29/01/2021 – Attività amministrativa vincolata e situazioni giuridiche soggettive. Spunti di riflessione sulle nozioni di diritto soggettivo ed interesse legittimo a margine di Cass. Civ., Sez. Unite, Sent. 28/01/2020, n. 1869

Massima

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza 28/01/2020, n. 1869, hanno statuito che nelle controversie relative ai funzionari onorari, la giurisdizione deve essere determinata tenendo conto delle situazioni giuridiche, di diritto soggettivo o di interesse legittimo, di volta in volta fatte valere in giudizio, sicché, laddove siano direttamente in contestazione atti amministrativi che hanno la loro origine in libere e discrezionali determinazioni dell’autorità che procede all’investitura, la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la posizione dell’interessato è di interesse legittimo, mentre, qualora l’atto impugnato non abbia carattere discrezionale, ma vincolato, la situazione fatta valere è qualificabile come diritto soggettivo, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.

Nella specie, la Suprema Corte ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario sull’impugnazione, da parte del ricorrente, di due provvedimenti di decadenza dall’incarico di Presidente del consiglio di amministrazione di un’Agenzia – adottati, il primo, per ritenuta sussistenza di una causa di incompatibilità e, il secondo, per sopravvenuta scadenza del termine di durata dell’incarico stesso – sul rilievo che le causali dei due atti presupponessero l’esercizio di un potere basato sull’accertamento di specifici fatti od inadempimenti, rispetto ai quali la posizione dell’interessato era qualificabile come un vero e proprio diritto soggettivo alla conservazione dell’incarico.

1. Premessa

La sentenza in commento costituisce l’occasione per sviluppare alcuni spunti di riflessione in ordine ai criteri ermeneutici applicati dalla giurisprudenza ai fini dell’individuazione delle situazioni giuridiche soggettive vantate di fronte all’attività amministrativa.

In particolare, la Suprema Corte, dalla rilevazione del carattere vincolato dell’attività autoritativa della P.A., fa discendere, in difetto di un adeguato supporto motivazionale, la natura di diritto soggettivo della situazione giuridica vantata in giudizio.

Tale corrispondenza biunivoca tra attività vincolata e diritti soggettivi, però, è tutt’altro che costante e pacifica in giurisprudenza.

In questo quadro, la mancanza di specifiche argomentazioni a supporto delle conclusioni cui è giunto il giudice consente di ritenere tutt’oggi ancora validi i rilievi critici proposti da una autorevole dottrina, che ha notato come, talvolta, la giurisprudenza “decida di volta in volta per l’attribuzione di ciascun tipo di controversia al giudice ordinario o al giudice amministrativo sulla base di considerazioni di opportunità sostanziale che, indipendentemente dalla loro minore o maggiore ragionevolezza, non sono di per sé riconducibili a un quadro unitario sul piano dei principi”, avvertendo che spesso “le situazioni soggettive, il giudice competente e soprattutto il tipo e l’entità della tutela accordata al privato devono determinarsi in relazione alla loro compatibilità di cui la pubblica amministrazione è portatrice in ciascun tipo di controversia”1.

 

2. La fattispecie

Con decreto del Presidente della Provincia del 6 marzo 2013, il dott. A.C. veniva nominato Presidente del c.d.a. dell’Agenzia Sannita per l’Energia e l’Ambiente s.p.a. (ASEA), dopo essersi dimesso in pari data dalla carica di consigliere provinciale. Con successiva deliberazione del Commissario straordinario n. 17 del 30 giugno 2014 – resa con i poteri del Consiglio Provinciale – l’ASEA, società per azioni a totale partecipazione pubblica, veniva trasformata in Azienda Speciale “Agenzia Sannita Energia e Ambiente”, avente natura di Ente pubblico economico.

Con la medesima deliberazione commissariale, il dott. A.C. veniva confermato nell’incarico di Presidente del c.d.a. della neo-trasformata Azienda Speciale.

Con provvedimento adottato in data 19 luglio 2016, il Segretario generale della Provincia di Benevento, nella qualità di Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, ne dichiarava la decadenza dall’incarico di Presidente del consiglio di amministrazione dell’Agenzia Sannita per l’Energia e l’Ambiente (di seguito, ASEA), in applicazione dell’art. 7, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 39/2013, che prevede una causa di inconferibilità degli incarichi di amministratore di Ente pubblico di livello provinciale per i soggetti che abbiano ricoperto, nei due anni precedenti la nomina, la carica di consigliere provinciale.

Con ricorso proposto innanzi al TAR Campania-Napoli, sez. V, N.R.G. 3702/2016, il dott. A.C. impugnava il provvedimento.

