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Modalità negoziale della P.A.: la forma scritta non sanabile

Modalità negoziale della P.A.: la forma scritta non sanabile

La Pubblica Amministrazione (P.A.) si obbliga solo attraverso la forma scritta, espressione compiuta di un potere decisionale che viene documentato ad substantiam, non potendo riconoscere debiti fuori bilancio sanando la mancanza dell’atto negoziale.

La quinta sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5138 del 3 settembre 2018, interviene per confermare un orientamento consolidato che richiede la forma scritta, quale adempimento necessario per far sorgere il vincolo negoziale tra il soggetto pubblico e il privato professionista: in mancanza non si perfeziona il rapporto obbligatorio.

La questione rientrava in una richiesta inevasa dall’Amministrazione (silenzio nel riscontrare la parcella delle competenze, consolidato anche alla richiesta di intervento sostitutivo, ex art. 2, comma 9 bis della Legge n. 241/1990) di un professionista per vedersi riconoscere un proprio credito prestazionale attraverso il riconoscimento del debito fuori bilancio: l’incarico (caso di specie, la redazione di un progetto esecutivo) veniva conferito con apposita deliberazione giuntale senza alcun seguito nella sottoscrizione dell’incarico (rectius contratto).

Il Giudice di appello osserva che nella “azione avverso il silenzio” l’accertamento, in concreto, della sostanziale fondatezza della pretesa è precluso, essendo il processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto: il potere del giudice di pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio non può avvenire non potendo invadere il campo dell’esercizio discrezionale del potere affidato alla P.A., in relazione al necessario supporto istruttorio e documentale in mancanza di un’attività meramente vincolata.

In termini diversi, il giudice non può sostituirsi all’attività discrezionale della P.A. con una autonoma valutazione; infatti, rientra sicuramente nella discrezionalità della Pubblica Amministrazione riconoscere o meno l’attività svolta e l’utilità conseguita prima di stabilire la consistenza di una posta creditoria rinveniente dall’espletamento, a titolo negoziale, di attività professionale in favore dell’Amministrazione (Cons. Stato, sez. III, 17 novembre 2015, n. 5272).

È consolidato l’orientamento che per le fattispecie tassativamente tipizzate dall’art. 194 del D.Lgs. n. 267/2000 (cfr. la Circolare della Direzione Centrale della Finanza Locale n. FL 21/93 del 20 settembre 1993), il riconoscimento dei debiti fuori bilancio rappresenta un atto discrezionale (ad eccezione dell’ipotesi indicata alla lettera a) da assumere in presenza dei presupposti) dall’Amministrazione e preordinato a ricondurre al sistema di bilancio determinate tipologie di spesa.

Da queste premesse si giunge al pronunciamento granitico del principio per cui i contratti con la Pubblica Amministrazione devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta e – salva la deroga prevista dall’art. 17 del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 per i contratti con le ditte commerciali, che possono essere conclusi a distanza, a mezzo di corrispondenza “secondo l’uso del commercio”.

È noto che l’art. 17 del R.D. n. 2440/1923 stabiliva che i contratti a trattativa privata, oltre che in forma pubblica amministrativa, possono anche stipularsi:

  • per mezzo di scrittura privata firmata dall’offerente e dal funzionario rappresentante l’amministrazione;
  • per mezzo di obbligazione stessa appiedi del capitolato;
  • con atto separato di obbligazione sottoscritto da chi presenta l’offerta;
  • per mezzo di corrispondenza, secondo l’uso del commercio, quando sono conclusi con ditte commerciali (l’art. 101, ultimo comma, del Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, ex D. 23 maggio 1924, n. 827, disponeva che «per quelli risultanti da corrispondenza, secondo l’uso del commercio, le lettere dell’amministrazione debbono essere firmate da un funzionario delegato»).

La giurisprudenza, prima delle modifiche operate dall’ultima parte del comma 14 dell’art. 32 del Codice dei contratti (ex D.Lgs. n. 50/2016), era orientata nello stabilire che i contratti conclusi dalla P.A., anche “iure privatorum”, oltre a richiedere la forma scritta “ad substantiam”, escludendo ogni manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi (la conclusione tacita per facta concludentia non è possibile posto che altrimenti si perverrebbe all’effetto di eludere il requisito della forma scritta, Cons. Stato, sez. VI, 3 giugno 2010, n. 3507), dovevano essere consacrati in un unico documento, salvo appunto – per i contratti conclusi con imprese commerciali – (ex art. 17 R.D. n. 2240 del 1923) – dove la legge autorizzi espressamente la conclusione a distanza (ossia, senza la contestuale presenza, ovvero tra assenti) a mezzo di corrispondenza, ipotesi tra le quali non risulta ricompreso anche il conferimento di incarico professionale, con evidente limitazione all’utilizzo di tale sistema di “stipulazione” (ora ammesso).

È con la sottoscrizione del contratto, a cura del soggetto autorizzato e munito dei poteri necessari, che è possibile vincolare l’Amministrazione e la controparte negoziale.

Con la firma del contratto, in un unico documento, si definiscono le condizioni disciplinanti il rapporto e tali regole formali sono funzionali all’attuazione del principio costituzionale di buona amministrazione (ex art. 97 Cost.) in quanto agevolano l’esercizio dei controlli e rispondono all’esigenza di tutela delle risorse degli Enti pubblici contro il pericolo di impegni finanziari assunti senza l’adeguata copertura e senza la valutazione dell’entità delle obbligazioni da adempiere.

