29/09/2018 – I servizi legali tra vocazione fiduciaria e istanze di procedimentalizzazione.

I servizi legali tra vocazione fiduciaria e istanze di procedimentalizzazione.

28 Set 2018 di Francesco Paolo Bello

La tematica relativa all’affidamento di incarichi legali da parte delle pubbliche Amministrazioni, che da sempre interessa gli operatori del settore per la necessità di contemperare contrapposti interessi pubblici di rango costituzionale – quali il buon andamento e la trasparenza, da un lato, e la effettività della tutela dei diritti, dall’altro – è, ad oggi, ancora priva di una disciplina giuridica di riferimento.

Dopo la bocciatura ricevuta da parte dei Giudici di Palazzo Spada riuniti in sede consultiva[1], infatti, tarda ancora a vedere la luce il testo definitivo delle “Linee Guida per l’affidamento dei servizi legali”, la cui bozza aveva formato oggetto di apposito documento di consultazione pubblicato sul sito dell’ANAC nell’aprile 2017.

In particolare, nel parere n. 2109/2017 la Commissione Speciale del Consiglio di Stato aveva invitato l’Autorità Nazionale Anticorruzione a rivedere la propria posizione in ordine ad una presunta inversione di tendenza operata dal legislatore della riforma rispetto alla disciplina in tema di servizi legali rinvenibile nel previgente Codice dei contratti pubblici di cui al D. lgs. n. 163/2006.

A detta dell’ANAC, invero, il D. lgs. n. 50/2016 avrebbe previsto, con carattere innovativo rispetto al passato, un indistinto assoggettamento di tutti i servizi legali alle regole dell’evidenza pubblica, escludendo, così, tout court la possibilità – pacificamente ammessa dagli interpreti sotto la vigenza del Codice De Lise – che taluni di essi possano, invece, formare oggetto di affidamento diretto in ragione della particolare complessità dell’incarico, delle specifiche competenze professionali richieste per l’espletamento del mandato o, più semplicemente, del carattere meramente episodico ed isolato dell’affidamento.

La giurisprudenza maggioritaria vigente il D. lgs. n. 163/2006, infatti, seguendo il solco inaugurato dalla sentenza n. 2730 dell’11.5.2012 della V Sezione del Consiglio di Stato, aveva operato una distinzione di massima tra il singolo incarico di patrocinio legale, suscettibile di formare oggetto di affidamento intuitu personae in quanto riconducibile allo schema proprio del contratto di prestazione d’opera intellettuale ex artt. 2229 c.c. e ss., da un lato; e l’attività di assistenza e consulenza giuridicaavente carattere seriale e continuativo, ascrivibile alla più ampia categoria degli appalti di servizi, in quanto espletata mediante una specifica organizzazione di mezzi e persone, prescindente da episodiche esigenze difensive dell’Ente e con gestione a proprio rischio ai sensi dell’art. 1655 c.c., dall’altro.

Le ragioni alla base della riconducibilità anche del singolo incarico di rappresentanza in giudizio e/o di consulenza legale andrebbero ricercate, secondo quanto prospettato dall’ANAC nella bozza delle Linee Guida in questione, nel combinato disposto degli artt. 4 e 17, co. 1, lett. d), del D. lgs. n. 50/2016, nonché nell’asserito superamento da parte del diritto UE della distinzione tra appalto di servizi e contratto di prestazione d’opera intellettuale.

In particolare, stando al contenuto del summenzionato art. 17, i servizi legali rientrerebbero nel novero dei contratti esclusi dall’applicazione del codice dei contratti pubblici e, in quanto tali, sarebbero assoggettati ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità sanciti dall’art. 4 del D. lgs. n. 50/2016.

Di qui, la necessità che il conferimento di qualsiasi incarico legale avvenga a valle di una vera e propria procedura comparativa tra professionisti iscritti in appositi elenchi nel rispetto del principio di rotazione.