Nelle more del giudizio di primo grado, con decreto commissariale n. 1 dell’11 gennaio 2017, impugnato con motivi aggiunti, il ricorrente veniva nuovamente dichiarato decaduto dalla carica, sulla base della ulteriore e diversa motivazione della sopravvenuta scadenza del termine di durata dell’incarico.

Con sentenza n. 1836 del 5 aprile 2017, il Tribunale amministrativo regionale annullava il primo provvedimento di decadenza, nonché tutti gli atti consequenziali e successivi impugnati con motivi aggiunti. Con ricorso in appello, incardinato innanzi al Consiglio di Stato, sez. V, n.R.G.

4334/2017, la Provincia di Benevento chiedeva la riforma della sentenza di primo grado.

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3946/2018 del 27 giugno 2018, respingeva l’appello proposto, sulla base delle seguenti considerazioni:

a) in via preliminare, confermava il rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione, ritenendo la controversia attinente ad interessi legittimi, sorti dinanzi ad atti di decadenza dall’incarico di presidente del c.d.a. di un’azienda speciale avente natura pubblicistica strettamente compenetrata nell’organizzazione pubblicistica dell’ente locale e sulla quale la P.A. esercita poteri “attraverso strumenti tipici del diritto amministrativo”2, che si distingue dalle società controllate o partecipate da enti pubblici, nell’ambito delle quali i poteri di nomina e revoca degli amministratori fanno sorgere situazioni di diritto soggettivo la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario3;

b) nel merito, riteneva inapplicabile ratione temporis della causa di decadenza di cui all’art. 7, comma 2, lett. c) del D.lgs. n. 39/20134.

Avverso detta pronuncia la Provincia di Benevento proponeva, ai sensi degli artt. 111, co. 8, Cost. e 110 C.P.A., ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione.

 

3. La decisione e le sue motivazioni

Le SS.UU. della Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 1869/2020, accoglievano il ricorso, dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario sulla base delle seguenti motivazioni:

a) l’incarico attribuito al dott. A.C. era di carattere onorario, siccome avente ad oggetto l’attribuzione di funzioni pubbliche in assenza degli elementi caratterizzanti il rapporto di pubblico impiego;

b) in materia di incarichi onorari, al fine di risolvere le questioni di riparto era necessario dare rilievo non tanto al petitum processuale, quanto alla causa petendi, ovvero alla intrinseca consistenza della posizione soggettiva fatta valere in giudizio5, dovendosi prescindere dalla circostanza per cui vengano in questione atti amministrativi presupposti, che il giudice ordinario può disapplicare6;

c) ritenuta l’applicabilità della normativa del D.lgs. n. 39/20137, osservava che i gravati atti di decadenza erano vincolati, in quanto basati sull’accertamento di specifici inadempimenti (ai sensi del D.lgs. n. 39/2013) o di fatti puntuali (il decorso del termine di scadenza dell’incarico).

4. Attività vincolata e riparto di giurisdizione.

 

4.1 Nella sentenza n. 1869/2020 la Corte di Cassazione, nell’affermare la giurisdizione del giudice ordinario, ha evidenziato che i due provvedimenti di decadenza dalla funzione, adottati, il primo, in virtù di una causa di inconferibilità normativamente individuata nei suoi presupposti applicativi dall’art. 7, co. 2, D.lgs. n. 39/2013 e, il secondo, sulla base dell’intervenuto termine di scadenza dell’incarico, non fossero espressione di poteri amministrativi discrezionali.

Dal solo carattere vincolato degli atti la Corte ha inferito l’ulteriore conseguenza della loro incidenza su situazioni di diritto soggettivo, la cui cognizione è affidata al giudice ordinario.

Orbene, il descritto impianto argomentativo sembra optare per una automatica correlazione tra vincolatezza, non autoritatività dell’atto e configurabilità di una situazione di diritto soggettivo.

Tuttavia, come è noto, nell’ampio dibattito sviluppatosi in dottrina in merito ai criteri di riparto della giurisdizione – di cui non può darsi integralmente conto in questa sede8 – prevalgono, da tempo, le tesi critiche che respingono la relazione di automatica implicazione tra attività amministrativa vincolata e situazioni di diritto soggettivo.

In proposito, invero, è stato sostenuto che l’insorgenza di situazioni di interesse legittimo deve essere collegata all’esercizio di un potere discrezionale, inteso come potestà di scelta di una modalità di contemperamento degli interessi in gioco, avente carattere di innovatività e di esclusività, in quanto non giuridicamente vincolata da una predeterminazione legislativa ed affidata alla competenza della pubblica amministrazione con preclusione di interventi lato sensu sostitutivi del giudice9.

