disatteso l’eccezione di inammissibilità per tardiva proposizione oltre il termine semestrale ex art. 327 c.p.c.. Invero, al momento della consegna del plico contenente l’atto di appello al servizio postale per la notifica al destinatario mediante lettera raccomandata, la decadenza non si era ancora consumata, venendo a scadenza il predetto termine soltanto il successivo 28 luglio 2015.

2.5 Per il resto, è pacifico che il carattere impugnatorio del processo tributario è logicamente incompatibile con la proponibilità da parte dell’ufficio di eccezioni nuove in appello (come tali inammissibili), poichè le eccezioni in senso tecnico costituendo lo strumento processuale attraverso il quale si fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa, su cui il giudice non può pronunciarsi in mancanza dell’allegazione ad opera di una delle parti, nel processo tributario riguarderebbero la pretesa fiscale, avanzata dalla stessa amministrazione finanziaria (tra le altre: Cass., Sez. 5, 13 ottobre 2006, n. 22010; Cass., Sez. 5, 1 maggio 2007, n. 10779; Cass., Sez. 5, 16 febbraio 2012, n. 2201; Cass., Sez. 5, 31 maggio 2019, n. 14949; Cass., Sez. 6-5, 15 marzo 2021, n. 7210; Cass., Sez. 6-5, 20 ottobre 2021, n. 29061).

Ciò non di meno, la parità di posizione processuale tra contribuente ed amministrazione finanziaria (sul piano dell’esercizio del diritto di difesa: art. 24 Cost.) non può prescindere dalla peculiarità del giudizio tributario, il quale non si connota come un giudizio di “impugnazione-annullamento”, bensì come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, dagli specifici motivi dedotti nel ricorso introduttivo del contribuente (tra le altre: Cass., Sez. 5, 11 maggio 2007, n. 10779; Cass. Sez. 5, 20 ottobre 2011, n. 21759; Cass., Sez. 5, 8 giugno 2018, n. 14925; Cass., Sez. 6-5, 2 ottobre 2017, n. 23032; Cass., Sez. 5, 23 dicembre 2020, n. 29393; Cass., Sez. 5, 16 settembre 2021, nn. 25037 e 25038; Cass., Sez. 5, 21 aprile 2022, n. 12695).

Per cui, l’osservanza del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, da parte dell’amministrazione finanziaria si risolve nella preclusione a mutare i termini della contestazione, deducendo motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento o, comunque, avanzando pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sul piano della causa petendi, da quelle recepite nell’atto impositivo (Cass., Sez. 5, 29 ottobre 2008, n. 25909; Cass., Sez. 5, 10 maggio 2019, n. 12467; Cass., Sez. 5, 26 febbraio 2020, n. 5160; Cass., Sez. 5, 17 maggio 2021, n. 17233; Cass., Sez. 5, 26 maggio 2022, n. 17189).

Così, in tema di contenzioso tributario, il divieto di domande nuove previsto al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 1, trova applicazione anche nei confronti dell’ufficio finanziario, al quale non è consentito, innanzi al giudice di appello, avanzare pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo, e dunque sul piano della causa petendi, da quelle recepite nell’atto impositivo, altrimenti ledendosi la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa attraverso l’esternazione dei motivi di ricorso, i quali, necessariamente, vanno rapportati a ciò che nell’atto stesso risulta esposto (Cass., Sez. 5, 11 dicembre 2012, n. 22553; Cass., Sez. 5, 7 maggio 2014, n. 9810; Cass., Sez. 5, 27 giugno 2019, n. 17231; Cass., Sez. 5, 26 febbraio 2020, n. 5160).

Parimenti, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto sempre dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, riguarda le eccezioni in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale. Pertanto, esso non limita affatto la possibilità dell’amministrazione finanziaria di difendersi in tale giudizio, nè quella d’impugnare la sentenza che lo conclude, qualora la stessa abbia accolto una domanda avversaria per ragioni diverse da quelle poste dal giudice di primo grado a fondamento della propria decisione ovvero che siano sostanzialmente comprese nel thema decidendum (Cass., Sez. 5, 25 maggio 2012, n. 8316; Cass., Sez. 6, 31 maggio 2016, n. 11223; Cass., Sez. 6, 20 settembre 2017, n. 21889; Cass., Sez. 6, 29 dicembre 2017, n. 3124; C:ass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27562; Cass., Sez. 5″, 18 novembre 2019, n. 33756; Cass., Sez. 5, 23 dicembre 2020, nn. 29391 e 29393; Cass., Sez. 5, 5 novembre 2021, n. 32151; Cass., Sez. 5, 4 luglio 2022, n. 21074).

