25/11/2022 – L’illegittima preclusione del consigliere comunale di accedere al gruppo misto.

Abstract

L’esercizio del mandato politico – amministrativo del consigliere comunale avviene attraverso i poteri di impulso e le prerogative dei gruppi consiliari, uno strumento previsto dalla legge, di mediazione e confronto tra le attività prettamente dell’organo consigliare e i cittadini; privare l’eletto di questo istituto, con una disciplina regolamentare interna, priva il singolo consigliere dei propri diritti, indipendentemente dall’adesione ad un gruppo esistente o a quello originario.

Sommario

  1. Una questione di libertà politica. 2. Il criterio di proporzionalità. 3. Il fatto. 4. L’indipendenza piena. 5. I gruppi. 6. I gruppi consiliari. 7. I diritti dei consiglieri all’adesione al gruppo misto unipersonale. 8. La lesione del diritto di libero mandato. 9. Il ripristino del principio di proporzionalità. 10. Considerazioni prospettiche.

 

  1. Una questione di libertà politica

La sentenza 8 agosto 2022, n. 1273, della prima sez. del TAR Veneto (estensore Bardino), interviene per delineare in modo cangiante la natura e i poteri dei gruppi consiliari, espressione di mediazione tra le istanze popolari organizzate nei partiti politici e l’attività amministrativa all’interno dell’istituzione comunale, in un bilanciamento di competenze funzionali ad assicurare la vita dell’organo più rappresentativo della Comunità locale, il quale sostiene, nella sua maggioranza, il primo cittadino e il suo governo.

Le Commissioni devono riflettere la composizione delle forze presenti in Consiglio secondo il criterio di proporzionalità e la partecipazione ai Gruppi consiliari consente di librare appieno le funzioni di consigliere comunale non potendo impedire l’iscrizione al Gruppo misto, anteponendo in modo illegittimo una soglia minima di composizione piuttosto che quella uninominale, ossia anche di un solo componente che non intenda più appartenere ad un gruppo, quello originario, o aderire ad altro (di maggioranza o minoranza).

Il pronunciamento segue ad un ricorso avverso alcuni atti riferiti all’organizzazione dei lavori consiliari, e nello specifico delle commissioni consiliari, dove vigerebbe il principio di proporzionalità, specchio dei colori dei gruppi consiliari, nonché l’adesione al gruppo misto: i componenti dovrebbero rappresentare le quote, in termini nominali, dei consiglieri presenti in consiglio (il c.d. voto ponderato) e il consigliere che non aderisce ad alcun gruppo deve essere ammesso a quello uninominale misto[1].

  1. Il criterio di proporzionalità

La violazione di tale criterio trova come riferimento la fonte del comma 6, dell’art. 38, Consigli comunali e provinciali, del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), ove si prevede in modo espresso: «Quando lo statuto lo preveda, il consiglio si avvale di commissioni costituite nel proprio seno con criterio proporzionale. Il regolamento determina i poteri delle commissioni e ne disciplina l’organizzazione e le forme di pubblicità dei lavori», significando da una parte, la necessità di una previsione statutaria per la loro legittimazione, dall’altra parte, un criterio di rappresentatività, affidando ad una norma interna le modalità di espressione dei lavori.

Appare evidente che se il consigliere comunale deve essere considerato di per sé privo della legittimazione ad agire in giudizio, posto che quest’ultima non risiede nella semplice deviazione dell’atto impugnato rispetto allo schema normativamente previsto, occorrendo quanto meno che da tale deviazione derivi la compressione di una sua prerogativa inerente all’ufficio e salve le questioni inerenti l’effettiva incidenza del vizio procedimentale sulla legittimità sostanziale dell’atto emesso in sede collegiale: si deve, di converso, ammettere che qualora si controverta su un criterio di “rappresentanza” definito dal legislatore, trova ingresso la sua capacità giuridica di impugnare gli atti ove si traducano in una lesione dello ius ad officium[2].

