09/11/2022 – Autotutela interna ed esterna al contratto pubblico

Abstract

Con il presente elaborato è offerta una disamina in ordine alle principali problematiche poste dall’autotutela esterna ed interna al contratto pubblico. Per quanto concerne la prima forma di autotutela, ci si soffermerà in particolare sull’ammissibilità della stessa nella fase successiva alla conclusione del contratto, dovendosi al riguardo distinguere tra revoca e annullamento d’ufficio. In relazione all’autotutela interna invece, particolare attenzione sarà riservata alla problematica afferente la natura del recesso e della risoluzione dal contratto pubblico.

SOMMARIO: 1. Autotutela esterna al contratto; 2. La problematica qualificazione della cessazione dalla concessione; 3. Autotutela “interna” al contratto

  1. Autotutela “esterna” al contratto

In materia di contratti pubblici[1] si distingue tradizionalmente tra autotutela esterna[2] ed interna al contratto, per indicare gli atti di secondo grado[3] incidenti rispettivamente sugli atti di gara o sul contratto (pubblico) stipulato[4]. Oggetto della presente analisi saranno sia i provvedimenti di secondo grado[5] espressione di autotutela esterna, come l’annullamento d’ufficio[6] e la revoca[7], sia gli atti di secondo grado costituenti proiezione dell’autotutela interna al contratto, ossia il recesso e la risoluzione.

In particolare, per quanto concerne i poteri di autotutela esterna, occorre verificare come si atteggia l’esercizio degli stessi nella fase che precede la stipula del contratto e nella fase successiva a tale momento. Nella prima delle suindicate fasi invero non sembrano esservi ostacoli di ordine sistematico e normativo all’ammissibilità degli stessi. Nondimeno, potrebbero in tal caso residuare profili di responsabilità precontrattuale[8] a carico della pa per lesione della libertà di autodeterminazione del privato contraente[9].

Maggiormente problematica risulta l’ammissibilità di poteri di autotutela esterna nella fase successiva alla conclusione del contratto pubblico. Al riguardo conviene preliminarmente distinguere tra revoca e annullamento d’ufficio degli atti di gara, che si fondano su presupposti differenti. Ed infatti mentre la revoca pubblicistica costituisce un rimedio avverso provvedimenti inopportuni[10], ossia non più rispondenti al pubblico interesse, l’annullamento d’ufficio rileva quale rimedio caducatorio avverso provvedimenti illegittimi.

Ciò premesso, non è superfluo rilevare che la revoca pubblicistica sembra inammissibile nella fase successiva alla conclusione del contratto atteso che la lettera dell’art. 21quinquies l.p.a., nell’individuare nel provvedimento ad efficacia durevole l’oggetto della revoca, sembra precludere l’operatività di tale rimedio in ordine all’aggiudicazione, che costituisce un provvedimento ad efficacia istantanea.

Un limite alla praticabilità della revoca pubblicistica a seguito della stipula è stato individuato dall’Adunanza Plenaria[11] nella previsione del potere di recesso dal contratto previsto per la fase successiva alla conclusione. Limite che  secondo il Supremo Collegio amministrativo si ricollega all’identità di presupposti sussistente tra i due rimedi, che consentirebbe una surrogazione del recesso alla revoca in tale fase. Purtuttavia la suesposta identità di presupposti a parere di chi scrive non sembra predicabile, atteso che mentre la revoca dà luogo ad un mero indennizzo, al recesso si ricollega un vero e proprio risarcimento[12].

A minori dubbi interpretativi ha dato luogo la vexata quaestio afferente l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio a seguito della stipula del contratto, attesa la mancata previsione, a differenza di quanto accaduto per la revoca, di un rimedio speciale che possa surrogare tale forma di annullamento. Ciò posto, al riguardo non è superfluo rilevare che per la fase successiva alla conclusione del contratto talune forme di risoluzione, di matrice pubblicistica, sembrano esser idonee alla rimozione di taluni vizi alla stregua di quanto si potrebbe ottenere da un annullamento d’ufficio. Purtuttavia, attesa la tassatività delle fattispecie di risoluzione “pubblicistica” si ritiene che tale ultimo rimedio possa “surrogare” l’annullamento d’ufficio solo in tali ipotesi tassative. Viceversa nelle ipotesi non ricomprese nel perimetro della risoluzione tornerebbe ad operare l’annullamento d’ufficio.