In definitiva, il divieto in questione concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili (tra le tante: Cass., Sez. 6″-.5, 7 giugno 2013, n. 14486; Cass., Sez. 5″, 22 settembre 2017, n. 22105; Cass., Sez. 6-5, 29 dicembre 2017, n. 31224; Cass., Sez. 6-5, 23 maggio 2018, n. 12651; Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2019, n. 33115; Cass., Sez. 5, 28 febbraio 2020, n. 5502; Cass., Sez. 5, 13 ottobre 2020, n. 22004; Cass., Sez. 5, 29 gennaio 2021, n. 2072; Cass., Sez. 5, 17 marzo 2021, n. 7434).

2.6 Dunque, l’amministrazione finanziaria ha facoltà di integrare, completare ed ampliare le proprie difese ed eccezioni (improprie) con la costituzione nel giudizio di appello, Fermo restando il limite invalicabile delle ragioni (di fatto e di diritto) poste a fondamento dell’atto impositivo.

Per cui, nel processo tributario, la parte resistente, la quale, in primo grado, si sia limitata ad una contestazione generica del ricorso, può rendere specifica la stessa in sede di gravame poichè il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, riguarda solo le eccezioni in senso stretto e non anche le mere difese, che non introducono nuovi temi di indagine (in termini: Cass., Sez. 6-5, 23 maggio 2018, n. 12651).

2.7 Su tali premesse, quindi, non si può ritenere che, con l’atto di appello, l’amministrazione finanziaria abbia ampliato il thema decidendum mediante la proposizione di una domanda o di un’eccezione nuova (in senso tecnico), essendosi limitata soltanto a precisare ed arricchire le argomentazioni dedotte nel giudizio di prime cure a difesa del proprio operato, con la semplice specificazione – nell’atto di appello – che la contribuente aveva depositato il 4 novembre 2009 un’istanza per l’annullamento in autotutela dell’avviso di liquidazione che si assumeva essere stato notificato alla destinataria a mezzo del servizio postale il 10 settembre 2009 (in base al timbro apposto in calce alla copia in possesso dell’amministrazione finanziaria). Il che comportava l’implicita ammissione di averne avuto piena conoscenza prima (o, comunque, in coincidenza) del 4 novembre 2009.

1.7 Pertanto, non si può ravvisare alcun mutamento della causa petendi, nè alcun ampliamento del thema decidendum, essendo stata ristretta la cognizione del giudice di appello alla valutazione della fondatezza della pretesa tributaria nei limiti delle circostanze e delle deduzioni poste a fondamento della cartella di pagamento.

1.8 Ciò non di meno, si pone al questione se la notifica al contribuente dell’avviso di liquidazione prodromico alla cartella di pagamento – ai fini del decorso del relativo termine di impugnazione – possa essere provata dall’amministrazione finanziaria con mezzi diversi (in particolare a mezzo di presunzioni semplici ex artt. 2727 e 2729 c.c.), dai quali, risulti comunque, la piena conoscenza nell’an e nel quantum della pretesa impositiva.

1.9 A tale riguardo, si deve segnalare che, componendo un conflitto tra l’orientamento (Cass., Sez. 5, 21 aprile 2001, n. 5924; Cass., Sez. 5, 1 marzo 2002, n. 3513) secondo cui l’avviso di accertamento non è un atto processuale, nè è funzionale al processo – la cui instaurazione si correla non già alla notificazione dell’avviso di accertamento o di qualsiasi atto impositivo impugnabile, che ne costituisce un semplice antecedente, ma alla proposizione del ricorso di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 15 e seguenti, e, successivamente, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18 e 20, ma è atto amministrativo, esplicativo della potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria, con la conseguenza che la disciplina della sanatoria delle nullità delle notificazioni degli atti processuali è inapplicabile all’avviso di accertamento, per cui non può ritenersi, alla stregua di tale disciplina, che la proposizione del ricorso da parte del contribuente avverso l’atto notificato possa produrre l’effetto di impedire, in ogni caso, la verificazione della decadenza di diritto sostanziale, correlata alla mancata tempestiva e valida notifica di detto avviso prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 1, e l’orientamento (Cass., Sez. 1″, 7 aprile 1994, n. 3294; Cass., Sez. 1, 9 giugno 1997, n. 5100; Cass., Sez. 5, 29 maggio 2001, n. 7284; Cass., Sez. 5A, 12 settembre 2002, n. 17762) secondo cui la notificazione dell’avviso di accertamento affetta da nullità rimane sanata, con effetto ex tunc, dalla tempestiva proposizione del ricorso del contribuente, atteso che, da un lato, l’avvmso di accertamento ha natura di provocatio ad opponendum, la cui notificazione è preordinata all’impugnazione e, dall’altro, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1 (dettato in materia di accertamento delle imposte sui redditi, ma applicabile anche in tema di imposta di registro ed INVIM) richiama espressamente, per gli avvisi ed altri atti che devono essere notificati al contribuente, “le norme stabilite dagli artt. 137 e seguenti c.p.c.”, così rendendo applicabile l’art. 160 c.p.c., il quale, attraverso il rinvio al precedente art. 156 c.p.c., prevede che la nullità non possa essere dichiarata quando l’atto ha raggiunto il suo scopo, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., 5 ottobre 2004, n. 19854) hanno affermato che la natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione finanziaria enuncia le ragioni ni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria, per cui l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c., ma tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio del potere di accertamento.