  1. Il fatto

Ciò posto, qualora una norma interna impedisca al singolo consigliere di aderire ad un gruppo uscito dalle elezioni nel corso del mandato (ossia, che proietti le liste che hanno partecipato alla tornata elettorale), ovvero di aderire ad un “gruppo misto” (non volendo iscriversi ad altri presenti), una volta dimessosi da un gruppo (quelli costituitesi in consiglio), si può sostenere che una norma regolamentare richieda un minimo di adesione al cit. “gruppo misto” (almeno tre) per la sua costituzione, impedendo di fatto e di diritto, la partecipazione alle Commissioni consiliari: questa è stata la disputa risolta dalla sentenza del TAR Veneto (non volendo il Sindaco/Presidente del Consiglio modificare la norma regolamentare con la possibilità di costituire un gruppo consiliare unipersonale).

Nel concreto, il consigliere veniva espulso dalle Commissioni di cui faceva parte (per conto della maggioranza), senza possibilità di adesione ad alcuna Commissione, non potendo accreditarsi all’interno del “gruppo misto”: una non apparente violazione alla pienezza delle proprie prerogative acquisite in ragione della sola investitura elettorale.

Il giudice di prime cure ritiene il ricorso fondato, fornendo ampia descrizione del quadro normativo e della ratio.

  1. L’indipendenza piena

Un deficit di democrazia e di rappresentatività nelle istituzioni del popolo attraverso i suoi rappresentanti (gli eletti), essenza valoriale che costituisce il presupposto necessario per l’esercizio di ogni funzione elettiva, espressione della c.d. democrazia indiretta rispetto al partito unico o partito Stato: si tratta di una rappresentanza “politica”, relativa non a singole parti o settori della società ma all’intera dimensione della Nazione, dove negli organi elettivi risiede (risiedeva, visto l’abnorme processo legislativo mediante decreti – legge ad iniziativa del Governo, con una visione prevaricatrice degli altri due poteri, giudiziario e legislativo, volendo forse ripristinare, e di fatto lo è, la monarchia assoluta di Luigi XIV) la principale attività dei partiti o movimenti politici, rilevando in termini di “indipendenza” che l’esercizio della funzione elettiva deve essere valutata senza vincolo di delega o di mandato, per parlarsi di democrazia partecipata[3].

In dipendenza di ciò, la circostanza che un consigliere aderente ad una lista manifesti, una volta eletto, di aderire alla lista di altro partito, non inscrivendosi al relativo gruppo formatosi in consiglio comunale, rileva al più sul piano della coerenza politica e del rispetto degli impegni dallo stesso assunti con la lista di appartenenza, eventuale proiezione del partito di riferimento (i c.d. cambio casacca): ma non anche sul piano della legittimità dell’adesione ad un diverso gruppo, dovendosi garantire la piena libertà di mandato, con l’inevitabile ricaduta pratica di consentire – in assenza di un gruppo – di essere collocato in quello c.d. “misto”, privo di collegamenti politici o di lista.

In questo senso, risulta pienamente legittima la condotta di un consigliere eletto che decidesse di passare da un gruppo politico ad un altro, oppure al gruppo misto, senza che per questo si possano invocare le sue dimissioni: non è richiesta un’identità di appartenenza politica fra l’aderente e la lista, posto che il dato che rileva è quello della volontà del consigliere comunale, con un’indifferenza per le sue vicende inerenti il percorso di rappresentanza politica, irrilevante al dato di rappresentatività[4].

Sempre sotto questo profilo, non può neppure ipotizzarsi una possibile lesione della libertà di voto dell’elettore, quel voto sufficiente a far eleggere il (proprio) consigliere comunale (e, più in generale, chi si presenta ad una competizione, perché di questo stiamo parlando, elettorale) che una volta proclamato in carica cessi poi di rappresentare, dopo le elezioni, quella formazione politica nella quale si è candidato (e ha ricevuto l’investitura popolare), aderendo ad altra formazione: questo genere di condotta, che potrebbe far insorgere una qualche perplessità sull’affidabilità del soggetto, costituisce l’humus della libertà, che nella rappresentanza elettiva esclude il vincolo di mandato imperativo; istituto disciplinato in maniera completamente diversa nel diritto civile, ex artt. 1703 ss., cod. civ, collegato con la rappresentanza, ove si obbliga il mandatario «a compiere uno o più atti giuridici per conto» (in nome) del mandante (il rappresentato), con le connesse responsabilità nel caso di “divergenze” nell’esercizio del mandato.

