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DL aiuti quater. PNRR. Liberalizzazione degli affidamenti diretti o blocco delle procedure negoziate?

È approdato il 18 novembre 2022 in Gazzetta Ufficiale, ed entra in vigore il 19 novembre 2022, il DECRETO-LEGGE 18 novembre 2022, n. 176, recante “Misure urgenti di sostegno nel settore energetico e di finanza pubblica” (22G00189) (GU Serie Generale n.270 del 18-11-2022).

Nei giorni scorsi si è molto parlato, con massima superficialità, dell’art. 10 di detta norma, il quale prevede quanto segue: “All’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “L’obbligo di cui al periodo precedente per i comuni non capoluogo di provincia è da intendersi applicabile alle procedure il cui importo è pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 1, comma 2, lettera a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120”.

Più nel particolare si sono letti titoli del tipo: “Affidamenti diretti fai da te”. “Affidamenti diretti senza centrale di committenza”.

Ma siamo sicuri che le firme di detti articoli abbiano compreso a pieno la magnitudo della norma?

Francamente, sospetto che nemmeno il redattore della stessa l’abbia compresa: non si parla di semplificazione, ma di complicazione. Non si parla di “affidamenti diretti fai da te”, ma di “stop alle procedure negoziate fai da te”. Ma andiamo però con ordine.

C’era una volta l’art. 37 del codice appalti, che in buona sostanza prevedeva 4 casistiche:

comma 1) – fino a 40.000 euro per forniture e servizi, e 150.000 per i lavori, le stazioni appaltanti non necessitavano di qualificazione, e potevano procedere autonomamente.

comma 2) – fermo quanto previsto dal comma 1, per forniture e servizi di valore inferiore alla soglia comunitaria, e per i lavori di manutenzione ordinaria d’importo inferiore a 1 milione di euro, le stazioni appaltanti qualificate potevano procedere mediante utilizzo autonomo degli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate secondo la normativa vigente.

comma 3) – le stazioni appaltanti non qualificate, dovevano procedere all’acquisizione di forniture, servizi e lavori ricorrendo a una centrale di committenza ovvero mediante aggregazione con una o più stazioni appaltanti aventi la necessaria qualifica.

comma 4) per i comuni non capoluogo di provincia, fermo restando quanto previsto al comma 1 e al primo periodo del comma 2, dovevano procedere secondo una delle seguenti modalità:

  • ricorrendo a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati;
  • mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall’ordinamento;
  •  ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso le province, le città metropolitane ovvero gli enti di area vasta ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56.

È probabilmente ultroneo rammentare che, ferma la sospensione della norma operata dal DL 32/2019 (sblocca cantieri), la norma medesima era da ritenersi già sostanzialmente sospesa. L’art. 216, comma 10 del Codice, infatti, prevede che fino alla data di entrata in vigore del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti di cui all’articolo 38, i requisiti di qualificazione siano da ritenersi soddisfatti mediante l’iscrizione all’AUSA. Tana libera tutti, vista l’assenza di qualsivoglia requisito ai fini dell’iscrizione in detto elenco.

A rompere le uova nei panieri dei comuni non capoluogo è stata dipoi introdotta la “complicazione” di cui all’art. 52 del DL 77/2021 il quale, intervenendo sulla prefata sospensione operata dallo sblocca cantieri, e proseguendo nella (parziale) disapplicazione dell’art 37, ha previsto che “nelle more di una disciplina diretta ad assicurare la riduzione, il rafforzamento e la qualificazione delle stazioni appaltanti, per le procedure afferenti alle opere PNRR e PNC, i comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di forniture, servizi e lavori, oltre che secondo le modalità indicate dal citato articolo 37, comma 4, attraverso le unioni di comuni, le province, le città metropolitane e i comuni capoluogo di provincia”.

La norma scontava l’ormai troppo ricorrente deficit di precisione, e si prestava ad una duplice possibilità interpretativa, che sin da subito ha spinto i Comuni a richiedere chiarimenti per lumeggiare sulla sua oscurità, tramite pareri e/o FAQ, ai competenti Ministeri:

  1. la prima faceva leva su una lettura estensiva delle “modalità” cui si riferisce testualmente la norma (art. 37, c. 4), riconducendo ad esse anche le ulteriori “modalità” previste dal comma 1 e dal primo periodo del comma 2 dell’art. 37 che, come già rammentato, consentiva a tutte le stazioni appaltanti qualificate (e quindi in possesso dell’iscrizione all’AUSA) di esperire autonomamente procedure di gara per valori superiori rispetto a quelli previsti per l’affidamento diretto. Ciò in ragione del fatto che la norma faceva espressamente salve le prefate disposizioni (il celeberrimo “fermo restando quanto previsto” contenuto al quarto comma);
  2. la seconda faceva leva su una lettura chirurgica delle “modalità”, riconducendo ad esse solo esclusivamente quelle previste dall’elenco alfabetico ivi contenuto, per come integrato dalla novella. Il periodo “fermo restando quanto previsto al comma 1 e al primo periodo del comma 2”, secondo detta lettura, era da intendersi derogato/disapplicato, con conseguente radicale compressione dell’autonomia dei comuni non capoluogo, in capo ai quali vigeva un (paradossale) obbligo di centralizzazione finanche per gli affidamenti diretti.

