08/11/2022 – La nomina dell’AdS deve privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona

L’istituto dell’amministrazione di sostegno non può essere piegato ad assicurare la tutela di interessi esclusivamente patrimoniali, ma deve essere volto, più in generale, a garantire la protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze di ciascuna, ferma la necessità di limitare nella minor misura possibile la capacità di agire.

La condizione di ridotta autonomia, che si colleghi a menomazioni soltanto fisiche, è ben compatibile con l’esplicazione di una volontà libera, consapevole e dunque, in base allo statuto dei diritti di ogni persona, non coercibile.

L’equilibrio della decisione deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata, così da discernere le fattispecie a seconda dei casi. (VC)

Amministrazione di sostegno –Nomina – Giudice Tutelare – Autodeterminazione della persona – Rispetto della persona – Rif. Leg. Legge 9 gennaio 2004 n. 6

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza (ud. 19 ottobre 2022) 4 novembre 2022, n. 32542

Svolgimento del processo

Con decreto datato 9.12.2020 nell’ambito del procedimento nr 649/2020 la Corte di appello di Ancona rigettava il reclamo proposto da M.T.C. avverso il provvedimento del giudice tutelare del Tribunale di Ancona in data 24.9.2020 con il quale aveva dichiarato l’apertura dell’amministrazione di sostegno in favore della reclamante.

La Corte distrettuale riteneva corretta la misura alla luce della situazione concreta attentamente vagliata dal Giudice tutelare.

Evidenziava al riguardo che la relazione dei servizi sociali aveva messo in luce le difficoltà economiche in cui versava la reclamante la quale, pur non essendo affetta da una patologia tale da privare o limitare la sua capacità cognitive presentava una fragilità incidente sull’autonomia medesima nel provvedere ai propri interessi sicché la misura appariva necessaria in considerazione delle conseguenze che tale deficit determina nella gestione concreta del patrimonio.

Sottolineava che la C., pur rilevando di essere attenta alle proprie necessità, non era in grado di respingere le richieste del fratello con il quale aveva un rapporto caratterizzato da tensioni.

La Corte di appello osservava inoltre che nel corso dell’esame diretto della reclamante era emersa l’incapacità di gestire le disponibilità finanziarie in relazione alle difficoltà economiche in cui la stessa si trovava.

In questo quadro il giudice del reclamo riteneva che la reclamante a causa delle condizioni di fragilità e di incapacità poteva essere indotta a porre in essere attività prive di una adeguata giustificazione e gravemente lesive sul piano economico incapace di attendere autonomamente ai propri interessi.

Avverso tale decreto M. T. C. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art 404 c.c. in relazione all’art 360 primo comma nr 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello tenuto in considerazione la relazione dei Servizi sociali senza neanche valorizzare la documentazione prodotta dalla beneficiaria.

Sostiene di non essere in condizione economiche precarie vivendo in un palazzo di proprietà composto da 4 appartamenti come dà atto la stessa relazione dei servizi sociali riporta che la beneficiaria vive e in modo oculato il proprio patrimonio centellinando le spese per sé lamentando che ciò non sia stato considerato dalla Corte di appello.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art 13 della Cost in relazione all’art 360 primo comma nr 3 c.p.c. per non avere la Corte di appello preso in considerazione la volontà contraria alla misura di protezione espressa dalla reclamante in violazione dei principi di autodeterminazione e rispetto della vita privata e familiare.

Preliminarmente va affermata la ricorribilità in cassazione del decreto impugnato, stante il contenuto decisorio dello stesso, concernente l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto per l’apertura dell’amministrazione di sostegno; ciò alla luce del recente arresto delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. n. 21985/2021) che hanno precisato che i decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno sono reclamabili ai sensi dell’art. 720 bis c.p.c., comma 2, unicamente dinanzi alla Corte d’appello, quale che sia il loro contenuto (decisorio ovvero gestorio), mentre, ai fini della ricorribilità per cassazione dei provvedimenti assunti in tale sede, la lettera della legge impone in ogni caso la verifica del carattere della decisorietà, quale connotato intrinseco delle statuizioni suscettibili di essere sottoposte al vaglio del giudice di legittimità.

I motivi da esaminarsi congiuntamente in quanto aventi ad oggetto la comune problematica riguardante la sostituzione dell’amministratore, sono fondati.