In via ulteriore, deve osservarsi che, ai fini della individuazione della situazione soggettiva assegnata dall’ordinamento di fronte all’attività vincolata della P.A., si è fatto riferimento ai seguenti differenti criteri10:

a) l’interesse tutelato in via prevalente dalla norma, ovvero la circostanza per cui il vincolo può essere posto nello specifico e immediato interesse del destinatario, attribuendo allo stesso una tutela in ordine al proprio bene della vita (da cui nascono

diritti soggettivi), ovvero nell’interesse generale o dell’amministrazione, garantendo al cittadino una tutela realizzabile mediatamente attraverso l’esercizio del potere pubblico11;

b) la distinzione tra norme di azione, che regolano le modalità di esercizio del potere amministrativo e da cui sorgerebbero unicamente doveri nei confronti di destinatari indeterminati, e norme di relazione, che operano direttamente il contemperamento dei contrapposti interessi e garantiscono all’interessato un diritto soggettivo in relazione al verificarsi di una determinata situazione, la cui tutela è indipendente dall’azione amministrativa12;

c) la distinzione tra lo schema norma-fatto, in cui il vincolo è posto immediatamente a garanzia del risultato vantaggioso del privato, e lo schema norma-potere-fatto, in cui tra la norma e il risultato vantaggioso è interposto un potere (vincolato nei presupposti empirici o nelle modalità in cui l’amministrazione persegue il suo interesse) che, però, è ostativo alla configurazione di un diritto soggettivo13;

d) il carattere autoritativo dell’atto, che, malgrado il suo contenuto vincolato, vale a determinare la conformazione, di fronte al relativo potere, della situazione giuridica soggettiva in termini di interesse legittimo.

Invero, siffatti criteri non sono da intendersi necessariamente come alternativi, ben potendo (e, anzi, forse, più correttamente, dovendo) ciascuno contribuire ai fini dell’individuazione dei caratteri del rapporto tra vincolo dell’amministrazione e situazione giuridica soggettiva dell’amministrato.

In via ulteriore, una dottrina ha traslato l’angolo visuale del discrimen tra diritti soggettivi e interessi legittimi, dall’indagine di merito in ordine al risultato dell’attività amministrativa a vantaggio del privato, verso una valutazione processuale in ordine all’effettività della tutela della situazione giuridica, ritenendo che “nella immediatezza e pienezza della tutela accordata (e cioè nella possibilità di conseguire una valida soddisfazione ripristinatoria o, quanto meno, surrogatoria dell’interesse eventualmente leso) consiste dunque l’elemento di discriminazione del diritto soggettivo dall’interesse legittimo (…) ciò che è decisivo è se l’ordinamento si sia proposto di accordare al soggetto particolare una tutela piena, oppure se (…) si sia limitato ad accordargli quella diversa tutela (indiretta e non piena) ottenibile azionando gli strumenti ordinati a conseguire il rispetto della normativa che regola l’esercizio dei poteri interferenti con quella posizione”14.

Ciò che maggiormente mette conto di evidenziare in questa sede è che, sulla base di ciascuna delle predette ricostruzioni dogmatiche, sembra emergere la constatazione per cui se la norma qualifica come vincolata un’attività amministrativa, non per questo da tale vincolatività deve necessariamente sorgere un obbligo e un corrispondente diritto soggettivo ad ottenere o a conservare un bene15.

In virtù di tale assunto, un’altra corrente dottrinale si è spinta sino a negare la reale utilità sistematica (quantomeno ai fini del riparto) della distinzione tra atti vincolati e discrezionali, sulla base delle seguenti argomentazioni, in qualche modo interrelate:

a) la tesi del c.d. “scetticismo della vincolatezza”, che ravvisa la sostanziale impossibilità per il legislatore di precludere all’amministrazione ogni tratto discrezionale di scelta della composizione di interessi, laddove tutte le norme amministrative contengono profili di discrezionalità e vincolatezza16;

b) la considerazione per cui l’automatica correlazione tra potere vincolato e diritti soggettivi esprime una “regola operazionale” di derivazione ermeneutica, utilizzata per risolvere gli hard cases che non sono agevolmente risolvibili sulla base del criterio di riparto della giurisdizione della causa petendi17;

c) la constatazione che il potere amministrativo non è declinabile unicamente come decisione sul conflitto di interessi (e dunque come potere di disegnare l’effetto giuridico nella sfera del privato), ma anche come potere di costituire l’effetto, ovvero di realizzare l’assetto di interessi integralmente prefigurato dalla legge. Da ciò discenderebbe una sostanziale identificazione del regime giuridico tra atti vincolati e discrezionali, nell’ambito di una ampia nozione di provvedimento, che ne determinerebbe una assimilazione anche dal punto di vista del meccanismo impugnatorio.

