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Il diverso procedimento disciplinare nei confronti della dirigenza non muta la competenza dell’Ufficio dei Procedimenti Disciplinari

di Vincenzo Giannotti – Dirigente Settore Gestione Risorse (umane e finanziarie) Comune di Frosinone

Un dirigente pubblico che aveva favorito l’applicazione di un vantaggio fiscale nei confronti di una società giudicata dilettantistica che aveva depositato false attestazioni sulla sua natura di società dilettantistica, inducendo in errore la verifica da parte della Guardia di Finanza precisando di aver già avviato già le verifiche di ufficio, poi rilevatesi non corrispondenti alla realtà. Lo stesso dirigente aveva da ciò ricevuto vantaggi economici dal Presidente della Società sportiva proprio a fronte degli atti compiuti contrari ai doveri d’ufficio in relazione alla pratica delle verifica fiscale della società sportiva. A fronte del licenziamento per giusta causa lui intimato dal direttore regionale, il dirigente impugna la sanzione disciplinare espulsiva, ma sia il Tribunale di prima istanza che la Corte di appello ne hanno rigettato l’impugnazione. In particolare la Corte di appello, ha precisato l’indipendenza del procedimento disciplinare rispetto a quello penale, ed in ogni caso la condotta prescindere da ogni profilo di eventuale rilevanza penale, integra un illecito disciplinare ai sensi dell’art. 4, comma 1, D.P.R. n. 62 del 2013, regolamento recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, secondo cui il dipendente “non chiede, ne sollecita, per sé o per altri, regali o altre utilità”; trattasi di precetto categorico, dovendo altresì escludersi che il ricorrente versasse nella situazione descritta al successivo secondo comma, il quale prevede che “il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali”. I giudici territoriali hanno stabilito come gravi le violazioni di cui all’art. 4, comma 7 del suddetto Codice di comportamento, il quale prescrive che “al fine di preservare il prestigio di imparzialità dell’amministrazione, il responsabile dell’ufficio vigila sulla corretta applicazione del presente articolo”; il ricorrente, nello svolgimento della funzione amministrativa, mediante i comportamenti come contestati e accertati a suo carico, non aveva preservato il prestigio e l’imparzialità dell’Amministrazione ed anzi ne aveva determinato la lesione nel ruolo dirigenziale.

Ricorre allora il dirigente pubblico in Cassazione evidenziando come non fossero state adeguatamente valorizzate sia la mancata terzietà del Direttore regionale oltre alla sua incompetenza nei confronti del personale dirigenziale.

Le indicazioni dei giudici di legittimità

Il ricorso non merita favorevole accoglimento per le seguenti motivazioni:

– In merito alla necessaria terzietà dell’ufficio dei procedimenti disciplinari, il giudizio disciplinare, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto. Al riguardo, il giudice di legittimità ha, infatti, avuto modo di precisare come, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il principio di terzietà dell’ufficio dei procedimenti disciplinari ne postula la distinzione sul piano organizzativo con la struttura nella quale opera il dipendente, e non va confuso con la imparzialità dell’organo giudicante, che solo un soggetto terzo, rispetto al lavoratore ed alla P.A., potrebbe assicurare, laddove il giudizio disciplinare, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto (Cass. civ. n. 1753 del 2017).

– Per quanto riguarda la competenza del titolare del procedimento disciplinare, anche con riferimento ai dirigenti dell’ente, è stato affermato che, in tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, l’art. 55-bis, comma 4, D.Lgs. n. 165 del 2001, non postula l’istituzione “ex novo” dell’ufficio competente, né una sua individuazione espressa, essendo sufficiente, ai fini della legittimità della sanzione, che all’organo che l’ha irrogata sia stata attribuita, in modo univoco e chiaro, la potestà di gestione del personale (Cass. civ. n. 22487 del 2016).

Cass. civ., Sez. lavoro, 16 agosto 2018, n. 20749

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