In ambito elettivo, rispetto a quello civilistico, l’incoerenza politica (o la coerenza attitudinale, secondo i punti di vista) risulta priva di rilevanza giuridica, potrebbe costituire semmai una penalizzazione in sede di ricandidatura (ma a volte, raramente, questo non succede).

L’intera riflessione, sotto il profilo del diritto del consigliere comunale di manifestare il proprio pensiero, costituisce una prerogativa individuale non censurabile, con piena legittimazione a perseguire una propria idea della politica, di quel legame elettivo (o di affinità) tra elettore ed eletto, scrivendosi al gruppo consiliare che più lo rappresenta, in mancanza del quale deve essere garantita, quale norma di chiusura del sistema, la possibilità di aderire comunque ad un gruppo, quello misto, ed in quanto “misto”, alternativo ad ogni maggioranza o minoranza: neutrale (dal latino neutralis, “nessuno di due”).

  1. I gruppi

Viene descritto l’ordine ricostruttivo dei gruppi e delle commissioni all’interno delle assemblee elettive:

L’ORIGINE REPUBBLICANA

La Costituzione del 1948 vedeva nei gruppi parlamentari e nelle commissioni permanenti nominate dai gruppi (non più costituite, come in precedenza, per mero sorteggio) soggetti obbligatori della Camera dei Deputati:

  1. l’art. 72, comma 3 Cost. individua le commissioni parlamentari permanenti, designandole (in concorso o in alternativa all’aula) come sede del procedimento legislativo e prevedendone la diretta connessione ai gruppi parlamentari: le commissioni – allorché il procedimento legislativo si concluda entro di esse – devono essere composte in modo da rispecchiare la proporzione numerica esistente fra i gruppi parlamentari;
  2. la norma costituzionalizza i “gruppi politici” i quali operano all’interno delle commissioni con il criterio “proporzionale”, espressione democratica (di rappresentanza del popolo, pur senza vincolo di mandato imperativo, ex 67 Cost.)[5] dell’assetto pluralista posto alla base delle istituzioni repubblicane, sicché «non sono (né potrebbero essere) meri rappresentanti fungibili, vuoi di un generale interesse nazionale (indistintamente assegnati alle commissioni per mero sorteggio, come si verificava agli esordi dello Stato liberale) vuoi, all’opposto, di un partito unico che si sovrappone alla Nazione»[6].
  3. a rafforzare tale criterio il comma secondo dell’art. 82 Cost. stabilisce che anche le commissioni parlamentari d’inchiesta debbano essere formate in modo da garantire la proporzione fra i gruppi presenti in Parlamento;
  4. la soggezione delle “commissioni d’inchiesta” al vincolo di «rappresentanza proporzionale dei gruppi costituisce un’ulteriore evidenza della pervasività del principio pluralistico che, nascendo come presupposto fondante dell’assetto repubblicano, procede all’interno delle istituzioni democratiche traducendosi in un irrinunciabile fattore organizzativo».

Va aggiunto, per chiarezza espositiva, che i gruppi all’interno del consiglio comunale non sono configurabili quali organi dei partiti e, pertanto, non sussiste in capo a quest’ultimi una potestà direttamente vincolante sia per un membro del gruppo di riferimento, sia per gli organi assembleari dell’ente, ben potendo il singolo consigliere scegliere a quale gruppo appartenere, ovvero uscire da un gruppo per aderire ad un altro, essendo una libera manifestazione di volontà che appartiene al consigliere, non oggetto di preclusione[7].

