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Sentenza del 28/07/2022 n. 23682 – Corte di Cassazione – Sezione/Collegio 5 

Intitolazione:

ICI – Oneri di urbanizzazione – Incidono sul valore dell’area edificabile.

Massima:

In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11 quaterdecies, comma 16, del D.L. n. 203 del 2005, e dell’art. 36, comma 2, del D.L. n. 223 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 1, lettera b), del Decreto Legislativo n. 504 del 1992, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, ma tuttavia occorre tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore in comune commercio. Infatti, le delibere con le quali il Comune predetermina periodicamente per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, svolgono una funzione analoga a quella dei cosiddetti studi di settore, costituenti una diretta derivazione dei redditometri o coefficienti di reddito e di ricavi ed atteggiantisi come mera fonte di presunzioni hominis, vale a dire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari ISTAT, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti. Pertanto, a fronte di un quadro regolatorio che involge la forza persuasiva dei criteri di accertamento predeterminati dallo stesso ente impositore e la loro specifica incidenza, nella fattispecie esaminata, era necessario accertare gli effettivi termini del procedimento di stima adottato dall’ente, trattandosi di verificare la correttezza della concreta applicazione del metodo di stima prescelto, avuto riguardo alla riscontrabilità dei dati fattuali postivi a fondamento ed al rigore del procedimento inferenziale sotteso all’utilizzazione del metodo di stima.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Testo:

Fatti di causa

Il Comune di Fiumicino ha notificato alla società in data 5 maggio 2011 mediante avvisi di accertamento e liquidazione di una maggiore ICI per gli anni (——) al (——), che sostituivano precedenti atti di accertamento, per la stessa imposta, notificati il 25 novembre 2010.

La società contribuente ha impugnato gli avvisi, eccependo la decadenza dalla pretesa per l’anno (——), la illegittimità per mancata diversificazione del valore di terreni tutti compresi in un’area oggetto di convenzione urbanistica e censurando la determinazione dei valori venali delle aree anche per alcuni errori di computo. Il giudice di primo grado ha accolto il motivo relativo all’errore di computo respingendo, quanto al resto, per il resto il ricorso. La società ha proposto appello che la Commissione regionale tributaria del Lazio ha respinto, rilevando quanto alla decadenza per l’anno d’imposta (——) che l’atto notificato nel 2011 non è altro che la rettifica di un atto già notificato in precedenza nel 2010 e quindi tempestivamente; che gli avvisi di accertamento sono ampiamente motivati e risultano allegati tutti i documenti idonei a chiarire la ragione della pretesa tributaria, in particolare l’indicazione del valore e le modalità con cui essi sono stati determinati; che non dovevano essere allegate le delibere in quanto atti generali soggetti a pubblicità legale; che la tassabilità dei terreni è la diretta conseguenza dell’edificabilità desunta dalla qualificazione ad esso attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune; che i valori sono stati individuati con riferimento a ciascuna annualità di imposta anche se deliberati dalla giunta nel 2009 ma stimati all’anno (——) e che comunque detti valori non sono stati contestati in forma specifica.

Avvero la predetta sentenza la contribuente ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente affidandosi a otto motivi.

Si è costituito resistendo il Comune.

Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento dell’ottavo motivo del ricorso relativo all’omessa pronuncia sull’errore di computo e il rigetto degli altri. La ricorrente ha depositato memoria. La causa è stata tratta all’udienza del 14 giugno 2022.

Ragioni della decisione

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle disposizioni che regolano il procedimento di accertamento con adesione di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, artt. 2, 6, 7, 8, 9 e del regolamento del Comune di Fiumicino approvato il 26/4/2011. La ricorrente deduce che ove il giudice regionale avesse correttamente applicato le richiamate disposizioni, avrebbe rilevato che i secondi avvisi, notificati alla parte e qui impugnati, non rappresentavano un’integrazione del verbale conclusivo del procedimento di adesione svoltosi, ma erano piuttosto l’esito della l’attivazione di un nuovo (ed autonomo) procedimento; di contro l’avviso di accertamento originario avrebbe perso ogni efficacia in quanto annullato e sostituito come conseguenza del procedimento di adesione.