Così giustificata l’ammissibilità di un annullamento d’ufficio a seguito della stipula, rimangono da chiarire due questioni ulteriori, ossia la sorte del contratto e il giudice munito di giurisdizione. Quanto alla prima questione occorre rilevare che secondo la prevalente impostazione l’annullamento in autotutela dell’aggiudicazione comporta una caducazione automatica[13] del contratto, che andrà dichiarata dal giudice amministrativo[14] dinanzi al quale è impugnato il provvedimento di annullamento. Caducazione automatica che viene giustificata sulla base della consequenzialità funzionale tra aggiudicazione e stipula. La giurisdizione del g.a. invece discenderebbe dal principio di concentrazione[15] delle tutele, anche in assenza di un’espressa previsione in tal senso. Vi sarebbe giurisdizione del g.o. invece solo nelle ipotesi in cui l’esercizio dei poteri di autotutela dopo la stipula è prodromico a far valere vizi del contratto, specie nelle ipotesi in cui la stipula del contratto è preceduta da parvenze di atti amministrativi (una fictio di atto giuridico). In queste ipotesi infatti vengono in rilievo solo vizi invalidanti del contratto, e quindi tramite i poteri di autotutela la pa vuole trovare una via di fuga ad una autonomia contrattuale esercitata male[16].

 

  1. La problematica qualificazione della cessazione dalla concessione

In materia di concessioni particolarmente controversa appare la portata dei poteri previsti dall’art. 176 cod. contr. pubb., rubricato “Cessazione, revoca d’ufficio, risoluzione per inadempimento e subentro”.

In particolare, per quanto concerne la cessazione[17] della concessione[18], occorre rilevare la sostanza pubblicistica della stessa, atteso il carattere pubblicistico dei presupposti prescritti per l’esercizio di tale rimedio. Tale conclusione interpretativa sembra trovare un valido supporto argomentativo anche nella lettera del c. 2 art. 176 cod. contr. pubb., ove si prevede che nell’ipotesi di concessione non si applicano i termini previsti dall’art. 21-nonies l.p.a. per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio[19].

Come dianzi rilevato, anche la revoca della concessione, disciplinata in generale al c. 4 art. 176, assume carattere pubblicistico, attesa la sostanza pubblicistica del presupposto legittimante l’attivazione di tale rimedio, consistente nella sussistenza di motivi di pubblico interesse. Come dianzi rilevato, occorre rilevare che per espressa previsione legislativa, la revoca pubblicistica è ammissibile anche a seguito della stipula del contratto di concessione, a differenza di quanto accade per il contratto di appalto.

  1. Autotutela “interna” al contratto

Recesso e risoluzione sono due rimedi riconosciuti alle stazioni appaltanti al fine di ottenere lo scioglimento del contratto pubblico, rientranti nel  perimetro della c.d. autotutela interna[20] al contratto[21].

Particolarmente discussa è la qualificazione dei rimedi de quibus, anche in assenza di precise indicazioni legislative. Per quanto concerne il recesso, disciplinato in generale all’art. 109[22], occorre rilevare che la prevalente impostazione propende per la natura privatistica dello stesso. Natura pubblicistica è invece riconosciuta al recesso previsto dall’art. 94 cod. antimafia[23], atteso il collegamento dello stesso ad un’informativa prefettizia. Il che implica, in applicazione del principio di concentrazione delle tutele, la devoluzione della giurisdizione in ordine a tale forma di recesso al g.a., competente anche per quanto  concerne l’informativa de qua.

In relazione alla risoluzione occorre preliminarmente distinguere tra risoluzione dell’appalto pubblico e risoluzione della concessione, che ricevono disciplina rispettivamente agli art. 108 e 176 cod. contr. pubblici.

Al riguardo occorre rilevare che tale ultima forma di risoluzione assume senza dubbio natura privatistica, come è dato desumere dalla lettera del c. 7 art. 176[24], che sottopone la medesima alla disciplina (privatistica) di cui all’art. 1453 c.c.

Maggiori dubbi interpretativi ha invece posto la risoluzione[25] del contratto di appalto pubblico. Ed infatti, mentre le fattispecie di cui ai c. 3 e 4, nel riferirsi a gravi inadempimenti, assumono sostanza privatistica, quelle di cui ai c. 1 e 2, avrebbero natura pubblicistica, proprio in quanto il loro esercizio è rimesso alla sussistenza di presupposti pubblicistici.

 

 

[1] Sui contratti delle pubbliche amministrazioni si vd. M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2017, p. 326 e ss.; M. IMMORDINO, I contratti della pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo, (a cura di) F.G. Scoca, Torino, 2019, p. 360 e ss.; S. FANTINI – H. SIMONETTI, Le basi del diritto dei contratti pubblici, Milano, 2019.