Con riguardo a tale ultima tesi esposta sub c), è stato osservato che il potere amministrativo non è declinabile unicamente come decisione in ordine al contemperamento tra interessi confliggenti (e dunque come potere di disegnare l’effetto giuridico nella sfera del privato), ma anche soltanto come potere di costituire l’effetto, ovvero di realizzare l’assetto di interessi integralmente prefigurato dalla legge. Da ciò discenderebbe un significativo tratto di omogeneità del regime giuridico tra atti vincolati e discrezionali, nell’ambito di una ampia nozione di provvedimento, che ne determinerebbe una assimilazione anche dal punto di vista del meccanismo impugnatorio18.

Ne discende, dunque, la valorizzazione, accanto e non necessariamente in opposizione al binomio discrezionalità/vincolatezza, che rileva nel momento della scelta, del distinto carattere dell’autoritatività, qualificante tutti gli atti adottati dall’amministrazione, che delinea la particolare forza giuridica (non necessariamente in senso ablatorio19) di produrre una modificazione della sfera giuridica del privato,

in assenza di una necessaria manifestazione di consenso dello stesso20.

Detta specificazione importa l’ulteriore considerazione per cui, stante l’omogeneità del carattere costitutivo di effetti giuridici tra potere discrezionale e vincolato (laddove la differenza si appunta sul potere di ‘disegnare’ l’effetto, determinando il regolamento di interessi, che si rinviene unicamente negli atti discrezionali), ciò che rileverebbe ai fini della individuazione della situazione giuridica soggettiva incisa, e quindi della tutela giudiziaria esperibile, è essenzialmente l’autoritatività21.

In proposito, anche la Corte Costituzionale sembra aver valorizzato il carattere in parola allorquando – escludendo, da un lato, «che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102 Cost., secondo comma)» e, dall’altro lato, «che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo» – ha affermato che la natura della giurisdizione generale di legittimità è «contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo»22.

A tale impostazione è stato obiettato che, oltre ad essere eccessivamente legata all’effetto ablatorio del provvedimento, mostrando chiari limiti nel modello di amministrazione partecipata, la nozione di autoritatività descrive gli effetti dell’atto, ma nulla dice circa la natura del potere esercitato e, dunque, non sarebbe utile a qualificare, ai fini del riparto, le situazioni giuridiche soggettive che sono incise dalla spendita del potere medesimo23.

Utilizzando questo angolo visuale, in altre parole, si rischierebbe di pervenire ad un ribaltamento di prospettiva per il quale, offuscata, di fatto, qualunque indagine sulla causa petendi, si giungerebbe all’estremo di negare totalmente la giurisdizione del giudice ordinario laddove è in causa un atto amministrativo non paritetico.

Si è affermato, infatti, che solo l’atto discrezionale è atto di reale autorità, siccome emanato nell’esercizio di un potere di supremazia affidato alla p.a. nel dettare unilateralmente disposizioni vincolanti per la composizione degli interessi in gioco, con carattere di innovatività (rispetto alla fonte attributiva) e di definitività (rispetto ad ogni intervento sostitutivo nel merito della scelta) e che, al contrario, l’atto vincolato non ha carattere innovativo, limitandosi ad accertare le condizioni di produzione degli effetti interamente previsti dal legislatore24.

Dall’altro lato, anche la tesi del c.d. ‘scetticismo debole della vincolatezza’ 23 si espone a fondate obiezioni, per cui la mera interposizione di una decisione applicativa della p.a. originante dalla valutazione tecnico-discrezionale dei presupposti empirici di esercizio di un potere, quand’anche legislativamente vincolato, non sarebbe sufficiente per conferire al potere medesimo i tratti della discrezionalità, in quanto tale carattere si appunterebbe sulla potestà di comporre gli interessi in gioco e non sulla valutazione dei presupposti della norma.

Questa tesi, in definitiva, giungerebbe al paradosso logico di negare l’essenza stessa e l’utilità della nozione di discrezionalità (tutto è discrezionale=nulla è discrezionale, perché non esiste un potere realmente vincolato)25.