Tale posizione (indiscriminatamente) pubblicistica, come si è anticipato, non è affatto rimasta indenne da critiche: dopo il già menzionato parere negativo del Consiglio di Stato, infatti, anche il CNF, interpellato quale Ente pubblico di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana, ha evidenziato, con parere del 15.12.2017, la necessità di recuperare il carattere fiduciario del mandato difensivo, contestando apertamente le conclusioni raggiunte dall’ANAC sotto molteplici profili.

Anzitutto, si è rilevato come il percorso argomentativo seguito dall’Authority nello schema di Linee Guida sottoposto a consultazione incorra in un palese salto logico, non potendosi certamente ricavare dal mero richiamo ai principi di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 50/2016 un insieme di regole che finiscono per delineare, in realtà, una vera e propria procedura di gara.

Ciò esporrebbe la disciplina in parola, peraltro, ad evidenti profili di contraddittorietà interna tra le norme del Codice dei contratti pubblici, contenendo quest’ultimo una menzione separata per i servizi legali che, a differenza di quelli contemplati dall’art. 17, co. 1, lett. d), sono sottoposti ad una procedura di evidenza pubblica – sia pure semplificata – a norma del combinato disposto degli artt. 140 e ss. e dell’Allegato IX.

Sul piano esterno, poi, la riconducibilità del singolo incarico di patrocinio o di consulenza legale alla disciplina degli appalti di servizi implicherebbe notevoli conseguenze anche rispetto al divieto di gold plating, finendo così il legislatore italiano per introdurre livelli di regolamentazione più restrittivi di quelli posti dalle direttive europee di cui il Codice dei contratti pubblici costituisce diretto recepimento.

Il Consiglio Nazionale Forense ha, infatti, rilevato come sia sufficiente affidarsi ai canoni ermeneutici propri dell’interpretazione letterale per confutare anche l’ulteriore argomentazione giuridica alla base dell’impostazione pubblicistica paventata dall’ANAC, vale a dire l’asserito superamento da parte del diritto europeo del discrimen tra contratto d’opera professionale ed appalto di servizi.

In particolare, valorizzando il dato testuale del considerando n. 25 della direttiva 24/2014/UE[2], il CNF ha concluso che “nel dettare la nuova disciplina, evidentemente, il legislatore europeo ha voluto chiarire proprio quella stessa esigenza che alla prassi era sempre stata manifesta, ossia il fatto che alcuni rapporti tra amministrazione ed avvocato sono ineliminabilmente contrassegnati dall’intuitus personae e dal tratto fiduciario, sicchè sono necessariamente aperti alla scelta diretta e non possono essere irrigiditi nell’insieme di regole che, anche nella versione più alleggerita che si voglia immaginare, formano il corpo dei c.d. procedimenti ad evidenza pubblica[3].

In altri termini, contrariamente a quanto sostenuto dall’Autorità Anticorruzione, sarebbe proprio il diritto europeo, di cui il Codice dei contratti pubblici costituisce diretta attuazione, a confermare la peculiarità degli incarichi legali, ascrivibili al genus dei contratti d’opera professionale e sottratti, in quanto tali, alla disciplina propria degli appalti di servizi.

Il terzo profilo di criticità rilevato dal massimo organo di rappresentanza della classe forense, rappresentato dalle peculiarità del contratto di patrocinio legale rispetto al più generico contratto di mandato, è stato di recente ampiamente sviluppato nel corpo del successivo ed ulteriore parere[4] reso in subiecta materia dal Consiglio di Stato.

Quest’ultimo, interpellato nuovamente dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, ha premesso che l’analisi della tematica relativa all’affidamento degli incarichi legali impone anzitutto di individuare la tipologia di contratti che possono essere stipulati tra la p.A. e gli avvocati, avuto riguardo alla causa della prestazione dei servizi legali, intesa quale funzione economico-individualedell’operazione negoziale.

