19/07/2022 – L’art. 21 oct, l. n. 241/90, a ss della modifica operata con l’art. 12, c 1, l. i), d.l. n. 76/2020, comporta che l’omissione del preavviso di rigetto, in caso di provvedimenti discrezionali, non è superabile con una valutazione ex post del p

Indice: 1. Premessa; 2. Il fatto di causa; 3. Il potere discrezionale dell’Amministrazione in riferimento al procedimento ex art. 872 c.o.m.; 4. La partecipazione procedimentale dell’interessato come elemento dirimente e l’applicabilità dell’art. 21 octies l.241/1990; 5. Il principio di diritto; 6. Considerazioni finali.

  1. Premessa

Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato definisce in maniera precisa e sistematica i profili riguardanti il criterio di applicazione dell’art. 21 octies – annullabilità del provvedimento amministrativo – nel caso di omissione del preavviso di rigetto e con riferimento all’adozione di provvedimenti di carattere discrezionale, alla luce delle intervenute modifiche legislative del 2020.

 

  1. Il fatto di causa

La vicenda prende le mosse da un articolato excursus giudiziario del quale qui, per brevità, si riportano i tratti salienti, utili ad inquadrare la vicenda ed a coglierne i profili sostanziali di maggiore interesse. 

Un operatore delle Forze dell’Ordine veniva condannato alla pena della reclusione ed alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dei pubblici uffici con sentenza della Corte d’appello nel 2003, per reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, sentenza divenuta irrevocabile nel 2008 con la conferma da parte della Cassazione.

Seguiva il procedimento disciplinare, conclusosi con l’irrogazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, irrogazione annullata dal TAR, nel 2011, per difetto di motivazione. In esecuzione della sentenza qui richiamata, il Direttore generale del personale militare, con sua determinazione, reintegrava l’operatore, il quale tuttavia subiva la perdita del grado – ai sensi dell’art. 866 del d.lgs 15 marzo 2010 Codice ordinamento militare – per la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Tale provvedimento veniva annullato da TAR per mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Il decreto di perdita del grado veniva adottato ancora una volta, nel 2013, con il vaglio di legittimità del TAR che ha emanato una sentenza in tal senso nel 2015.

Veniva poi pronunciata la riabilitazione, con ordinanza del Tribunale di sorveglianza nel 2015, sicché il ricorrente chiedeva di essere reintegrato in servizio. In mancanza, tuttavia, di risposta da parte dell’Amministrazione, veniva proposto ricorso al TAR per l’accertamento dell’obbligo di provvedere ai sensi degli artt. 31 e 177 del Codice del processo amministrativo.

Contemporaneamente, veniva respinta l’istanza di reintegrazione, sulla base dei pareri contrari espressi dagli organi militari di vertice, i quali motivavano il diniego con la presenza di un pregiudizio arrecato al Corpo militare d’appartenenza del ricorrente, il quale era portatore non già di una ottima condotta – come richiesto dall’art. 897 Codice ordinamento militare – ma da una condotta buona, non supportata, tra l’altro, da particolari meriti civili e sociali.

Tale rifiuto diventava motivo d’aggiunta di motivi ulteriori allegati al ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione. Le opposizioni mosse riguardavano così: la violazione e la falsa applicazione dell’art. 3 della l. 241/1990, in combinato con l’art. 872 del d.lgs 66 del 2010, con cui veniva contestato il provvedimento deducendo che il parere dell’organo militare di vertice era positivo, che i fatti originari erano risalenti nel tempo e che tale circostanza non era oggetto di valutazione da parte dell’Amministrazione, né che era stato chiesto il parare della Corte militare d’appallo, come da art. 872 c.o.m.; violazione e falsa applicazione dell’art. 872 del d.lgs 66/2010, poiché tale norma non prevederebbe una discrezionalità dell’Amministrazione in sede di reintegrazione, che dovrebbe essere il derivato della riabilitazione, mentre l’Amministrazione richiamava la norma dell’art. 871 c.o.m; violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990, per la mancata comunicazione del preavviso di rigetto.