Per tali ragioni, si è ritenuto che la giurisdizione del giudice amministrativo deve essere fondata sull’analisi della reale consistenza delle situazioni giuridiche soggettive azionate in giudizio, attesa anche la natura sostanziale dell’interesse legittimo e l’incremento delle azioni proponibili e dei mezzi istruttori esperibili nel giudizio amministrativo, che dovrebbe configurarsi non più come strumento di controllo demolitorio del provvedimento autoritativo, bensì quale sindacato sul rapporto in cui vi è la spendita del potere pubblico e, in definitiva, sul corretto uso del potere discrezionale di scelta della modalità di contemperamento degli interessi.

4.2 Poste queste premesse di ordine concettuale in relazione ai tratti identificativi delle situazioni soggettive vantate di fronte all’attività vincolata, ma autoritativa, della P.A., può notarsi come nella fattispecie controversa emerga la problematicità della concreta applicazione dei criteri di riparto della giurisdizione. Invero, nel contrasto tra Consiglio di Stato e Corte di Cassazione, in ordine all’affermazione della giurisdizione ordinaria ovvero amministrativa, non si rinviene una diversa valutazione della causa petendi, bensì l’applicazione di distinti metri e prospettive valutative, che tuttavia perseguono il medesimo risultato pratico di sottrarsi ad una reale indagine sulla consistenza della situazione giuridica azionata in giudizio.

Il Consiglio di Stato ha, infatti, valorizzato l’elemento soggettivo della qualificazione dell’Azienda quale ente pubblico strumentale strettamente compenetrato nell’ente locale che esercita su di esso poteri pubblicistici di direzione e controllo, facendo automaticamente discendere dall’affermazione dei detti poteri l’insorgenza di una situazione giuridica di interesse legittimo, senza soffermarsi analiticamente sulla circostanza che essa fosse effettivamente collegata alla natura discrezionale dell’attività amministrativa26.

Senza contare, peraltro, che la normativa e la giurisprudenza citata a sostegno di tali argomentazioni fa riferimento alle diverse ipotesi dell’esercizio dei poteri statutari di direzione e controllo di nomina e revoca per il venire meno del rapporto fiduciario e non alle cause di decadenza di cui al D.lgs. n. 39/2013 27.

Al contrario, la Cassazione, partendo dalla premessa dell’affermazione del carattere onorario dell’incarico conferito al ricorrente, riconosce formalmente la necessità di indagare la natura della situazione giuridica soggettiva azionata.

Tuttavia, a tale affermazione di principio non sembra fare seguito un reale scrutinio sul punto. Ed infatti, considerando vincolata l’adozione degli atti di decadenza (siccome basata sui presupposti empirici specifici e non contestabili del D.lgs. n. 39/2013, ritenuto applicabile ratione temporis), la Corte conclude che da siffatta vincolatività dei presupposti di adozione del provvedimento conseguirebbe la configurazione di un potere non discrezionale e, soprattutto, in via ulteriore, inferisce che la situazione soggettiva da esso incisa sarebbe di diritto soggettivo. Ciò senza preoccuparsi in alcun modo di supportare con adeguata argomentazione la premessa generale del suo ragionamento (e cioè che di fronte all’attività vincolata della P.A. sarebbe da riconoscersi la sussistenza di situazioni giuridiche di diritto soggettivo), premessa che, peraltro, nemmeno è rintracciabile costantemente nella giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione.

Ad esempio, proprio con riguardo agli enti pubblici economici (quale è quello oggetto della controversia che ci occupa), la stessa Suprema Corte, in più occasioni, ben lungi dal basarsi sull’acritica affermazione della corrispondenza tra provvedimento di decadenza e situazione di diritto soggettivo, ha ritenuto, al contrario, che «la controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’atto con il quale è stato annullato o revocato il provvedimento di nomina di un componente del consiglio di amministrazione di un ente pubblico, anche economico, o comunque è stata dichiarata la decadenza dalla carica del medesimo, attenendo a una posizione di interesse legittimo collegantesi al potere discrezionale di scelta delle persone cui affidare il perseguimento degli scopi dell’ente, appartiene alla cognizione del giudice amministrativo nell’esercizio della giurisdizione generale di legittimità»28; e che «l’attività degli enti pubblici economici concernente la costituzione e il funzionamento dei loro organi statutari, coinvolgendo l’assetto organizzativo e quindi l’esercizio di potestà pubblicistiche, riguarda situazioni che hanno la consistenza, non del diritto soggettivo, ma dell’interesse legittimo, così da risultare tutelabile solo davanti al giudice amministrativo»29; precisando che «gli atti del procedimento di trasformazione del Consorzio per lo sviluppo industriale in Consorzio di sviluppo economico locale sono conformati da vere e proprie norme di azione rivolte a disciplinare l’organizzazione interna dell’ente e dirette, non alla tutela di interessi propri dei soggetti partecipanti al Consorzio, ma a salvaguardare l’equilibrio strutturale ed organizzativo di questo nonchè la sua funzionalità per gli scopi istituzionali, con la conseguenza che – come esattamente osserva il pubblico ministero – in capo a tali soggetti può riconoscersi soltanto l’interesse legittimo alla legittimità degli atti emessi in base alle relative norme di previsione»30.

