14/11/2022 – Il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo, quando fondato su rappresentate ed accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta

Attività commerciali, cosa accade in assenza di conformità edilizia e urbanistica?

Consiglio di Stato: il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo, quando fondato su rappresentate ed accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta

L’irregolarità edilizia e urbanistica determina la decadenza di eventuali autorizzazioni per attività commerciali svolte all’interno dei locali abusivi.

La conferma arriva con la sentenza n. 9786/2022 del Consiglio di Stato, che ha respinto il ricorso presentato da una scoietà di ristorazione contro un’Amministrazione comunale, che aveva dichiarato la decadenza dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.

Il locale dove si svolgeva l’attività non era in regola dal punto di vista edilizio/urbanistico, poiché catastalmente diviso in tre unità indipendenti, mentre urbanisticamente risultava come un unico locale, e per tali variazioni non erano stati dichiarati i relativi titoli edilizi. L’amministrazione aveva accertato anche che le unità immobiliari appartenevano ad unità edilizie diverse per le quali, secondo il PRG non era consentito l’accorpamento.

Di conseguenza, secondo il Comune, era venuta meno la rispondenza ad uno dei requisiti richiesti per lo svolgimento dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, ossia la conformità edilizio – urbanistica. Già in primo grado il TAR aveva confermato che l’esistenza di abusi edilizi nel locale in cui si svolgeva l’attività commerciale, incidendo sulla destinazione urbanistica degli stessi, avevano determinato un significativo mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, anche in termini di destinazione d’uso dei beni, pertanto, la società avrebbe potuto esercitare correttamente l’attività commerciale solo se munita anche dei necessari titoli edilizi.

Nel valutare il caso, I Giudici di Palazzo Spada hanno preliminarmente spiegato che l’intervento a supporto dell’Amminsitrazione comunale da parte della proprietaria di un appartamento nello stesso immobile era legittimo. In particolare, secondo l’indirizzo prevalente, il criterio giuridicamente rilevante al fine di verificare la sussistenza della legittimazione e dell’interesse a ricorrere è dato dallo ‘stabile collegamento’ tra il ricorrente e il contesto territoriale nel quale si trova l’area presa in considerazione dal provvedimento impugnato. “Il concetto di ‘vicinitas’ costituisce una formula riassuntiva atta ad indicare una situazione nella quale, secondo l’id quod plerumque accidit, il pregiudizio derivante dalla concessione a meno di autorizzazioni amministrative sussiste, senza bisogno di particolari dimostrazioni, secondo il comune apprezzamento, trattandosi di una situazione che di regola, ma non con assoluta certezza, può comportare un danno almeno presumibile al vicino, che ammette in ogni caso una specifica contestazione della controparte”.

Nel caso in esame, l’intervento è legittimato dal fatto di ottenere una pronuncia che soddisfi a pieno le proprie aspettative ed esigenze consistenti nell’interesse alla cessazione dell’attività di ristorazione, in quanto non risulta regolare dal punto di vista edilizio/urbanistico, con abusi edilizi insistenti sulle parti comuni dell’edificio in cui è proprietaria di un appartamento.

Si tratta di un interesse che, pur essendo di fatto, tale cioè da non consentire di agire in giudizio in qualità di parte, è comunque dipendente ed accessorio rispetto a quello azionato in via principale, in modo tale che dal rigetto dell’appello in sostanza deriva un vantaggio, indiretto o riflesso, all’intervenuta.

In riferimento alla situazione di irregolarità edilizio/urbanistica, essa non è mutata anche a seguito della autorizzazione ottenuta per una parte soltanto dei locali: l’attività di ristorazione continua ad essere svolta in tre unità abitative distinte, accorpate, senza che sussistano i relativi titoli edilizi. In particolare, uno dei locali è stato abusivamente collegato a un altro tramite un’apertura su mura perimetrali, mettendo in comunicazione due edifici catastalmente diversi. Ne consegue che la situazione di illegittimità urbanistica perdura e che l’attività di ristorazione viene svolta non solo nella parte autorizzata, in quanto i locali sono strutturalmente comunicanti tra loro.

La giurisprudenza del Consiglio da tempo è orientata nel senso che per il rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico – edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo, quando fondato su rappresentate ed accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta.

Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è, pertanto, ancorato alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico – edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere – dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi, che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.

Come evidenziano i giudici di Palazzo Spada, si è, quindi, assistito al consapevole e definitivo superamento del precedente indirizzo giurisprudenziale che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di annullamento o di trasferimento di esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura ed implicasse perciò criteri valutativi differenti. È stato di recente precisato che: “non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio”.

Da qui il legittimo esercizio, del potere sanzionatorio, stante l’irregolarità dell’attività di somministrazione di bevande e alimenti esercitata nei locali che risultano abusivi, in ragione della difformità delle prescrizioni urbanistico- edilizie della zona in cui è esercitata.

La regolarità urbanistica dell’opera va valutata per l’intero, e per l’intero condiziona l’esercizio dell’attività commerciale, anche perché, diversamente opinando, ne scaturirebbe l’elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi: pertanto, le difformità non possono essere riferite alla singola unità abitativa, ma all’intero complesso accorpato in violazione delle disposizioni urbanistiche.

Infine è irrilevante il fatto che sia stata presentata domanda di condono. Questo perché la delibera dirigenziale a cui il ricorrente ha fatto riferimento in appello sanziona con la decadenza la difformità del locale alle norme urbanistiche, con l’unica eccezione della presenza di un condono edilizio; questa istanza non deve però essere riferita a immobili che ricadono nel territorio in cui si trovano i locali in esame. Si tratta di un provvedimento vincolato, motivo per cui non è invocabile neppure la valutazione alla stregua dei principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, atteso che quando l’amministrazione adotta un provvedimento vincolato non ha nessun margine di apprezzamento discrezionale, senza che sia possibile una comparazione tra interessi pubblici e interessi privati.

L’appello è stato quindi respinto, confermando la decadenza dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio commerciale per presenza di irregolarità edilizie e urbanistiche.

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