01/07/2022 – I fondi strutturali e il PNRR a confronto.

SOMMARIO

  1. INTRODUZIONE
  2. LE POLITICHE DI COESIONE DELL’UNIONE EUROPEA

2.1       Contesto

2.2       Basi giuridiche

2.3       Cenni relativi all’evoluzione nel tempo delle politiche di coesione

2.4       Il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 dell’Unione europea (QFP)

2.5 I principali strumenti di intervento delle politiche di coesione unionale e nazionale

2.6       Gli strumenti per le politiche di coesione 2021 – 2027

2.7 Metodologia e funzionamento dei Fondi SIE 2021 – 2027

2.7.1 Obiettivi strategici, principi e priorità

2.8       Gli strumenti unionali: i Fondi strutturali

2.8.1    Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)

2.8.2    Il Fondo sociale europeo Plus (FSE+)

2.8.3    Il Fondo per una transizione giusta

2.9       Altri strumenti unionali a supporto delle politiche di coesione

2.9.1    Gli aiuti strutturali alla Pesca (FEAMP)

2.9.2    La cooperazione territoriale europea (Interreg)

2.10     Gli strumenti nazionali per le politiche di coesione: piani strategici, programmi e fondi di finanziamento

2.10.1  Il Fondo di Sviluppo e Coesione (FSC)

2.10.2  Il Piano Sud 2030

2.10.3 Il Piano d’Azione per la Coesione (PAC)

2.10.4 Programmazione ed attuazione

2.10.5 Programmi 2021-2027 per l’Italia

3.1 Differenze e analogie tra fondi strutturali e PNRR

3.2       Gestione ed attuazione: un primo confronto tra PNRR e fondi SIE

3.2.1    Fondi SIE versus PNRR – Gli elementi di rischio

3.2.2    Fondi SIE versus PNRR – Gli elementi di opportunità

  1. CONCLUSIONI.

INTRODUZIONE

Le scelte per la politica regionale e di coesione dell’Unione europea sono attuate attraverso tre fondi principali, ovvero il Fondo di sviluppo regionale, il Fondo di coesione e il Fondo sociale.

Un impegno che rappresenta circa un terzo della dotazione complessiva del bilancio europeo e agisce da fulcro per altri strumenti finanziari, europei e nazionali, e capitali pubblici privati.

La politica di coesione sociale, economica e territoriale, questa la definizione dei Trattati unionali, rappresenta dunque lo sforzo maggiore ai fini dell’integrazione europea, soprattutto in un momento quale quello attuale in cui, al consolidato divario tra Nord e Sud sulle politiche economiche e di bilancio, si aggiunge una profonda divisione tra Est e Ovest sui temi dei diritti e sulla pratica della solidarietà, oltre che tensioni politiche e spinte centrifughe e nazionalismi che hanno già portato alla Brexit e, nel breve-medio periodo, potrebbero conseguire altri effetti similari. A ciò si aggiungono gli effetti destrutturanti della crisi economica in atto a causa della pandemia da COVID-19, i cui effetti la Unione europea sta cercando di depotenziare attraverso lo strumento straordinario del Recovery and Resilience Facility.

È indubbio che le disparità sociali e territoriali – in potenziale aumento nella fase storica attuale – siano in grado di minare la coesione anche politica dell’Unione e, dunque, il ruolo della politica di coesione europea assume oggi un ruolo ancora più importante, rimandando al livello unionale la funzione di condivisione degli obiettivi strategici della Unione europea da parte degli Stati membri.

Nella nuova fase di programmazione, in fase di avvio, va definito un nuovo equilibrio complessivo tra i soggetti che determinano le scelte strategiche in tema di coesione – ossia la Commissione, gli Stati membri e le loro articolazioni, cioè Regioni e comunità territoriali – in termini di coerenza nella definizione delle strategie e degli strumenti di intervento ed efficacia dei sistemi di governance degli stessi, al fine di assicurare un equilibrio stabile tra i diversi ambiti dell’economia e della società europea.

La coerenza tra le scelte strategiche, definite a livello europeo, nazionale e locale e gli strumenti di intervento dedicati, ai tre livelli territoriali richiamati, è la condizione in grado di sorreggere o sprofondare risolutivamente gli effetti e le ricadute finali delle politiche sui territori, in termini di efficacia nell’azione di sostegno alla crescita, sviluppo, ma anche dell’equilibrio finanziario generale dei sistemi territoriali.

I principali strumenti della politica di coesione attivati o in via di attivazione – ai livelli europeo e nazionale – sono rubricati e riportati nel documento che segue.

 

LE POLITICHE DI COESIONE DELL’UNIONE EUROPEA

 

2.1       Contesto

Fin dall’istituzione della Comunità europea (ora Unione europea) esistono ampie disparità territoriali e demografiche, di portata tale da poter ostacolare l’integrazione e lo sviluppo in Europa.

Già il trattato di Roma (1957) aveva istituito meccanismi di solidarietà economica sotto forma di due strumenti di intervento (Fondi) il Fondo sociale europeo (FSE) e il Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG, sezione orientamento).

Nel 1975 venne introdotto l’aspetto del supporto a livello territoriale (regionale), con la creazione del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR).

Nel 1994 fu istituito il Fondo di coesione (FC).

Con l’Atto unico europeo del 1986, la coesione economica e sociale è entrata a far parte delle competenze della Comunità europea.

Nel 2007 infine, il trattato di Lisbona ha introdotto una terza dimensione della coesione nell’Unione europea: la coesione territoriale. Questi tre aspetti della coesione – economica, sociale e territoriale – ricevono sostegno attraverso la politica di coesione e i Fondi strutturali.

 

Oltre alla riorganizzazione ed alla riforma della Politica di Coesione, tra le altre principali novità apportate dal Trattato di Lisbona ricordiamo:

Politica estera e di sicurezza comune – è stato istituito ora un Servizio europeo per l’azione esterna che assiste l’Alto Rappresentante e assicurare così coerenza a tutte le azioni esterne dell’Unione.

Politica di difesa – gli Stati membri dell’Unione possono organizzare una politica di difesa comune, attraverso il principio della cooperazione strutturata. Per questo motivo, è stata introdotta una clausola di solidarietà la quale prevede che se uno Stato membro subisce un’aggressione armata, gli altri Stati debbano aiutarlo e assisterlo con tutti i mezzi a loro disposizione.

Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – le misure riguardanti la libertà, la sicurezza e la giustizia sono attuate ricorrendo al metodo comunitario, applicando la procedura di co-decisione e il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio. Sono possibili iniziative degli Stati membri se ritengono che i loro interessi possano essere lesi.

Il Consiglio europeo – il Presidente del Consiglio europeo viene eletto per due anni e mezzo dai Capi di Stato e di Governo. Egli presiede, assicura la preparazione e la continuità del lavoro del Consiglio europeo ed ha il compito di facilitare la coesione e il consenso all’interno di esso. Inoltre, il Presidente del Consiglio europeo assicura la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie riguardanti la politica estera e di sicurezza comune “fatte salve le attribuzioni dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza”.

L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza – l’Alto Rappresentante per gli affari esteri ha ora, grazie al nuovo Trattato, una doppia investitura: Presidente del Consiglio degli Esteri e Vice Presidente della Commissione, per garantire coerenza a tutta l’azione esterna dell’Unione.

Elezione del Presidente della Commissione – il Parlamento europeo elegge il Presidente della Commissione con una votazione a maggioranza assoluta; il candidato è proposto dal Consiglio europeo che decide a maggioranza qualificata, tenendo conto dei risultati delle elezioni europee.

Efficienza della Commissione – il numero dei membri della Commissione è stato ridotto dopo il 2014 per permettere un andamento dei lavori più efficiente; il numero di Commissari sarà pari ai due terzi del numero degli Stati membri. L’uguaglianza tra gli Stati membri è garantita da un sistema di rotazione.

Corte di Giustizia – La giurisdizione della Corte di Giustizia ora è allargata a tutte le attività dell’Unione, a eccezione della politica estera e di sicurezza comune, compreso il controllo delle misure che limitano i diritti della persona.

Divisione di competenze – il nuovo Trattato prevede ora una chiara e precisa divisione di competenze tra l’Unione europea e i Paesi membri.

 

2.2       Basi giuridiche

Tra gli obiettivi prioritari dell’Unione europea vi è quello di promuovere la coesione economica, sociale e territoriale, ai sensi dell’articolo 3 del Trattato sull’Unione europea[1] (TUE), ossia mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle sue varie regioni, secondo quanto stabilito dagli articoli da 174 a 178 (ed in particolare dall’articolo 174) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea[2] (TFUE), come da ultimo modificato con il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato ufficialmente in vigore il 1º dicembre 2009, noto anche come Trattato di riforma che modifica il trattato sull’Unione Europea (Maastricht, 1992) e il Trattato che istituisce la Comunità europea (Roma, 1957).

Obiettivo generale dell’Unione europea, secondo l’articolo 174 citato – che rappresenta il cardine dell’azione unionale in materia – è “promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione” attraverso il “rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale” riducendo “il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite”, con particolare attenzione “rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna”.

Il conseguimento della coesione, attraverso la riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il conseguente rafforzamento e la convergenza delle economie, rappresenta, nelle intenzioni delle istituzioni dell’Unione europea, il presupposto per istituire un’Unione economica e monetaria che comporti, una moneta unica e stabile, in conformità delle disposizioni del TUE e del TFUE.

La convergenza delle economie e la moneta unica e stabile è il presupposto, a sua volta, per realizzare l’integrazione economica dell’Unione, promuovere il progresso economico e sociale dell’intera comunità, realizzare il mercato interno in un’ottica di sviluppo sostenibile e di protezione dell’ambiente[3].

L’esecuzione della politica di coesione e la sua attuazione su scala regionale – considerata la più adatta a conseguire effetti significativi in tema di riduzione dei divari – passa principalmente attraverso l’attivazione di strumenti finanziari (Fondi), ciascuno dei quali risulta:

dedicato ad un particolare ambito tematico;

dotato di un regolamento di funzionamento ed attuazione autonomo, nell’ambito di un quadro regolamentare generale comune a tutti i Fondi;

dotato di risorse finanziarie autonome;

finalizzato ad obiettivi specifici.

L’utilizzo integrato di questi Fondi all’interno di un quadro di programmazione pluriennale coerente con gli obiettivi generali dell’Unione europea è lo strumento di intervento più potente messo in campo dall’Unione in termini di risorse; la politica di coesione, infatti, risulta essere la principale politica di investimento dell’Unione europea ed ha l’obiettivo di sostenere la crescita economica, la creazione di posti di lavoro, la competitività delle imprese, lo sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente.

 

2.3       Cenni relativi all’evoluzione nel tempo delle politiche di coesione

Di seguito, si riportano gli elementi di sintesi relativi all’evoluzione nel tempo delle caratteristiche principali delle politiche di coesione dell’Unione europea, a partire dal Trattato di Roma del 1957.

Dal 1957 al 1987

1957: la politica regionale trova le sue origini nel trattato di Roma che istituisce la Comunità economica europea.

1968: viene creata la direzione generale della Politica regionale della Commissione europea.

1975: viene istituito il Fondo europeo di sviluppo regionale.

 

Dal 1988 al 1992

1988: per adattarsi all’arrivo di Grecia (1981), Spagna e Portogallo (1986), i fondi strutturali vengono integrati in una politica di coesione generale che introduce alcuni principi chiave:

1) attenzione alle regioni più povere e più arretrate;

2) programmazione pluriennale;

3) orientamento strategico degli investimenti;

4) coinvolgimento di partner regionali e locali.

Bilancio: 64 miliardi di ECU.

 

Dal 1994 al 1999

1993: il trattato di Maastricht introduce tre novità:

– il Fondo di coesione;

– il Comitato delle regioni;

– il principio di sussidiarietà.

1993: viene creato lo Strumento finanziario di orientamento della pesca.

1994-99: le risorse dei fondi strutturali e di coesione vengono raddoppiate fino a costituire un terzo del bilancio dell’Unione europea.

1995: viene aggiunto un obiettivo speciale a sostegno delle regioni scarsamente abitate di Finlandia e Svezia.

Bilancio: 168 miliardi di ECU.

 

Dal 2000 al 2006

2000: la “strategia di Lisbona” sposta le priorità dell’UE verso la crescita, l’occupazione e l’innovazione. Di conseguenza vengono riviste anche le priorità della politica di coesione.

2000-04: gli strumenti di pre-adesione mettono a disposizione dei paesi in attesa di aderire all’Unione europea finanziamenti e know-how.

2004: aderiscono all’Unione europea dieci nuovi paesi (incrementando la popolazione dell’Unione europea del 20%, ma il PIL solo del 5%).

Bilancio: 213 miliardi di euro per i 15 membri esistenti; 22 miliardi di euro per i nuovi Stati membri (2004-2006).

 

Dal 2007 al 2013[4]

2007: Bulgaria e Romania entrano nell’Unione europea.

2013: la Croazia entra a far parte dell’Unione europea.

Regole e strutture semplificate.

L’enfasi su trasparenza e comunicazione e l’aumento dell’attenzione dedicata a crescita e occupazione sono elementi chiave della riforma.

Principali aree di investimento (il 25% del bilancio è stato assegnato a ricerca e innovazione, mentre il 30% è andato a infrastrutture ambientali e misure volte a contrastare i cambiamenti climatici).

Bilancio: 347 miliardi di euro

 

Dal 2014 al 2020[5]

Priorità principali.

Investimenti tesi a raggiungere gli obiettivi della Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva nell’Unione europea.

Regole armonizzate.

Maggiore enfasi sull’inclusione sociale e sulla lotta alla disoccupazione giovanile.

Bilancio: 351 miliardi di euro.

 

Va sottolineato che, dal 1988, la politica di coesione dell’Unione europea ha beneficiato di un forte aumento del suo bilancio ed è diventata, insieme alla politica agricola comune, una delle politiche dell’Unione quantitativamente più importanti.

Per il periodo di programmazione 2014-2020, l’Unione europea ha stanziato oltre 350 miliardi di euro per la politica di coesione, vale a dire il 32,5 % del suo bilancio complessivo[6].

 

2.4       Il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 dell’Unione europea (QFP)

Il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP o, nell’acronimo inglese, MFF) 2021-2027 è lo strumento attraverso il quale vengono stanziate le risorse del bilancio europeo per i diversi ambiti di intervento della politica dell’Unione Europea e, dunque, anche per la Politica di coesione.

Il QFP, nella sostanza il bilancio pluriennale di funzionamento unionale, è stato approvato dal Parlamento europeo il 16 dicembre 2020 e dal Consiglio dell’Unione europea il giorno successivo; l‘iter di approvazione è stato estremamente lungo e complesso ed è durato più di due anni. Le proposte originarie, presentate nel maggio 2018 dalla Commissione Juncker, sono state, infatti, integrate e modificate a maggio 2020 da ulteriori proposte, elaborate dalla Commissione von der Leyen.

Alle ovvie difficoltà derivanti dal concordare un’allocazione di risorse finanziarie soddisfacente per i 27 Stati membri si sono affiancati il ricambio dei vertici istituzionali nel 2019, il processo della Brexit e soprattutto, a partire dal 2020, gli effetti economici della pandemia da COVID-19.

Il QFP è stato, infatti, integrato con l’obiettivo di fornire una risposta alla crisi economica che si è determinata in conseguenza della pandemia da Coronavirus[7].

Difficoltà ulteriori sono derivate dalla procedura legislativa speciale richiesta dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) per approvare sia il regolamento relativo al QFP che la decisione sulle risorse proprie la quale prevede che il Consiglio si esprima all’unanimità.

Per trovare l’accordo tra i 27 Stati membri sono stati necessari, tra l’altro, una maratona negoziale di quasi cinque giorni al Consiglio europeo del 17-21 luglio, lunghi triloghi con il Parlamento europeo[8] e l’ardua ricerca di un compromesso con Polonia e Ungheria sulla proposta di regolamento sul meccanismo per proteggere il bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto.

Ad esito di tale lungo e travagliato processo, è stato approvato un bilancio pluriennale che ammonta a 1.074,3 miliardi di euro in termini di impegni, ovvero l’1,067% del reddito nazionale lordo (RNL) dell’Unione europea a 27.

In aggiunta, il QFP è stato integrato con il programma “Next Generation EU” (NGEU), tramite il quale viene conferito alla Commissione europea il potere di contrarre, per conto dell’Unione, prestiti sui mercati dei capitali fino a 750 miliardi di euro, da utilizzare solo per affrontare le conseguenze della pandemia. Di tale cifra, 390 miliardi sarebbero destinati a sovvenzioni e 360 miliardi a prestiti.

Quindi, le risorse Next Generation Eu si aggiungono e si integrano al Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027[9], che ammonta a 1.074,3 miliardi di euro, per un totale di 1.824,3 miliardi di euro, cui vanno aggiunti ulteriori 11 miliardi di euro quali stanziamenti addizionali previsti nell’art. 4a del Regolamento QFP, che recepisce l’accordo con il Parlamento europeo di dicembre 2020 e che aumenteranno gradualmente il massimale complessivo del QFP 2021-2027[10].

NGEU si configura come uno strumento di natura emergenziale, di durata temporanea e valenza una tantum, utilizzabile esclusivamente ai fini della risposta alla crisi e delle misure per la ripresa.

Il totale complessivo concordato delle risorse stanziate è, quindi, pari a 1.824,3 miliardi di euro. A seguito dell’accordo intervenuto con il Parlamento europeo e per venire incontro alle richieste di quest’ultimo, tale cifra è stata ulteriormente incrementata di 16 miliardi di euro: 15 a sostegno di alcuni programmi “faro” dell’Unione europea e un miliardo destinato alla flessibilità di bilancio, per possibili esigenze o crisi future.

Il contenuto delle singole rubriche è riassunto, di seguito, con riferimento alla totalità dei finanziamenti approvati. Grazie anche alle elaborazioni grafiche divulgate dal Consiglio dell’Unione europea sul proprio sito web si evidenzia il diverso contributo che proviene dal QFP (MFF) e da NGEU.

Al riguardo, il bilancio pluriennale 2021-2027 risulta articolato nelle seguenti sette rubriche:

mercato unico, innovazione e agenda digitale;

coesione, resilienza e valori;

risorse naturali e ambiente;

migrazione e gestione delle frontiere;

sicurezza e difesa;

vicinato e resto del mondo;

pubblica amministrazione europea.

La diversa incidenza delle singole rubriche sul bilancio globale è rappresentata nel seguente grafico.

Per la seconda rubrica (coesione, resilienza e valori) è prevista una dotazione di 1.099,7 miliardi (377,8 a titolo del bilancio e 721,9 a titolo di NGEU).

I finanziamenti saranno distinti in tre voci: sviluppo regionale e coesione (290,6 miliardi), ripresa e resilienza (693 miliardi); investimento in persone, coesione sociale e valori (115,8 miliardi).

Tra i programmi finanziati nella seconda rubrica si ricordano: il Fondo europeo di sviluppo regionale (200,4 miliardi), il Fondo di coesione (42,6 miliardi) e il Fondo sociale europeo plus (88 miliardi) assieme a EU4Health (2,2 miliardi), Erasmus + (21,7), Europa creativa (1,6) e “Diritti e valori” (0,8). Rientra nella seconda rubrica anche il Dispositivo per la ripresa e la resilienza.

Va detto poi che, sulla base di elaborazioni divulgate dalla Commissione europea, la quantità di fondi di politica di coesione destinati all’Italia sarebbe pari a 37,3 miliardi di euro, 12,9 dei quali destinati al Fondo sociale europeo e 23,6 al Fondo europeo di sviluppo regionale.

 

2.5 I principali strumenti di intervento delle politiche di coesione unionale e nazionale

 

Nel maggio 2018 la Commissione europea ha presentato proposte di regolamento per gli strumenti della politica di coesione per il periodo successivo al 2020.

Al fine di assicurare coerenza ed efficacia nell’esecuzione dei programmi e degli interventi finanziati dai Fondi Strutturali e di Investimento (SIE), il 24 giugno 2021 è stato approvato l’insieme dei Regolamenti europei relativi alla Politica di Coesione 2021-2027 (“pacchetto coesione”), pubblicati sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (serie L231 del 30 giugno 2021); ha preso così il via, dal 1° luglio 2021, la programmazione europea 2021-2027.

Il pacchetto legislativo del Parlamento europeo e del Consiglio europeo ha tenuto conto sia dell’attuale situazione pandemica, sia delle priorità del Green Deal europeo.