Allo stesso modo, anche la giurisprudenza amministrativa ha escluso qualsivoglia automatismo, richiamando la necessità di un attento esame della situazione giuridica soggettiva azionata in giudizio, rilevando che «l’acclarata natura vincolata dell’attività demandata all’amministrazione non comporta in modo automatico la qualificazione della corrispondente posizione soggettiva del privato in termini di diritto soggettivo, con il conseguente precipitato processuale in punto di giurisdizione. Sembra, infatti, che debba distinguersi, anche in seno alle attività di tipo vincolato, tra quelle ascritte all’amministrazione per la tutela in via primaria dell’interesse del privato e quelle, viceversa, che la stessa amministrazione è tenuta ad esercitare per la salvaguardia dell’interesse pubblico. Anche a fronte di attività connotate dall’assenza in capo all’amministrazione di margini di discrezionalità valutativa o tecnica, quindi, occorre avere riguardo, in sede di verifica della natura della corrispondente posizione soggettiva del privato, alla finalità perseguita dalla norma primaria, per cui quando l’attività amministrativa, ancorché a carattere vincolato, tuteli in via diretta l’interesse pubblico, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, così assumendo consistenza di interesse legittimo»31.

Peraltro, la constatazione che un siffatto principio generale – secondo il quale, in presenza di attività vincolata della P.A. si debba necessariamente, e per ciò solo, ritenere la sussistenza di situazioni di diritto soggettivo in capo ai soggetti coinvolti da tale attività – non possa considerarsi affatto pacifico può desumersi anche dall’analisi della disciplina legislativa dell’attività amministrativa e del perimetro della cognizione del giudice amministrativo.

A quest’ultimo, infatti, nel vigente ordinamento processuale, sono espressamente riconosciuti, in sede di giurisdizione generale di legittimità, e dunque a tutela di interessi legittimi, strumenti adeguati anche per operare un’indagine sulla spettanza al privato del bene inciso da manifestazioni di potere vincolato, nell’ambito del ricorso per silentium, laddove si prevede che «Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione»32.

Allo stesso modo, l’art. 21-octies, comma 2, primo periodo, della L. n. 241/1990, come è noto, fa espresso riferimento alla attività vincolata della P.A. riconoscendo la possibilità di non annullare, malgrado la violazione delle norme sulla forma o sul procedimento, «qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe comunque potuto essere diverso da quello in concreto adottato».

Tali rilievi testimoniano, dunque, che dalla natura vincolata del potere non si possano far discendere automaticamente (e non solo e sempre) diritti soggettivi, in quanto detta natura non è sempre giuridicamente strutturata come mezzo per assicurare il perseguimento o il mantenimento di un risultato soggettivo favorevole al portatore di un interesse particolare, ma, sovente, è (anche) una regola dell’attività della stessa amministrazione, in cui il vincolo si appunta per il perseguimento di un rilevante interesse pubblico, che coesiste e si intreccia (talvolta prevalendo) sull’esigenza di tutela della situazione giuridica soggettiva del privato.

Ai fini che ci occupano, può osservarsi che proprio la disciplina delle inconferibilità e incompatibilità (e delle connesse cause decadenziali) non è volta alla garanzia degli interessi del privato a conseguire o a mantenere un determinato bene (la permanenza nella titolarità dell’incarico, ovvero la reintegrazione nello stesso), ma è caratterizzata da un significativo intreccio tra gli interessi individuali dei soggetti titolari degli incarichi e il generale e prevalente interesse pubblico di prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione, finalizzato ad evitare situazioni di conflitto di interessi tali da integrare un vulnus all’imparzialità e al buon andamento dell’azione amministrativa33.

Emerge, allora, che le decisioni, seppur contrastanti, appaiono entrambe caratterizzate da un intento semplificatorio volto ad applicare ex ante una regola operazionale di giudizio, al fine di agevolare le valutazioni sul riparto di giurisdizione.

Il Consiglio di Stato, infatti, afferma la propria giurisdizione desumendo la natura del potere essenzialmente dall’elemento soggettivo della tipologia di autorità che lo esercita, che escluderebbe l’applicazione del regime privatistico delle società34.