2.- Con il secondo motivo del ricorso, si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la nullità della sentenza e la violazione di legge in relazione all’art. 12 preleggi, agli artt. 1362 e 1366 c.c., al D.L. n. 564 del 1994, art. 2 quater, conv. in L. n. 656 del 1994, al D.M. n. 37 del 1997 ed alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161. La ricorrente deduce che gli avvisi di accertamento in contestazione (notificati il 5 maggio 2011) costituivano espressione del potere di autotutela esercitato dall’Ente impositore, – in connessione al procedimento di accertamento per adesione attivato da essa esponente a fronte della notifica (in data 25 novembre 2010) dei primi avvisi di accertamento con conseguente riedizione del potere impositivo dietro annullamento degli originari atti notificati. In questi termini, gli stessi avvisi si auto-qualificavano quale “annullamento e sostituzione dei primi avvisi”; ne conseguiva, pertanto, che, con riferimento al periodo di imposta relativo all’anno (——), il potere impositivo, si era consumato in quanto tardivamente esercitato rispetto al previsto termine di decadenza quinquennale.

3.- I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.

Emerge dalla sentenza impugnata e da quanto dedotto in ricorso dalla contribuente che l’avviso notificato in rettifica del primo avviso di accertamento, che era tempestivo, riguarda la stessa pretesa impositiva già tempestivamente esercitata ma ne riduce l’importo, tenendo conto dei versamenti già eseguiti dalla società. L’esercizio dell’autotutela, pertanto, ha avuto riguardo al petitum degli avvisi di accertamento, potendosi qui applicare il principio che, qualora l’amministrazione si avveda che è corretta e da accogliere una contestazione mossa dal contribuente, non per questo essa deve rinnovare l’intero procedimento amministrativo, ma ha il potere dovere di ridurre la domanda rinunciando ad una parte di essa (Cass., 29 dicembre 2020, n. 29732; Cass., 21 giugno 2017, n. 15413). La modificazione in diminuzione dell’originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, limitandosi a ridurre quella originaria, per cui non costituisce atto nuovo, ma solo revoca parziale di quello precedente, che non deve rispettare il termine decadenziale di esercizio del potere impositivo (Cass., 27 aprile 2022, n. 13141; Cass., 8 giugno 2016, n. 11699). Ciò non toglie che correttamente, l’ente debba comunicare al contribuente che il nuovo avviso sostituisce il primo e cioè che la pretesa è unica ed è quella (modificata nel quantum) riportata nel secondo avviso.

4.- Con il terzo motivo, la contribuente ha eccepito la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto il profilo dell’ultrapetizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la Commissione regionale sostenuto che gli avvisi di accertamento fossero ampiamente motivati e documentati in ottemperanza alla disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 accertamento non richiesto dalla contribuente.

Il Procuratore generale osserva che il motivo è inammissibile per difetto di interesse, poichè la statuizione non sembra incidere in alcun modo sull’esito finale della decisione. Si tratta di una osservazione pienamente condivisibile, posto che la parte non specifica quale pregiudizio sarebbe derivato da un accertamento incidentale sulla adeguatezza della motivazione.

5.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36. La società deduce che la Commissione regionale ha reso una motivazione meramente apparente limitandosi e a far riferimento alla nozione di edificabilità rilevante ai fini ICI, ed alla determinazione del valore delle aree sulla base di quello stabilito con la deliberazione n. 7 del 4 febbraio 2009, senza considerare gli effettivi parametri di determinazione del valore delle aree in esso previsti. Lamenta che la Commissione regionale, ha sviluppato un iter logico giuridico del tutto incomprensibile e incongruo rispetto ai motivi di ricorso che concernevano: 1) l’omessa diversificazione del valore venale dei terreni in ragione del loro diverso stato di edificabilità, 2) l’erronea determinazione del cosiddetto utile dell’imprenditore; 3) la mancata considerazione degli oneri finanziari ai fini del calcolo del valore venale dei terreni; 4) l’erroneità in sè dei valori venali attribuiti dal Comune ai terreni accertati.

Con il quinto motivo del ricorso si deduce altresì la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 deducendo che n il giudice di secondo grado non ha pronunciato sul motivo di appello col quale si era dedotto che nella determinazione del valore delle aree edificabili, avevano concorso aree con diversi livelli di edificabilità e, in particolare, con distinta potenzialità edificatoria la cui diversa attualità conseguiva dalla gradualità degli interventi di realizzazione della convenzione urbanistica attuativa del Nuovo Piano Particolareggiato adottato dal Comune di Fiumicino.