Così facendo, la Commissione Speciale del 9.4.2018 ha riproposto all’attenzione degli operatori del settore la distinzione, già tracciata dalla nota sentenza n. 2730/2012 del Consiglio di Stato, tra:

a)         il contratto d’opera intellettuale, quale modalità ordinaria con cui vengono espletati i servizi legali, connotato dalla prevalenza del lavoro personale sull’organizzazione dei mezzi, tale per cui il cliente decide di affidarsi ad un determinato professionista riconoscendone le particolari capacità nell’esecuzione della prestazione;

b)        il contratto di appalto di servizi, implicante la messa a disposizione di una struttura imprenditoriale organizzata, destinata a soddisfare i bisogni del committente ogni qual volta gli stessi si presentino, con la conseguenza che al momento dell’affidamento del servizio risulta predeterminato soltanto l’oggetto della prestazione (id est l’attività giuridica), ma non anche il suo contenuto concreto.

Tanto premesso, il Consiglio di Stato esclude che l’intera categoria degli incarichi legali affidati da una pubblica Amministrazione possa essere ricondotta tout court al novero degli appalti di servizi.

E ciò per l’evidente ragione che “una pubblica Amministrazione, in ragione delle sue dimensioni organizzative e delle attività che esercita, può avere necessità di ricorrere all’uno o all’altro degli indicati modelli contrattuali. In particolare, una pubblica amministrazione, di dimensioni rilevanti, che esplica i suoi compiti in settori omogenei ben precisi e la cui attività può dar luogo a frequenti contenziosi, spesso di natura seriale, di regola avverte l’esigenza di rivolgersi ad un insieme di professionisti, organizzato, che sia disponibile a trattare tutte le controversie nelle quali l’ente dovesse essere coinvolto … Diversamente, una pubblica amministrazione, di dimensioni non rilevanti, che ha competenze in diversi settori e che solo raramente è coinvolta in vicende contenziose, avrà la necessità di conferire, quando ciò accada, un incarico singolo ad un professionista individuato al solo scopo di difesa in quel giudizio (o per la consulenza in vista di quel preciso giudizio)[5].

Quanto, poi, alla questione relativa alla disciplina applicabile, il Consiglio di Stato, facendo proprie le osservazioni formulate sul punto dal CNF, ha rilevato come i servizi legali elencati all’art. 17, co. 1, lett. d), del Codice (e, quindi, esclusi dall’ambito di applicazione oggettivo dello stesso), sono, in realtà, quasi totalmente sovrapponibili a quelli ricompresi nell’Allegato IX al medesimo D. lgs. n. 50/2016 (e, in quanto tali, assoggettati alle regole di cui agli artt. 140 e seguenti).

In entrambi i casi, infatti, vengono in rilievo servizi di rappresentanza legale in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche (ivi compresa quella in un arbitrato o in una conciliazione), di consulenza legale in previsione di uno di detti procedimenti, nonché di certificazione e autenticazione di documenti.

Ne deriva, secondo la corretta ricostruzione contenuta nel citato parere dello scorso agosto, che l’unica soluzione in grado di risolvere la ridetta aporia è quella di esaminare, al fine di individuare la disciplina applicabile ai diversi servizi legali, non già il contenuto della prestazione professionale, bensì la tipologia di contratto che di volta in volta viene in rilievo.

Tanto premesso, “l’allegato IX si riferisce, secondo questo Consiglio, a veri contratti di appalto di servizi. Il contenuto di essi è precipuamente la messa a disposizione di una organizzazione di natura imprenditoriale (fornita da un singolo professionista o in una qualsiasi delle forme associate previste dal nostro ordinamento) al fine di soddisfare in maniera indifferenziata i bisogni via via emersi circa una rappresentanza o consulenza giuridica o documentazione giuridica o certificazione non connessa a una questione o a un affare predeterminato, ma conseguente all’insorgere della necessità e quindi del bisogno nel corso del tempo. Si tratta, come appare evidente, di una struttura contrattuale tipica del contratto di fornitura di servizi, ove la prestazione è predeterminata nei suoi contenuti sostanziali, ma non riferita a uno specifico bisogno già precedentemente individuato[6].

Con la conseguenza che l’ambito di applicazione dell’art. 17, co. 1, lett. d), D. lgs. n. 50/2016 può essere ricavato, in via residuale, come coincidente con la tipologia del contratto d’opera, trattandosi di “una prestazione di un servizio (appunto attinente alla professione legale), con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente espletata secondo un incarico non continuativo o periodico ma puntuale ed episodico, destinato a soddisfare un singolo bisogno manifestatosi (la difesa e rappresentanza in una singola causa ad es.)”.