In seguito, su tale premessa, questa Corte ha costantemente ribadito che la notificazione dell’atto amministrativo d’imposizione tributaria costituisce una condizione integrativa dell’efficacia della decisione assunta dall’ufficio finanziario, ma non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento dell’atto. Ne consegue che l’inesistenza della notificazione non determina in via automatica l’inesistenza dell’atto, quando ne risulti inequivocabilmente la piena conoscenza da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso all’ufficio finanziario per adottare e notificare il provvedimento amministrativo tributario, nel qual caso grava sull’ufficio stesso l’onere di provare la piena conoscenza dell’atto da parte del contribuente e la sua acquisizione entro il predetto termine di decadenza (tra le tante: Cass., Sez. 5, 27 febbraio 2009, n. 4760; Cass., Sez. 5, 9 giugno 2010, n. 13852; Cas., Sez. 5, 11 giugno 2010, nn. 14101 e 14102; Cass., Sez. 5, 3 dicembre 2010, n. 24600; Cass., Sez. 5, 4 febbraio 2011, n. 2728; Cass., Sez. 5, 26 settembre 2012, nn. 16363 e 16370; Cass., Sez. 5, 17 aprile 2015, n. 7874; Cass., Sez. 5, 24 aprile 2015, n. 8374; Cass., Sez. 5, 8 maggio 2015, n. 9358; Cass., Sez. 5, 16 marzo 2016, n. 5136; Cass., Sez. 5, 15 marzo 2017, n. 6670; Cass., Sez. 5, 20 marzo 2017, n. 7074; Cass., Sez. 5, 20 dicembre 2017, n. 30563; Cass., Sez. 5, 4 aprile 2019, n. 9422; Cass., Sez. 5, 9 ottobre 2020, n. 21807; Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2021, n. 40543; Cass., Sez. 6-5, 18 gennaio 2022, n. 1354; Cass., Sez. 6-5, 31 marzo 2022, n. 10385).

In particolare, secondo tale orientamento, la notificazione della decisione tributaria non è un elemento per la sua giuridica esistenza, ma ne rappresenta una mera condizione di efficacia. In tale ambito, la notificazione dell’atto tributario, già esistente e perfetto, assolve alla duplice funzione di tutelare le contrapposte esigenze del diritto dello Stato a riscuotere agevolmente quanto necessario per affrontare le spese pubbliche cui tutti concorrono in ragione della propria capacità contributiva ai sensi dell’art. 53 Cost. e del diritto del contribuente a non subire danni ingiusti dagli atti autoritativi dello Stato. La notificazione, funzionale al soddisfacimento dei contrapposti interessi delle parti, rileva in quanto è processo produttivo di conseguenze sul rapporto giuridico fisco-contribuente perchè da un lato assolve al rito della ricettività degli atti amministrativi di accertamento e dall’altro risponde all’esigenza di assicurare il contraddittorio tra le parti. E, in tale ottica, va inquadrata la natura recettiva dell’atto di imposizione tributaria. Esso non è, sicuramente, atto recettizio, nei sensi di cui all’art. 1334 c.c., perchè tale norma vale solo per gli atti negoziali, laddove, di contro, l’atto di imposizione tributaria ha indubbia natura di provvedimento amministrativo vincolato con il quale si determina autoritativamente l’obbligazione tributaria. La recettività di tale atto, come sua condizione di efficacia, si pone su un piano diverso (di capacità del provvedimento autoritativo di incidere sul complesso dei diritti del suo destinatario e di attivarne il necessario contraddittorio processuale) rispetto a quello della norma codicistica. L’atto amministrativo d’imposizione tributaria è una dichiarazione recettizia solitaria che non necessita di per sè della collaborazione cognitiva di altri soggetti per svolgere la sua funzione, ma è solo per la sua forza di limitazione della sfera di un altro soggetto che si vuole che questi sia posto in condizione di conoscibilità e che a tale condizione sia subordinata l’efficacia della dichiarazione. Ne deriva, a differenza della dichiarazione recettizia non solitaria, per la quale la conoscenza del destinatario è condizione necessaria perchè la dichiarazione esplichi, non solo i suoi effetti giuridici, ma anche la sua funzione pratica, l’idoneità della decisione amministrativa tributaria a produrre, anche da sola, il risultato effettivo per il quale è stata formulata. Alla luce dei superiori, consolidati, principi può, quindi, in sintesi, affermarsi che l’atto tributario, perfetto e valido sin dal momento della sua emissione, esplica i suoi effetti (di incisione sulla sfera giuridica del contribuente e di attivazione del contraddittorio tra questi e l’amministrazione finanziaria) con la sua notificazione che rimane, però, momento susseguente e autonomo, rispetto a quello di giuridica formazione dell’atto, tant’è che eventuali vizi del procedimento notificatorio non incidono sull’esistenza e sulla validità dell’atto stesso (Cass., Sez. 6-5, 31 marzo 2022, n. 10385).