Con il sesto motivo si deduce la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione art. 112 c.p.c. in ragione dell’omesso esame del motivo di appello col quale era stata censurata la determinazione del valore delle aree edificabili sotto il profilo dell’utile dell’imprenditore, da calcolare anche sul costo di acquisizione dei terreni e della necessità di computare, tra i costi, gli oneri finanziari; Con il settimo motivo si lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per l’omessa pronuncia sul motivo di appello che contestava il valore (di Euro 500 al mq) attribuito ai terreni edificabili ed infine con l’ottavo motivo la violazione art. 112 c.p.c. per l’omessa quantificazione dell’importo ICI da portare in detrazione di quello maggiore accertato, per effetto del rilevato errore di computo.

Il quarto motivo del ricorso è fondato.

La Commissione regionale la CTR risolve la questione con un semplice riferimento alla edificabilità del fondo, senza considerare la censura sulla rilevanza dei diversi fattori che possono in concreto incidere sul valore, e come se la valutazione dovesse operarsi in base ad un valore prefissato e in assenza di contestazione, e non anche di un procedimento di stima analitico, a fronte delle specifiche contestazioni contenute nell’atto di appello. La motivazione resa dal giudice d’appello si ferma alla affermazione di generiche premesse, che, per quanto corrette, non sono idonee a dare conto delle ragioni dell’implicito rigetto dei motivi di appello sopra esposti.

Questa Corte ha infatti affermato, con orientamento consolidato cui il Collegio intende dare continuità, che in tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2005, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, ma che tuttavia occorre tener conto di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio (Cass. Sez. U., 29 ottobre 2020, n. 23902; Cass., 10 marzo 2020, n. 6702 n. 6702 del 10/03/2020; Cass. n. 9202 del 03/04/2019 Cass. n. 5161 del 05/03/2014).

Questa Corte, altresì ha rimarcato che le delibere con le quali il Comune predetermina periodicamente per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, svolgono una funzione analoga a quella dei cosiddetti studi di settore, costituenti una diretta derivazione dei “redditometri” o “coefficienti di reddito e di ricavi” previsti dal D.L. n. 69 del 1989, convertito in L. n. 154 del 1989, ed atteggiantisi come mera fonte di presunzioni hominis, vale a dire supporti razionali offerti dall’amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari Istat, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti (Cass., 3 maggio 2019, n. 11643; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27572; Cass., 12 giugno 2018, n. 15312; Cass., 13 marzo 2015, n. 5068). Pertanto a fronte di un quadro regolatorio che involge la forza persuasiva dei criteri di accertamento predeterminati dallo stesso ente impositore e la loro specifica concludenza nella fattispecie esaminata, era necessario accertare gli effettivi termini del procedimento di stima adottato dall’ente, trattandosi “come sempre avviene nelle operazioni concettuali legate a complesse metodologie di valutazione… di verificare la correttezza della concreta applicazione del metodo di stima prescelto, avuto riguardo alla riscontrabilità dei dati fattuali postivi a fondamento ed al rigore del procedimento inferenziale sotteso all’utilizzazione del metodo di stima” (Cass., 12 luglio 2021, n. 19811).

Il riferimento alla deliberazione dell’ente, in quanto introduce delle presunzioni suscettibili di prova contraria, imponeva di ripercorrere il procedimento che vi era posto a fondamento e l’esame dei dati di fattispecie alla luce delle censure introdotte in giudizio dalla contribuente, che ne mettono in discussione l’inferenza dimostrativa con riferimento alla determinazione tanto del valore medio di edifici adibiti ad edilizia residenziale quanto dei costi che si debbono sostenere per giungere al prodotto finale.

La contribuente aveva infatti contestato i dati di fattispecie da utilizzare per determinare il valore finale ed i costi di costruzione (calcolo dell’utile, degli oneri finanziari, dei tempi di realizzazione) rilevando che pur se le aree in questione fanno parte di un organico progetto di urbanizzazione per la cui realizzazione è stata stipulata un’apposita convenzione la loro edificabilità non implica necessariamente che ad ognuna di esse possa attribuirsi il medesimo valore venale, atteso che non tutte le aree infatti possono considerarsi di pronta edificabilità, nè hanno la stessa destinazione dovendosi distinguere tra le aree a destinazione residenziale e quelle a destinazione commerciale.

L’accoglimento del quarto motivo del ricorso è assorbente rispetto ai motivi quinto, sesto, settimo e ottavo.

In conclusione, in accoglimento del quarto motivo del ricorso, respinti il primo, secondo e terzo, assorbiti gli altri, consegue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio alla Commissione regionale del Lazio in diversa composizione per un nuovo esame per la regolazione delle spese anche del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo del ricorso, rigetta il primo, secondo e terzo motivo, assorbiti gli altri, la cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2022

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