LA GIURISPRUDENZA

La Corte Costituzionale[8] considera la figura del “gruppo” come il «riflesso istituzionale del pluralismo politico», presente all’interno degli organi elettivi dove le varie componenti si richiamano ai rispettivi partiti o movimenti.

In questo senso, e in sintonia con l’art. 49 Cost., i cittadini organizzati nei partiti sono espressioni «proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello Stato ai fini dell’art. 134 Cost.»[9], laddove invece la rilevanza soggettiva (organica e politica) dei gruppi che ne sono espressione si svolge all’interno delle Camere.

I partiti o movimenti, in netto contrasto con l’antecedente prerepubblicano, partecipano negli organi dello Stato (nel suo policentrismo dei livelli di governo, ex artt. 5 e 114 Cost.) attraverso gli eletti, i quali assumono un proprio status (svincolato da condizionamenti) e mediante i “gruppi” si organizzano all’interno delle istituzioni (Parlamento, Consigli regionali, provinciali e comunali), esprimendo – con l’adesione ad un gruppo – un proprio orientamento ed esercitando il mandato pubblico, ex comma 2 dell’art. 54 Cost., donde l’esigenza indifferibile di assicurarne la partecipazione, quale principio democratico della rappresentanza popolare.

A rafforzare tale orientamento, viene rammentata che la tesi attualmente prevalente[10] riconosce ai “gruppi” (parlamentari, in primis) una natura anfibola:

  • per i regolamenti parlamentari «i Gruppi parlamentari sono associazioni di deputati», espressive di un partito o di una coalizione di partiti trasposti nelle liste elettorali (sintesi del circuito costituito da elettori, partiti, ed eletti), e, quindi, la necessaria appartenenza ad essi degli eletti;
  • costituirebbero un’articolazione organizzativa delle istituzioni parlamentari e degli organi assembleari rappresentativi delle regioni e degli enti locali, dotata di proprie attribuzioni, di un numero minimo di iscritti (per ragioni afferenti al buon andamento dei lavori cui si accompagna un tendenziale sfavore dell’ordinamento alla eccessiva frammentazione politica), di una propria struttura e di un proprio regolamento;
  • in ogni caso, qualora il singolo non aderisca ad un gruppo, l’iscrizione avviene comunque a favore del c.d. “gruppo misto” (caratterizzato dalla sua neutralità politica, confluendo tutti coloro che non aderiscono ad altri gruppi), per la cui costituzione non è previsto un numero minimo di aderenti, escludendo (salvo quanto previsto per i senatori di diritto e a vita) l’esenzione (volontaria o meno che sia) da un gruppo, l’iscrizione al quale (quand’anche avvenga, in via residuale, nel gruppo misto) costituisce pur sempre una modalità irretrattabile di appartenenza all’assemblea elettiva e di partecipazione ai suoi lavori.
  1. I gruppi consiliari

I gruppi consiliari, istituiti in seno al Consiglio comunale, hanno, al pari dei gruppi regionali e dei gruppi parlamentari, una duplice natura:

  • rappresentano, per un verso, la proiezione dei partiti all’interno delle assemblee;
  • costituiscono parte dell’ordinamento assembleare, in quanto articolazioni interne di un organo previsto dalla legge.

Questa impostazione consente di distinguere due piani di attività dei gruppi:

  • il primo, più strettamente politico, che concerne il rapporto del singolo gruppo con il partito politico di riferimento, caratterizzando le relazioni e gli orientamenti di questo all’interno dell’assemblea;
  • il secondo, gravitante nell’ambito pubblicistico, in relazione al quale i gruppi costituiscono strumenti necessari per lo svolgimento delle funzioni proprie degli organi assembleari, contribuendo ad assicurare l’elaborazione di proposte e il confronto dialettico tra le diverse posizioni politiche e programmatiche, ovvero definendo nel dettaglio l’attività propriamente del consigliere, oltre che di natura ispettiva e di controllo[11].