In questo senso, l’atto deliberativo è funzionale a definire le condizioni negoziali, con una valenza interna che esclude l’idoneità a costituire il vincolo negoziale, ma necessaria a prenotare e impegnare le risorse indispensabili per dare valida esecuzione al rapporto (cfr. art. 191, comma 1 del D.Lgs. n. 267/2000, c.d. TUEL): in mancanza delle risorse viene meno una obbligazione indispensabile, rientrante nel sinallagma contrattuale: il pagamento della prestazione.

Il principio di contabilità pubblica dispone il divieto di effettuare qualsiasi spesa in assenza di impegno contabile registrato dal responsabile del servizio finanziario sul competente capitolo di bilancio di previsione: non è possibile effettuare alcuna spesa se non c’è unadelibera/determinazione che autorizza con il relativo impegno contabile da comunicare ai terzi interessati.

I giudici di Palazzo Spada osservano, altresì, che nel rapporto convenzionale tra Ente pubblico territoriale e professionista, la clausola con cui il pagamento del compenso per la progettazione è condizionato alla concessione di un finanziamento per la realizzazione dell’opera progettata deve qualificarsi come “condizione potestativa mista”, il cui mancato avveramento preclude l’azionabilità del credito (cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2014, n. 26657).

Se un’opera pubblica non riceve il finanziamento previsto per poter essere realizzata, il compenso pattuito non è dovuto al progettista, se tale condizione (c.d. clausola contrattuale di copertura finanziaria) subordina il pagamento all’ottenimento del finanziamento per la realizzazione dell’opera (Cass. Civ., sez. I, sentenza n. 10326/2016).

Per altri versiil riconoscimento di un debito fuori bilancio costituisce un procedimento discrezionale che consente all’Ente locale di far salvi, nel proprio interesse, gli impegni di spesa in precedenza assunti tramite specifica obbligazione, ancorché sprovvista di copertura contabile, ma non ha la funzione di introdurre una sanatoria per i contratti nulli o, comunque, invalidi – come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta ‘ad substantiam’ – né apportare una deroga al regime di inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento (Cass. Civ., sez. I, 12 novembre 2013, n. 25373).

Da ciò consegue che mentre la nullità derivante dall’adozione d’una delibera di conferimento dell’incarico professionale non accompagnata dall’attestazione della necessaria copertura finanziaria può essere sanata attraverso la ricognizione postuma di debito (ex art. 191 e 194 del TUEL), tale dichiarazione, per contro, non rileva e non può avere alcuna efficacia sanante ove il contratto stipulato dalla P.A. sia privo della forma scritta (Cass. Civ., sez. I, sentenza 21 ottobre – 19 dicembre 2014, n. 26911).

Le considerazioni che precedono consentono all’Amministrazione di rispondere negativamente alla pretesa creditoria del professionista sotto un duplice profilo:

  1. il contratto non era stato stipulato nelle forme di rito, trattandosi di incarico conferito sulla sola base di delibera di Giunta comunale;
  2. in ogni caso, il pagamento dell’eventuale corrispettivo era stato subordinato al conseguimento di un finanziamento, che non era stato mai riconosciuto, con il conseguente venir meno della relativa condizione.

Il precipitato diretto, in difetto di contrarie allegazioni, si conferma:

  • l’insussistenza del credito vantato in danno dell’Amministrazione;
  • l’inesistenza del preteso obbligo di attivare il procedimento per il riconoscimento del relativo debito fuori bilancio.

Si comprende che il riconoscimento di un debito fuori bilancio costituisce un procedimento discrezionale (Corte Conti, sez. controllo Trento, Deliberazione n. 35/2018) che consente all’Ente locale di far salvi nel proprio interesse – accertati e dimostrati l’utilità e l’arricchimento che ne derivano, per l’Ente stesso, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza – gli impegni di spesa di copertura contabile, ma non introduce una sanatoria per i contratti nulli o, comunque invalidi – come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta “ad substantiam” (Cass. Civ. I, 14 febbraio 2017, n. 3844).

Il vincolo negoziale impone alle parti obblighi e diritti, disponendo la regolamentazione del rapporto contrattuale secondo i contenuti individuati all’interno del contratto, sicché un elemento fondamentale dell’accordo – quando una parte è la Pubblica Amministrazione– è la rappresentazione materiale del suo contenuto, al fine di consentire un collegamento puntuale tra le determinazioni assunte e il potere decidente, non potendo esprimersi il soggetto pubblico implicitamente o per fatti concludenti.

Più puntualmente, la P.A. esprime la propria volontà negoziale di obbligarsi attraverso la forma scritta ad substantiam (principio “formalistico” dell’atto scritto), che costituisce un elemento essenziale del negozio il quale non è valido se non è espresso in quella determinata forma voluta dalla legge: nei contratti stipulati in forma scritta ad substantiam la volontà negoziale dev’essere dedotta unicamente dal contenuto dell’atto, interpretato secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non assumendo alcun valore, a tal fine il comportamento delle parti.

Va evidenziato che il c.d. “neoformalismo”, di matrice comunitaria, richiama ad un uso più diffuso dei vincoli di forma del contratto – a pena di nullità – al fine di presidiare la trasparenza contrattuale a protezione della parte più debole del rapporto (ad es. banca – cliente, intermediario – risparmiatore, contratti di consumo): nella contrattualistica pubblica, l’art. 32, comma 14 del Codice dei contratti pubblici sancisce espressamente che il contrato è stipulato – a pena di nullità – nelle forme ivi indicate.

La forma scritta assolve, quindi, una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo d’identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento al controllo dell’autorità tutoria.

In assenza della forma scritta non si è in presenza di un “contratto”, ancorché invalidamente concluso, ma a un comportamento di fatto privo di rilievi di sorta, sul piano giuridico, mancando – in radice – quell’“accordo” tra le parti, presupposto dall’art. 1321 c.c. anche per il costituirsi di un contratto invalido o non opponibile ai terzi.

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