I Regolamenti, che disciplinano i fondi strutturali e d’investimento europei per il periodo 2021-2027, hanno un valore complessivo di 377 miliardi di euro a prezzi correnti (330 miliardi di euro a prezzi 2018) corrispondente a quasi un terzo del bilancio a lungo termine dell’Unione europea.

 

Regolamenti della programmazione 2021-2027

Regolamento (UE) 2021/1056 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, che istituisce il Fondo per una transizione giusta (Just Transition Fund – JFT) del valore complessivo di 19,2 miliardi di euro a prezzi correnti (7,5 miliardi di euro a prezzi 2018, integrati da ulteriori 10miliardi di euro a prezzi 2018 dal Next Generation UE).

L’obiettivo del nuovo fondo è attenuare i costi socioeconomici derivanti dalla transizione verso un’economia climaticamente neutra, attraverso azioni mirate principalmente alla diversificazione dell’attività economica e all’adattamento delle persone a un mercato del lavoro in evoluzione. Il Parlamento europeo ha inoltre adottato lo strumento di prestito per il settore pubblico, che completerà le proposte nell’ambito del Meccanismo per una Transizione giusta.

Regolamento (UE) 2021/1057 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, che istituisce il Fondo sociale europeo Plus (FSE+) e che abroga il regolamento (UE) n. 1296/2013. L’FSE+, del valore di 99,3 miliardi di euro a prezzi correnti (87, 9 miliardi di euro a prezzi 2018), sosterrà gli Stati membri nel conseguimento dei principali obiettivi sociali dell’UE per il 2030, stabiliti nel piano d’azione sul pilastro europeo dei diritti sociali;

Regolamento (UE) 2021/1058 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), del valore di 226 miliardi di euro, e al Fondo di coesione (FC), del valore di 48 miliardi di euro (FC di cui l’Italia non è beneficiaria). Il FESR mira al rafforzamento della coesione economica e sociale nell’Unione europea, correggendo gli squilibri esistenti tra le regioni e realizzando le priorità politiche dell’Unione, attraverso una concentrazione tematica delle risorse;

Regolamento (UE) 2021/1059 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, recante disposizioni specifiche per l’obiettivo “Cooperazione territoriale europea (CTE) – (Interreg)”, sostenuto dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dagli strumenti di finanziamento esterno. Con una dotazione di 9,1 miliardi di euro a prezzi correnti (8 miliardi di euro a prezzi del 2018), Interreg interviene nella cooperazione territoriale in Europa nell’ambito delle sue diverse componenti (transfrontaliera, transnazionale e interregionale). Con il regolamento di Interreg si mette l’accento sulla cooperazione ai confini esterni dell’Unione europea, grazie al sostegno di strumenti esterni (come lo strumento di assistenza preadesione, IPA e lo strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale, NDICI) e viene istituita una nuova componente dedicata al rafforzamento della cooperazione regionale delle regioni ultra-periferiche;

Regolamento (UE) 2021/1060 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2021, recante le disposizioni comuni applicabili al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo sociale europeo Plus, al Fondo di coesione, al Fondo per una transizione giusta, al Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura, e le regole finanziarie applicabili a tali fondi e al Fondo Asilo, migrazione e integrazione, al Fondo Sicurezza interna e allo Strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti.

 

2.6       Gli strumenti per le politiche di coesione 2021 – 2027

Gli strumenti finanziari principali, attraverso i quali passa l’attuazione della politica di coesione e che per tale ragione sono quelli che presentano la maggiore dotazione finanziaria, sono quattro:

il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nell’Unione, partecipando allo sviluppo e all’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonché alla riconversione delle regioni industriali in declino (articolo 176 TFUE);

il Fondo sociale europeo (FSE, dal 2021 denominato Fondo sociale europeo Plus – FES+), ha l’obiettivo di promuovere all’interno dell’Unione le possibilità di occupazione e la mobilità geografica e professionale dei lavoratori, nonché di facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali e ai cambiamenti dei sistemi di produzione, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale (articolo 162 TFUE);

il Fondo di coesione (FC), istituito per l’erogazione di contributi finanziari a progetti in materia di ambiente e di reti transeuropee nel settore delle infrastrutture dei trasporti (articolo 177 TFUE) negli Stati membri con un reddito nazionale lordo (RNL) pro capite inferiore al 90% della media dell’Unione[11];

il Fondo per una transizione giusta (Just Transition Fund – JTF) è uno strumento fondamentale per sostenere i territori maggiormente colpiti dalla transizione verso la neutralità climatica e prevenire l’esacerbarsi delle disparità regionali. Al fine di conseguire il suo obiettivo, il Fondo sostiene gli investimenti in settori quali la connettività digitale, le tecnologie per l’energia pulita, la riduzione delle emissioni, il recupero dei siti industriali, la riqualificazione dei lavoratori e l’assistenza tecnica.

Gli altri strumenti delle politiche di intervento dell’Unione Europea che concorrono al conseguimento della coesione – nelle sue tre componenti economica, sociale e territoriale – sono i seguenti:

Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), nuovo strumento finanziario di sostegno del settore pesca e acquacoltura per il periodo di programmazione 2021-2027;

Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF), uno strumento con l’obiettivo di promuovere una gestione integrata dei flussi migratori sostenendo tutti gli aspetti del fenomeno: asilo, integrazione e rimpatrio.

Fondo per la sicurezza interna (ISF), che contribuisce a garantire un elevato livello di sicurezza nell’Unione, prevenendo e combattendo il terrorismo e la radicalizzazione, le forme più gravi di criminalità, il crimine organizzato e la criminalità informatica, assistendo e proteggendo le vittime di reato, preparandosi agli incidenti, ai rischi e alle crisi connessi alla sicurezza;

Strumento per la gestione delle frontiere e dei visti (BMVI) che comprende due componenti: lo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (BMVI) e lo Strumento relativo alle attrezzature per il controllo doganale (CCEI), al fine di garantire una gestione europea integrata delle frontiere solida ed efficace alle frontiere esterne e sostenere la politica comune in materia di visti.

Va evidenziato che, ai fini della nomenclatura delle diverse politiche e dell’attribuzione ad obiettivi specifici degli strumenti di intervento, il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) ed il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR)[12], per la fase di programmazione 2021 – 2027 sono stati “assegnati” al sostegno della realizzazione degli obiettivi inerenti alle politiche relative alle risorse naturali ed ambiente dell’Unione Europea e non alla Coesione e, come tali, sono stati considerati in sezioni differenti del bilancio unionale post 2020.

 

 

 

 

2.7 Metodologia e funzionamento dei Fondi SIE 2021 – 2027

 

2.7.1 Obiettivi strategici, principi e priorità

Uno dei principali obiettivi della riforma era semplificare le procedure e aumentare l’efficacia degli investimenti dell’Unione europea.

Gli undici obiettivi tematici impiegati nella politica di coesione 2014-2020 sono stati sostituiti da cinque obiettivi strategici per il FESR, l’FSE+, il Fondo di coesione e il FEAMP, stabilendo un set più breve e moderno di cinque obiettivi politici a sostegno della crescita per il periodo 2021-2027, che sono i seguenti:

Un’Europa più intelligente – trasformazione economica innovativa e intelligente;

Un’Europa più verde e a basse emissioni di carbonio;

Un’Europa più connessa – mobilità e connettività regionale alle TIC;

Un’Europa più sociale attraverso l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali;

Un’Europa più vicina ai cittadini – sviluppo sostenibile e integrato delle aree urbane, rurali e costiere mediante iniziative locali.

Come già specificato in dettaglio al par. 2.5, durante il periodo 2021-2027 l’Unione europea sarà finanziata attraverso il quadro finanziario pluriennale (QFP) e da uno sforzo di ripresa straordinario denominato «Next Generation EU» (NGEU); la politica di coesione sarà inoltre finanziata in parte dal QFP e, nel caso di alcuni programmi, dal NGEU.

Ebbene, tre principi chiave sono alla base della programmazione della politica di coesione:

concentrazione; questo principio interessa tre aspetti:

concentrazione delle risorse: la maggior parte delle risorse dei Fondi strutturali è concentrata nelle regioni e nei paesi più poveri;

concentrazione degli sforzi: concentrare le risorse su obiettivi politici per un’Europa più competitiva e più intelligente e per un’Europa più verde;

concentrazione della spesa: all’inizio di ogni periodo di programmazione, a ciascun programma viene assegnato un finanziamento annuale. Questi fondi impegnati per gli anni 2021-2026 devono essere spesi entro la fine del terzo anno dalla loro assegnazione (nota come regola n+3). I fondi impegnati per il 2027 devono essere spesi entro la fine del 2029[13];

programmazione; la politica di coesione non finanzia progetti individuali. Al contrario, finanzia programmi nazionali pluriennali allineati agli obiettivi e alle priorità dell’Unione europea;

collaborazione:

ciascun programma si sviluppa attraverso un processo collettivo che coinvolge le autorità a livello europeo, regionale e locale, le parti sociali e le organizzazioni della società civile;

questa partnership si applica a tutte le fasi del processo di programmazione, dalla progettazione, alla gestione e attuazione, al monitoraggio e alla valutazione;

questo approccio contribuisce a garantire che l’azione sia adattata alle esigenze e priorità locali e regionali.

Per garantire un uso efficiente dei Fondi strutturali, nell’attuazione dei programmi ad essi dedicati occorre rispettare i seguenti principi:

l’organizzazione dei fondi per obiettivi e per regioni;

il partenariato tra la Commissione, gli Stati membri e le autorità regionali nella pianificazione, attuazione e monitoraggio del loro uso;

la programmazione dell’assistenza;

l’addizionalità dei contributi dell’Unione europea e nazionali.

Ciascuno degli strumenti finanziari (Fondi) attivati nel periodo di programmazione 2021-2027 risponderà a specifiche priorità:

Il Fondo europeo di sviluppo regionale sosterrà gli investimenti in tutti e 5 gli obiettivi politici, ma le priorità 1 e la 2 sono le principali;

La priorità principale del Fondo sociale europeo+ è la 4:

Il Fondo di coesione sostiene gli obiettivi politici 2 e 3;

Il Fondo per una transizione giusta fornisce sostegno nell’ambito di obiettivi specifici dedicati (articolo 8 del regolamento JTF).

Infine, i programmi Interreg hanno a disposizione 2 obiettivi politici aggiuntivi (art. 14, regolamento Interreg): “Una migliore governance della cooperazione” e “Un’Europa più solida e più sicura”.

 

2.8       Gli strumenti unionali: i Fondi strutturali

 

2.8.1    Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)

Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) è uno dei principali strumenti finanziari della politica di coesione dell’Unione europea; si prefigge di contribuire ad appianare le disparità esistenti fra i diversi livelli di sviluppo delle regioni europee e di migliorare il tenore di vita nelle regioni meno favorite.

Un’attenzione particolare è rivolta alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, come le regioni più settentrionali, con densità di popolazione molto basse, e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

Base giuridica

Articoli dal 174 al 178 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Obiettivi

L’articolo 176 TFUE prevede che il FESR sia destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nell’Unione europea. Il Fondo persegue tale obiettivo attraverso il sostegno:

allo sviluppo e all’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo;

alla riconversione delle regioni industriali in declino.

Il FESR persegue due obiettivi principali:

gli investimenti a favore della crescita e dell’occupazione, finalizzati a rafforzare il mercato del lavoro e le economie regionali;

la Cooperazione territoriale europea, volta a rafforzare la cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale all’interno dell’UE.

Le risorse destinate al primo obiettivo sono state ripartite tra tre diverse categorie di regioni:

le regioni più sviluppate, con un PIL pro capite superiore al 90 % della media unionale;

le regioni in transizione, con un PIL pro capite compreso tra il 75 % e il 90 % della media unionale;

le regioni meno sviluppate, con un PIL pro capite inferiore al 75 % della media unionale.

Il FESR sostiene altresì lo sviluppo urbano sostenibile; nel periodo 2014-2020 almeno il 5 % della dotazione del FESR per ogni Stato membro ha dovuto essere destinata all’azione integrata a favore dello sviluppo urbano sostenibile, per affrontare i problemi economici, ambientali, climatici, demografici e sociali che riguardano le zone urbane.

I dettagli relativi alla dotazione e all’uso futuro dei fondi del FESR sono stabiliti negli accordi di partenariato. Tali documenti strategici sono elaborati da ciascuno Stato membro con la partecipazione delle parti sociali e regionali.

Concentrazione tematica

La spesa del FESR si concentra sulle priorità specificate in tale strategia. Nel periodo 2014-2020 le priorità principali sono state le seguenti:

ricerca e innovazione;

tecnologie dell’informazione e della comunicazione;

le piccole e medie imprese (PMI),

la promozione di un’economia a basse emissioni di carbonio.

A seconda della categoria cui appartiene la regione che riceve il sostegno, il grado di concentrazione su tali priorità varia:

le regioni più sviluppate devono destinare almeno l’80 % delle proprie risorse a titolo del FESR ad almeno due di tali priorità e almeno il 20 % alla promozione di un’economia a basse emissioni di carbonio;

le regioni in transizione devono destinare almeno il 60 % delle proprie risorse a titolo del FESR ad almeno due di tali priorità e almeno il 15 % alla promozione di un’economia a basse emissioni di carbonio;

le regioni meno sviluppate devono destinare almeno il 50 % delle proprie risorse a titolo del FESR ad almeno due di tali priorità e almeno il 12 % alla promozione di un’economia a basse emissioni di carbonio.

Bilancio e norme finanziarie

Durante il periodo di programmazione 2014-2020 l’Unione europea ha destinato oltre 350 miliardi di euro alla politica di coesione. Tale importo era pari al 32,5 % del bilancio generale dell’UE per tale periodo.

Circa 199 miliardi di euro sono stati destinati al FESR: ciò comprendeva 9,4 miliardi di EUR per la Cooperazione territoriale europea e 1,5 miliardi di euro di assegnazioni speciali destinate alle regioni ultra periferiche e scarsamente popolate.

Il livello di cofinanziamento richiesto per progetti finanziati a titolo del FESR è adattato a seconda del livello di sviluppo delle regioni interessate. Nelle regioni meno sviluppate (e nelle regioni ultra periferiche) il FESR può finanziare fino all’85 % del costo di un progetto. Nelle regioni in transizione il finanziamento può raggiungere il 60 % del costo di un progetto e nelle regioni più sviluppate il 50 %.

Nel 2021 l’Unione europea è entrata in un nuovo periodo di programmazione pluriennale; le norme per il FESR nel periodo 2021-2027 sono stabilite in:

un regolamento relativo al FESR e al Fondo di coesione;

un regolamento recante disposizioni specifiche per l’obiettivo «Cooperazione territoriale europea» (Interreg).

Tali regolamenti mantengono i due attuali obiettivi del FESR: gli «Investimenti a favore dell’occupazione e della crescita» e la «Cooperazione territoriale europea».

Esse inoltre mantengono la concentrazione tematica con due priorità principali: sostegno all’innovazione, all’economia digitale e alle PMI attraverso una strategia di specializzazione intelligente (OS1); e un’economia circolare, più verde e a basse emissioni di carbonio (OS2). La nuova politica di coesione ha inoltre introdotto un elenco di attività che non possono essere sostenute dal FESR, tra cui la disattivazione o la costruzione di centrali nucleari, infrastrutture aeroportuali (tranne nelle regioni ultra periferiche) e alcune operazioni di gestione dei rifiuti (ad esempio, le discariche).

Nel periodo di programmazione 2021-2027, circa 200,36 miliardi di euro sono stati destinati al FESR (tra cui 8 miliardi di EUR alla Cooperazione territoriale europea e 1,93 miliardi di euro di dotazioni speciali destinate alle regioni ultra periferiche). Le regioni meno sviluppate beneficeranno di tassi di cofinanziamento fino all’85% del costo dei progetti. I tassi di cofinanziamento per le regioni in transizione e per le regioni più sviluppate saranno rispettivamente fino al 60% e al 40%.

Dopo il 2020 il sostegno alle città sarà rafforzato. Almeno l’8% delle risorse del FESR (a livello nazionale) sarà destinato allo sviluppo urbano sostenibile e alla creazione dell’Iniziativa urbana europea.

 

2.8.2    Il Fondo sociale europeo Plus (FSE+)

Il Fondo sociale europeo (FSE) è stato istituito in virtù del trattato di Roma per migliorare la mobilità dei lavoratori e le opportunità di impiego. I suoi compiti e le sue norme operative sono stati successivamente rivisti allo scopo di riflettere gli sviluppi della situazione economica e occupazionale negli Stati membri, nonché l’evoluzione delle priorità politiche definite a livello dell’Unione europea.

Base giuridica

Articolo 46, lettera d), articolo 149, articolo 153, paragrafo 2, lettera a), articolo 164, articolo 175, paragrafo 3, e articolo 349 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Obiettivi

L’obiettivo del Fondo sociale europeo Plus (FSE+) è aiutare gli Stati membri ad affrontare la crisi causata dalla pandemia di COVID-19, a conseguire livelli elevati di occupazione e una protezione sociale equa, nonché a sviluppare una forza lavoro qualificata e resiliente, pronta per la transizione verso un’economia verde e digitale. L’FSE+ è il principale strumento dell’UE dedicato agli investimenti nelle persone.

  1. Precedenti periodi di programmazione

L’FSE è stato il primo fondo strutturale. Nei primi anni, ovvero fino al 1970, rimborsava agli Stati membri la metà del costo delle indennità corrisposte per la formazione professionale e il reinserimento dei lavoratori colpiti da processi di ristrutturazione economica. Complessivamente, durante il periodo in questione, il Fondo ha fornito assistenza a oltre due milioni di persone.

Nel 1971 una decisione del Consiglio ha incrementato in modo sostanziale le risorse del Fondo, mentre nel 1983 una nuova riforma a norma della decisione 83/516/CEE del Consiglio ha incentrato nuovamente l’attenzione sulla lotta contro la disoccupazione giovanile e sull’assistenza alle regioni più bisognose. Integrando nel trattato che istituisce la Comunità europea l’obiettivo della coesione economica e sociale all’interno della Comunità, l’Atto unico europeo del 1986 ha preparato il terreno per una riforma globale che mirava fondamentalmente a introdurre un approccio coordinato nell’ambito della programmazione e del funzionamento dei fondi strutturali.

Il trattato di Maastricht ha esteso il campo di applicazione del sostegno dell’FSE includendovi «l’adeguamento alle trasformazioni industriali e ai cambiamenti dei sistemi di produzione». Nel successivo periodo di programmazione (1994-1999) i finanziamenti destinati alla coesione economica e sociale sono raddoppiati.

Nell’ambito dell’Agenda 2000, il quadro globale dei fondi strutturali è stato semplificato per il periodo di programmazione 2000-2006. L’FSE, con una dotazione di 60 miliardi di EUR, si è visto affidare la duplice responsabilità di contribuire sia alla politica di coesione che all’attuazione della strategia europea per l’occupazione (2.3.3). Solo un’iniziativa comunitaria è stata cofinanziata, ovvero EQUAL, incentrata sul sostegno di progetti innovativi e transnazionali volti a combattere le discriminazioni e gli svantaggi sul mercato del lavoro.

Per il periodo di programmazione 2007-2013 sono rimasti solo tre fondi strutturali: l’FSE, il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo di coesione. Insieme avevano la funzione di conseguire gli obiettivi di convergenza (81,5 % delle risorse), di competitività regionale e occupazione (16 % delle risorse) e di cooperazione territoriale per la promozione di uno sviluppo armonioso nell’intera Unione europea (2,5 % delle risorse).

Le risorse dei fondi strutturali vengono ripartite tra gli Stati membri in base a una formula che tiene in considerazione la popolazione (e la sua densità), la prosperità regionale e i livelli di disoccupazione e di istruzione, e che è oggetto di negoziazione tra gli Stati membri contemporaneamente al quadro finanziario pluriennale (QFP) di un determinato periodo. Una delle principali caratteristiche dei fondi strutturali è il principio di addizionalità, in base al quale gli Stati membri non possono utilizzare i fondi strutturali per sostituire spese interne che avrebbero programmato in ogni caso.

Nel periodo 2007-2013 l’FSE, congiuntamente ad altri strumenti finanziari della politica di coesione dell’Unione europea, ha svolto un ruolo chiave nell’ambito del piano d’azione per la ripresa europea adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2008.