Si comprende che il sistema organizzativo dei lavori, al di là dell’attività materiale svolta, impone di definire dei riferimenti certi, aggregando – attraverso i gruppi – le componenti politiche presenti, dovendo ritenere che la partecipazione ai gruppi permette agli eletti, tramite tali “strumenti necessari”, lo svolgimento di “funzioni proprie” dei consigli comunali, cui non potrebbero accedere quando fossero privi (o privati) dell’iscrizione ad un gruppo: il gruppo è assegnatario di competenze proprie, e il capogruppo, inoltre, esercita una funzione di coordinamento dei consiglieri e di organizzazione, nella conferenza dei capigruppo, i lavori, rammentando che questa figura (il capogruppo) è titolare di ulteriori diritti, quali quelli dell’art. 79, Permessi e licenze, del d.lgs. n. 267/2000, ovvero l’acquisizione dell’elenco delle deliberazioni giuntali, di cui all’art. 125, Comunicazione delle deliberazioni ai capigruppo, del TUEL.

Pare giusto osservare che il cit. art. 79 consente al consigliere capogruppo, ovvero al consigliere nominato nelle commissioni di usufruire di ulteriori diritti:

  • comma 3, «i lavoratori dipendenti … facenti parte delle commissioni consiliari o circoscrizionali formalmente istituite nonché delle commissioni comunali previste per legge, ovvero membri delle conferenze dei capogruppo…, previsti dagli statuti e dai regolamenti consiliari, hanno diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata. Il diritto di assentarsi di cui al presente comma comprende il tempo per raggiungere il luogo della riunione e rientrare al posto di lavoro»;
  • comma 4, «… i presidenti dei gruppi consiliari delle province e dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, hanno diritto, oltre ai permessi di cui ai precedenti commi, di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese».
  • Comma 5, «i lavoratori dipendenti di cui al presente articolo hanno diritto ad ulteriori permessi non retribuiti sino ad un massimo di 24 ore lavorative mensili qualora risultino necessari per l’espletamento del mandato».

Su questo aspetto, il giudice di prime cure, osserva – in parallelo a quanto si riscontra nell’assetto organizzativo delle assemblee legislative nazionali e regionali – che nell’esercizio del munus elettivo coesistono:

  • un livello individuale, dove il singolo consigliere comunale (ma altrettanto potrebbe ripetersi per il parlamentare o per il consigliere regionale) pone direttamente in essere atti giuridici rilevanti ai fini del funzionamento e della costituzione dell’organo consiliare, o comunque capaci di incidere sul proprio status (attengono al funzionamento, ad es., il voto, la presentazione di una mozione, di un progetto di deliberazione; attengono alla costituzione del consiglio e allo status dell’eletto, le dimissioni – individuali o collettive -, l’iscrizione a un gruppo o la fuoriuscita da esso, ecc.);
  • un livello associativo (superindividuale) parimenti indefettibili, dove l’eletto opera mediante un organo interposto costituito in forma associativa, il gruppo, titolare di ulteriori prerogative, quali, di norma, la nomina (o la candidatura) di propri rappresentanti nelle commissioni permanenti, la partecipazione alla dialettica politica e all’attività preparatoria attraverso un soggetto appositamente designato (il capogruppo), la disciplina (allorché sia consentita l’espulsione dal gruppo) e il gradimento nei confronti degli associati (nei casi in cui possa esserne rifiutata l’iscrizione).
  1. I diritti dei consiglieri all’adesione al gruppo misto unipersonale

Da queste premesse ordinamentali, si deve dedurre che ogni forma di preclusione che impedisca l’iscrizione volontaria nel gruppo prescelto ovvero, quando ciò non fosse possibile (ad esempio, allorché non fosse raggiunto il numero minimo di componenti) o comunque, in mancanza di valida opzione, l’assegnazione in via residuale al gruppo misto, priverebbe l’eletto di alcune tra le proprie attribuzioni: una palese e diretta lesione dei diritti che devono essere garantiti al singolo consigliere, non potendo una fonte interna prevaricare le fonti sovraordinate (quella dei commi 3 e 6, dell’art. 38 del TUEL), sia pure con riferimento alla partecipazione alle commissioni consiliari[12], e di riflesso ad una parte dell’attività afferente al consiglio comunale.