Il ricorso avverso il silenzio veniva dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, essendo poi di fatto sopravvenuto il provvedimento espresso. Venivano altresì respinti i motivi aggiuntivi attraverso il richiamo degli orientamenti giurisprudenziali che sancivano l’ampia discrezionalità dell’amministrazione in sede di reintegrazione, applicabili anche in caso di intervenuta riabilitazione. Un punto di notevole rilievo dogmatico è rappresentato anche dalla statuizione circa il parere della Corte d’Appello militare, il quale dovrebbe essere acquisito solo quando l’Autorità amministrativa si determini all’esito dell’istruttoria, ossia quando si disponga di accogliere l’istanza e non già di rigettarla.

Contro tale sentenza veniva infine proposto l’appello dal quale prende le mosse la pronuncia oggetto della presente nota. In particolare, nel lamentare il difetto di motivazione, l’aspetto saliente è certamente l’opposizione circa il rifiuto di accogliere la violazione dell’art. 10 bis della l. 241/1990, trattandosi di attività non vincolata.

 

  1. Il potere discrezionale dell’Amministrazione in riferimento al procedimento ex art. 872 c.o.m.

 

Le argomentazioni in diritto dei giudici di Palazzo Spada offrono interessanti spunti d’analisi.

In particolare i giudici, nel ricordare come il provvedimento della perdita di grado – ex art. 866 d.lgs 66/2010 – non sia oggetto della pronuncia della Consulta n. 268 del 2016, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 866, comma 1, 867, comma 3 e 923 comma 1 del c.o.m. «nella parte in cui non prevedono l’instaurarsi del procedimento disciplinare per la cessazione del servizio per perdita del grado conseguente alla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici», ribadiscono come il codice dell’ordinamento militare preveda che il militare rimosso per la perdita del grado possa essere reintegrato in servizio, sulla scorta dell’art. 871 c.o.m. Inoltre, ai sensi dell’art. 872 c.o.m. – ritenuta dall’appellante come disciplina di riferimento – viene stabilito che la reintegrazione nel grado per il militare che lo ha perso per condanna penale è disposta a domanda dell’interessato, previo parere favorevole della Corte militare d’Appello e se il militare ottiene la riabilitazione a norma del diritto penale. «Se la reintegrazione richiesta a seguito di perdita del grado per condanna è respinta nel merito, l’esame di una nuova domanda è ammesso dopo cinque anni dalla decisione di rigetto e, in ogni tempo, se sono sopravvenuti o si scoprono nuovi elementi di giudizio particolarmente rilevanti, ovvero se il militare consegue una ricompensa al valor militare». Il Consiglio ribadisce questa specificazione, ricordando come il provvedimento di rimozione sia derivato non già da un autonomo procedimento disciplinare ma dalla condanna e dalla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici disposta con la sentenza di condanna.

Sempre ai sensi dell’art. 872 c.o.m., appare altresì evidente come la riabilitazione in sede penale sia solo uno dei presupposti del provvedimento di reintegrazione in servizio, il quale resta attribuito ad una scelta di carattere discrezionale dell’Amministrazione.

A questo punto delle considerazioni in diritto, i giudici di Palazzo Spada ripercorrono i trascorsi giurisprudenziali che hanno ritenuto sussistente una discrezionalità valutativa dell’Amministrazione militare – aspetto, questo, che risulterà dirimente per le considerazioni che seguiranno – anche nelle ipotesi di perdita del grado a seguito di condanna senza procedimento disciplinare. In questo filone giurisprudenziale viene infatti affermato che spetta all’Amministrazione valutare, anche in queste circostanze, se la concessione della reintegra rappresenti non solo le aspirazioni del militare riabilitato in sede penale ma «anche all’interesse pubblico di settore, quindi un apprezzamento in ordine alla riacquisizione da parte dell’interessato di quelle spiccate qualità morali richieste per ogni appartenente al Corpo». In ordine a queste considerazioni, è di sicura utilità la lettura della sentenza Cons. St. Sez. IV, 13 gennaio 2020, n. 44.