[2] L’art. 32 c. 8 cod. contr. pubb. costituisce la base normativa per l’esercizio dei poteri di autotutela in materia di contratti pubblici. Sul punto si vd. M. IMMORDINO, I contratti della pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo, (a cura di) F.G. Scoca, Torino, 2019, p. 383

[3] Sui provvedimenti di secondo grado M. IMMORDINO, I provvedimenti di secondo grado, in Diritto amministrativo, (a cura di) F.G. Scoca, Torino, 2019, p. 301 e ss.; M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2017, p. 315 e ss.

[4] S. FANTINI – H. SIMONETTI, op. cit., p. 103 e ss.

[5] L’ammissibilità dei poteri di autotutela avverso gli atti di gara (bando di gara, aggiudicazione) discende dalla qualificazione degli stessi in termini di provvedimenti amministrativi (M. IMMORDINO, I contratti della pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo, (a cura di) F.G. Scoca, Torino, 2019, p. 383).

 

[6] L’annullamento d’ufficio costituisce un provvedimento di secondo grado “caducatorio” che rimuove con efficacia retroattiva un precedente provvedimento illegittimo. Si distingue dalla revoca in quanto quest’ultima, pur costituendo un provvedimento di secondo grado “caducatorio” non incide su un provvedimento ma sugli effetti di un provvedimento non già illegittimo ma inopportuno, cioè non più adeguato e confacente all’interesse pubblico. Proprio in quanto incide su un provvedimento legittimo ma inopportuno la revoca ha efficacia non retroattiva e comporta il sorgere in capo alla pa di una “responsabilità da fatto lecito”. Infatti è previsto a carico della pa un obbligo di indennizzo atto a riparare gli eventuali pregiudizi conseguenti alla revoca. Sul piano procedimentale vi è da rilevare che l’organo competente ad emettere il provvedimento di annullamento d’ufficio può essere o lo stesso organo che ha emanato l’atto (cosiddetto autoannullamento) o da altro organo al quale sia attribuito per legge. Affinché l’amministrazione possa esercitare in modo legittimo il potere di annullamento d’ufficio devono sussistere quattro presupposti esplicitati dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990. Innanzitutto occorre che il provvedimento sia illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies. Devono inoltre sussistere «ragioni di interesse pubblico», rimesse alla valutazione discrezionale dell’amministrazione, che rendano preferibile la rimozione dell’atto e dei suoi effetti. L’annullamento d’ufficio richiede in terzo luogo una ponderazione di tutti gli interessi in gioco da esplicitare nella motivazione. Infine, dal punto di vista temporale, l’annullamento può essere disposto “entro un termine ragionevole”, al fine di tutelare l’affidamento creato.

Attesa la natura discrezionale dell’annullamento d’ufficio,  l’amministrazione non è tenuta a prendere in esame e a dar seguito a segnalazioni ed esposti da parte di soggetti privati che denunciano l’illegittimità di un atto amministrativo. Pertanto, non formandosi il silenzio su eventuali istanze del privato, quest’ultimo non potrà azionare i rimedi previsti in caso si inerzia della pa, come per esempio l’azione per l’accertamento del silenzio della pa. Sull’annullamento d’ufficio si segnalano M. IMMORDINO, I provvedimenti di secondo grado, in Diritto amministrativo, (a cura di) F.G. Scoca, Torino, 2019, p. 309 e ss.

[7] La revoca costituisce un provvedimento di secondo grado con cui la pa interviene sugli effetti di un precedente provvedimento, legittimo ma inopportuno, precludendo un ulteriore produzione degli stessi. Costituendo a differenza dell’annullamento d’ufficio un provvedimento caducatorio che incide su provvedimenti legittimi è prevista l’efficacia non retroattiva della revoca e l’obbligo della pa di corrispondere al privato un indennizzo relativamente ai pregiudizi che lo stesso subisce a causa della revoca.

Il riesame sotteso alla revoca ha per oggetto il merito (opportunità), cioè la conformità all’interesse pubblico dell’assetto degli interessi risultante dall’atto emanato.

A differenza della revoca “privatistica”, che costituisce un negozio di secondo grado che incide, rimuovendolo retroattivamente, su un precedente atto unilaterale (es. procura o testamento) o su un contratto concluso nell’esclusivo interesse di una delle parti (es. mandato), la revoca “pubblicistica” rappresenta una manifestazione del potere di autotutela della pubblica amministrazione. Il potere di revoca, che ha carattere discrezionale, è giustificato dall’esigenza di garantire nel tempo la conformità all’interesse pubblico dell’assetto giuridico derivante da un provvedimento amministrativo, esigenza che è ritenuta prevalente rispetto a quella di tutela degli affidamenti creati. Sul piano tipologico si possono distinguere due fattispecie di revoca: la  revoca per sopravvenienza e la revoca espressione dello jus poenitendi.