In effetti, l’art. 38 del cit. d.lgs. n. 267/2000 assegna ai gruppi e non al singolo consigliere una serie di prerogative e risorse, con la conseguenza che in mancanza dell’appartenenza ad un gruppo consiliare, il singolo consigliere ne rimarrebbe privo.

  1. La lesione del diritto di libero mandato

Il Tribunale postula la lesione dei diritti del consigliere qualora allo stesso fosse impedito (quanto fuoriesca da un gruppo) di aderire ad un nuovo gruppo non presente tra la maggioranza o minoranza, ove (come nel caso di specie) il “gruppo misto” (ossia, quello al di fuori di quelli già presenti in consiglio) richieda un minimo di iscritti, piuttosto che un “gruppo misto” unipersonale.

Prive di pregio sono ritenute le difese dell’Amministrazione che contrappone «una sorta di richiamo al principio di autoresponsabilità» per sostenere la fonte regolamentare che esige per la costituzione del “gruppo misto” almeno la presenza di tre componenti, conservando il consigliere (che non riesce ad associarsi ad altri due consiglieri) i diritti connessi alla carica, «primo fra tutti quelli di voto e di iniziativa».

Invero, l’approdo concreto impedisce a colui che lascia uno schieramento di origine (scelta libera nella disponibilità del consigliere), e non intende aderire ad un altro (quello di minoranza), di costituire il “gruppo misto”, non potendo attribuire a questa condotta una consapevole volontà di abbandonare la dimensione associativa del mandato (come vorrebbe intendere l’Amministrazione civica resistente).

Tali valutazioni esorbitano ogni profilo di legge, e non possono trovare cittadinanza nell’ordinamento positivo atteso che la partecipazione necessaria ad un gruppo, sia pure un “gruppo misto uninominale”, è una prerogativa non detraibile da parte del consigliere comunale, legata all’esercizio della funzione pubblica, senza disparità di trattamento con gli altri consiglieri regolarmente iscritti ad un gruppo (un’asimmetria che contrasterebbe con il principio pluralista): la partecipazione ad un gruppo «costituisce una modalità necessaria e irrinunciabile di svolgimento delle attribuzioni dell’eletto all’interno dell’assemblea di appartenenza, suscettibili di esercizio sia in forma individuale diretta sia in forma collettiva attraverso l’interposizione dell’organo intermedio (gruppo) soggettivamente distinto dai consiglieri che vi sono iscritti».

Va da sé richiamare tutte le osservazioni poste non potendo assecondare la norma regolamentare illegittima, pena «la perdita – quasi per abdicazione – di poteri e facoltà suscettibili di esercizio solo tramite l’appartenenza a un gruppo, di modo che l’unica conseguenza plausibile, nel caso in cui fosse precluso costituirne uno autonomo, è data dall’automatica iscrizione nel gruppo misto»: la fonte interna (che in parte qua viene annullata) «nello stabilire una soglia numerica introduce un irragionevole sbarramento che preclude non la semplice costituzione di un gruppo unipersonale, espressivo di un qualche orientamento politico, ma l’iscrizione necessaria del consigliere fuoriuscito in un gruppo privo di autonoma connotazione politica (il c.d. gruppo misto) in quanto strumentale all’accesso alla dimensione superindividuale del mandato elettorale».