  1. Periodo di programmazione 2014-2020
  2. Cinque fondi strutturali disciplinati da norme comuni

I cinque fondi strutturali e d’investimento europei per il periodo di programmazione 2014-2020, vale a dire il FESR, l’FSE, il Fondo di coesione, il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, erano disciplinati da un insieme di norme comuni.

I regolamenti specifici di ciascun fondo definivano inoltre le aree di intervento e altri dettagli. Il regolamento (UE) n. 1303/2013, del 17 dicembre 2013, definiva principi, disposizioni e norme comuni ai fini dell’attuazione dei cinque fondi. Il regolamento (UE) n. 1304/2013, del 17 dicembre 2013, definiva i compiti dell’FSE, compreso l’ambito di applicazione del suo sostegno nonché le disposizioni specifiche e i tipi di spese che possono beneficiare dell’assistenza.

Con una dotazione pari a 74 miliardi di EUR (rispetto ai 75 miliardi di euro programmati per il periodo 2007-2013), l’FSE ha cofinanziato programmi operativi nazionali o regionali attuati nell’arco dei sette anni del QFP 2014-2020, proposti dagli Stati membri e approvati mediante decisione della Commissione.

Esso era incentrato sui seguenti quattro obiettivi tematici:

promuovere un’occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori;

promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà e la discriminazione;

investire nell’istruzione, nella formazione e nella formazione professionale finalizzata alle competenze e all’apprendimento permanente;

rafforzare la capacità istituzionale delle autorità pubbliche e delle parti interessate e promuovere un’amministrazione pubblica efficiente.

Per il periodo 2014-2020 il ruolo dell’FSE è stato rafforzato mediante l’assegnazione a tale fondo di una quota minima giuridicamente vincolante pari al 23,1 % delle risorse totali destinate alla coesione.

  1. Fondo sociale europeo e iniziativa a favore dell’occupazione giovanile

Il regolamento relativo all’FSE comprende l’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile (IOG), che per il periodo 2014-2020 disponeva di una dotazione complessiva di 8,8 miliardi di euro (6,4 miliardi di euro con un incremento di 2,4 miliardi di EUR nel 2016).

I finanziamenti provengono da tre fonti: gli stanziamenti nazionali a titolo dell’FSE, una dotazione specifica del bilancio dell’UE e un cofinanziamento nazionale nell’ambito dell’FSE.

L’iniziativa si rivolge in particolare ai giovani che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione (NEET) in regioni con un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 25 %.

  1. Risposta alla crisi della COVID-19

Nell’aprile 2020 la Commissione ha varato due pacchetti di misure, l’Iniziativa di investimento in risposta al coronavirus e l’Iniziativa di investimento in risposta al coronavirus Plus, al fine di mobilitare i fondi strutturali dell’Unione europea per rispondere alla crisi. Il Parlamento e il Consiglio hanno rapidamente adottato le due proposte. Non sono state fornite nuove risorse finanziarie dell’Unione europea, ma è consentita la massima flessibilità nell’utilizzo delle risorse esistenti non utilizzate dove sono più necessarie. Gli Stati membri possono trasferire finanziamenti tra fondi, regioni e tematiche e sono eccezionalmente autorizzati a un cofinanziamento del 100 % per il periodo 2020-2021. Nel maggio 2020 la Commissione ha dato seguito alla proposta relativa a REACT-EU (assistenza alla ripresa per la coesione e i territori d’Europa), che fornirà 55 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi attraverso il FESR, l’FSE e il Fondo di aiuti europei agli indigenti. L’FSE ha svolto un ruolo primario nella risposta immediata alla crisi della COVID-19 mobilitando 1,4 miliardi di euro di sostegno diretto, anche se l’importo totale del sostegno sarà probabilmente più elevato. Le risorse sono state utilizzate per sostenere i servizi sociali, mantenere l’occupazione nei settori interessati, anche attraverso regimi di riduzione dell’orario lavorativo, proteggere i gruppi vulnerabili e finanziare le retribuzioni del personale sanitario, le attrezzature informatiche e i dispositivi di protezione individuale.

  1. Periodo di programmazione 2021-2027
  2. Regolamento recante disposizioni comuni per il periodo 2021-2027

Il 29 maggio 2018 la Commissione ha adottato la proposta di regolamento recante disposizioni comuni (RDC) per il periodo 2021-2027. Il 14 gennaio 2020 l’RDC è stato modificato mediante una proposta della Commissione per includere il Fondo per una transizione giusta; il 28 maggio 2020, all’inizio della pandemia di COVID-19, sono state proposte ulteriori modifiche. Il regolamento è stato approvato dal Parlamento in seconda lettura il 23 giugno 2021 e l’atto finale è stato firmato il 24 giugno (regolamento (UE) 2021/1060).

L’RDC stabilisce le norme finanziarie per otto fondi in regime di gestione concorrente, vale a dire l’FSE+, il FESR, il Fondo di coesione, il Fondo per una transizione giusta, il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, il Fondo Asilo, migrazione e integrazione, il Fondo sicurezza interna e lo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti. Inoltre, contiene disposizioni comuni applicabili ai primi cinque fondi menzionati, compreso l’FSE+. Tuttavia l’RDC non si applica alla componente Occupazione e innovazione sociale dell’FSE+, in quanto è in regime di gestione diretta e indiretta.

  1. FSE+

Il 2 maggio 2018 la Commissione ha presentato la sua proposta relativa al QFP 2021-2027. La proposta prevedeva un FSE+ rinnovato con una dotazione di bilancio di 101 miliardi di euro. L’FSE+ sarebbe stato accorpato con l’FSE, l’IOG, il FEAD, il programma dell’Unione europea per l’occupazione e l’innovazione sociale (EaSI) e il programma dell’Unione in materia di salute.

Nel contesto della crisi della COVID-19, la Commissione ha annunciato che nel prossimo QFP sarà inserito un programma specifico per la salute denominato programma «UE per la salute». Il 28 maggio 2020, nell’ambito del QFP riveduto per il periodo 2021-2027 e del pacchetto per la ripresa, la Commissione ha pubblicato un regolamento relativo all’FSE+ modificato.

Il Parlamento ha formulato la sua posizione in prima lettura il 4 aprile 2019, durante la sua ottava legislatura, e ha adottato la sua posizione in seconda lettura l’8 giugno 2021. L’atto finale è stato firmato il 24 giugno (Regolamento (UE) 2021/1057). La dotazione complessiva dell’FSE+ ammonta a quasi 99,3 miliardi di euro.

Tra gli obiettivi specifici dell’FSE+ rientrano:

il sostegno a favore dei settori d’intervento dell’occupazione e della mobilità del lavoro, nonché dell’istruzione e dell’inclusione sociale, in particolare contribuendo all’eliminazione della povertà e dunque all’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali;

il sostegno alle transizioni verde e digitale, alla creazione di posti di lavoro attraverso le competenze per la specializzazione intelligente e al miglioramento dei sistemi di istruzione e formazione;

il sostegno a favore di misure temporanee in circostanze eccezionali o inusuali (ad esempio, il finanziamento di regimi di riduzione dell’orario lavorativo non abbinati obbligatoriamente a misure attive o l’accesso all’assistenza sanitaria, anche per le persone che non sono direttamente vulnerabili dal punto di vista socioeconomico).

Tra le disposizioni relative all’FSE+ figurano le seguenti:

tutti gli Stati membri devono affrontare il problema della disoccupazione giovanile nei propri programmi di spesa; negli Stati membri in cui il numero di NEET è superiore alla media unionale, il 12,5 % del fondo sarà impiegato per combattere la disoccupazione giovanile;

almeno il 25% del bilancio deve essere investito per promuovere l’inclusione sociale, compresa l’integrazione dei cittadini di paesi terzi;

almeno il 3 % della dotazione deve essere destinato all’assistenza alimentare e materiale di base per gli indigenti;

tutti gli Stati membri devono assegnare una quantità adeguata delle loro risorse dell’FSE+ ad azioni mirate volte a combattere la povertà infantile; gli Stati membri con un livello di povertà infantile superiore alla media unionale devono utilizzare almeno il 5 % delle loro risorse FSE+ per affrontare tale problema;

spetta un finanziamento adeguato anche allo sviluppo delle capacità delle parti sociali e della società civile negli Stati membri, e almeno lo 0,25% del fondo dovrebbe essere assegnato in base alle raccomandazioni specifiche per paese;

un articolo relativo al rispetto dei diritti fondamentali per sottolineare che tutte le operazioni devono essere selezionate e attuate in conformità della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

  1. Strumenti per l’integrazione nel mercato del lavoro che integrano l’FSE+

Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato istituito quale strumento per la politica di concorrenza, e non di coesione, per il QFP 2007-2013 allo scopo di sostenere i lavoratori licenziati a seguito di importanti cambiamenti strutturali nel commercio mondiale dovuti alla globalizzazione. Mentre l’FSE+ sostiene programmi volti al conseguimento degli obiettivi strutturali a lungo termine intesi a favorire la salvaguardia dei posti di lavoro o la reintegrazione nel mercato del lavoro, il FEG risponde a emergenze specifiche, quali i licenziamenti collettivi dovuti alla globalizzazione, per un periodo limitato di tempo.

Il regolamento relativo al FEG (regolamento (CE) n. 1927/2006) era stato temporaneamente modificato alla fine del 2011 a causa della crisi economica e finanziaria per far fronte ai conseguenti tagli del personale, prevedendo tassi di cofinanziamento compresi tra il 50 % e il 65 %. Tale modifica è stata riportata nel regolamento relativo al FEG per il periodo 2014-2020 (regolamento (UE) n. 1309/2013), andando a comprendere non solo gli esuberi derivanti dalla globalizzazione ma anche quelli dovuti alla crisi finanziaria ed economica mondiale. Per il periodo 2014-2020 l’ambito di applicazione del FEG è stato inoltre esteso a nuove categorie di beneficiari, tra cui i lavoratori autonomi, i lavoratori temporanei e i lavoratori a tempo determinato. Nel 2019, in vista di una possibile Brexit dura, il regolamento relativo al FEG è stato modificato per aiutare i lavoratori dipendenti e autonomi nei paesi dell’UE-27 che avrebbero perso il lavoro in caso di recesso del Regno Unito in assenza di un accordo (cfr. Regolamento (UE) 2019/1796).

Il 30 maggio 2018 la Commissione ha proposto un nuovo FEG rivisto per il periodo successivo al 2020 con un importo annuo massimo di 200 milioni di euro (ai prezzi del 2018) al di fuori dei massimali del QFP 2021-2027. La proposta estende il campo di applicazione ai lavoratori che hanno perso il lavoro a seguito di interventi di ristrutturazione dovuti all’automazione o alla digitalizzazione e abbassa la soglia per l’attivazione del FEG da 500 a 250 licenziamenti.

Il 27 maggio 2020, nel quadro del piano per la ripresa dell’Europa, la Commissione ha proposto di aumentare l’importo annuo massimo a 386 milioni di euro. Il 27 gennaio 2021 la commissione per l’occupazione e gli affari sociali ha approvato un testo che era stato concordato all’inizio della seconda lettura nel corso dei negoziati interistituzionali e, nello specifico, ha chiesto di abbassare la soglia per i lavoratori espulsi dal lavoro da 250 a 200. Il Parlamento ha approvato il testo in seconda lettura il 27 aprile e l’atto finale è stato firmato il 28 aprile (regolamento (UE) 2021/691). Il FEG dispone di una dotazione annua di 210 milioni di euro per il periodo 2021-2027.

 

2.8.3    Il Fondo per una transizione giusta

Il Fondo per una transizione giusta è un nuovo strumento finanziario nel quadro della politica di coesione che mira a fornire sostegno ai territori che devono far fronte a gravi sfide socio-economiche derivanti dalla transizione verso la neutralità climatica. Il Fondo agevolerà l’attuazione del Green Deal europeo, che mira a rendere l’Unione europea climaticamente neutra entro il 2050.

Base giuridica

Articolo 175 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Fondo per una transizione giusta (COM (2020)0022).

Contesto

Il Fondo per una transizione giusta è uno degli strumenti fondamentali dell’Unione europea per sostenere le regioni nella transizione verso la neutralità climatica entro il 2050.

Nel dicembre 2019 la Commissione europea ha adottato una comunicazione sul Green Deal europeo, che stabilisce una tabella di marcia per una nuova politica di crescita per l’Unione europea.

Nel quadro del Green Deal europeo e al fine di conseguire l’obiettivo di una neutralità climatica dell’UE in modo efficace ed equo, la Commissione europea ha proposto la creazione di un meccanismo per una transizione giusta, che include un Fondo per una transizione giusta.

La Commissione ha dichiarato che il meccanismo dovrebbe concentrarsi sulle regioni e sui settori che sono maggiormente esposti alle ripercussioni della transizione a causa della loro dipendenza dai combustibili fossili, tra cui il carbone, la torba e lo scisto bituminoso, e dai processi industriali ad alta intensità di gas a effetto serra.

Il meccanismo consta di tre pilastri:

Il Fondo per una transizione giusta;

un regime specifico nell’ambito del programma InvestEU;

uno strumento di prestito per il settore pubblico fornito dalla Banca europea per gli investimenti volto a mobilitare ulteriori investimenti a favore delle regioni interessate.

Il Fondo per una transizione giusta fornisce principalmente sovvenzioni. Il regime di transizione specifico nell’ambito di InvestEU attira gli investimenti privati. Le attività della Banca europea per gli investimenti dovrebbero mobilitare i finanziamenti pubblici.

Il sostegno fornito tramite il Fondo si concentra sulla diversificazione economica dei territori maggiormente colpiti dalla transizione climatica nonché sulla riqualificazione professionale e sull’inclusione attiva dei loro lavoratori e delle persone in cerca di lavoro. I criteri di ammissibilità agli investimenti nell’ambito degli altri due pilastri del meccanismo per una transizione giusta sono più ampi al fine di sostenere anche le attività connesse alla transizione energetica.

Obiettivi

Il Fondo per una transizione giusta è uno strumento fondamentale per sostenere i territori maggiormente colpiti dalla transizione verso la neutralità climatica e prevenire l’esacerbarsi delle disparità regionali. Il suo obiettivo principale è attenuare l’impatto della transizione finanziando la diversificazione e la modernizzazione dell’economia locale e attenuando le ripercussioni negative sull’occupazione. Al fine di conseguire il suo obiettivo, il Fondo sostiene gli investimenti in settori quali la connettività digitale, le tecnologie per l’energia pulita, la riduzione delle emissioni, il recupero dei siti industriali, la riqualificazione dei lavoratori e l’assistenza tecnica.

Il Fondo per una transizione giusta è attuato secondo regole di gestione concorrente, il che comporta una stretta cooperazione con le autorità nazionali, regionali e locali. Per accedere al sostegno del Fondo, gli Stati membri devono presentare piani territoriali per una transizione giusta. Tali piani delineano le aree di intervento specifiche, sulla base degli effetti economici e sociali della transizione. In particolare, tali piani devono tenere in considerazione le perdite occupazionali previste e la trasformazione dei processi produttivi degli impianti industriali a più alte intensità di gas a effetto serra.

Bilancio e regolamentazione finanziaria

Il Fondo per una transizione giusta offre sostegno a tutti gli Stati membri. I criteri di assegnazione si basano sulle emissioni industriali nelle regioni ad alta intensità di carbonio, sull’occupazione nell’industria e nell’estrazione di carbone e lignite, sulla produzione di torba e scisto bituminoso e sul livello di sviluppo economico.

Gli Stati membri che non si sono ancora impegnati ad attuare l’obiettivo di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 riceveranno soltanto il 50% della dotazione prevista. Il livello del cofinanziamento dei progetti è stabilito in funzione della categoria di regione in cui sono situati tali progetti. Per le regioni meno sviluppate è fissato a un massimo dell’85 %, 70% per le regioni in transizione e 50% per le regioni più sviluppate.

Il Fondo per una transizione giusta ha una dotazione complessiva di 17,5 miliardi di euro per il periodo 2021-2027; 7,5 miliardi di euro saranno finanziati nell’ambito del quadro finanziario pluriennale e altri 10 miliardi di euro saranno finanziati nell’ambito di Next Generation EU.

Gli Stati membri possono integrare la loro dotazione del Fondo con le risorse assegnate nell’ambito del Fondo europeo di sviluppo regionale e del Fondo sociale europeo Plus.

Il Parlamento europeo ha raccomandato inoltre l’aggiunta di un «meccanismo di ricompensa ecologica», che può assegnare finanziamenti supplementari agli Stati membri che riescono a ridurre le loro emissioni di gas a un ritmo più rapido del previsto.

Si opera, poi, un mero accenno al Fondo di coesione, istituito nel 1994, che finanzia progetti a favore dell’ambiente e della rete trans-europea negli Stati membri il cui reddito nazionale lordo (RNL) pro capite è inferiore al 90 % della media unionale. Nel periodo di programmazione 2014-2020 il Fondo di coesione ha fornito finanziamenti a 15 Stati membri: Bulgaria, Cechia, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria[14].

 

 

2.9       Altri strumenti unionali a supporto delle politiche di coesione

 

2.9.1    Gli aiuti strutturali alla Pesca (FEAMP)

Inizialmente finanziata dallo Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP), la politica europea della pesca è stata finanziata dal Fondo europeo per la pesca (FEP) nel periodo 2007-2013, mentre è attualmente finanziata dal nuovo Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) con una dotazione di 6,4 miliardi di euro per il periodo 2014-2020.

Il FEAMP sostiene i pescatori nella transizione verso una pesca sostenibile, sostiene le comunità costiere nella diversificazione delle loro economie e finanzia progetti per creare nuovi posti di lavoro e migliorare la qualità della vita nelle regioni costiere europee[15].

In attuazione dell’accordo concluso tra il Parlamento e il Consiglio sulla nuova PCP, che è stata oggetto di una revisione globale, il FEAMP, quale proposto dalla Commissione e inizialmente modificato dal Parlamento nel 2013, è stato ulteriormente modificato e ha assunto la sua forma definitiva con l’accordo concluso con il Consiglio.

Il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca è uno dei cinque fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE[16]) per il periodo 2014-2020. Il Fondo rientra nella rubrica 2, «Crescita sostenibile e risorse naturali» e rappresenta il principale strumento finanziario a sostegno della PCP dell’Unione europea. Il FEAMP contribuisce in misura modesta a sostenere una politica marittima integrata (PMI). La PCP promuove fondamentalmente la pesca sostenibile, l’acquacoltura sostenibile, il controllo e l’esecuzione, la raccolta di dati e l’economia blu.

Il FEAMP sostiene inoltre obiettivi a livello dell’Unione europea in materia di affari marittimi e costieri, quali la governance internazionale, le conoscenze marine e la pianificazione dello spazio marino. L’importo complessivo assegnato al FEAMP per il periodo 2014-2020 ammonta a 6.400 milioni di euro.

I fondi strutturali (e di investimento) operano sulla base di norme e disposizioni comuni[17] che armonizzano e migliorano il loro coordinamento e la loro attuazione. Il FEAMP cofinanzia progetti congiuntamente alle risorse nazionali: a ogni Stato membro viene infatti assegnata una quota della dotazione complessiva del Fondo, a seconda dell’importanza del settore della pesca (livello di occupazione e di produzione, dimensioni della flotta peschereccia, ecc.). Ciascuno Stato membro elabora quindi un programma operativo che descrive l’assegnazione delle risorse di finanziamento, che deve essere approvata dalla Commissione. Le autorità nazionali hanno il compito di scegliere i progetti da finanziare, e con la Commissione sono congiuntamente responsabili per l’attuazione del programma operativo.

Il programma sostiene i seguenti quattro ambiti principali:

  1. Una pesca dell’Unione europea rispettosa dell’ambiente

attrezzi da pesca più selettivi per eliminare gli scarti e gestire in tal modo le conseguenze dell’obbligo di sbarcare tutte le catture imposto dalla riforma della PCP a decorrere dal 2015;

attuazione di misure atte a preservare gli stock quali periodi di riposo biologici;

congelamento delle sovvenzioni per gli operatori che non rispettano le norme della PCP.