Tale assunto, però, non è corredato da una adeguata motivazione in relazione alla concreta essenza del potere oggetto della controversia, affermandosi, in sostanza, che qualunque atto di nomina o revoca nell’ambito di una azienda speciale pubblica (e, dunque, anche i diversi provvedimenti di decadenza per inconferibilità), possa essere espressione di potere discrezionale.

Siffatto percorso argomentativo, in definitiva, sembra ricalcare la tendenza a superare i problemi di riparto con il ricorso alla giurisdizione ‘per materia’, che ha trovato anche la ferma opposizione della Corte Costituzionale35, in quanto offusca significativamente l’indagine sulla effettiva spendita di potere pubblico e, in definitiva, sulla consistenza della causa petendi36.

Al contrario, la Cassazione ripropone il binomio attività vincolata/diritto soggettivo, obliterando una motivata analisi sulla natura del vincolo e un’indagine sulla consistenza della situazione giuridica soggettiva incisa dal provvedimento che, in definitiva, come detto, deve essere collegata alla natura discrezionale del potere esercitato.

In altre parole, dall’attestazione di un potere costitutivo di effetti legislativamente predeterminati ai sensi del D.lgs. n. 39/2013, la Suprema Corte ricava, in modo sostanzialmente apodittico, la sussistenza di una posizione di diritto soggettivo azionata in giudizio, assumendo che nel caso di specie sia in questione un potere totalmente vincolato e un contrapposto diritto alla conservazione di un bene giuridico.

Come detto, la disciplina delle inconferibilità e incompatibilità (e delle connesse cause decadenziali) non è volta solo alla garanzia degli interessi del privato, ma persegue il generale interesse di prevenire la corruzione nella pubblica amministrazione, evitando situazioni di conflitto di interessi tali da integrare un vulnus all’imparzialità e al buon andamento dell’azione amministrativa37.

In definitiva, sembra potersi affermare che, nella fattispecie in commento, la riproposizione del binomio attività vincolata-diritti soggettivi (che pure può avere un valore ai fini del riparto, ma impone comunque delicate indagini sulla consistenza della situazioni giuridiche soggettive azionate) «continui a trovare applicazione, in alcuni modelli di sentenze, come ‘regola operazionale di riparto’ [] soprattutto con riferimento agli hard cases che non si presentano agevolmente risolvibili sulla base dei criteri oramai standardizzati»38.

All’esito di questo breve excursus, si possono ritenere oggi ancor più validi i rilievi critici proposti dalla dottrina citata nella premessa del presente commento, evidenziandosi come, sovente, il giudice “decida di volta in volta per l’attribuzione di ciascun tipo di controversia al giudice ordinario o al giudice amministrativo sulla base di considerazioni di opportunità sostanziale che, indipendentemente dalla loro minore o maggiore ragionevolezza, non sono di per sé riconducibili a un quadro unitario sul piano dei principi”, avvertendosi che spesso “le situazioni soggettive, il giudice competente e soprattutto il tipo e l’entità della tutela accordata al privato devono determinarsi in relazione alla loro compatibilità di cui la pubblica amministrazione è portatrice in ciascun tipo di controversia Dunque, si pone il dubbio che la categoria degli atti vincolati non sia caratterizzata da una compiuta analisi dei tratti essenziali della posizione giuridica azionata in giudizio e contrapposta all’esercizio del potere pubblico, ma sia suscettibile integrare un escamotage ermeneutico, in quanto l’attestazione della natura vincolata del potere non esaurisce in alcun modo la problematica del riparto di giurisdizione.39.

L’esame della giurisprudenza mostra, infatti, “una crescente propensione a riconoscere la corrispondenza tra attività vincolata e diritti soggettivi” attraverso il seguente schema logico: “in via preliminare vengono individuati determinati fattori che in astratto potrebbero apparire (e in concreto sembrano essere indicati) come idonei a qualificare autonomamente l’interesse individuale come diritto soggettivo: ma poi, anziché risolutamente confermare il carattere diretto e autosufficiente di tale relazione, viene in essa interposto il criterio dell’interesse tutelato”. Si realizza, così, un “forzoso scambio logico tra struttura oggettiva della fattispecie e intenzione della norma”40.

Ciò rischia di rendere, incerta, se non arbitraria, la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi, lasciando le decisioni regolative della giurisdizione in balìa di considerazioni di opportunità sostanziale o di economia processuale.

 

1 A. ORSI BATTAGLINI, Attività vincolata e situazioni soggettive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, pp. 14-15.