 

  1. Il ripristino del principio di proporzionalità

Appurata l’illegittimità della norma, viene stabilito che qualora l’Amministrazione, a fronte della costituzione di un nuovo gruppo, rilevi l’alterazione nella rappresentanza proporzionale dei gruppi all’interno della commissione (fatto oggettivo qualora taluni o tutti i commissari espressione di un dato gruppo nel corso del mandato risultassero confluiti in un altro), è legittimata a sottoporre al Consiglio comunale gli atti di composizione delle Commissioni al fine di ripristinare i rapporti numerici, specie se «il recesso della ricorrente dal gruppo di maggioranza ne ha comportato l’iscrizione nel gruppo misto (cui andrebbe comunque attribuito un commissario) e spostato in una certa percentuale gli equilibri tra le forze politiche».

Si comprende che – in ogni caso – il consigliere confluito nel gruppo misto ha diritto ad un posto in ogni commissione, mantenendo la carica di commissario, dovendo semmai rideterminare la permanenza o meno nella carica di presidente di una commissione (qualora precedentemente nominato), a seguito di una diversa quantificazione del voto ponderato[13].

  1. Considerazioni prospettiche

La vicenda, estraendo dal singolo contesto, offre uno spaccato di vita quotidiana, da una parte, un consigliere comunale che intende essere fedele alle proprie ragioni, quando si ritrova in contrasto con la linea politica assunta dal suo gruppo (in armonia), dall’altra parte, una norma (tirannica o arbitraria) che preclude il dissenso di coloro che vorrebbero essere coerenti con gli impegni elettorali (può essere anche questo il motivo), impedendo con ragioni pratiche di semplificazione amministrativa e di utilità organizzativa, la creazione di un gruppo misto unipersonale, quasi a significare l’isolamento (annientamento) del singolo posto al di fuori del sistema ordinamentale (quello del TUEL, o, più in estensione, costituzionale).

Alcuni, invocano norme che possano impedire le divergenze, assicurando che una volta eletto il singolo non possa manifestare dissenso alla c.d. disciplina di partito, ma l’assenza del vincolo (medievale) di mandato suggerisce la piena autonomia della responsabilità politica, del resto incensurabile anche nel merito dal giudice (l’atto politico, ex comma 1, parte finale dell’art. 7, del d.l.gs. n. 104/2010, cpa), una libertà di svincolarsi dagli interessi particolari per interpretare l’interesse generale, quello della Nazione (immanente tra i propositi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, non più su base regia ma costituzionale).

Altri, invocano la democrazia e la sovranità (appartenente al popolo), per cementare una coerenza politica, dove la stabilità significa “buon governo” o il “governo dei migliori” (scordando, magari, che questi sono stati nominati e non eletti), tuttavia la rappresentanza politica – in un sistema democratico – non può tollerare un simile vulnus al libero mandato, dovendo sempre presidiare le libertà acquisite rispetto ad altri regimi (autoritari), dove, per l’appunto, il dissenso viene tacitato, ed allora è necessario evitare facili ideologie o radicali posizioni volendo arginare la “transizione”, ovvero il cambiamento da gruppo a gruppo, assicurando sempre la libertà del singolo da ogni condizionamento.

Il tema dovrebbe essere anteposto al momento della candidatura (la c.d. levatura), ma andiamo fuori tema introducendo ulteriori varianti, «se la tirannia è una costante – pur con differenti morfologie storiche – dell’esperienza politica dell’uomo», ammettere le limitazioni alla critica, al dissensus, vuol significare trasformare la democrazia in principato (nel senso di una dittatura)[14], dove (questa volta) è il singolo a governare e il popolo a

 

[1] Ossia, quella modalità di espressione del voto che consente ad un singolo consigliere di disporre complessivamente di tanti voti quanti sono i consiglieri comunali assegnati al gruppo di appartenenza. Tale sistema viene adottato per l’elezione del presidente della provincia, ai sensi della legge n. 56/2014.