1.10 Nella specie, secondo la sequenza degli antefatti processuali, risulta che la contribuente ha acquisito piena conoscenza aliunde dell’avviso di liquidazione (4 novembre 2009) prima della decadenza dell’amministrazione finanziaria dall’esercizio del potere di accertamento, cioè prima del decorso di un triennio (25 luglio 2010) a partire dalla scadenza di un anno dall’alienazione dell’abitazione acquistata col beneficio fiscale (25 luglio 2006) (Cass., Sez. 5, 31 luglio 2018, n. 20265).

Per cui, in conformità al principio enunciato, secondo la sentenza impugnata, “tale prova è dirimente ai fini della presente decisione in quanto l’avviso “de quo” non è stato mai impugnato e, dunque, è divenuto definitivo legittimando l’ufficio all’iscrizione a ruolo delle somme dovute con la cartella di pagamento impugnata (…)”.

1.11 Quanto, poi, alla cartella di pagamento, la relativa notifica alla contribuente è stata regolarmente eseguita il 25 gennaio 2012, ben prima, cioè, della scadenza del termine decennale di prescrizione (3 gennaio 2020) decorrente dalla definitività dell’avviso di liquidazione (3 gennaio 2010) (considerando la notifica eseguita il 4 novembre 2009).

Difatti, è pacifico che, in tema di imposta di registro, una volta divenuto definitivo l’avviso di liquidazione per mancata impugnazione, ai fini della riscossione del credito opera unicamente il termine decennale di prescrizione di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 78, non trovando applicazione nè il termine triennale di decadenza previsto dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 76, concernente l’esercizio del potere impositivo, nè il termine di decadenza contemplato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 17, comma 3, in quanto l’imposta di registro non è ricompresa tra i tributi ai quali fa riferimento il D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, (Cass., Sez. 5, 6 giugno 2014, n. 12748; Cass., Sez. 6-5, 11 maggio 2018, n. 11555; Cass., Sez. 5, 16 luglio 2020, n. 15184; Cass., Sez. 5. 6 novembre 2020, n. 24892; Cass., Sez. 5, 10 marzo 2021, n. 6606; Cass., Sez. 5, 16 maggio 2022, n. 15489).

1.12 Pertanto, il giudice di appello ha fatto corretta applicazione di tale principio, avendo ritenuto sul punto: “Quanto, altresì, all’eccezione sulla prescrizione della iscrizione a ruolo e conseguente notifica della cartella “de qua”, i termini di prescrizione non vanno dedotti dal D.P.R. n. 600 del 1973, bensì dal D.P.R. n. 131 del 1986 trattandosi di imposta di registro (e non di imposte dirette) che all’art. 78 disciplina il recupero dell’imposta definitivamente accertata nel termine di dieci anni”.

2. Alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi, rispettivamente, la infondatezza (per il primo e per il secondo) e l’inammissibilità (per il terzo) dei motivi dedotti, dunque, il ricorso deve essere rigettato.

3. Nella deve essere disposto con riguardo alla regolamentazione delle spese giudiziali, non essendo stata svolta attività difensiva dalla parte vittoriosa.

4. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2022

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