2 Sul punto si vedano Consiglio di Stato, sez. V, 22 settembre 2017, n. 4435; T.A.R. Lombardia-Milano, sez. I, 28/02/2018, n.593; T.A.R. Campania-Napoli, sez. I, 11/03/2019, n. 1379.

3 L’assunto secondo cui una società non muta la sua natura di soggetto privato è espressione di un principio giurisprudenziale consolidatosi a partire dalla sentenza della Cassazione civile sez. I, 06/01/1979, n.58.

Conformemente si vedano, ex multis, Cassazione Civ., SS.UU., 06/05/1995, n. 4989; Cassazione Civ., SS.UU., 06/06/1997, n. 5085; Cass. Civ., SS.UU., 26/08/1998, n. 8454; nonché, più di recente, Cass. Civ., SS.UU., 23/01/2015, n. 1237; Cass. Civ., SS.UU., 03/10/2016, n. 19676; Cass. Civ., SS.UU., 01/12/2016, n. 24591; Cass. Civ., SS.UU.,14/09/2017, n. 21299; T.A.R. Campania-Napoli, sez. I, 15/02/2019, n.871; Cass. Civ., SS.UU., 18/06/2019, n.

16335.

4 In particolare, il Consiglio di Stato riteneva che:

la deliberazione n. 17/2014 non era configurabile come conferimento di un nuovo incarico all’esito della istituzione ex novo di un ente pubblico strumentale, contestuale allo scioglimento e liquidazione della società

ASEA, bensì quale conferma di incarico precedente all’esito del mero mutamento della forma organizzativa della società in azienda speciale (inquadrato nella fattispecie della c.d. trasformazione eterogenea regressiva), con una sostanziale continuità di ruolo e funzioni;

emergeva una volontà di conferma integrale degli organi sociali senza soluzione di continuità, che portava ad escludere radicalmente la costituzione di un nuovo soggetto giuridico e l’adozione di qualsivoglia atto a portata novativa del munus del Presidente;

la configurazione di una mera conferma di incarico (conferito prima dell’entrata in vigore della novella normativa) e non di un nuovo incarico, faceva rientrare la fattispecie nell’ambito di applicazione dell’art. 29-ter del D.L. n. 69/2013 che, nel regolare il regime transitorio delle nuove disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità, prevedeva espressamente che gli incarichi conferiti prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n.

39/2013 non potevano avere effetto come cause di inconferibilità o incompatibilità fino alla scadenza degli stessi;

allo stesso modo, era da ritenersi inapplicabile ratione temporis anche l’art. 20, comma 5, del d.lgs. n. 39/2013, essendo irrilevanti le contestazioni in ordine alla possibile equiparabilità tra dichiarazione omessa e mendace (si evidenziava, peraltro, che la dichiarazione era stata resa dal dott. A.C. all’atto del conferimento dell’originario incarico nell’ASEA s.p.a.);

doveva ribadirsi l’illegittimità anche dell’ulteriore provvedimento del Segretario generale della Provincia di Benevento, impugnato con motivi aggiunti, emesso in data 11.01.2017 ai fini dell’ulteriore decadenza dell’incarico per la sopravvenuta scadenza dell’originario termine triennale di durata prevista dall’originario decreto di nomina del 6.3.2013 (al 6.3.2016), rilevandosi che tale deliberato era stato superato dal provvedimento di trasformazione n. 17/2014, con il quale si confermavano i poteri e la composizione del consiglio di amministrazione, fissando la durata quinquennale degli incarichi, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto (e unque, fino alla data del 15 marzo 2018).

5 La giurisprudenza in materia di riparto di giurisdizione è vastissima. Con particolare riferimento all’applicazione del criterio della causa petendi con riguardo alla non assimilabilità al rapporto di pubblico impiego della figura del funzionario onorario, si vedano: Consiglio di Stato, sez. IV, 24/03/2005, n. 1272 Cassazione Civ.,

SS.UU., 25/05/2005, n.10961; Cass. Civ., SS.UU., 20/04/2007, n. 9363; Cass. civ. Sez. Unite Ord., 08/07/2008, n. 18618;

Cass. Civ., SS.UU., 25/06/2010, n. 15323; Cass. Civ., SS.UU., 11/10/2011, n. 20902; Cass. Civ., SS.UU., 23/09/2013, n.

21677; T.A.R. Campania-Napoli, sez. I, 12/06/2014, n.3259; Cass. Civ., SS.UU., 04/09/2015, n. 17591; Cass. Civ. 29/12/2016, n. 27461; Cons. Stato, sez. III Sent., 27/06/2017, n. 3132.

6 Ex multis,

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