[2] Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 2021, n. 3034, in effetti, si evidenzia che il giudizio amministrativo non è volto a risolvere controversie tra organi dello stesso ente o a maggior ragione fra un componente dell’organo nei confronti di altro organo del medesimo ente, ma a risolvere conflitti intersoggettivi: conseguentemente il consigliere dell’ente locale, in linea generale, non è legittimato ad impugnare le deliberazioni collegiali in ragione della sola qualità di componente che non abbia condiviso le determinazioni della maggioranza, ma è legittimato, al pari di tutti gli altri soggetti dell’ordinamento, ad impugnare le deliberazioni emanate dal consiglio solo quando esse ledano un suo interesse personale diretto, sicché il consigliere dell’ente locale non può impugnare le deliberazioni con le quali è semplicemente in disaccordo, perché ciò significherebbe trasporre e continuare nelle sedi di giustizia la competizione che lo ha visto in minoranza, gravando le sedi medesime di decisioni che competono all’organo collegiale elettivo. Si rinvia, Legittimazione dei consiglieri comunali a tutela dei propri diritti, mauriziolucca.com, 26 agosto 2019.

[3] BARBERA, I parlamenti, Roma, 2003, pag. 64.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 aprile 2020, n. 2317.

[5] Principio costituzionale pacificamente ritenuto applicabile a tutti i componenti delle assemblee elettive, TAR Trentino Alto Adige, sez. Trento, sentenza n. 75 del 2009.

[6] È noto che l’art. 49 Cost. assegna ai partiti un obiettivo vitale, quale quello «per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Il partito politico assurgendo ad elemento essenziale del rapporto di rappresentanza politica che caratterizza la forma di Stato disegnata dalla Costituzione. Vedi, KELSEN, Democrazia e Cultura, Bologna, 1955, pag. 23, dove si esprime il concetto secondo cui «la moderna democrazia si fonda interamente sui partiti, la cui importanza è tanto maggiore, quanto maggiore applicazione trova il principio democratico».

[7] Ministero Interno, Territorio e autonomie locali, Formazione di un gruppo consiliare, 21 Luglio 2022, Categoria 05.02.03 Commissioni e gruppi consiliari, dove si precisa, altresì, che il rapporto tra il candidato eletto ed il partito di appartenenza non esercita influenza giuridicamente rilevabile, attesa la mancanza di rapporto di mandato e l’assoluta autonomia politica dei rappresentanti del consiglio comunale e degli organi collegiali in generale rispetto alla lista o partito che li ha candidati, TAR Puglia, Bari, sentenza n. 506/2005.

[8] Corte Cost., sentenza n. 49 del 1998.

[9] Corte Cost., ord. n. 79 del 2006.

[10] Cass., SS.UU. civ., 6 marzo 2020, n. 6458.

[11] TAR Lazio, Roma, sez. II ter, sentenza n. 1640 del 2004.

[12] L’esclusione dalla partecipazione ad una commissione consigliare mina i diritti del consigliere, atteso che a scelta in ordine alla composizione di una commissione consiliare è diretta espressione della potestà di autorganizzazione spettante al Consiglio (regionale), essa finisce per essere assorbita tra le garanzie che assistono lo svolgimento della funzione legislativa regionale, cui le commissioni consiliari permanenti contribuiscono in modo determinante, Corte cost., 14 febbraio 2020, n. 22. Il pronunciamento può essere assorbito in toto a livello locale, affermando che una parte dell’attività consiliare rientra, specie quella di preparazione del consiglio comunale, nelle commissioni consiliari permanenti.

[13] Si rinvia, LUCCA, La denominazione del gruppo consiliare e la sua inibizione, LexItalia.it, 16 novembre 2021, ove si affrontano le vicende riferite al rapporto tra il consigliere e il precedente gruppo di appartenenza, anche con riferimento all’uso del nome.

[14] Nella definizione di GREGORIO nel XII dei Moralia, dove il tiranno è colui che in uno stato non governa secondo il diritto, «questo accade perché non ha titolo, perché non è stato eletto o lo è stato non sulla base del diritto», BARTALO DA SASSOFERRATO, Trattato sulla tirannide, ed. 2017, Foligno, scritto nel periodo di passaggio dai Comuni al regime delle Signorie (primi anni del secolo XIV), dove la conquista delle città avveniva con un atto di forza.

 

 

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