  1. Un settore della pesca competitivo

sostegno all’avviamento[18] destinato ai pescatori di età inferiore ai 40 anni con almeno cinque anni di esperienza professionale nel settore;

sostegno alla diversificazione del reddito dei pescatori attraverso attività accessorie[19]: è importante ricordare che il Parlamento ha respinto l’opzione di riqualificazione al di fuori del settore della pesca inizialmente proposto dalla Commissione;

investimenti nelle attrezzature a bordo per una migliore gestione delle catture e per il miglioramento della loro qualità, nonché investimenti nelle infrastrutture portuali finalizzati a favorire il rispetto dell’obbligo di sbarco;

sostegno all’innovazione, compreso lo sviluppo di pescherecci più moderni e rispettosi dell’ambiente;

sostegno alla stesura di piani di produzione e di commercializzazione elaborati dalle organizzazioni dei produttori;

sostegno alla cessazione dell’attività per la demolizione dei pescherecci a fine di ridurre la capacità e lo sforzo di pesca della flotta;

sostegno alla sostituzione dei motori per ridurre la potenza e le emissioni di CO2[20].

  1. Migliori condizioni sociali

investimenti per migliorare la salute, l’igiene e la sicurezza a bordo;

formazione professionale per i pescatori;

istituzione di un fondo di assicurazione comune per coprire le calamità naturali e gli incidenti ambientali o sanitari (a copertura dei pescatori nonché degli allevatori di ostriche in caso di moria).

  1. Crescita blu (acquacoltura)

sostegno al rafforzamento dello sviluppo tecnologico, dell’innovazione e del trasferimento delle conoscenze;

rafforzamento della competitività e della redditività delle imprese acquicole, in particolare delle piccole e medie imprese;

iniziative volte a proteggere e ripristinare la biodiversità acquatica e a migliorare gli ecosistemi connessi all’acquacoltura;

promozione di un’acquacoltura che abbia un livello elevato di tutela ambientale, salute e benessere degli animali, salute e sicurezza pubblica;

sviluppo di formazione professionale, nuove competenze professionali e apprendimento permanente. Per attuare tali misure, le strategie di specializzazione intelligente (RIS3) sono rilevanti: esse utilizzano un approccio integrato, che consente nuove iniziative e applicazioni che possono essere iniettate in tutte le attività economiche, attraverso la promozione dell’innovazione, la formazione delle imprese giovani e approcci dal basso verso l’alto.

Questi principi possono svolgere un ruolo importante nel promuovere la crescita blu[21].

 

2.9.2    La cooperazione territoriale europea (Interreg)

La cooperazione territoriale europea è l’obiettivo della politica di coesione che mira a risolvere i problemi al di là del contesto nazionale e a sviluppare congiuntamente le potenzialità dei diversi territori. Le azioni di cooperazione sono sostenute dal Fondo europeo di sviluppo regionale attraverso tre componenti chiave: cooperazione transfrontaliera, cooperazione transnazionale, cooperazione interregionale[22].

Concentrazione tematica

Al fine di massimizzare l’impatto della politica di coesione e di contribuire alla realizzazione della Strategia Europa 2020, il sostegno del FESR ai programmi di cooperazione territoriale europea deve essere concentrato su un numero limitato di obiettivi tematici direttamente collegati alle priorità della strategia.

Il regolamento che disciplina il FESR stabilisce per ciascun obiettivo tematico un elenco di priorità di investimento, le quali sono integrate da priorità aggiuntive adattate alle esigenze specifiche delle azioni di cooperazione territoriale europea.

Per il periodo 2014-2020, i programmi transfrontalieri e transnazionali devono concentrarsi su un massimo di quattro obiettivi tematici, limite che non sussiste per la cooperazione interregionale[23].

Disposizioni specifiche per i programmi di cooperazione

Dato il coinvolgimento di più Stati membri nella progettazione e attuazione dei programmi di cooperazione, diverse questioni specifiche sono disciplinate mediante le disposizioni regolamentari per la cooperazione territoriale europea, come l’attribuzione delle responsabilità in caso di rettifiche finanziarie, le procedure per l’istituzione di un segretariato congiunto da parte delle rispettive autorità di gestione, apposite procedure per il coinvolgimento di paesi o territori terzi, i requisiti per relazioni di attuazione, ecc.

Gli Stati membri che partecipano a un programma di cooperazione devono designare un’unica autorità di gestione, un’unica autorità di certificazione e un’unica autorità di audit. Inoltre, le autorità di gestione e di audit devono essere situate nello stesso Stato membro.

La regola secondo cui ciascuno Stato membro deve adottare norme nazionali in materia di ammissibilità delle spese[24] non è appropriata per la cooperazione territoriale europea. Di conseguenza la Commissione deve stabilire a livello europeo una chiara gerarchia di norme in materia di ammissibilità delle spese.

La partecipazione di diversi paesi si traduce in maggiori costi amministrativi. Pertanto, il massimale delle spese di assistenza tecnica è stato fissato a un livello superiore rispetto a quanto avviene per altri tipi di programmi.

La cooperazione territoriale europea nel periodo 2021-2027

Nel 2021 l’Unione europea è entrata in un nuovo periodo di programmazione pluriennale. Le regole per la cooperazione territoriale europea nel periodo 2021-2027 sono stabilite in un regolamento recante disposizioni specifiche per l’obiettivo «Cooperazione territoriale europea» (Interreg). Nel periodo 2021-2027 la cooperazione territoriale europea avrà quattro componenti (sezioni):

cooperazione transfrontaliera (Interreg A):

cooperazione transnazionale (Interreg B);

cooperazione interregionale (Interreg C);

cooperazione delle regioni ultraperiferiche (Interreg D).

Il regolamento proposto fissa inoltre due obiettivi specifici dell’Interreg:

una migliore governance della cooperazione;

un’Europa più sicura.

Nel corso del periodo di programmazione 2021-2027, circa 8 miliardi di euro (a prezzi 2018) saranno destinati alla cooperazione territoriale europea.

Tali risorse saranno suddivise come segue:

72,2% (vale a dire, un totale di 5.812.790.000 euro) per la cooperazione transfrontaliera terrestre e marittima;

18,2% (cioè, un totale di 1.466.000.000 euro) per la cooperazione transnazionale;

6,1% (vale a dire, un totale di 490.000.000 euro) per la cooperazione interregionale;

3,5% (vale a dire, un totale di 281.210.000 euro) per la cooperazione delle regioni ultraperiferiche.

Nel negoziare la politica di coesione per il periodo 2021-2027, il Parlamento europeo ha auspicato un bilancio più consistente per i programmi di cooperazione territoriale europea e norme e procedure più semplici.

Il Parlamento europeo ha promosso attivamente un maggior sostegno ai progetti di piccole dimensioni e ai progetti interpersonali (people-to-people), nonché un maggiore attenzione alle questioni climatiche e sociali, oltre a prestare particolare attenzione alle sfide specifiche delle regioni ultraperiferiche.

 

2.10     Gli strumenti nazionali per le politiche di coesione: piani strategici, programmi e fondi di finanziamento

L’obiettivo di ridurre le disparità di sviluppo fra le regioni ed uguagliare le opportunità socio-economiche dei cittadini è attuato in Italia, oltre che attraverso il cofinanziamento nazionale ai Fondi Comunitari, anche attraverso una politica nazionale, finanziata da risorse di bilancio esclusivamente nazionali (Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, risorse del Piano di Azione per la Coesione e – in prospettiva – il “Piano Sud 2030”).

 

2.10.1  Il Fondo di Sviluppo e Coesione (FSC)

Il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) è, congiuntamente ai Fondi strutturali europei, lo strumento finanziario principale attraverso cui vengono le politiche per lo sviluppo attuate della economica, sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e sociali in attuazione dell’articolo 119, comma 5, della Costituzione italiana e dell’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Il FSC dunque è finalizzato a dare unità programmatica e finanziaria all’insieme degli interventi aggiuntivi al finanziamento ordinario (nonché a quello comunitario ed al contestuale cofinanziamento nazionale) che sono rivolti al riequilibrio economico e sociale.

Il requisito dell’aggiuntività è espressamente precisato dalla disciplina istitutiva del Fondo, laddove si dispone, ex articolo 2 del D.lgs. n. 88/2011, che le risorse non possono essere sostitutive di spese ordinarie del bilancio dello Stato e degli enti decentrati, in coerenza con l’analogo criterio dell’addizionalità previsto per i fondi strutturali dell’Unione europea.

L’intervento del Fondo è destinato al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi tra loro funzionalmente connessi.

Il Fondo ha carattere pluriennale, in coerenza con l’articolazione temporale della programmazione dei Fondi strutturali dell’Unione europea, garantendo l’unitarietà e la complementarietà[25] delle procedure di attivazione delle relative risorse con quelle previste per i fondi comunitari.

Nel bilancio di previsione per il triennio 2021-2023[26], il capitolo 8000 dello stato di previsione del Ministero dell’economia – su cui sono iscritte le risorse del Fondo Sviluppo e Coesione – presenta, una dotazione per il triennio pari a circa 10 miliardi nel 2021, 11,5 miliardi nel 2022 e circa 9 miliardi nel 2023, come indicato nella tabella che segue.

La tabella riporta anche, nell’ultima colonna, l’ulteriore importo delle risorse del Fondo autorizzate per i cicli di programmazione 2014-2020 e 2021-2017, rispettivamente, dalla legge di stabilità 2014 e della legge di bilancio 2020[27], che verranno iscritte in bilancio negli anni successivi[28], per complessivi 80,7 miliardi di euro.

Base giuridica

Il FSC ha la sua origine nei Fondi per le aree sottoutilizzate (FAS), istituiti con la legge finanziaria per il 2003[29], presso il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero delle attività produttive.

Allora, con la legge 30 luglio 2010, n. 122 (articolo 7, commi 26 e 27) la gestione del Fondo è stata attribuita al Presidente del Consiglio dei Ministri, che si avvale del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione, oggi istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Dipartimento per le politiche di coesione (DPCOE) in applicazione del DPCM 15 dicembre 2014.

Con il decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, il FAS ha assunto la denominazione di Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) ed è stato finalizzato a dare unità programmatica e finanziaria all’insieme degli interventi aggiuntivi a finanziamento nazionale, rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese.

Funzionamento

Il FSC ha carattere pluriennale in coerenza con l’articolazione temporale della programmazione dei Fondi strutturali dell’Unione europea, garantendo l’unitarietà e la complementarietà delle procedure di attivazione delle relative risorse con quelle previste per i fondi comunitari. In particolare, l’intervento del Fondo è finalizzato al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale.

L’articolo 61 della legge n. 289/2002 annota che il FSC deve essere ripartito con apposite delibere del CIPE, sottoposte al controllo preventivo della Corte dei conti.

Il CIPE, oggi modificato in Comitato interministeriale per la programmazione economica Sviluppo Sostenibile (CIPESS), svolge funzioni di coordinamento in materia di programmazione e di programmazione politica economica nazionale, nonché di coordinamento della politica economica nazionale con le politiche comunitarie[30].

Il CIPESS è chiamato a definire le linee di sviluppo politico economico ed internazionale in ambito nazionale, comunitario individuando gli indirizzi e gli obiettivi prioritari di sviluppo economico e sociale, delineando le linee di sviluppo necessarie per il conseguimento degli obiettivi prefissati.

FSC 2014-2020: Riferimenti normativi

La dotazione iniziale del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per il ciclo di programmazione 2014-2020, pari a complessivi 54.810 milioni di euro, è stata individuata dall’ articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014[31] che ne ha anche disposto l’iscrizione in bilancio dell’80 per cento (43.848 milioni di euro), secondo la seguente articolazione annuale: 50 milioni per l’anno 2014, 500 milioni per l’anno 2015 , 1.000 milioni per l’anno 2016; per gli anni successivi la determinazione della quota è demandata alle successive leggi di stabilità e di bilancio, che stabilisce la manovra triennale di finanza pubblica, di cui all’ articolo 11 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

Lo stesso comma 6 dell’articolo 1 ha previsto che le risorse del FSC siano destinati a interventi esclusivamente per lo sviluppo e interventi anche di natura ambientale. La chiave adottata per il riparto delle risorse prevede di assegnarne l’80 per cento alle aree del Mezzogiorno e il 20 per cento a quelle del Centro-Nord.

La legge di stabilità 2015[32], nel riconfermare la chiave di riparto territoriale delle risorse sopra indicata, ha ridefinito la cornice di programmazione delle risorse FSC 2014-2020, introducendo nuovi elementi di riferimento strategico, di governance e di procedura. In particolare, ha previsto al comma 703 dell’articolo 1, l’impiego della dotazione finanziaria del FSC attraverso Piani operativi rispondenti ad aree tematiche nazionali definiti da una apposita Cabina di regia composta da rappresentanti delle Amministrazioni centrali, regionali e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

La ripartizione per aree tematiche nazionali e la successiva approvazione dei singoli piani operativi è attribuita alla competenza del CIPE che, in attesa dell’individuazione delle aree tematiche e dell’adozione dei piani operativi, può approvare Piani stralcio per la realizzazione di interventi ad immediato avvio dei lavori, destinati a confluire nei piani operativi, in coerenza con le aree tematiche cui afferiscono.

Il D.P.C.M. del 25 febbraio 2016 ha istituito la Cabina di regia, composta dall’Autorità politica per la coesione (che la presiede), dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con funzioni di Segretario del CIPE, dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, dal Ministro delegato per l’attuazione del programma di Governo, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da un Presidente di Città metropolitana designato dall’ANCI, da tre Presidenti di Regione designati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ( incluso il Presidente della stessa Conferenza), di cui due rappresentanti delle Regioni “meno sviluppato e in transizione” e un rappresentante delle Regioni “più sviluppato”.

La Cabina di Regia così costituita ha definito le aree tematiche ei rispettivi obiettivi strategici e, su corrispondente proposta dell’Autorità politica per la crescita, il CIPE, con la propria delibera n. 25/2016, ha ripartito le risorse FSC 2014-2020 disponibili tra le aree tematiche individuate. La delibera tiene conto di tutte le assegnazioni disposte in via legislativa a valere sul FSC 2014-2020 e delle allocazioni già deliberate dal CIPE in favore di Piani stralcio o in applicazione di norme di legge, ai sensi del richiamato comma 703 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015.

La delibera n. 25/2016 ha individuato inoltre i principi/criteri di funzionamento e utilizzo delle risorse FSC ripartite per aree tematiche.

La legge 11 dicembre 2016 n. 232 (Legge di Bilancio 2017) ha stanziato la quota del 20% (10.962 milioni di euro) inizialmente non iscritta in bilancio completando, così, la dotazione di risorse FSC 2014-2020 autorizzata dalla legge di stabilità per il 2014.

La legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 ed il bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, ha integrato la dotazione del Fondo per lo sviluppo e la ulteriore di 5.000 milioni di euro. Con tale finanziamento, la dotazione del Fondo raggiunge i 59.810 milioni di euro.

Il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2014-2020 è stato rifinanziato dalla legge n. 145 del 30 dicembre 2018, recante il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 ed il bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021. L’importo totale del rifinanziamento è pari a 4.000 milioni di euro suddivisi in 5 anni[33]. Con conto ulteriore somma, la dotazione complessiva del FSC per il periodo di programmazione 2014-2020 quota 63.810 milioni di euro.

Il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2014-2020 è stato da ultimo ulteriormente rifinanziato dalla legge n. 160 del 27 dicembre 2019, recante il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e il bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022. L’importo totale del rifinanziamento è pari a 5.000 milioni di euro distribuiti su 5 anni (dal 2021 al 2025). Con con tale ulteriore somma, la dotazione complessiva del FSC per il periodo di programmazione 2014-2020 arriva a quotare 68.810 milioni di euro.

FSC 2021-2027: Riferimenti normativi

La dotazione iniziale del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per il ciclo di programmazione 2021-2027, pari a complessivi 50.000 milioni di euro, è individuata dall’ articolo 1, comma 177 della legge di bilancio 2021 (legge 30 dicembre 2020, n. 178), che ha disposto[34] l’iscrizione in bilancio, secondo la seguente articolazione annuale, di: 4.000 milioni di euro per l’anno 2021, 5.000 milioni di euro per gli anni dal 2022 al 2029, 6.000 milioni di euro per l’anno 2030.

Al completamento delle risorse da destinare alla suddetta programmazione si provvede ai sensi dell’articolo 23, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Il comma 178 dell’articolo 1 ha, altresì, previsto che le risorse siano impiegate per obiettivi strategici relativi ad aree tematiche per la convergenza e la coesione economica, sociale e territoriale, sulla base delle missioni previste nel “Piano Sud 2030”, dando priorità alle azioni e agli interventi previsti nel Piano, compresi quelli relativi al rafforzamento delle amministrazioni pubbliche, in coerenza con i contenuti dell’accordo di partenariato europeo per i fondi strutturali e di partenariato europeo del periodo di programmazione 2021-2027 e del Piano nazionale per la programmazione e la resilienza (PNRR), secondo principi di complementarità e addizionalità delle risorse.

La legge di bilancio 2021, in particolare il comma 178, nel confermare la chiave di riparto territoriale che assegna l’80 delle risorse alle aree del Mezzogiorno e il 20 per cento a quelle del Centro-Nord, ha ridefinito la cornice di programmazione delle risorse FSC 2021-2027, introducendo i seguenti elementi di riferimento strategico, di governance e di procedura;

l’impiego della dotazione finanziaria del FSC attraverso Piani di sviluppo (PSC) sono definiti dall’articolo 44 del decreto-legge 30 aprile 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58, e approvati con deliberazioni del CIPESS. Le aree tematiche e gli obiettivi strategici sono individuati dal Ministro per il Sud e la coesione, in collaborazione con le aree territoriali;

il CIPESS ripartisce tra le diverse aree tematiche la dotazione finanziaria del Fondo sviluppo coesione e provvede ad eventuali variazioni della stessa su proposta della Cabina di Regia;

la definizione dei Piani di sviluppo articolati per ciascuna area tematica, con l’indicazione dei risultati attesi, delle azioni e degli interventi necessari per il loro conseguimento spetta alla Cabina di Regia[35] ai fini della successiva proposta di approvazione da parte del CIPESS;

definiti i PSC, il CIPESS, su proposta del Ministro per il sud e la coesione territoriale, stanzia le risorse per la realizzazione di interventi di immediato avvio dei lavori, nei limiti degli stanziamenti iscritti in bilancio, che confluiranno nei PSC in coerenza con le aree tematiche cui afferiscono;

il Coordinamento dell’attuazione dei PSC e l’individuazione delle ipotesi in cui si debba procedere alla sottoscrizione di un Contratto Istituzionale di Sviluppo[36], sono assegnati in capo al Ministro per il Sud e la coesione territoriale.

 

2.10.2  Il Piano Sud 2030

Il Piano nazionale per il Sud è stato presentato, nelle sue linee generali, ad inizio 2021 dal Ministro Provenzano ed interviene in una fase che, nell’ambito della più ampia strategia “Europa 2020”, è diretta a disegnare il futuro della politica di coesione e il suo ruolo essenziale nel contribuire a “una crescita, intelligente, sostenibile e inclusiva promuovendo al tempo stesso uno sviluppo armonioso dell’Unione e delle sue regioni grazie a una riduzione delle sue disparità regionali”.

Ha l’obiettivo di trascinare le aree del Mezzogiorno nazionale fuori dalla crisi ed invertire il declino continuo in una prospettiva di sviluppo e coesione, concentrando un impegno almeno decennale dell’azione pubblica ad ogni livello di governo, attivando la leva nazionale della politica di coesione, in ossequio all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione.

Il Piano risulta strettamente correlato, nella definizione delle strategie di intervento e nella individuazione delle linee di finanziamento, all’attuazione del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) e dei Fondi Strutturali e di Investimento (SIE) sopra descritti.

Il Piano nazionale per il Sud tiene altresì conto dell’avanzamento del confronto a livello europeo sul futuro della politica di coesione, disegna un percorso caratterizzato da elementi di innovazione e di cambiamento coerenti con la posizione espressa dall’Italia, sotto molti aspetti “anticipa”, a livello nazionale, alcuni degli elementi e “idee chiave” sui quali si sta concentrando il dibattito europeo e che costituiscono materia viva della consultazione in corso in Europa sulle indicazioni contenute nella quinta relazione sulla coesione economica sociale e territoriale e sulla proposta di revisione del bilancio dell’Unione europea.

In coerenza con tali indicazioni il Piano nazionale per il Sud, insieme ai provvedimenti ad esso collegati, declina, come indirizzo da rendere operativo, i criteri di:

concentrazione della strategia, della programmazione e delle risorse su pochi obiettivi prioritari (infrastrutture e beni pubblici, ricerca e innovazione, istruzione e competenze) rilevanti per lo sviluppo del Mezzogiorno;

maggiore orientamento ai risultati, sostenuto da un rafforzamento della valutazione e dalla definizione di obiettivi e indicatori di risultato misurabili;

attenzione specifica ai progressi che occorre promuovere e garantire per creare nel Mezzogiorno un ambiente favorevole e pre-condizioni adeguate al pieno dispiegamento delle sue potenzialità di sviluppo.