Secondo la prima lettura, il DL 77/2021 da un lato aveva semplicemente interrotto, limitatamente ai comuni non capoluogo ed agli appalti a valere su fondi PNRR, la sospensione che era stata introdotta dallo sblocca cantieri; dall’altro aveva semplicemente ampliato il novero dei soggetti ai quali i comuni non capoluogo possono ricorrere (unioni di comuni, province, città metropolitane e comuni capoluogo di provincia) per ottemperare all’obbligo di aggregazione. Secondo detta lettura, non vi era l’intento del legislatore di disapplicare i commi 1 e 2 dell’art. 37, e comunque non era possibile dedurre una deroga espressa a detti commi sicché, siffatta esegesi, non consentiva di ritrarre l’obbligo aggregativo per i comuni non capoluogo anche per gli affidamenti diretti (PNRR)[1].

Come chiarito dal Ministero dell’Interno con il noto Comunicato del 17 dicembre 2021, e confermato dal MIMS con i parimenti noti pareri nn. 1147, 1400 e 1448/2022, che aderivano al primo filone interpretativo, “i comuni non capoluogo di provincia, per gli appalti afferenti al PNRR, possono procedere autonomamente nei limiti degli importi e delle condizioni contemplati all’art. 37, comma 1 e primo periodo del comma 2 del Codice dei Contratti Pubblici”.

Seguendo detta lettura, quindi, anche per gli appalti afferenti al PNRR, i comuni non capoluogo dovevano centralizzare i propri approvvigionamenti esclusivamente al superamento:

  • per servizi e forniture – della soglia di rilevanza comunitaria;
  • per i lavori – della soglia di € 150.000,00;
  • per i soli lavori di manutenzione ordinaria – della soglia di € 1.000.000,00;

Ma oggi arriva il bello: il decreto aiuti quater, che paradossalmente muove da una oltremodo timida proposta di emendamento dell’ANCI al DL 144/2022, sposa la seconda tra le letture proposte, e con una sorta di interpretazione autentica prevede che l’obbligo di centralizzazione per i comuni non capoluogo trovi applicazione nelle procedure il cui importo sia pari o superiore alle soglie previste dal DL semplificazioni per l’affidamento diretto, così complicando loro di gran lunga la vita. L’affidamento diretto, entro la relativa soglia, è l’unico modulo procedimentale che oggi legittima i comuni non capoluogo ad operare autonomamente.

Ma attenzione, la complicazione affari semplici non si limita a questo, e l’intervento normativo pare essere ancor più goffo di come sin qui dipinto. L’art. 10 del decreto aiuti quater, infatti, è rubricato “Norme in materia di procedure di affidamento dei lavori”, sebbene la norma su cui va ad incidere si riferisca indistintamente a lavori, servizi e forniture.

Se davvero la novella avesse inteso introdurre un apparato “differenziale” tra lavori e servizi, essa sconterebbe un evidente deficit di utilità. La soglia di 150.000 euro introdotta dal citato art. 10, infatti, era già prevista dall’art. 37, comma 1 del Codice, che giustappunto limitava a detta soglia l’autonomia operativa delle stazioni appaltanti per l’affidamento di lavori. Il primo periodo del comma 2 dell’art. 37, che concerneva appalti di più rilevante importo, si riferiva esclusivamente a forniture, servizi, ed ai soli lavori di manutenzione ordinaria (e quindi non ai lavori tout court).

Se invece la novella, come (tristemente) pare emergere dalla lettura del dato testuale dello sblocca cantieri post modifica (che prescinde dalla rubrica dell’art. 10 medesimo), avesse inteso colpire tutte “le procedure”, essa avrà in concreto l’effetto di inibire, stavolta in maniera espressa ed inequivoca, l’operatività dell’art. 37, comma 2, primo periodo, e di privare quindi i comuni non capoluogo della possibilità di procedere autonomamente ad acquisti di lavori di manutenzione ordinaria, servizi e forniture finanziati dai fondi PNRR, aventi valori superiori a quelli previsti dal DL semplificazioni per l’affidamento diretto.

Bandiere della semplificazione ammainate in un evidente eterogenesi dei fini.

Invero, è doveroso dirlo, in assenza delle norme sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, l’obbligo di aggregazione è una vuota ed inutile petizione di principio: “two is megl’ che one”.

Oggi, sia consentito un esempio provocatorio, i comuni di Moncenisio e Morterone (aventi una popolazione media di circa 35 abitanti) potrebbero associarsi in centrale di committenza ed esperire appalti milionari a valere su fondi PNRR, mentre il Comune di Giugliano in Campania (comune non capoluogo più popoloso d’Italia che conta oltre 120.000 abitanti) non potrebbe autonomamente farlo.

Dove sono ragionevolezza e proporzionalità? È davvero questo il modo per garantire la qualità degli affidamenti PNRR?

Inoltre, quali sono le reali differenze tra un affidamento di 138.999 euro, esperibile autonomamente da un comune non capoluogo, e un affidamento di 213.999 euro, che presuppone un obbligo di centralizzazione? Sono davvero questi 76.000 euro di differenza ad indurre il legislatore a ritenere imprescindibile una (peraltro fittizia) qualificazione delle stazioni appaltanti?

Chi ben comincia è a meta dell’opera. Qui l’opera ha fatto un significativo passo indietro.

Lasciate ogni speranza voi che appaltate…


[1] Come peraltro ricavabile dalla lettura dal dossier del Senato, ove si legge che “la disposizione prevista alla lettera a) del medesimo art. 1, comma 1, del D.L. 32/2019, ora prorogata al 30 giugno 2023, esclude dalla sospensione dell’applicazione delle procedure indicate all’art. 37, comma 4 del D.L. 32/2019 (vedi infra), in merito agli acquisti di lavori, forniture e servizi effettuati dai comuni non capoluogo di provincia, gli acquisti effettuati con gli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, dalle risorse del Regolamento 2021/240“.

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