Una volta chiarito, dunque, che non tutti i servizi legali sono qualificabili in termini di appalto di servizi, il Consiglio di Stato affronta, infine, la questione relativa alle concrete modalità di attuazione delle suddette norme, in vista della predisposizione da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione del testo definitivo delle linee guida oggetto di disamina.

Quanto agli incarichi legali di cui all’Allegato IX, la Commissione Speciale, ferma l’applicabilità del regime procedimentale semplificato ex artt. 140 e ss., suggerisce all’ANAC di prevedere che, in ipotesi di affidamento di un contenzioso (o di una consulenza) di carattere seriale ed omogeneo, in considerazione della natura delle funzioni pubbliche esercitate dall’Amministrazione committente, la procedura di scelta del contraente sia tale per cui “la richiesta dei requisiti tecnico – professionali non dovrà essere eccessivamente restrittiva per evitare di escludere gli studi associati di più recente formazione (e nei quali, dunque, siano presenti professionisti più giovani)”, con l’ulteriore precisazione che “i criteri di scelta, infine, dovranno favorire quegli studi che trattano più materie, così da garantire all’amministrazione il ragionevole affidamento di trovare nei professionisti incaricati competenze idonee per qualsiasi tipo di contenzioso dovesse insorgere nel periodo di vigenza dell’affidamento[7].

Diverse garanzie procedimentali sono, invece, prospettate con riferimento all’affidamento degli incarichi legali disciplinati all’art. 17, co. 1, lett. d), D. lgs. n. 50/2016.

Ed invero, pur escludendo, come si è visto, la qualificazione del singolo incarico di patrocinio legale in termini di appalto di servizi in ragione della prevalenza del lavoro personale sull’organizzazione di mezzi, il Consiglio di Stato, puntualizza, tuttavia, come il conferimento di quest’ultimo non possa essere indiscriminatamente ricondotto all’alveo dell’intuitus personae.

Recependo sul punto i timori della Giurisprudenza contabile[8], infatti, la Commissione speciale ha in parte ridimensionato la componente fiduciaria enfatizzata nella più volte menzionata sentenza n. 2730/2012, evidenziando come l’ineliminabile esigenza di garantire il contenimento della spesa pubblica, con i conseguenti risvolti in termini di responsabilità erariale, imponga comunque una “procedimentalizzazione nella scelta del professionista al quale affidare l’incarico di rappresentanza in giudizio (o in vista di un giudizio) dell’amministrazione, evitando scelte fiduciarie ovvero motivate dalla “chiara fama” (spesso non dimostrata) del professionista. La conformazione ad un procedimento fa in modo che la scelta sia trasparente, rispettosa del principio della parità di trattamento, imparziale, tale da evitare lo spreco di risorse pubbliche e, al contempo, idonea perseguire nel modo più opportuno l’interesse pubblico”.

In tal caso, la procedura di scelta del professionista dovrebbe prevedere la predisposizione di un elenco di professionisti consultabile sul sito istituzionale dell’Amministrazione, che sia suddiviso per settori di competenza, sempre aperto a nuove manifestazioni di interesse ma al tempo stesso non troppo ampio, ed idoneo in ogni caso a garantire un effettivo confronto concorrenziale.

Si suggerisce, altresì, che gli elementi oggetto di valutazione in sede di conferimento di un incarico ex art. 17, co. 1, lett. d), del Codice potrebbero essere individuati, ad esempio, ne: a) il curriculum professionale; b) l’esperienza tecnica maturate dal professionista in relazione alla materia oggetto del contendere (ovvero di consulenza legale) nonché con riferimento alla competenza funzionale propria del committente pubblico; c) l’eventuale pregressa collaborazione con la p.A. in relazione alla medesima questione giuridica; d) il costo della prestazione, da tenere in conto, però, solo in condizioni di parità di competenze professionali tra due o più iscritti all’elenco.