Strategia

Le politiche della coesione, riorganizzate nella logica del Piano per il Sud, si prestano a un approccio mission-oriented perché individuano alcuni obiettivi specifici su cui mobilitare le politiche pubbliche. Le missioni della coesione richiedono di andare oltre un mero approccio settoriale e si propongono di generare cambiamenti con un impatto sociale significativo nel medio e nel lungo termine.

La Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, approvata dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre 2019, individua cinque grandi “missioni” nazionali della coesione su cui concentrare gli investimenti, in vista della chiusura del negoziato dell’Accordo di Partenariato sul post 2020, oltre che della riprogrammazione del FSC. Le “missioni” sono state ulteriormente definite dal Piano e risultano così articolate:

un Sud rivolto ai giovani: investire su tutta la filiera dell’istruzione, a partire dalla lotta alla povertà educativa minorile, per rafforzare il capitale umano, ridurre le disuguaglianze e riattivare la mobilità sociale;

un Sud connesso e inclusivo: infittire e ammodernare le infrastrutture, materiali e sociali, come fattore di connessione e di inclusione sociale, per spezzare l’isolamento di alcune aree del Mezzogiorno e l’isolamento dei cittadini in condizioni di bisogno;

un Sud per la svolta ecologica: rafforzare gli impegni del Green Deal al Sud e nelle aree interne, per realizzare alcuni obiettivi specifici dell’Agenda ONU 2030 e mitigare i rischi connessi ai cambiamenti climatici;

un Sud frontiera dell’innovazione: supportare il trasferimento tecnologico e il rafforzamento delle reti tra ricerca e impresa, nell’ambito di una nuova strategia di politica industriale;

un Sud aperto al mondo nel Mediterraneo: rafforzare la vocazione internazionale dell’economia e della società meridionale e adottare l’opzione strategica mediterranea, anche mediante il rafforzamento delle “Zone Economiche Speciali” (ZES) e i programmi di cooperazione allo sviluppo.

Avvio del Piano

L’obiettivo del Piano a breve termine, nel triennio 2020-2022, è la massimizzazione dell’impatto delle misure previste nella “Legge di Bilancio 2020”, che consenta di incrementare gli investimenti pubblici nel Mezzogiorno, senza gravare di maggiori oneri la finanza pubblica, agendo sul riequilibrio della spesa ordinaria e l’accelerazione della spesa aggiuntiva, sia in termini di competenza che di cassa.

Tale obiettivo è perseguito mediante:

il riequilibrio delle risorse ordinarie, con l’effettiva applicazione della clausola del 34%[37];

il recupero della capacità di spesa della politica nazionale di coesione (FSC);

il miglioramento dell’attuazione della programmazione dei Fondi SIE.

 

2.10.3 Il Piano d’Azione per la Coesione (PAC)

Altro strumento di intervento della politica di coesione nazionale attivato in passato è il Piano d’Azione per la Coesione (PAC) avviato nel corso del 2011 come manovra per accelerare l’attuazione dei programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali 2007-2013 e rafforzare l’efficacia degli interventi.

Nel corso del ciclo 2007-2013 il PAC è stato finanziato da risorse nazionali derivanti dalla riduzione del tasso di cofinanziamento nazionale dei Programmi Operativi e da risorse riprogrammate attraverso rimodulazione interna ai medesimi Programmi.

Nel ciclo di programmazione 2014-2020 l’esperienza del PAC è proseguita attraverso i Programmi Operativi Complementari (POC) finanziati da una quota delle risorse del Fondo di Rotazione che affiancano il cofinanziamento nazionale dei Programmi Operativi dei Fondi Strutturali e di Investimento Europei.

Nello specifico, essendo stato ridotto il cofinanziamento nazionale per i programmi SIE al di sotto del 50% per alcuni POR e al di sotto del 45% per alcuni PON, come indicato dalla Delibera CIPE 10/2015, sono state liberate risorse assegnate ai Programmi di Azione e Coesione Complementari 2014-2020 per un totale di 7,4 miliardi di euro, di cui circa 4,4 miliardi per i Programmi Regionali e circa 3 miliardi per quelli nazionali.

I programmi hanno finanziato interventi in linea con le indicazioni e le prescrizioni dei programmi cofinanziati dai Fondi SIE, al fine di consentire il raggiungimento degli stringenti obiettivi di spesa dei programmi SIE, attraverso la selezione degli interventi rispondenti alle performance richieste dai fondi europei.

 

2.10.4 Programmazione ed attuazione

La politica regionale interessa l’Unione europea in ogni sua parte e a tutti i livelli, da quello di unione e nazione a quello di regione e comunità locale.

La politica viene implementata dagli organi nazionali e regionali, in collaborazione con la Commissione europea.

Il quadro di riferimento della politica di coesione prevede un ciclo di 7 anni; inoltre, la sua implementazione si articola nelle fasi indicate di seguito:

il bilancio per la politica e le norme per il suo utilizzo sono decisi di concerto tra il Consiglio europeo e il Parlamento europeo sulla base di una proposta presentata dalla Commissione;

i principi e le priorità della politica di coesione sono frutto di un processo di consultazione tra la Commissione e i paesi dell’Unione europea. Ogni Stato membro redige un progetto di Contratto di partenariato che descrive la propria strategia e propone un elenco di programmi. In aggiunta, gli Stati membri presentano una bozza dei programmi operativi (PO) che interessano gli Stati membri nella loro interezza e/o le regioni. Sono previsti inoltre programmi di cooperazione che coinvolgono più stati;

la Commissione negozia con le autorità nazionali il contenuto definitivo del Contratto di partenariato e di ogni programma. I programmi espongono le priorità del paese e/o delle regioni o dell’area di cooperazione interessata. Alla programmazione e alla gestione dei PO possono partecipare tutti gli organismi che rappresentano i lavoratori, i datori di lavoro e la società civile;

i programmi sono implementati dagli Stati membri e dalle rispettive regioni. Ciò significa selezionare, controllare e valutare centinaia di migliaia di progetti. Tale lavoro è organizzato dalle «autorità di gestione» dei programmi in ogni paese e/o regione;

la Commissione impegna i fondi (affinché i paesi possano iniziare a spenderli per i propri programmi);

la Commissione rimborsa le spese certificate a ciascun paese;

la Commissione monitora ogni programma congiuntamente al paese interessato;

sia la Commissione sia gli Stati membri presentano relazioni sull’attuazione dei programmi e l’utilizzo delle risorse nel corso di tutto il periodo di programmazione.

L’Italia potrà contare, nel ciclo 2021-2027, su 75,622 miliardi di Fondi strutturali, tra risorse europee e cofinanziamento nazionale.

In particolare, i fondi in arrivo da Bruxelles saranno pari a oltre 43 miliardi, comprensivi di quelli destinati ai programmi transfrontalieri e alla transizione giusta.

Si tratta quindi di circa 9 miliardi in più rispetto alla programmazione settennale precedente.

Di seguito, il confronto stimato tra i due cicli relativo alle risorse dei Fondi FESR e FSE plus (in milioni di euro).

Le quote riferite al 2021-2027 sono tratte dalla lettera inviata dalla Commissione europea nel novembre 2020, quindi non possono intendersi definitive.

Le regioni considerate ‘in transizione’ sono Abruzzo (già in questa categoria nel ciclo precedente), Umbria e Marche (precedentemente considerate ‘più sviluppate’). Le regioni ‘meno sviluppate’ sono invece tutte quelle rimanenti del Mezzogiorno (Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) e le ‘più sviluppate’ sono le altre del Centro-Nord.

La pubblicazione dei Regolamenti relativi ai Fondi strutturali nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea è avvenuta il 30 giugno 2021 ma, già il 23 giugno, il Governo italiano aveva inviato a Bruxelles una bozza consolidata dell’Accordo di partenariato, ricevendo il successivo 14 luglio i commenti degli uffici della Commissione.

Ne è seguito un lavoro di perfezionamento del documento, in stretto contatto con le Regioni e con gli uffici della Commissione Europea. Ne è risultata la bozza definitiva dell’Accordo di Partenariato, datata 16 dicembre 2021 e approvata dal CIPESS il 22 dicembre 2021, dopo l’intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni. Il testo è stato quindi inviato il 17 gennaio 2022 a Bruxelles per l’apertura del negoziato formale con la Commissione.

Inoltre, il percorso per la definizione del documento è stato avviato dal Dipartimento per le Politiche di Coesione già nel marzo 2019 e ha visto il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, con la partecipazione di oltre 2800 persone e l’invio di più di 280 contributi scritti. Il confronto informale con la Commissione è iniziato nel luglio 2020 e ha consentito nel primo semestre del 2021 di giungere a definire aspetti più dettagliati sulla programmazione e la capacità amministrativa. Al contempo, si è avviata la preparazione dei Piani di Transizione Giusta e l’aggiornamento della mappatura delle aree interne, da allegare all’Accordo.

 

2.10.5 Programmi 2021-2027 per l’Italia

I Programmi Nazionali (PN, ex PON) finanziati da FESR e FSE+ inseriti nel testo inviato a Bruxelles sono dieci, in linea con l’invito giunto dalla Commissione di ridurne il numero rispetto al ciclo precedente, e presentano novità importanti, come quello dedicato alla salute e il potenziamento di quello rivolto alle città metropolitane:

equità nella salute; si tratta di un Programma inedito, rivolto a superare le disparità territoriali e sociali attraverso il contrasto alla povertà sanitaria e il rafforzamento di medicina di genere, prevenzione e tutela delle persone con disagio psichico, in particolare tra le fasce più vulnerabili nelle regioni meno sviluppate;

innovazione, ricerca e competitività per la transizione verde e digitale, che comprende anche azioni rilevanti in materia energetica;

cultura, per rivitalizzare i luoghi della cultura e altri spazi nelle regioni meno sviluppate;

metro plus, che potenzia l’analoga esperienza del ciclo precedente, estendendola anche alle città medie del Mezzogiorno e guardando in particolare al miglioramento della qualità della vita in periferie e aree marginali;

sicurezza e legalità, per contrastare attività criminali e illecite e rafforzare i presidi di sicurezza, al fine di tutelare lo sviluppo di territori e attori economici;

scuola e competenze, per il contrasto alla povertà educativa e la dispersione scolastica, in particolare al Sud;

inclusione e lotta alla povertà, proseguirà l’opera di avvio di servizi con caratteristiche e standard omogenei su tutto il territorio nazionale, estendendo l’intervento anche a minori in condizioni di disagio, anziani non autosufficienti e disabili;

giovani, donne e lavoro, per la creazione di nuova occupazione ‘di qualità’, soprattutto giovanile e femminile;

capacità per la coesione, rivolto al reclutamento di alte professionalità a tempo determinato, destinate al potenziamento delle strutture impegnate nella gestione dei fondi di coesione;

Just Transition Fund, per l’attuazione del programma europeo, rivolto in Italia alla decarbonizzazione delle aree di Taranto e del Sulcis Iglesiente.

Le amministrazioni nazionali responsabili per competenza avranno il compito di predisporre e curare l’attuazione dei PN, cui si affiancheranno 19 Programmi Operativi Regionali (POR) e 2 Programmi Operativi relativi alle Province Autonome di Trento e Bolzano, predisposti e gestiti dalle amministrazioni locali.

 

 

 

  1. IL PNRR

Il PNRR è stato approvato con decisione Consiglio europeo il 31 luglio 2021 e i finanziamenti sono in parte prestiti, in parte investimenti a fondo perduto. Fra i principali strumenti finanziari previsti, per la realizzazione del PNRR, vi sono il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF Recovery and Resilience Facility[38] e il Pacchetto di Assistenza e Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (REACT EU)[39].

Il RRF garantisce all’Italia risorse per 191,5 miliardi di euro, dei quali 68,9 sono sovvenzioni a fondo perduto. L’Italia finanzia poi, con risorse proprie, un Piano Nazionale per gli investimenti complementari (Fondo cui sono assegnati 30, 6 miliardi di euro).

Unitamente al PNRR l’Italia si è impegnata ad attuare una politica di riforme finalizzata alla riforma della pubblica Amministrazione e della giustizia, alla razionalizzazione e semplificazione della legislazione, alla promozione e tutela della concorrenza. Gli interventi ricompresi nel PNRR devono, poi, essere completati entro il 2026.

Ciò detto, coerentemente con le indicazioni dell’art. 3 del Reg. (UE) 2021/241, la struttura complessiva del PNRR è così articolata:

6 “Missioni” (per 6 “priorità”);

16 Componenti;

63 Riforme;

134 Investimenti (se si considerano anche i sub-investimenti, nel PNRR sono richiamate 235 azioni di policy)[40].

La Commissione europea ha definito delle Linee guida che i governi dovevano prendere in considerazione nella stesura dei piani. In particolare, la Commissione europea ha previsto che gli investimenti si rivolgessero:

per almeno il 20% alla transizione digitale;

per almeno il 37% il «green».

Inoltre, sono previste le seguenti aree di punta («flagship areas»):

– energie pulite e rinnovabili;

– efficienza energetica degli edifici;

– trasporti sostenibili;

– dispiegamento di banda larga;

– digitalizzazione della PA, sviluppo del cloud e dei processori sostenibili;

– istruzione e formazione per le cosiddette skills digitali.

Ciò detto, tra le norme di accelerazione e semplificazione per gli interventi pubblici e per quelli del PNRR e PNC si ricorda il c.d. “Decreto Semplificazioni bis” recante «Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure» (decreto legge n. 77 del 31.05.2021 convertito con Legge n 108 del 29 07 2021) la cui finalità è quella di “semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi” del PNRR, del PNC e del PNIEC

È articolato in due parti, delle quali la prima individua il sistema di governo del PNRR, mentre la seconda contiene disposizioni di accelerazione e di snellimento delle procedure.

Il piano si articola intorno a tre assi strategici, in coerenza con le linee guida di Bruxelles, ovvero rivoluzione verde e transizione ecologica (destinataria del 40% delle risorse, pari a 68,6 miliardi di euro), digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (il 27%, pari a 49,2 miliardi), inclusione e coesione sociale (il 10%, l’equivalente di 22,4 miliardi di euro).

Sono destinati 82 miliardi al Mezzogiorno su 206 miliardi ripartibili secondo il criterio del territorio (per una quota dunque del 40%) ed è previsto inoltre un investimento significativo sui giovani e le donne.

Ciò detto, tra gli strumenti di governo del PNRR si evidenziano:

la cabina di regia, con compiti di indirizzo, coordinamento di controllo (art. 2);

la segreteria tecnica (presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), con funzioni di supporto alla cabina di regia (art. 4);

l’unita per la razionalizzazione e miglioramento della regolazione (presso la presidenza del consiglio dei ministri), con il compito di superare ostacoli normativi, regolamentari, burocratici che possano ostacolare l’attuazione del PNRR (art. 5);

il servizio centrale per il PNRR (presso il MEF), con compiti di monitoraggio e rendicontazione, punto di contatto con la comunità europea (articoli 6 e 7);

il tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, con funzione consultiva (art. 3);

il comitato interministeriale per la transizione digitale e il comitato interministeriale per la transizione ecologica, con compiti di indirizzo, impulso e coordinamento nelle materie di rispettiva competenza, tenendo informata la cabina di regia che può partecipare tramite un proprio delegato[41].

La realizzazione del Piano aumenterà il PIL e l’occupazione. L’aumento rifletterà sia effetti di domanda (nel breve periodo), sia l’incremento dello stock di capitale pubblico e della produttività (nel medio periodo). Si stima che nel 2026 il PIL possa essere superiore del 3,6% allo scenario senza Piano (tra 1,5% e 2,5% nelle stime CE).

Il settore pubblico è solitamente soggetto ad una forte “Path dependancy”, ovvero tende alla conservazione dei sistemi di governance, budgeting, etc. L’introduzione del PNRR è, invece, l’occasione per introdurre cambiamenti radicali altrimenti difficilmente possibili.

Qualcosa di simile è accaduto in occasione della crisi finanziaria 2010-2012; a livello macro, vi fu il ritorno dello Stato nell’economia[42] e, in molti Stati, si osservò la concentrazione di potere nelle mani del Ministero delle Finanze, con un accentuato ruolo della funzione finanziaria e di controllo[43]. Gli anni precedenti la crisi erano stati caratterizzati da una forte tendenza al decentramento amministrativo. Questo nell’ambito di un più ampio movimento legato allo sviluppo dal basso e alla partecipazione. La necessità di governare la crisi ha riportato la bilancia del potere verso le amministrazioni centrali. Inoltre, la necessità di acquisire consenso suggerisce comunque di continuare a prestare attenzione al coinvolgimento degli attori locali e degli stakeholders.

Nei periodi di crisi la politica tende a cedere spazio ai “tecnici” ed alle burocrazie e si riscontra un’apertura a soluzioni che difficilmente sarebbero sostenibili dalla politica in altri momenti.

Le crisi possono però essere anche l’occasione per realizzare cambiamenti strategici, difficili da impostare in tempi normali[44].

È noto, infatti, che gli Stati unitari generalmente hanno un sistema tributario nazionale che pone i governi territoriali – regionali e locali – in posizione subordinata rispetto allo Stato centrale. Le fonti di entrata dei governi territoriali sono generalmente insufficienti a coprire il totale delle proprie spese di competenza.

Tale mancata corrispondenza misura lo squilibrio verticale del sistema della finanza pubblica Questo richiede trasferimenti dal governo centrale agli enti territoriali per consentire a questi ultimi di adempiere alle proprie funzioni.

Al riguardo, il PNRR prevede un ambizioso programma di riforme, per facilitare la fase di attuazione e più in generale contribuire alla modernizzazione del Paese e rendere il contesto economico più favorevole allo sviluppo dell’attività di impresa:

la riforma della pubblica Amministrazione per dare servizi migliori, favorire il reclutamento di giovani, investire nel capitale umano e aumentare il grado di digitalizzazione;

la riforma della giustizia che mira a ridurre la durata dei procedimenti giudiziari, soprattutto civili, e il forte peso degli arretrati;

gli interventi di semplificazione orizzontali al Piano, ad esempio in materia di concessione di permessi e autorizzazioni e appalti pubblici, per garantire la realizzazione e il massimo impatto degli investimenti;

le riforme per promuovere la concorrenza come strumento di coesione sociale e crescita economica.

 

3.1 Differenze e analogie tra fondi strutturali e PNRR

Il meccanismo di recupero e resilienza, fulcro del piano di recupero ‘Next Generation EU’ da 750 miliardi di euro, erogherà 312,5 miliardi in sovvenzioni e renderà disponibili ulteriori 360 miliardi di euro in prestiti ai paesi dell’Unione europea, da spendere prima del 2026.

Come si è detto, il pacchetto Next Generation EU il Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility – RRF) finalizzato ad attenuare l’impatto economico e sociale della pandemia e rendere le economie e le società dei paesi europei più resilienti, nonché altre iniziative eterogenee, integrando, infatti, le risorse dell’Horizon Europe, le risorse React-EU destinate ad integrare i fondi strutturali 2014-2020, le risorse dedicate allo sviluppo rurale, al rafforzamento dello strumento InvestEu, alla costituzione del Fondo Transizione Giusta (JTF) e al Programma RescEU.

La Commissione europea ha esaminato e sta valutando i primi risultati dell’avvio dei piani di ripresa degli Stati membri e, nel frattempo, i paesi unionali sono impegnati anche nella programmazione per l’utilizzo dei fondi strutturali, che destineranno altri 337 miliardi di euro alle regioni europee.

Questi fondi, a differenza di quelli di ‘Next Generation EU’, dovranno essere utilizzati entro il 2029; esiste un timore diffuso che i paesi membri possano dare un’eccessiva priorità all’utilizzo del fondo di recupero, accantonando i progetti di coesione.

Come previsto da diversi osservatori infatti, la programmazione dei Fondi Strutturali è stata di fatto relegata in secondo ordine rispetto a quelle degli interventi dei Recovery Plan nazionali finanziati nell’ambito dell’iniziativa Next Generation EU.

