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Condono edilizio, niente sanatoria se si modifica l’immobile

La conferma dal TAR Campania: no al condono se si effettuano interventi successivamente alla presentazione dell’istanza di condono

Non è possibile modificare radicalmente un immobile dopo avere presentato un’istanza di condono, senza che la documentazione ne porti traccia. Si tratta di un’operazione che, di fatto, rende legittimo il diniego da parte di un’Amministrazione comunale.

Lo conferma il TAR Campania, con la sentenza n. 7078/2022, a seguito del ricorso proposto appunto contro il dinego all’istanza di condono presentata ai sensi della legge n. 724/1994, motivato sulla base delle incongruenze e difformità emerse nella valutazione della pratica.

Il caso riguarda un immobile censito come deposito per attrezzi agricoli di 80 mq per il quale è stata presentata domanda di condono ai sensi della legge n. 724/1994 sulla quale il Comune ha rilevato delle incongruenze: In particolare, nel 1994 l’immobile è stato sequestrato, rilevando una superficie di oltre 150 mq e un inizio di impalcatura per un piano superiore.

Sostanzialmente la consistenza edilizia del manufatto non coincide quindi con quella per la quale era stata richiesta la sanatoria né per dimensioni né per destinazione. L’immobile, infatti, già nel 1994, ovvero al momento del sequestro del cantiere per abusi edilizi e prima della presentazione della domanda di condono si presentava di circa 150 mq e con un nuovo piano ancora da realizzare. Nel 2020 il fabbricato risultava ulteriormente trasformato e ampliato rispetto agli 80 mq inizialmente dichiarati.

Queste incongruenze sono state giustificatedal ricorrente quale mero errore di compilazione della domanda di sanatoria; circostanza questa impossibile da verificare in quanto, la domanda era priva della documentazione di accompagnamento.

Il TAR non è stato dello stesso avviso e ha ritenuto legittimo il diniego di condono, richiamando l’orientamento giurisprudenziale per cui:

  • la trasformazione del manufatto oggetto di condono, realizzata in assenza di titolo abilitativo, legittima il diniego di concessione della sanatoria, perché non consente all’Amministrazione di verificare l’effettiva corrispondenza tra le opere abusivamente realizzate e quelle descritte nella domanda di condono;
  • in caso di trasformazione o ampliamento dei manufatti già oggetto di domanda di condono, il Comune non può pronunciarsi sulla domanda di condono e rilasciare il relativo titolo, ma è tenuto a sanzionare le opere con l’ordine di demolizione. Sui manufatti non sanati non è e consentita la realizzazione di interventi ulteriori che, sebbene per ipotesi riconducibili nella loro individuale oggettività a categorie che non richiedono il permesso di costruire, assumono le caratteristiche di illiceità dell’abuso principale.

Inoltre ricorda il giudice amministrativo che, considerata a straordinarietà del beneficio del condono edilizio, è onere del richiedente provare, in modo rigoroso, che l’epoca di realizzazione delle opere sia antecedente a quella dettato dalla legge. Questo onere va assolto con elementi probatori stringenti o con l’allegazione di documenti altamente probanti e non si può sostenere non può mai sostenersi che l’amministrazione debba farsi carico di accertare l’epoca dell’abuso.

Infine, l’onere della prova in ordine all’ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere la sanatoria grava sul richiedente, in quanto, mentre l’amministrazione non è, normalmente, in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul punto, l’interessato può fornire atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza in ordine all’epoca di realizzazione dell’abuso.

In questo caso, la mancata allegazione della documentazione alla domanda di condono, insieme all’inconfutabile successiva trasformazione del manufatto in epoca posteriore alla presentazione della stessa rendono legittimo il diniego adottato dal Comune.

Per altro, l’intervento successivamente eseguito dal ricorrente sull’immobile non può essere trattato alla stregua del consentito “completamento funzionale”, in quanto si è in presenza di un considerevole ampliamento rispetto alla superficie e ai volumi inizialmente dichiarati. Conclude infine il giudice che il ricorrente avrebbe invece potuto avvalersi della sopravvenuta disciplina condonistica introdotta dalla legge n. 326/2003, non costituendo al riguardo alcun impedimento il mancato tempestivo esame della domanda presentata nel 1995 da parte del Comune.

Il ricorso è stato quindi respinto, confermando la legittimità del diniego all’istanza di condono, per non corrispondenza delle opere per le quali si è richiesta la sanatoria con quelle effettivamente realizzate.

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