 

  1. La partecipazione procedimentale dell’interessato come elemento dirimente e l’applicabilità dell’art. 21 octies 241/1990.

Il fondamento teorico che il Consiglio di Stato preme ribadire è che il riconoscimento di un ampio potere discrezionale in campo all’Amministrazione comporta la rilevanza della mancanza di partecipazione procedimentale dell’interessato. Nel caso di specie, tale mancanza si è palesata con l’omissione della comunicazione del preavviso di rigetto.

I giudici di Palazzo Spada, nel richiamare l’art. 10 bis della l. 241/1990 – comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza –  nella formulazione vigente contestualmente all’emanazione del provvedimento e nel richiamare l’art. 21 octies comma 2 della l. 241/1990 – esclusione della necessità del preavviso di rigetto per le attività vincolate – ribadisce come, considerata l’ampia discrezionalità dell’Amministrazione nel valutare aspetti sensibili della vicenda, tra i quali la condotta morale del ricorrente, il caso di specie richiedeva la necessità del preavviso di rigetto.

Infatti, il comma 2 dell’art. 21 octies prevede che il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Tale disposizione, immersa totalmente nella consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, viene ritenuta applicabile anche al difetto del preavviso di rigetto. Si vedano Cons. Stato, sez. IV, 27 settembre 2016, n. 3948; sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667. Il difetto del preavviso di rigetto condivide con la comunicazione di avvio del procedimento la funzione di garante del contradittorio endoprocedimentale.

Il preavviso di rigetto, sostengono i giudici di Palazzo Spada, ha come scopo far conoscere all’amministrazione procedente le ragioni fattuali e giuridiche dell’interessato che potrebbero cagionare una diversa determinale finale, stante una ponderazione di ogni interesse in gioco. Tale scopo viene meno ed è inidoneo a giustificare l’annullamento provvedimento nei casi in cui il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia poiché vincolato, sia in quanto, nonostante discrezionale, sia raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità.

Ciò che rileva nelle motivazioni della pronuncia in esame, e già richiamate nella giurisprudenza più recente, è il fatto che il Consiglio di Stato specifichi come sia l’art. 10 bis, sia altre norme di garanzia di partecipazione procedimentale, non debbano essere interpretate ed applicate in senso meramente formalistico ma devono necessariamente avere come focus l’oggettivo pregiudizio che la loro inosservanza può causare alle ragioni della parte del procedimento, nell’estrinsecazione del suo rapporto con la Pubblica Amministrazione, sicché il mancato preavviso di rigetto non comporta l’automatica illegittima del provvedimento finale, quando possa trovare applicazione l’art. 21 octies, secondo il quale il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale di un provvedimento, il cui contenuti non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Tale norma incarna i principi costituzionali di maggiore efficienza dell’azione amministrativa e risparmia duplicazioni di attività inidonee ad attribuire il bene-vita richiesto dall’interessato. Si vedano Cons. Stato, sezione II, 17 settembre 2019, n. 6209; sez. II, 9 giugno 2020, n. 3675; sez. V, 8 febbraio 2021, n. 1126.

  1. Il principio di diritto

L’orientamento riportato dai giudici di Palazzo Spada è un orientamento formatosi prima della modifica della seconda parte dell’art. 21 octies, intervenuta con l’art. 12, comma 1, lett. I) del D.L. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla L. 120/2020, con l’aggiunta di una previsione che stabilisce che la disposizione non si applica al provvedimento che è stato adottato in violazione dell’art. 10 bis.