L’utilizzo congiunto ed efficace di questi strumenti – fondi strutturali e piani di ripresa nazionali – sarà in ogni caso una sfida impegnativa, potendosi facilmente verificare casi di conflitto e sovrapposizioni, rischi di doppio finanziamento, oneri amministrativi aggiuntivi o mancanza di allineamento strategico tra gli investimenti finanziati.

Esiste però un potenziale di complementarità che va esplorato: a livello di Stato membro e di ciascuna singola amministrazione coinvolta serve implementare meccanismi per coordinare il lavoro, evitare duplicazioni e promuovere la convergenza tra PNRR e fondi strutturali, tenendo conto degli squilibri aggravati dalla crisi, che ha prodotto paesi più colpiti, regioni più colpite, settori più colpiti.

Il carico di lavoro necessario per il collegamento dei fondi strutturali europei e dei piani nazionali di ripresa e resilienza è pesante, e solo una “visione strutturata” che ciascun Paese dovrebbe mantenere potrà garantire la piena coerenza nell’utilizzo dei diversi strumenti a propria disposizione.

 

3.2       Gestione ed attuazione: un primo confronto tra PNRR e fondi SIE

Il confronto delle modalità di programmazione e gestione dei fondi SIE e del PNRR fa emergere elementi di contrasto ma anche punti di contatto, dovuti alla differente natura dei due strumenti finanziari e al parziale accavallamento temporale dei “piani”.

Sul punto, l’esperienza delle politiche di coesione ha evidenziato:

il loro carattere di sistematicità ovvero la circostanza che gli interventi siano capaci di rafforzare lo sviluppo economico nel suo complesso, favorendo l’integrazione tra gli asset e le vocazioni territoriali;

il loro carattere di addizionalità ovvero i fondi strutturali europei sono sempre stati intesi come aggiuntivi agli investimenti nazionali;

la loro attitudine a disegnare procedure efficaci. Il tema delle procedure è centrale sia a livello europeo sia a livello nazionale e subnazionale e produce semplificazione procedurale, riduzione dei costi, trasparenza, accountability e monitoraggio.

Inoltre, il PNRR incrocia temporalmente, nel suo periodo di attuazione, la programmazione delle politiche di coesione. Inoltre, dal punto di vista della concentrazione territoriale, il PNRR ha tra i suoi obiettivi generali anche il riequilibrio territoriale, tanto che è previsto che almeno il 40% delle risorse territorializzabili venga destinato al Mezzogiorno. Questa quota Mezzogiorno andrebbe a sommarsi alla componente dell’Accordo di Partenariato (AdP) dell’Italia 2021-2027 destinata al Mezzogiorno che, comprensiva del cofinanziamento nazionale, è pari a circa 54 miliardi.

Al riguardo la bozza di Accordo di Partenariato prevede che rappresentanti della struttura centrale di coordinamento del PNRR parteciperanno attivamente al Comitato dell’AdP. La creazione di siffatti meccanismi unitari di coordinamento e monitoraggio favorirà il potenziamento della capacità istituzionale e l’apprendimento delle politiche d’investimento pubblico tra tutti i livelli di governo.

 

3.2.1    Fondi SIE versus PNRR – Gli elementi di rischio

In Italia, l’attenzione dei decisori politici sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è così forte che paiono interessare poco i ritardi manifesti nella spesa dei fondi strutturali del ciclo 2014-2020, relegata in secondo piano[45].

Questi ritardi nella spesa sono stati in parte mitigati dalla flessibilità nel loro utilizzo resa possibile dalle istituzioni dell’Unione europea per accelerare la spesa di risorse già stanziate con la finalità di contrastare gli effetti recessivi della pandemia. Al riguardo, i provvedimenti volti a rendere molto più flessibili i Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali erano stati varati nel periodo marzo – aprile 2020 nell’ambito della c.d. “Coronavirus Response Investment Initiative (CRII)”.

In linea generale, si ravvisano principalmente tre motivi alla base della concentrazione dell’attenzione di decisori pubblici sulla programmazione degli interventi del PNRR:

l’ingente quantità di risorse finanziarie allocata sul PNRR;

la necessità di varare riforme ed attuare/completare gli investimenti previsti secondo un dettagliato cronoprogramma, al fine di evitare il disimpegno, da parte della Commissione, delle risorse assegnate. Questa circostanza di stress operativo non era riscontrabile nell’ambito dell’attuazione dei nuovi Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali. La normativa del periodo 2021-2027, infatti, fino al 2026 prevede che continui a valere la regola “n+3” sul disimpegno delle risorse comunitarie non spese nel triennio successivo all’anno del loro impegno. A partire dall’annualità 2027 si applicherà la regola “n+2” e, quindi, il periodo di programmazione terminerà al 31.12.2027 per quel che concerne l’assunzione di impegni giuridicamente vincolante e il 31.12.2029 per quel che riguarda la spesa;

la circostanza che, per le risorse del Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, non è stato previsto il vincolo di cofinanziamento. Come è noto, invece, il principio di cofinanziamento è uno dei principi fondamentali dei “Fondi Strutturali”[46].

Vanno poi considerati i concomitanti impegni degli operatori pubblici per la chiusura dei programmi 2014-2020, il perfezionamento e la chiusura degli interventi “supplementari” resi possibili dall’iniziativa REACT-EU e dalla programmazione degli interventi del PNRR nonché di quelli dei nuovi Programmi cofinanziati dai “Fondi strutturali 2021-2027”. Questi impegni concomitanti comportano un forte aumento dei carichi di lavori degli uffici dedicati alla valorizzazione delle risorse comunitarie. Al riguardo, i rallentamenti della macchina amministrativa sembrano riguardare solo la programmazione degli interventi dei “Fondi Strutturali” 2021-2027[47].

Una programmazione complementare degli interventi del PNRR e di quelli dei Programmi cofinanziati dai “Fondi Strutturali” sarebbe stata proficua soprattutto per i seguenti motivi:

sia la base normativa dei “Fondi strutturali” che il Regolamento (UE) 2021/241 che disciplina il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza implicano che vi sia la necessità di una significativa complementarità fra i vari strumenti di finanziamento comunitari[48];

le ultime riforme sul tema avrebbero potuto tenere maggiormente in conto le “lezioni dell’esperienza” dell’attuazione dei “Fondi Strutturali” che evidenziano come soprattutto gli Enti decentrati dello Stato non accusano solo criticità attuative superabili con “riforme amministrative”, ma stentano anche a produrre un “parco progetti” adeguato[49]

si sarebbero potute ponderare, con maggiore approfondimento, le sovrapposizioni tra le due programmazioni e i rispettivi i “perimetri di azione”, soprattutto perché, così facendo, uno dei rischi a cui si va incontro è quello di svantaggiare le aree più deboli del Paese dove sia la struttura amministrativa che la capacità di progettazione sono generalmente da potenziare[50].

Vi sono altri due altri profili da considerare, rispetto ai quali vi è ancora spazio per valorizzare una programmazione e attuazione maggiormente complementare di PNRR e programmi cofinanziati dai “Fondi Strutturali”:

la forte spinta riformista innescata dal PNRR crea un contesto giuridico-amministrativo più favorevole anche per l’approvazione e la successiva attuazione dei progetti che verranno finanziati dai “Fondi strutturali”; nel dettaglio, tale circostanza consente di corrispondere in modo più precisa ai criteri stabiliti dal Reg. (UE) 2021/1060 per la verifica del soddisfacimento, da parte delle Autorità di Gestione, dei programmi delle condizioni abilitanti[51] volte a creare un contesto più favorevole al rapido completamento dei progetti finanziati[52];

anche per gli interventi del PNRR si va nella direzione di un sistema di sorveglianza e di audit analogo al “sistema di gestione e controllo” (in gergo “Si.Ge.Co.”) previsto dalla normativa sui “Fondi Strutturali”[53].

In sintesi, quindi, i “Fondi strutturali e d’investimento” si sono caratterizzati per tempi più lunghi di realizzazione, su condizionalità e efficacia tarata sulla capacità di spesa e sul co-finanziamento. Diversamente, il NGEU si presenta tarato su tempi stretti, su una condizionalità rafforzata e un finanziamento pieno ma realizzato con sussidi/prestiti[54].

 

3.2.2    Fondi SIE versus PNRR – Gli elementi di opportunità

L’esame congiunto dei fondi SIE e del PNRR fa emergere molti parallelismi e punti di contatto, pur trattandosi di strumenti finanziari molto differenti tra loro.

Dall’esperienza di attuazione dei fondi SIE emergono meccanismi già rodati che potrebbero essere utilmente ripresi dal sistema di governance e gestione del PNRR, avvantaggiando il concreto raggiungimento di una comune finalità: la risposta alla crisi da Covid-19 nonché la ripresa e la crescita dell’Unione europea.

Il Regolamento finanziario dell’Unione europea, da ultimo il Regolamento 1046/2016, stabilisce che la Commissione europea esegue il bilancio unionale:

a “gestione diretta”, ossia attraverso i suoi servizi o tramite agenzie governative;

a “gestione concorrente” con gli Stati Membri;

in via residuale a “gestione indiretta”, ovvero affidando compiti di esecuzione ad altri soggetti, come paesi terzi od organismi da questi designati, la Banca europea per gli investimenti (“BEI”), il Fondo europeo per gli investimenti (“FEI”) o organismi di diritto pubblico o privato.

Le modalità di esecuzione di strumenti o iniziative finanziarie, comprese quelle rivolte alle politiche di investimento pubblico, seguono regole e processi specifici a seconda della categoria di appartenenza.

Ciò detto, i fondi a “gestione diretta” vengono attuati con regole stabilite da Regolamenti comunitari e gestiti direttamente dai servizi competenti della Commissione. Si instaura, quindi, un rapporto diretto tra i beneficiari del contributo comunitario e la Commissione europea, che li seleziona, di norma, a seguito della presentazione di istanze in specifiche chiamate a progetti, nell’ambito di Programmi la cui titolarità resta in capo alla stessa Commissione[55].

Diversamente, il mondo delle politiche di coesione rientra nella categoria dei fondi a “gestione concorrente” con gli Stati membri; ciò ha comportato la definizione di regole di ingaggio specifiche e complesse, attraverso le quali vengono definiti gli strumenti strategici e programmatici, come l’Accordo di Partenariato ed i Programmi Operativi, adottati con decisione comunitaria a seguito di un preciso negoziato.

Per ogni Programma Operativo viene, poi, richiesta la definizione e l’esplicitazione di un “sistema di gestione e controllo” (Si.Ge.Co.), finalizzato a descriverne l’organizzazione, gli strumenti, le procedure ed i processi adottati per la relativa attuazione. Tale struttura ha il fine di fornire alla Commissione europea la garanzia di regolarità e correttezza dei finanziamenti erogati per la realizzazione dei progetti attuati nell’area geografica di pertinenza al sostegno dei fondi unionali.

Si appalesano, quindi, nel mondo delle politiche di coesione, soggetti amministrativamente al di fuori dal nostro quadro giuridico, come l’Autorità di gestione (AdG), soggetto responsabile del Programma, l’Autorità di Certificazione (AdC), responsabile dell’invio delle domande di pagamento alla Commissione europea e l’Autorità di audit (AdA), che svolge funzioni dirette a garantire la “tenuta” del sistema, relazionando sul funzionamento del sistema per ogni periodo contabile di riferimento.

Sono, inoltre, introdotti termini come “beneficiari”, soggetti che danno avvio ed attuazione all’operazione; si parla di “domande di pagamento” e “certificazione della spesa” ma anche di “presentazione annuale dei conti”, oltre che, ovviamente, di “controlli di primo livello”, “controlli sul posto”, “audit[56] e di “analisi di rischio”.

Ciò vale per i programmi a “gestione concorrente” e non per quelli a “gestione diretta”, nei quali tutta la responsabilità resta in capo ai servizi della Commissione europea, tenuti ad attuare gli strumenti senza il contributo dello Stato membro.

Nonostante quanto sopra espresso, tutti i nuovi strumenti finanziari attivati e le risorse dei fondi a gestione concorrente, in particolare la regolamentazione che riguarda il nuovo ciclo di programmazione, hanno un elemento in comune: l’attenzione alla performance, intesa sia nel senso di governance attuativa che di attuazione per risultati: questi due concetti (governance e risultati), nel passato hanno rivestito un livello secondario rispetto alla programmazione.

Al riguardo, la realizzazione degli obiettivi di crescita e sviluppo dei territori deve essere garantita con progetti reali da attuare e rendicontare secondo le regole comunitarie, per cui la governance e la capacità amministrativa non possono che assumere assoluta centralità per determinare la reale performance degli interventi[57].

Si tenga presente che i meccanismi di attuazione dei fondi, legati alla tutela del bilancio europeo, hanno tenuto in considerazione in modo puntuale l’attuazione finanziaria, ovvero la «rendicontazione della spesa» piuttosto che le valutazioni legate ai risultati e le analisi di impatto sui territori[58].

In tale contesto, un’importante iniziativa è costituita dall’introduzione delle cosiddette «Opzioni di costo semplificato» (Ocs) che, intervenendo a livello di progetto e collegando la performance realizzativa al trasferimento finanziario delle risorse, hanno unito la semplificazione procedurale alla riscontrabilità della performance attuativa[59].

Diversamente, si può affermare che lo strumento Recovery and Resilience Facility, che si attua attraverso l’approvazione di specifici Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza, non prevede una rendicontazione puntuale delle spese ma i rimborsi che saranno accordati dalla Commissione europea sono legati all’effettivo conseguimento di target e milestone[60].

La prima proposta del Recovery and Resilience Facility non introduceva elementi di dettaglio sulle procedure sottostanti il raggiungimento di target e milestone; tutto si riferiva alla novità dello strumento che, in quanto attuabile attraverso una modalità “performance based[61], avrebbe lasciato liberi i soggetti dalla verifica sulle spese sottostanti[62], vincolando il rimborso al soddisfacente conseguimento dei target e milestone concordati. La procedura attuativa e la modalità realizzativa ha importanza ma passa in secondo piano: se non si raggiunge il target non ha alcun effetto. Inoltre, il Recovery and Resilience Facility non solo introduce una novità in termini di performance ma richiede che target milestone concordati siano conseguiti entro il 31 agosto 2026.

Quindi, con il PNRR, piano performance based, le procedure si sono fatte decisamente più complesse, considerando che questa iniziativa è espressamente inclusa all’interno degli strumenti a “gestione diretta”[63]: i Piani di ripresa e di resilienza sono, quindi, considerati come singoli progetti, il cui beneficiario è lo Stato membro.

Ciononostante, la versione finale del Regolamento 241/2021, in particolare l’art. 22 e, ancor di più, le raccomandazioni della Commissione europea nel corso dei negoziati con gli Stati membri, hanno aggiunto ulteriori livelli di dettaglio, anche procedurale, riguardo l’attuazione dell’iniziativa[64].

Al riguardo, l’art 22.1 del Regolamento (UE) 2021/241 specifica che, per l’attuazione dello strumento, si debba fare affidamento ai sistemi di controllo interno di ciascuno Stato membro che devono, pertanto, essere sufficientemente “credibili” da tutelare gli interessi finanziari dell’Unione e, in particolare, devono “contrastare” le frodi, la corruzione e i conflitti di interessi; tuttavia, le Linee Guida della Commissione europea di gennaio 2021[65] raccomandano che gli Stati membri si avvalgano dei sistemi di gestione e controllo nazionali già esistenti e dei relativi organismi, come quelli utilizzati per altri fondi unionali.

Le Linee Guida precisano, inoltre, che ogni Piano debba descrivere chiaramente i ruoli e le funzioni dei soggetti coinvolti nella sua attuazione, individuando gli organismi o le entità responsabili di garantire il controllo e l’audit, nonché di prevenire, individuare, segnalare e affrontare gravi irregolarità, frodi, conflitti di interesse e corruzione.

In ogni Piano devono, inoltre, essere forniti dettagli sulla capacità amministrativa ed informazioni su misure e procedure messe in atto per garantire che il diritto nazionale e dell’Unione applicabile sia rispettato durante l’attuazione di tutte le operazioni nel quadro dello strumento.

Si ritrovano, quindi, in uno strumento diretto “performance based”, elementi di gestione tipici di programmi di spesa a gestione concorrente, come illustrato nella Parte 3 del Piano nazionale di ripresa e resilienza[66].

Quindi, nel PNRR l’attuazione dei singoli interventi è a carico delle Amministrazioni centrali, delle Regioni e degli enti locali[67], non dei “beneficiari”[68], sulla base delle competenze istituzionali e tenuto conto del settore di riferimento e della natura dell’intervento.

Tuttavia, ogni investimento e riforma è assegnato alla responsabilità di “Amministrazioni centrali titolari di interventi PNRR”, ossia Ministeri o strutture dipartimentali della Presidenza del Consiglio dei Ministri che, come le “Autorità di Gestione” dei fondi strutturali, svolgono funzioni di vigilanza sulla corretta adozione dei criteri di selezione delle azioni, in coerenza con le regole e gli obiettivi del PNRR, nel rispetto delle condizionalità previste[69].

Inoltre, anche nel PNRR i progetti possono essere “a regia”, ossia selezionati sotto la responsabilità dell’Amministrazione centrale titolare di interventi PNRR o direttamente attuati dalla stessa (“a titolarità”); ciononostante l’elemento che regge tutto il processo è il raggiungimento dei target e milestone: una spesa regolare, qualora non conduca al conseguimento degli obiettivi fissati, non consentirebbe di ottenere il rimborso comunitario.

Bisogna, inoltre, considerare che l’attuazione dei progetti PNRR sottostà anche al rispetto di condizionalità specifiche, tra cui il principio del “do no significant harm” (DNSH), del tagging climate e digital.

Ciò detto, per l’attuazione del PNRR è stata istituita, presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, una nuova Direzione Generale, denominata “Servizio Centrale per il PNRR[70], che rappresenta il punto di contatto nazionale con la Commissione europea ai sensi dell’articolo 22 del Regolamento (UE) 2021/241. Il Servizio Centrale presenta infatti le “richieste di pagamento” in esito di un processo analogo a quello svolto dalle Autorità di Certificazione dei Programmi Operativi, sebbene accentrato in un unico soggetto nazionale.

Ebbene, a differenza dei fondi strutturali, nel PNRR manca la presentazione annuale dei conti e tutte le “richieste di pagamento” dovranno essere sempre accompagnate da una “dichiarazione di gestione” e da una “sintesi degli audit effettuati” che comprenda le carenze individuate e le eventuali azioni correttive adottate[71].

Inoltre, come per le politiche di coesione, anche nel PNRR è stato istituito, presso l’Ispettorato generale per i Rapporti finanziari con l’Unione europea (IGRUE) del Ministero dell’Economia e delle Finanze[72] un Organismo di audit ai sensi dell’articolo 22 paragrafo 2, lettera c), punto ii), del Regolamento (UE) 2021/241.

Tale organismo opera in posizione di indipendenza funzionale rispetto alle strutture coinvolte nella gestione del PNRR e si avvale, nello svolgimento delle funzioni di controllo relative a linee di intervento realizzate a livello territoriale, dell’apporto delle Ragionerie territoriali dello Stato.

In base alla comparazione qui proposta, esistono utili meccanismi già testati che sarebbe opportuno riprendere dai fondi strutturali oltre ad occasioni di semplificazione, anche di tipo procedurale, che potrebbero essere ripresi dal “mondo Recovery”, con potenziali effetti positivi anche nei confronti delle politiche di coesione[73].

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. CONCLUSIONI.

La distribuzione delle risorse delle politiche di coesione ha evidenziato un rischio di uso improprio delle risorse e di un forte innalzamento della percezione di corruzione[74]. Le opportunità sono comunque svariate e legate a un possibile salto di qualità nel coordinamento delle politiche dell’Unione, alla possibilità concreta di ripresa e convergenza tra le diverse aree unionali e ad investimenti per la crescita, più che di trasferimenti a breve. I rischi, oltre a quelli sopra citati, si concretizzano nella complessità delle regole che disciplinano un numero crescente di programmi e risorse (e.g. RESC-EU), nelle capacità istituzionali e politiche messe a dura prova come ulteriore sfida alla gestione della cosa pubblica in Italia.

In relazione alla scelta degli strumenti da utilizzare, al di là della differenza di governance in termini di accentramento o meno, i fondi strutturali e d’investimento presentano tempi più lunghi di realizzazione, condizionalità e efficacia tarate sulla capacità di spesa e ipotesi di co-finanziamento.

Diversamente lo strumento PNRR si caratterizza per tempi stretti, condizionalità rafforzata, un finanziamento pieno ma realizzato con sussidi e prestiti.