La Corte di appello, sulla scorta delle relazione redatta dai servizi sociali, ha ritenuto che l’odierna ricorrente, pur non affetta da una patologia tale da privare o limitare la stessa della capacità di comprensione, presentava una fragilità incidente sull’autonomia della stessa nel provvedere ai propri interessi considerando pertanto necessaria la misura in considerazione delle conseguenze che tale deficit determinava nella gestione concreta del patrimonio.

In questa prospettiva ha evidenziato che la C., pur rilevando di essere attenta alle proprie necessità non era in grado di respingere le richieste economiche del fratello con il quale aveva un rapporto quantomeno caratterizzato da tensioni.

Ha poi sottolineato che in base all’esame diretto della beneficiaria era emersa l’incapacità di gestire le disponibilità finanziarie in relazione alle difficoltà economiche in cui la medesima si trovava.

Tale motivazione concretizza la falsa applicazione dell’art. 404 c.c. e della ratio che presidia l’istituto in esame.

Va ricordato che può essere assoggetta ad amministrazione di sostegno la persona che, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell’impossibilità anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi.

L’amministrazione di sostegno, introdotta dalla L. n. 6 del 2004, art. 3 innovando il sistema delle tutele previste in favore dei soggetti deboli, persegue la finalità di offrire, a chi si trovi – all’attualità – nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica” non necessariamente di ordine mentale (Cass. n. 12998/2019), uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la “capacità di agire” e che – a differenze dell’interdizione e dell’inabilitazione – sia idoneo ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in ragione della sua flessibilità e della maggiore agilità della relativa procedura applicativa.

Detta misura, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all’istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un’ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all’attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido (Cass. n. 29981/2020).

La valutazione della congruità e conformità del contenuto dell’amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario, riservata all’apprezzamento del giudice di merito, richiede che questi tenga essenzialmente conto, secondo criteri di proporzionalità e di funzionalità, del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l’interessato, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie, in modo da assicurare che il concreto supporto sia adeguato alle esigenze del beneficiario senza essere eccessivamente penalizzante (v. Cass. n. 13584/2006, n. 22332/2011; Cass. n. 18171/2013; Cass. n. 6079/2020; nel senso che l’ambito dei poteri dell’amministratore debba puntualmente correlarsi alle caratteristiche del caso concreto, v. Corte Cost. n. 4 del 2007).

L’istituto dell’amministrazione di sostegno, in altre parole, non può essere piegato ad assicurare la tutela di interessi esclusivamente patrimoniali, ma deve essere volto, più in generale, a garantire la protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze di ciascuna, ferma la necessità di limitare nella minor misura possibile la capacità di agire (v. Cass. n. 19866-18).

A tale considerazione va aggiunto che l’art. 408 c.c. consente allo stesso beneficiario di designare l’amministratore di sostegno, in previsione della eventuale propria futura incapacità; e ciò è stato ritenuto da questa Corte indice del principio di autodeterminazione, in cui si realizza uno dei valori fondamentali della dignità umana (cfr. Cass. n. 23707-12).

Ora, salvo che non sia provocata da una grave patologia psichica, tale da rendere l’interessato inconsapevole finanche del bisogno di assistenza, pure l’opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione; e come tale non può non essere considerata dal giudice nel contesto della decisione che a lui si richiede.

In altri termini, la volontà contraria all’attivazione della misura, ove provenga da una persona pienamente lucida, non può non esser tenuta in debito conto (v. in tal senso, in motivazione, Cass. n. 22602-17); il che giustappunto si trae dal fatto che la condizione di ridotta autonomia, che si colleghi a menomazioni soltanto fisiche, è ben compatibile con l’esplicazione di una volontà libera, consapevole e dunque, in base allo statuto dei diritti di ogni persona, non coercibile.

La Corte d’appello ha omesso ogni considerazione di tale decisivi aspetti, così finendo per distorcere l’istituto rispetto alle sue intrinseche finalità visto che la scarsa cognizione delle possidenze patrimoniali non è stata paventata come conseguenza di una patologia psico-cognitiva, ma come il semplice effetto dell’organizzazione di vita già da tempo assunta.

In tema di amministrazione di sostegno, l’equilibrio della decisione deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata, così da discernere le fattispecie a seconda dei casi.

In conclusione, il ricorso va accolto; il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente grado.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52;

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