Questa specificazione altro non fa che distinguere un duplice regime: quello della comunicazione di avvio del procedimento e quello del preavviso di rigetto per i procedimenti ad istanza di parte, la cui omissione non è superabile nel caso di provvedimenti discrezionali. Da ciò deriva, a detta del Consiglio di Stato, che per i provvedimenti discrezionali rileva anche la sola omissione formale della mancata comunicazione del preavviso di rigetto. La norma, res sic stantibus, sottrae il modello procedimentale collegato all’esercizio di un potere esclusivamente discrezionale ai meccanismi di una «sanatoria processuale» previsti per la violazione di norme sul procedimento, in caso di omissione del preavviso di rigetto.

Tutto ciò detto, i giudici di Palazzo Spada arrivano all’enunciazione del principio oggetto della pronuncia in esame. La nuova disposizione come riformulata è applicabile anche ai procedimenti in corso, sulla scorta dell’attribuzione di norma di carattere processuale del comma 2 dell’art. 21 octies da parte della giurisprudenza. Come tale, quindi, applicabile ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della legge di riferimento.

Ciò comporta che deve ritenersi immediatamente «applicabile alle fattispecie oggetto di giudizi pendenti, per i quali in caso di omissione del preavviso di rigetto resta inibita all’Amministrazione la possibilità di dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverse da quello in concreto adottato.»

 

  1. Considerazioni finali

Come si può constatare, il Consiglio di Stato ha nuovamente sancito degli aspetti di diritto sostanziale, che resistono alle intervenute modifiche legislative, afferenti alle motivazioni oggettive ed agli interessi delle parti del procedimento. Come noto, il preavviso di rigetto ha come funzione cardine quella di far conoscere all’amministrazione procedente le ragioni fattuali e giuridiche dell’interessato, le quali potrebbero far assumere una diversa determinazione finale, stante una ponderazione precisa e puntuale di tutti gli interessi in gioco, aspetto questo che dal Consiglio viene definito come sintomatico di efficienza amministrativa.

Il Consiglio di Stato ha tenuto a ribadire, sulla base della giurisprudenza più recente (Cons. Stato, sez III 22 ottobre 2020, n. 6378) come l’art. 10-bis, L. n. 241 del 1990, così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, va applicato non in senso formalistico, ma avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione, sicché il mancato o l’incompleto preavviso di rigetto, al pari della non esplicita confutazione delle argomentazioni addotte dal privato in risposta al ricevuto avviso, non comporta l’automatica illegittimità del provvedimento finale, quando possa trova applicazione l’art. 21-octies della stessa L. n. 241 del 1990, secondo cui il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali, che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale di un provvedimento, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Il quid pluris che rileva in questa pronuncia è che, stante la modifica legislativa del luglio 2020 e l’aggiunta della distinzione tra il regime della comunicazione di avvio del procedimento e quello del preavviso di rigetto per i procedimenti ad istanza di parte, la cui omissione  non è superabile nel caso di provvedimenti discrezionali, tramite l’intervento dell’effetto processuale della seconda parte del secondo comma dell’art. 21 octies, i provvedimenti discrezionali come quello oggetto della pronuncia subiscono l’omissione formale della mancata comunicazione del preavviso di rigetto. Tale nuova formulazione, pur sottraendo il modello procedimentale ai meccanismi di sanatoria processuale previsti per la violazione di norme sul procedimento in caso di omissione di preavviso di rigetto, risulta applicabile anche ai procedimenti in corso, in virtù della natura processuale della seconda parte del secondo comma dell’art. 21 octies sancita dalla giurisprudenza più recente sopra richiamata.

L’indirizzo portato avanti dal Consiglio di Stato in tema di partecipazione delle parti, di importanza della ponderazione degli interessi in gioco, di consonanza con i principi che regolano l’azione amministrativa nella Carta Costituzionale risulta quindi univoco ed in linea con altre pronunce recenti.

 

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