In tali contesti, le priorità d’azione appaiono comunque quelle del rinnovamento, dell’intervento ‘orizzontale’ e di una strategia che stimoli la complementarietà.

Per l’Italia, è centrale cogliere la nuova sfida europea, migliorando la capacità di spesa e di investimenti e di riforme efficaci. Qualora il PNRR funzionasse, si avrebbe un salto di qualità delle capacità finanziarie unionali; diversamente assisteremmo ad una battuta d’arresto dirimente.

Inoltre, appare quasi superfluo rimarcare che il PNRR permette l’accesso a risorse nella logica dell’investimento[75] più che del trasferimento e che l’Unione europea chiede che tali risorse siano accompagnate da varie riforme.

Si conclude affermando che i due strumenti finanziari qui comparati, pur essendo molto differenti tra loro, possono beneficiare di forme positive di contaminazione, come poche volte è accaduto in passato tra iniziative dirette e concorrenti.

 

 

[1] Firmato a: Maastricht (Paesi Bassi), il 7 febbraio 1992.

[2] Il TFUE risale al trattato sulla fondazione della Comunità economica europea, stipulato a Roma nel 1957; questo trattato e il trattato Euratom sono conosciuti come i Trattati di Roma. Il trattato della CEE è stato da allora più volte modificato, in particolar modo con il trattato di Fusione del 1965, con l’Atto Unico Europeo del 1986, col trattato di Maastricht del 1992, col trattato di Amsterdam del 1997, col trattato di Nizza del 2001 e col trattato di riforma, firmato a Lisbona il 13 dicembre del 2007.

[3] TFUE, “Preambolo”.

[4] PROGRAMMAZIONE FINANZIARIA 2007-13

Aumento degli ‘anticipi’ (pre-payment) versati dalla Commissione; riduzione dei co-finanziamenti della Commissione, spostamento di risorse tra programmi e temi;

semplificazione delle regole di rendicontazione e imputazione dei costi legati a singoli progetti (‘costi standard’);

modifica delle regole relative agli impegni di spesa (de-committment);

dopo la crisi, i grandi progetti possono essere attivati (con impegno di spesa) anche nelle more dell’approvazione preventiva della Commissione (analisi C/B)

estensione delle facilitazioni JASPERS (Joint Assistance to Support Projects in the European Regions)

Semplificazione regole di valutazione dei cosiddetti ‘Revenue-generating projects’ (Progetti che generano introiti)

[5] Le politiche di coesione sono guidate dalle raccomandazioni proposte dall’Unione europea nell’ambito del Semestre europeo (processo di coordinamento delle politiche economiche dei Paesi Membri), in linea con la c.d. Thematic Concentration. Inoltre, le politiche di coesione sono sottoposte a meccanismi di condizionalità (i finanziamenti europei arrivano solo se alcune condizioni sono rispettate dai Paesi Membri). Infine, le politiche di coesione contribuiscono alle riforme strutturali promosse dall’Unione europea.

[6] Appare importante svolgere anche un’adeguata valutazione delle politiche di coesione. Ci si interroga, al riguardo, quali siano gli obiettivi principali della valutazione della politica di coesione. Ad esempio potrebbero essere:

stimare gli impatti, anticipati o effettivi, della politica/dei programmi sul gap tra regioni più e meno sviluppate; stimare gli impatti, anticipati o effettivi, di uno strumento di policy; fornire un’analisi critica del processo di attuazione di un programma/di uno strumento per migliorare ciò che non funziona o ritarare la spesa; dare conto dell’efficienza/value for money degli investimenti realizzati; fornire evidenza al pubblico circa l’utilizzo delle risorse pubbliche (accountability).

Le valutazioni ex ante sono in capo agli Stati membri, in particolare alle autorità responsabili dei programmi (art. 55 CPR). Le valutazioni ex post sono effettuate dalla Commissione o dagli Stati membri in stretta cooperazione con la Commissione, entro 31 dicembre 2024. La Commissione, entro il 31 dicembre 2025, per ciascun Fondo strutturale e di investimento europeo, elabora un rapporto di sintesi che delinea le principali conclusioni delle valutazioni ex post. (art. 57).

[7] Nel discorso pronunciato in occasione della seduta plenaria del Parlamento europeo (PE) il 16 aprile scorso, la Presidente von der Leyen ha affermato che il bilancio europeo sarebbe stato di importanza tale da costituire un nuovo “piano Marshall per la ripresa dell’Europa”.

[8] Si vedano in proposito il comunicato stampa del Parlamento Europeo e il prospetto divulgato dal presidente Sassoli nel novembre 2020

[9] Cfr. Regolamento (Ue, Euratom) 2020/2093 del Consiglio del 17 dicembre 2020 che stabilisce il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027

[10] Le risorse aggiuntive saranno prelevate principalmente da importi corrispondenti a multe per la concorrenza e sono conseguenti alle richieste negoziali del Parlamento europeo per rafforzare alcuni programmi considerati «faro» dell’Ue: cfr. dossier Senato del 18 febbraio 2020

[11] Nell’attuale fase di programmazione 2021 – 2027 il FC è operativo per i seguenti Stati Membri: Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Grecia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, e quindi, analogamente alla fase di programmazione 2014 – 2020, non per l’Italia.

[12] Che storicamente intervengono a sostegno delle politiche agricole degli Stati Membri ed erano considerati elementi basilari della politica di coesione

[13] Si ricorda che principi e procedure del c.d. “disimpegno automatico” sono trattati dagli articoli 86-88 del Reg. (UE) 2013/1303. La regola “n+3”, nello specifico, è disciplinata dall’art. 136.

Per il periodo di programmazione 2021-2027 si vedano gli articoli 105-107 del nuovo Regolamento sulle Disposizioni Comuni (Reg. (UE) 2021/1060 approvato il 24 Giugno 2021).

[14] Base giuridica

Articolo 177 (in particolare il secondo paragrafo) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Obiettivi

Il Fondo di coesione è stato istituito allo scopo di rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione europea per promuovere lo sviluppo sostenibile. Nei periodi di programmazione 2014-2020 e 2021-2027 fornisce sostegno:

agli investimenti in materia ambientale, anche in settori connessi allo sviluppo sostenibile e all’energia che presentano benefici per l’ambiente;

alle reti transeuropee per quanto attiene alle infrastrutture dei trasporti (TEN-T);

all’assistenza tecnica.

Per i progetti funzionali agli obiettivi di tutela ambientale dell’Unione europea, il Fondo di coesione può altresì contribuire a settori inerenti lo sviluppo sostenibile, come ad esempio l’efficienza energetica, le energie rinnovabili e, nel settore dei trasporti al di fuori delle reti transeuropee, al trasporto su rotaia, al trasporto per vie navigabili interne, al trasporto marittimo, ai sistemi di trasporto intermodale e alla loro interoperabilità, alla gestione del traffico stradale, marittimo e aereo, al trasporto urbano pulito e ai trasporti pubblici.

Nel periodo 2014-2020 il Fondo di coesione ha sostenuto, con 11,3 miliardi di euro, i progetti infrastrutturali dei trasporti aventi un valore aggiunto europeo a titolo del meccanismo per collegare l’Europa (MCE).

Bilancio e regolamentazione finanziaria

Per il periodo di programmazione 2014-2020, l’Unione europea ha stanziato circa 63,4 miliardi di euro per il Fondo di coesione (esclusi i trasferimenti al meccanismo per collegare l’Europa) e il livello di cofinanziamento a titolo del Fondo di coesione per i progetti può ammontare fino all’85% dei costi.

Il Fondo di coesione nel periodo 2021-2027

Nel 2021 l’Unione europea ha dato inizio a un nuovo periodo di programmazione pluriennale. Le norme relative al Fondo di coesione per il periodo 2021-2027 sono stabilite nel nuovo regolamento sul Fondo europeo di sviluppo regionale e sul Fondo di coesione. Il Fondo continuerà a sostenere progetti nell’ambito dell’obiettivo “Investimenti a favore della crescita e dell’occupazione“, principalmente progetti infrastrutturali nei settori dell’ambiente e dei trasporti, incluse le reti transeuropee (TEN-T).

Il nuovo regolamento mantiene la concentrazione tematica. Il Fondo di coesione sosterrà due obiettivi specifici della nuova politica di coesione: un’economia circolare, più verde e a basse emissioni di carbonio (obiettivo strategico (OS) 2) e un’Europa più connessa (OS 3). La nuova politica di coesione ha inoltre introdotto un elenco di attività che non sono sostenute dal Fondo di coesione, tra cui la disattivazione o la costruzione di centrali nucleari, infrastrutture aeroportuali (tranne nelle regioni ultraperiferiche) e alcune operazioni di gestione dei rifiuti (ad esempio, le discariche). Il Fondo di coesione non può inoltre sostenere gli investimenti in abitazioni, a meno che non siano legati alla promozione dell’efficienza energetica o dell’uso di energie rinnovabili.

Nel periodo 2021-2027 l’Unione europea stanzierà 42,6 miliardi di euro (a prezzi 2018) a favore del Fondo di coesione, di cui 10 miliardi di euro quale contributo al meccanismo per collegare l’Europa. Il Fondo di coesione per il periodo successivo al 2020 finanzierà progetti negli stessi 15 Stati membri del periodo di programmazione 2014-2020. Il tasso di cofinanziamento può ancora ammontare fino all’85% del valore dei progetti.

[15] Base giuridica

Regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio.

Regolamento (UE) n. 508/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativo al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca.

Obiettivi

L’obiettivo principale della politica strutturale della pesca è quello di fornire le misure finanziarie per l’attuazione della politica comune della pesca (PCP) e lo sviluppo sostenibile delle zone di pesca e di acquacoltura. Essa aiuta i pescatori a conformarsi a nuovi requisiti quali quelli relativi al divieto di rigetto, nuove misure di sicurezza e modifiche delle condizioni di lavoro, la raccolta dei dati e le infrastrutture portuali.

Evoluzione

  1. Contesto generale

La politica strutturale della pesca è nata nel 1970 con la decisione di ricorrere al Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG), sezione «Orientamento», per sostenere la costruzione, l’ammodernamento, la commercializzazione e la trasformazione nel settore della pesca.

Nel 1992 il Consiglio europeo di Edimburgo ha deciso di integrare la politica strutturale della pesca nel dispositivo dei Fondi strutturali con un proprio obiettivo, l’obiettivo n. 5 a) (adeguamento delle strutture della pesca), e con uno strumento finanziario autonomo, lo Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP).

Per sostenere finanziariamente le zone dipendenti dalla pesca è stata posta in essere, per il periodo 1994-1999, l’iniziativa comunitaria relativa alla ristrutturazione del settore della pesca (PESCA), unitamente a misure di accompagnamento quali prepensionamenti, incentivi per i giovani pescatori, ecc.

Nell’ambito di Agenda 2000 sono stati adottati nuovi orientamenti, tra cui l’integrazione dei problemi strutturali delle zone dipendenti dalla pesca nel nuovo obiettivo n. 2 dei Fondi strutturali e il non rinnovo dell’iniziativa PESCA nel 2000. Il regolamento (CE) n. 1263/1999 del Consiglio fissa per il periodo 2000-2006 il nuovo quadro di intervento per lo SFOP in un’ottica orientata a raggiungere un equilibrio sostenibile tra le risorse ittiche e il loro sfruttamento.

  1. Il Fondo europeo per la pesca (FEP)

Nell’ambito della riforma della PCP, il FEP ha sostituito lo SFOP a partire dal periodo 2007-2013. Esso si articola intorno a cinque priorità:

sostenere i principali obiettivi della PCP, garantire uno sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca e instaurare un equilibrio stabile tra queste ultime e la capacità della flotta peschereccia dell’Unione europea;

rafforzare la competitività e la vitalità economica degli operatori del settore;

promuovere metodi di pesca e di produzione rispettosi dell’ambiente;

fornire un sostegno adeguato alle persone impiegate nel settore;

facilitare la diversificazione delle attività economiche nelle zone dipendenti dalla pesca.

Il bilancio totale del FEP per il periodo 2007-2013 ammontava a 3.849 milioni di euro, di cui 2.908 milioni di euro erano destinati alle «zone di convergenza» e 941 milioni alle «zone non di convergenza».

Le tipologie di azione finanziabili erano:

misure per l’adeguamento della flotta da pesca dell’Unione ovvero aiuti per il ritiro permanente o temporaneo dei pescherecci oppure per la formazione, la riconversione o il prepensionamento;

acquacoltura, trasformazione e commercializzazione: promozione dell’acquisizione e dell’utilizzo di attrezzi e metodi che riducono l’impatto della pesca sull’ambiente, in particolare la pesca da parte di piccole e medie imprese;

misure d’interesse comune: potevano richiedere aiuti i progetti che contribuivano allo sviluppo sostenibile o alla conservazione delle risorse, al rafforzamento del mercato dei prodotti ittici oppure alla promozione di partenariati tra studiosi e operatori del settore della pesca;

sviluppo sostenibile delle zone costiere dedite alla pesca: sostegno a misure e iniziative miranti a diversificare e rafforzare lo sviluppo economico delle zone colpite dal declino delle attività di pesca;

assistenza tecnica: azioni relative alla preparazione, al monitoraggio, al sostegno amministrativo e tecnico, alla valutazione, alla revisione contabile e al controllo necessari per l’applicazione del regolamento.

La responsabilità della ripartizione delle risorse finanziarie tra queste cinque aree prioritarie spettava agli Stati membri.

[16] Tutti i fondi FSI sono sottoposti a tre tipi di condizionalità:

ex ante, condizioni da garantire prima dell’esborso delle risorse al fine di aumentare la probabilità di successo;

macroeconomica, condizioni legate al rispetto dei criteri di governance macro-economica: riprogrammazione (sfide socio-economiche dettagliate dal Semestre europeo; richiesta di ridefinizione dei contratti di partenariato; in caso di mancata azione dei paesi, richiesta di sospensione); mancato rispetto ad es. delle procedure per deficit eccessivo;

ex post ovvero valutazione della performance del Paese (5% dei fondi per politiche di coesione messe a riserva e attribuite ai paesi virtuosi dopo rassegna di medio termine); raggiungimento dei target di Europa 2020

[17] Si veda il regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013

[18] Fino a 75.000 euro per investimenti in pescherecci di lunghezza inferiore ai 12 metri

[19] Ad esempio, il turismo della pesca

[20] Sulla base di una potenza dei motori decrescente per pescherecci di lunghezza compresa tra i 12 e i 24 metri

[21] Bilancio

Il FEAMP per il periodo 2014-2020 ammontava a 6,4 miliardi di euro.

L’89% del fondo è gestito dagli Stati membri e utilizzato per ridurre l’impatto della pesca sull’ambiente marino, esso fornisce maggiori strumenti di mercato per i consumatori e per i professionisti, promuove un’amministrazione congiunta delle aree protette e sostiene la pesca su piccola scala.

Di tale importo:

4.340 milioni di euro sono assegnati allo sviluppo sostenibile della pesca e dell’acquacoltura, comprese le misure connesse alla commercializzazione e alla trasformazione, all’assistenza tecnica, allo sviluppo locale e al sostegno nelle zone di pesca;

580 milioni di euro sono assegnati alle misure di controllo ed esecuzione, al fine di monitorare il rispetto della PCP e tutelare un equo accesso a stock sani. Esse comprendono il controllo dell’accesso alle zone di pesca, dello sforzo di pesca, dei TAC e dei contingenti;

520 milioni di euro sono destinati a finanziare la raccolta dei dati per migliorare la gestione a lungo termine della pesca[21];

71 milioni di euro sono assegnati alle misure dell’«economia blu», per incentivare la crescita sostenibile e la creazione di posti di lavoro in settori quali la sorveglianza marittima, una migliore conoscenza dei mari e degli ecosistemi e lo sfruttamento responsabile delle nuove risorse marine (energia, biotecnologie, ecc.);

192,5 milioni di euro sono assegnati alla compensazione delle regioni ultraperiferiche (RUP), le cui flotte sono per lo più composte da pescherecci di piccole dimensioni. Il FEAMP tiene conto degli svantaggi specifici delle RUP mediante un aumento dell’aiuto pubblico e un regime specifico di compensazione dei costi supplementari per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura.

Il restante 11% è gestito direttamente dalla Commissione per sostenere progetti a livello dell’Unione europea in materia di affari marittimi e costieri, tra cui la pianificazione dello spazio marino, la governance internazionale e la cooperazione e lo scambio di informazioni e delle migliori pratiche.

Quadro finanziario pluriennale (QFP)

L’assistenza strutturale alla PCP è disciplinata dal QFP, che fissa gli importi annui massimi che l’Unione europea può spendere nei vari settori politici.

Esso stabilisce un sistema per la programmazione finanziaria e la disciplina di bilancio, assicurando che la spesa dell’Unione europea sia prevedibile e rimanga entro i limiti convenuti, per un periodo sufficientemente lungo per formulare politiche comuni efficaci.

Il QFP 2014-2020 è suddiviso in sei categorie di spesa corrispondenti a diversi settori di attività, tra cui la crescita sostenibile e le risorse naturali, che comprende la PCP e dispone di un bilancio di 420 miliardi di euro.

Il 2 maggio 2018 la Commissione ha pubblicato una proposta relativa al QFP 2021-2027, mentre il 12 giugno 2018 la Direzione generale MARE ha pubblicato una proposta relativa al FEAMP nella quale vengono sottolineate le seguenti priorità chiave:

promuovere la pesca sostenibile e la conservazione delle risorse biologiche marine;

contribuire alla sicurezza alimentare nell’Unione europea mediante un’acquacoltura e mercati competitivi e sostenibili;

consentire la crescita di un’economia blu sostenibile e promuovere la prosperità delle comunità costiere;

rafforzare la governance internazionale degli oceani e garantire oceani e mari sicuri, protetti, puliti e gestiti in modo sostenibile.

Il 4 aprile 2019 il Parlamento ha approvato una risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca per il periodo 2021-2027.

Il Fondo dovrebbe mirare a dirigere in modo mirato i finanziamenti erogati dal bilancio dell’Unione per sostenere la politica comune della pesca, la politica marittima dell’Unione e gli impegni internazionali dell’Unione in materia di governance degli oceani.

 

[22] Basi giuridiche

Articolo 178 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e regolamento (UE) n. 1299/2013 del 17 dicembre 2013.

Disposizioni generali

La cooperazione territoriale europea forma parte della politica di coesione dal 1990.

Per il periodo di programmazione 2014-2020, per la prima volta nella storia della politica di coesione europea è stato adottato un regolamento specifico riguardante azioni di cooperazione territoriale europea sostenute dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Questa pratica è proseguita nel periodo 2021-2027.

La cooperazione territoriale europea è l’obiettivo della politica di coesione concepito per risolvere i problemi che trascendono i confini nazionali e richiedono una soluzione comune, nonché per sviluppare congiuntamente le potenzialità dei diversi territori.

L’importo stanziato per la cooperazione territoriale europea per il periodo di bilancio 2014-2020 è di 9,4 miliardi di euro.

Tali risorse sono suddivise come segue:

74,05% per la cooperazione transfrontaliera. Questi programmi mirano a riunire regioni o enti locali aventi una frontiera comune (terrestre o marittima) al fine di sviluppare le aree di confine, sfruttare il loro potenziale di crescita non utilizzato e affrontare le sfide comuni individuate di concerto. Tali sfide comuni includono questioni quali: scarsa accessibilità in relazione alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC); carenze nelle infrastrutture di trasporto; declino delle industrie locali; inadeguatezza del contesto economico; mancanza di reti tra le amministrazioni locali e regionali; bassi livelli di ricerca e innovazione e di adozione delle TIC; inquinamento ambientale; prevenzione dei rischi; atteggiamenti negativi nei confronti dei cittadini dei paesi confinanti, ecc.;

20,36% per la cooperazione transnazionale. Questi programmi riguardano territori transnazionali più estesi e mirano a rafforzare la cooperazione sulla base di azioni che promuovono lo sviluppo territoriale integrato tra enti nazionali, regionali e locali in aree geografiche europee estese. Essi comprendono anche la cooperazione marittima transfrontaliera laddove non siano attivati programmi di cooperazione transfrontaliera;

5,59% per la cooperazione interregionale. Questi programmi mirano a rafforzare l’efficacia della politica di coesione sulla base di azioni che promuovono gli scambi di esperienze tra le regioni su questioni come la progettazione e l’attuazione di programmi, lo sviluppo urbano sostenibile e l’analisi delle tendenze di sviluppo nel territorio dell’Unione. Gli scambi di esperienze possono includere la promozione della cooperazione reciprocamente vantaggiosa tra i cluster ad alta intensità di ricerca innovativa e gli scambi fra i ricercatori e gli istituti di ricerca.