Costituiscono forme di revoca “per sopravvenienza”: i) la revoca per “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”;  ii) la revoca per “mutamento della situazione di fatto”.

La  revoca jus poenitendi riguarda invece l’ipotesi di “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”, configurabile nei casi in cui l’amministrazione si rende conto di aver compiuto una ponderazione errata degli interessi nel momento in cui ha emesso il provvedimento. A  differenza dell’annullamento d’ufficio, che ha efficacia retroattiva (ex tunc), la revoca «determina l’inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti» (ex nunc). La revoca ha tipicamente per oggetto provvedimenti «a efficacia durevole», come per esempio le concessioni di servizi pubblici.  L’obbligo di indennizzo costituisce una forma di responsabilità da fatto lecito della pa configurabile allorquando alla revoca conseguono pregiudizi in danno di determinati soggetti.

La previsione di tale obbligo, in presenza di pregiudizi conseguenti alla revoca, può costituire un limite all’esercizio indiscriminato di tale potere. In ordine al quantum, occorre rilevare che l’indennizzo è limitato al danno emergente, escludendo così il lucro cessante.

[8] La responsabilità precontrattuale della pa è una forma di responsabilità da comportamento e non già da provvedimento (illegittimo o tardivo) che si fonda sulla violazione da parte della pa della violazione del principio di buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto. Affinché possa sussistere una responsabilità precontrattuale della pa è necessaria la sussistenza di un affidamento incolpevole ingenerato nel contraente unitamente alla scorrettezza del comportamento tenuto dalla pa. Sul punto S. FANTINI – H. SIMONETTI, op. cit., p. 190 e ss.

[9] Purtuttavia la risarcibilità del danno sarebbe limitata all’interesse negativo, e quindi alle spese sostenute e alle chances perse.

[10] Sull’inopportunita’ del provvedimento si vd. E. CASETTA, op. cit., p. 589.

[11] Ad. Plenaria 14/2014, su cui S. FANTINI – H. SIMONETTI, Le basi del diritto dei contratti pubblici, Milano, 2019, p. 135.

[12] In materia di concessioni invece si assiste ad una diversa previsione, atteso che il c. 4 art. 176 ammette senza limitazioni la revoca della concessione, che in quanto fondata sulla sussistenza di motivi di pubblico interesse assume connotazione pubblicistica.

[13] Come rilevano S. FANTINI – H. SIMONETTI, op. cit., p. 147, la teorica della caducazione automatica “parrebbe funzionale ad aggirare, per quanto possibile, il problema della giurisdizione”.

[14] Sul punto si vd. Cass. SS.UU. sent. n. 14260/2012; Cass. SS.UU. sent. n. 9862/2015.

[15] S. FANTINI – H. SIMONETTI, op. cit., p. 147.

[16] S. FANTINI – H. SIMONETTI, op. cit., p. 148.

 

[17] E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, (a cura di) F. Fracchia, Milano, 2018, p. 673.

[18] Come rileva A. ESPOSITO, La disciplina dei poteri di autotutela, in Nuovi temi di Diritto amministrativo, Napoli, 2016, p. 225, è rimasta sostanzialmente irrisolta la vexata quaestio afferente l’efficacia ex tunc o ex nunc da riconoscersi alla cessazione della concessione.

[19] L’inciso secondo A. ESPOSITO, La disciplina dei poteri di autotutela, in Nuovi temi di Diritto amministrativo, Napoli, 2016, p. 225 “sembrerebbe porsi in controtendenza rispetto ai principi di certezza e tutela delle istanze privatistiche espressi dalla Riforma Madia, finendo per attribuire alla pa un ampio potere discrezionale non controbilanciato dal limite temporale da ultimo introdotto”.

[20] M. IMMORDINO, op. cit., p. 383.

[21] Sull’autotutela interna al contratto ex art. 108 e 109 cod. contr. pubb., si vd. E. CASETTA, op. cit., p. 665 e ss.

[22] S. FANTINI – H. SIMONETTI, Le basi del diritto dei contratti pubblici, Milano, 2019, p. 132.

[23] M. IMMORDINO, op. ult. cit., p. 374; S. FANTINI – H. SIMONETTI, op. cit., p. 132.

[24] E. CASETTA, op. cit., p. 673.

[25] S. FANTINI – H. SIMONETTI, op. cit., p. 132 e ss.

 

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