Di particolare rilievo appare, poi, l’ulteriore cambio di rotta operato dal Consiglio di Stato rispetto al ruolo attribuito al c.d. principio di rotazione, individuato dall’ANAC quale criterio prioritario di scelta del professionista, in ossequio al disposto di cui all’art. 4 del Codice in tema di contratti “esclusi”.

Il ridetto principio, invero, deve evidentemente essere contemperato con “la necessità di tener conto delle specifiche competenze tecniche richieste per lo svolgimento dell’incarico[9], potendo il criterio in parola trovare spazio soltanto in presenza di incarichi di minore rilevanza.

Peraltro, una applicazione generalizzata del principio di rotazione eroderebbe del tutto la discrezionalità amministrativa che pure deve essere riconosciuta in capo alla p.A. in questo campo e che resterebbe, in ogni caso, sindacabile attraverso la motivazione posta alla base della scelta del professionista iscritto nell’elenco.

La Commissione Speciale si interroga, infine, sull’effettiva portata della possibilità, contemplata dallo schema di Linee Guida in deroga alla regola generale dell’affidamento a valle di apposita procedura comparativa, dell’affidamento diretto per ragioni di urgenza ovvero in ipotesi di conseguenzialità e/o complementarietà tra incarichi, evidenziando in particolare come si tratti oramai di evenienze del tutto marginali, affidando l’Amministrazione l’intero contenzioso (ovvero l’intera attività di consulenza, certificazione o autenticazione di documenti) ad un unico avvocato (o gruppo di professionisti).

Con la conseguenza che “la particolarità che possa giustificare l’affidamento diretto deve essere diversa e strettamente collegata alla natura della controversia (si pensi, a solo titolo esemplificativo, ad una questione nuova non ancora esaminata dalla giurisprudenza)[10].

Le incertezze interpretative che hanno alimentato il confronto istituzionale e giurisprudenziale negli ultimi anni necessitano, come è evidente, di un pronto intervento chiarificatore dell’ANAC in sede di adozione del testo definitivo delle linee guida in tema di affidamento di servizi legali.

L’auspicio che l’Autorità di Vigilanza possa far propri i suggerimenti del Consiglio di Stato non proviene solo dalle Camere Amministrative, ma, ad avviso di chi scrive, è condiviso anche dalle stesse pubbliche Amministrazioni che, irrigidite – sotto la scure della Corte dei Conti – negli schemi propri delle procedure ad evidenza pubblica, rischiano di dover immotivatamente fare a meno delle specifiche competenze tecniche (la cui sussistenza è, come noto, verificabile ab externo sul piano della motivazione del provvedimento amministrativo di scelta del professionista) richieste per l’espletamento di un determinato mandato difensivo, con inevitabile compromissione dell’interesse pubblico a quest’ultimo sotteso.

 

[1] Cons. Stato, Comm. Speciale, parere n. 2109 del 6.10.2017.

[2] Il legislatore europeo ha rilevato, nello specifico, che taluni specifici incarichi, quali la rappresentanza in giudizio, l’assistenza ad essa collegata e i servizi legali connessi, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri, “sono di solito prestati da organismi o persone selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti, come può succedere ad esempio per la designazione dei pubblici ministeri in taluni Stati membri. Tali servizi legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva”.

[3] cfr. Consiglio Nazionale Forense, parere del 15.12.2017 ad oggetto “Linee Guida ANAC in materia di affidamento dei servizi legali”.

[4] Cons. Stato, Comm. Speciale, parere n. 2017 del 3.8.2018.

[5] cfr. Cons. Stato, parere n. 2017/2018 cit.

[6] cfr. Cons. Stato, parere n. 2017/2018 cit.

[7] cfr. Cons. Stato, parere n. 2017/2018 cit.

[8] cfr., ex multis, Corte dei Conti, Sez. Reg. Controllo per l’Emilia-Romagna, delibera n. 105 del 22.05.2018

[9] cfr. Cons. Stato, parere n. 2017/2018 cit.

[10] cfr. Cons. Stato, parere n. 2017/2018 cit.

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