Copertura geografica

In linea di principio tutte le frontiere terrestri interne ed esterne dell’UE, come pure le frontiere marittime (regioni separate da un massimo di 150 km o, nel caso delle regioni ultraperiferiche, da più di 150 km), possono ricevere sostegno attraverso la componente della cooperazione transfrontaliera.

Le aree interessate dalla cooperazione transnazionale sono definite dalla Commissione europea, tenendo conto delle strategie macroregionali e concernenti i bacini marittimi, e gli Stati membri hanno la possibilità di aggiungere territori limitrofi.

Le regioni ultraperiferiche possono combinare in un unico programma di cooperazione azioni di cooperazione a livello sia transfrontaliero che transnazionale.

I paesi terzi possono inoltre partecipare a programmi di cooperazione. In tali casi, lo strumento europeo di vicinato (ENI) e lo strumento di assistenza preadesione (IPA II) possono essere utilizzati anche per finanziare azioni di cooperazione.

[23] I seguenti sono esempi di settori prioritari di sostegno specifici ai programmi di cooperazione territoriale europea:

Cooperazione transfrontaliera: promozione di posti di lavoro sostenibili e di qualità e promozione della mobilità dei lavoratori integrando i mercati del lavoro transfrontalieri, incentivando l’inclusione sociale e l’integrazione delle comunità attraverso le frontiere, sviluppando e attuando programmi congiunti di istruzione, formazione e formazione professionale, ecc.;

Cooperazione transnazionale: rafforzamento della capacità istituzionale degli enti pubblici e delle parti interessate e dell’efficienza della pubblica amministrazione sviluppando e coordinando le strategie macroregionali e concernenti i bacini marittimi;

Cooperazione interregionale: rafforzamento della capacità istituzionale degli enti pubblici e delle parti interessate e dell’efficienza della pubblica amministrazione attraverso la diffusione di buone pratiche e competenze, la promozione di scambi di esperienze, ecc.

[24] Applicabile ad altri programmi nell’ambito del FESR

[25] Complementarietà: privilegiare investimenti in asset complementari a quelli posseduti dall’Italia. L’impatto delle politiche di coesione è funzione non tanto del valore in termini assoluti del finanziamento quanto delle complementarietà tra assi di spesa e dimensioni del capitale territoriale più rilevanti

Sistematicità: interventi capaci di rafforzare lo sviluppo economico nel suo complesso, favorendo l’integrazione tra gli asset e le vocazioni territoriali. Addizionalità: i Fondi strutturali europei sono sempre stati intesi come aggiuntivi agli investimenti nazionali ma, nei fatti, spesso non è stato così ciò contribuisce a effetti limitati

[26] Legge n. 178/2020 e relativo D.M. Economia 30 dicembre 2020 di ripartizione delle dotazioni dei singoli programmi di spesa in capitoli

[27] Art. 1, co. 6, L. 147/2013 e art. 1, co. 178, L. n. 178/20202

[28] In tutto, 50,3 miliardi fino al 2030

[29] Legge 27 dicembre 2002, n. 289 – articoli 60 e 61

[30] Decreto legislativo n. 430/1997

[31] Legge 27 dicembre 2013, n. 147

[32] Legge 23 dicembre 2014, n.190

[33] 800 milioni per ciascuno degli anni dal 2019 al 2023

[34] In coerenza con le disposizioni di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, nonché con quanto previsto nel Documento di economia e finanza per l’anno 2020 – Sezione III – Programma di riforma.

[35] Istituita con D.P.C.M. del 25 febbraio 2016.

[36] Di cui all’ articolo 6 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 e all’ articolo 9-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69.

[37] La clausola, introdotta in sede di conversione del decreto-legge n. 243/2016 nella legge n. 18/2017, prevede che le Amministrazioni centrali dello Stato debbano destinare alle regioni del Mezzogiorno il 34% delle risorse ordinarie in conto capitale, proporzionale dunque alla quota percentuale della popolazione di riferimento.

La Legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145/2018) e la Legge di bilancio per il 2020 (legge n. 160/2019) hanno ulteriormente precisato l’ambito di riferimento di tale clausola che considera le risorse dei programmi ordinari di spesa in conto capitale finalizzati alla crescita o al sostegno degli investimenti per i quali non vi siano criteri o indicatori di attribuzione già individuati.

Il Dipartimento per le politiche di coesione, ai sensi dell’articolo 7-bis del decreto-legge n. 243/2016 e del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 gennaio 2021, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 19 marzo 2021, n. 68 ha predisposto, in collaborazione con il Dipartimento per la programmazione economica della Presidenza del Consiglio e con la Ragioneria Generale dello Stato, il testo della circolare del 5 agosto 2021 del Ministro per il Sud e la coesione territoriale che definisce i modelli di comunicazione dei dati da parte delle Amministrazioni centrali relativi alla programmazione delle risorse (modello fase ascendente) e all’impegno e all’erogazione della spesa, con riferimento all’anno precedente all’esercizio finanziario di riferimento (modello fase discendente).

[38] Cfr. Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza

[39] Cucumile P., Il piano italiano di ripresa e resilienza: la sua architettura e lo stato attuale, pubblicato in data 12 gennaio 2022 su Lexitalia (http://www.lexitalia.it/a/2022/138428)

[40] Il Regolamento sul Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (Reg. (UE) 2021/241) e le Guidelines della Commissione sulla formulazione dei Recovery Plan evitano di usare termini ambiziosi quali Obiettivi Strategici e Obiettivi Specifici. L’art. 3 del Reg. (UE) 2021/241 si limita a indicare sei “ambiti di applicazione” (sei “priorità” che, nel PNRR italiano, sono state ribattezzate “Missioni”) e l’art. 4 parla pragmaticamente di obiettivi generali e specifici da raggiungere. 

[41] Le Amministrazioni centrali titolari di interventi del PNRR che provvedono al coordinamento delle relative attività di gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo devono individuare una struttura di livello dirigenziale generale che rappresenta il punto di contatto con il Servizio Centrale per il PNRR (art 8).

Le Amministrazioni centrali, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali possono avvalersi del supporto tecnico operativo di società a prevalente partecipazione pubblica (regionale e locale) e di enti vigilati (art 9 Possono altresì avvalersi di società in house (art 10 Consip Spa Società partecipata al 100 dal MEF, che opera al servizio esclusivo della Pubblica Amministrazione, nel campo della gestione degli acquisti) e Sogei S p a Società partecipata al 100 dal MEF, che opera nel campo della Information Technology) hanno un ruolo di supporto alle pubbliche amministrazioni, ex art 11.

Vengono previsti «poteri sostitutivi» per il superamento di inerzie imputabili agli enti territoriali che possano compromettere l’attuazione di interventi ricompresi nel Piano (art 12 e procedure per il superamento di dissenso diniego o opposizione da parte di organi dello Stato (art 13).

Il soggetto individuato per il superamento delle criticità (dal Presidente del Consiglio o dal Ministro competente) opera «in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale», fatto salvo il rispetto delle norme antimafia e delle misure di prevenzione, nonché dei vincoli di appartenenza alla Comunità europea.

[42] Es. interventi per salvare le banche e istituzioni finanziarie, negli USA e in Europa

[43] “No crisis should go to waste” [Emanuel Rahm, capo staff di Obama]

[44] Es. Riforma Hartz IV (dal nome del Dirigente Volkswagen), che portò a una profonda revisione delle politiche sociali in Germania nel 2002. La riforma ha accompagnato la trasformazione del paese da “malato d’Europa” a rinata guida dell’Europa. Si tratta di una misura-simbolo del mandato di Gerhard Schröder, che ne causò la caduta ma è divenuta la riforma più citata nell’Europa in crisi

 

 

[45] BACHTLER J., MENDEZ C., WISHLADE F. (2020a), the Recovery Plan for Europe and Cohesion Policy: An Initial Assessment, European

Regional Policy Research Consortium Paper 20/1; EPRC Glasgow.

BACHTLER J., MENDEZ C., WISHLADE F. (2020b), Will Cohesion Policy recover form COVID?, European Regional Policy Research Consortium Paper 2

[46] Sito web Antonio Bonetti – “I Fondi Strutturali ai tempi del PNRR” – Dicembre 2021; http://www.bonetti4reforms.com/i-fondi-strutturali-ai-tempi-del-pnrr-6885.html/

[47]  Questo tipo di problematiche, in tempi non sospetti, erano state evidenziate dall’esperto Vito Vacca in un articolo pubblicato sulla rivista online “Lo Spessore” all’inizio dell’anno (“Fondi europei: quattro interventi operativi da fare subito”). Lo stesso autore ha pubblicato di recente una utile “Guida al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR” per l’editore Pacini Giuridica in cui esamina in modo molto lucido i rischi che la pubblica Amministrazione possa faticare sia a fronteggiare i gravosi impegni di questa fase finalizzati a valorizzare al meglio le molteplici fonti di finanziamento comunitarie potenzialmente disponibili, sia a spendere nei tempi concordati con le Autorità europee l’ingente montante di risorse del PNRR. Egli indica nel rafforzamento della capacità di progettazione della pubblica Amministrazione la via principale per tamponare tali rischi.

[48] Il Regolamento 2021/241 che disciplina i PNRR e le Linee Guida della Commissione evidenziano che essi dovrebbero caratterizzarsi per un’elevata coerenza con:

i quattro pilastri della “Strategia Annuale per la Crescita Sostenibile 2021” (sostenibilità ambientale, produttività, equità e stabilità macroeconomica);

i due principi “orizzontali” di cui all’art. 5, ossia: (i) il principio di addizionalità, per cui le spese del Dispositivo, se non in casi debitamente giustificati, non possono sostituire spese dei bilanci statali ricorrenti; (ii) il principio “do no significant harm” – principio DNSH – ex art. 17 del Reg. (UE) 2020/852 (tutti gli interventi devono rispettare il principio del “non nuocere” sull’ambiente e sugli obiettivi ambientali dell’UE);

le “Raccomandazioni specifiche per paese” del Consiglio, che chiudono il “semestre europeo” e, come attesta il loro nome, forniscono delle “raccomandazioni” a tutti gli Stati sugli interventi di policy (in primis le riforme di sistema) da realizzare per superare dei nodi strutturali dello sviluppo economico e sociale;

i Programmi Nazionali di Riforma (PNR), i Piani Nazionali per l’Energia e per il Clima, i “piani territoriali” finanziati dal Just Transition Fund e i piani per l’implementazione della Garanzia Giovani;

i Programmi Operativi cofinanziati dai Fondi Strutturali (e gli Accordi di Partenariato nazionali);

i criteri di valutazione, presentati in modo dettagliato nell’art. 19.

Il Reg. (UE) 2020/852 del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (Regolamento sulla c.d. “tassonomia ambientale”), ai sensi dell’art. 1, co. 2, si applica:

  • alle misure adottate dagli Stati Membri o dall’Unione che stabiliscono obblighi per i partecipanti ai mercati finanziari o gli emittenti in relazione a prodotti finanziari o obbligazioni societarie resi disponibili come ecosostenibili;

ai partecipanti ai mercati finanziari che mettono a disposizione prodotti finanziari;

alle imprese soggette all’obbligo di pubblicare una dichiarazione di carattere non finanziario o una dichiarazione consolidata di carattere non finanziario.

Va comunque tenuto in considerazione anche in sede di formulazione delle politiche pubbliche, in quanto «una classificazione delle attività economiche ecosostenibili a livello dell’Unione dovrebbe consentire lo sviluppo delle politiche future dell’Unione a sostegno della finanza sostenibile, in particolare di norme a livello dell’Unione per prodotti finanziari ecosostenibili, per pervenire, da ultimo, alla creazione di marchi che riconoscono formalmente la conformità a tali norme in tutta l’Unione. Potrebbe anche fungere da base per altre misure economiche e normative. Requisiti giuridici uniformi volti a stabilire il grado di ecosostenibilità degli investimenti, basati su criteri uniformi di ecosostenibilità delle attività economiche, sono necessari come riferimento per il futuro diritto dell’Unione inteso ad agevolare lo spostamento degli investimenti verso attività economiche ecosostenibili» (cfr. Considerando 16 del Reg. (UE) 2020/852).

Esso, all’art. 9, richiama i sei obiettivi ambientali rispetto ai quali “non nuocere”:

la mitigazione dei cambiamenti climatici;

l’adattamento ai cambiamenti climatici;

l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine;

la transizione verso un’economia circolare;

la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento;

la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

Sull’applicazione del principio DNSH ai Fondi Strutturali si veda la recente Nota esplicativa della Commissione ‘Application of the “Do No Significant Harm” principale under Cohesion Policy’ (EGESIF-21-0025-00 del 27.09.2021).

[49] Sia in termini di idee progettuali più o meno definite e di progetti “cantierabili”, sia in termini di qualità dei progetti

[50] Cfr. Centurelli G., I Fondi strutturali e le procedure di gestione e controllo: come rafforzarne l’attuazione ed accelerarne la spesa in Italia? Analisi del contesto e prospettive future, in «Rivista giuridica del Mezzogiorno», n. 4/2019, pp. 995-1019

[51] Le condizioni abilitanti – ex “condizionalità ex ante” della programmazione 2014-2020 – sono considerate assolutamente determinanti per assicurare che gli interventi dei Fondi Strutturali siano finanziati nell’ambito di un contesto di policy e giuridico amministrativo favorevoli alla loro rapida attuazione. Il Considerando 21 del Reg. (UE) 2021/1060 è molto chiaro in merito, dato che indica che «al fine di garantire i prerequisiti necessari per l’impiego efficace ed efficiente del sostegno dell’Unione concesso dai fondi, è opportuno stabilire un elenco ristretto di condizioni abilitanti e una serie concisa ed esaustiva di criteri oggettivi per la loro valutazione. Ciascuna condizione abilitante dovrebbe essere collegata a un obiettivo specifico ed essere applicabile automaticamente se l’obiettivo specifico è selezionato per ricevere sostegno».

L’art. 15 dispone che in sede di programmazione va assicurato il rispetto di:

condizioni abilitanti orizzontali che si applicano a tutti gli Obiettivi Specifici dei programmi (le 4 condizioni abilitanti orizzontali e i relativi criteri per valutarne il soddisfacimento sono riportate nell’Allegato III al Regolamento);

condizioni abilitanti tematiche, che vanno applicati a ciascuno degli Obiettivi Specifici, riportate nell’Allegato IV al Regolamento.

Inoltre, si aggiunga che sono state stabilite dalle condizioni abilitanti tematiche solo per 4 dei 5 Obiettivi di policy dei Fondi nel periodo 2021-2027. All’Obiettivo di Policy 5 “Un’Europa più vicina per i cittadini” non sono state associate condizioni abilitanti.

Infine, queste non solo devono essere verificate in sede di approvazione dei Programmi, ma le Autorità di Gestione si dovranno preoccupare di garantire il loro rispetto nell’intero periodo di programmazione.

[52] Sito web Antonio Bonetti – “I Fondi Strutturali ai tempi del PNRR” – Dicembre 2021; http://www.bonetti4reforms.com/i-fondi-strutturali-ai-tempi-del-pnrr-6885.html/

[53] Sul “Si.Ge.Co.” dei Fondi nel periodo 2021-2027 si veda il Titolo VI del Reg. (UE) 2021/1060 del 24.06.2020. A proposito delle analogie del “Si.Ge.Co.” del PNRR con quello dei Programmi cofinanziati dai Fondi Strutturali si veda l’articolo dell’esperto Giorgio Centurelli “Gestione e controllo del PNRR: i punti di contatto con le politiche di coesione”, pubblicato sul portale di ForumPA il 28 settembre 2021.

[54] Buti, M.; Messori, M. (2020), Next Generation EU: Una Guida Ragionata, LUISS policy brief, n. 29/20.

[55] Centurelli G. “Gestione e controllo del PNRR: i punti di contatto con le politiche di coesione”, pubblicato sul portale di ForumPA il 28 settembre 2021

 

[56] Di sistema, delle operazioni, dei conti

[57] Il tema è stato molto dibattuto e nel corso del periodo di programmazione comunitaria 2014-2020 ha avuto anche importanti momenti di sperimentazione attraverso interventi dedicati anche a livello nazionale come, per esempio, i Piani di Rafforzamento Amministrativo (Pra). Il nuovo ciclo di programmazione ha cambiato strategia sul punto: viene mantenuta, almeno per i fondi strutturali, una linea di rafforzamento della capacità amministrativa, non figura l’Obiettivo Tematico 11 (quindi un obiettivo di policy dedicato) e resta la facoltà degli Stati membri di coprire le esigenze di miglioramento nella gestione dei fondi strutturali e quindi delle relative scatole programmatiche, i Programmi Operativi (Po), con risorse dell’assistenza tecnica anche ulteriori rispetto alle ordinarie percentuali previste per garantirne la normale attuazione.

[58] I vari tentativi svolti negli anni di collegare risorse finanziarie al raggiungimento di indicatori non hanno poi generato evidenti risultati. Si pensi al «Performance framework», o quadro di riferimento dell’efficacia dell’attuazione, uno strumento che si prefiggeva di migliorare l’efficacia nell’implementazione dei Programmi Operativi attraverso la definizione ex ante di un set di indicatori legati principalmente all’attuazione finanziaria e agli interventi realizzati.

[59] I costi semplificati, attivati nella programmazione comunitaria a partire dal ciclo 2007-2013 ma resi effettivi da ultimo con la revisione operata dal Regolamento omnibus del 2018, consistono in una modalità rendicontativa che può non tener direttamente conto dei costi effettivi sottostanti e che conduce a calcolare i progetti in base a metodi predefiniti basati sugli output o sui risultati

[60] Nel nuovo linguaggio comunitario i due termini assumono anche un significato differente: con target si intendono i risultati quantitativi, con milestone i risultati qualitativi o procedurali

[61] Si citava espressamente il “finanziamento non collegato ai costi” di cui all’art. 125.1 lettera a) del Regolamento finanziario, attivabile anche per i Fondi strutturali

[62] In particolare come controlli ed audit aggiuntivi

[63] Centurelli G. “La nuova strategia dei fondi comunitari: verso Programmi orientati ai risultati” su FPA

[64] Centurelli G. “Gestione e controllo del PNRR: i punti di contatto con le politiche di coesione”, pubblicato sul portale di ForumPA il 28 settembre 2021

[65] “Commission staff working document guidance to Member States Recovery and Resilience Plans “– Part 1 – SWD (2021) 12 final del 22.01.2021

[66] Centurelli G. “La nuova strategia dei fondi comunitari: verso Programmi orientati ai risultati” su FPA

[67] Nel PNRR sono indicati come “soggetti attuatori”

[68] I beneficiari nella Recovery and Resilience Facility sono solo gli Stati Membri (considerato 18 e art. 22 del Regolamento (UE) 2021/241

[69] Le medesime strutture svolgono anche attività “di supporto nella definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione di programmi e progetti cofinanziati ovvero finanziati da fondi nazionali, europei e internazionali, nonché attività di supporto all’attuazione di politiche pubbliche per lo sviluppo, anche in relazione alle esigenze di programmazione e attuazione del PNRR” ma anche, per alcuni versi, funzioni contabili interne.

[70] Art. 6 del decreto legge 31 maggio 2021 n. 77, convertito in legge 29 luglio 2021, n. 108

[71] Art. 22.2 lettera c del Regolamento UE 241/2021

[72] Che già ricopre questo ruolo per i fondi strutturali, svolgendo anche un’attività di coordinamento ed indirizzo in materia

[73] Le politiche di coesione possono apparire poco utili per rispondere alle crisi in quanto: sono tarate sul lungo-termine (hanno obiettivi legati alle politiche di sviluppo piuttosto che orientate alla ripresa); sono rigide nella fissazione degli obiettivi e nelle procedure di implementazione; sono oggetto di governance molto complessa, con proliferazione di regole, attribuzione di compiti e funzioni ai diversi livelli di governo.

[74] Fonte, Istituto J. Delors (2021)

[75] L’ambivalenza delle politiche di coesione (tra investimenti e riduzione dei divari di sviluppo) appare potenzialmente instabile a favore del primo obiettivo e a danno del secondo

 

 

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