05/10/2018 – Avanzi di amministrazione dei comuni sbloccati ma solo per le spese di investimento

Avanzi di amministrazione dei comuni sbloccati ma solo per le spese di investimento

La notizia riportata dai giornali del 4 ottobre 2018 è lo “sblocco” degli avanzi di amministrazione dei comuni attivato (sia pure in modo ancora parziale) dalla Ragioneria generale dello Stato, con la circolare 25/2018.

Non si può, intanto, non sottolineare il tempismo formidabile con cui Vitalba Azzollini, su questo blog, aveva sollevato pochissimi giorni fa il problema delle risorse comunali ancora tenute ferme, nonostante due sentenze della Corte costituzionale.

A meglio ponderare la questione, tuttavia, la vera notizia non consiste tanto nello sblocco degli avanzi, parziale, tardivo ed indotto a forza dalla Consulta, quanto nella circostanza che possa fare “notizia” una circostanza del genere.

La vera notizia che avrebbe dovuto destare sgomento è quella all’origine: la decisione di tenere bloccati gli avanzi di amministrazione, frutto di un sistema contabile terribilmente farraginoso, tendente a scaricare sugli enti locali (e quindi sui servizi immediatamente necessari ai cittadini: strade, scuole, servizi sociali, sicurezza urbana, ecc…) necessità di bilancio che lo Stato, pur potendo manovrare su una spesa molto più ampia (800 miliardi contro i 70 circa a disposizione degli enti locali), quel rigore di bilancio che da sempre non ritiene di seguire.

Lo sblocco, quando sarà a regime, varrà 16 miliardi: un punto di Pil. Un’enormità. Che da anni e anni viene tenuta bloccata, resa ingestibile da un sistema contabile assurdo, che mette la polvere sotto il tappeto per far apparire una disciplina di bilancio in realtà molto indisciplinata.

L’altra vera notizia è che da anni, quindi, un punto di Pil di spesa pubblica è sottratto al giro dell’economia. Si tratta di 16 miliardi che gli enti locali, pur avendo gestito in maniera virtuosa i bilanci, non hanno potuto redistribuire in opere ed investimenti. Proprio mentre l’Italia era nel profondo della crisi economica o, comunque, è ancora l’ultimo vagone del treno, già in fase di frenata, della timida ripresa.

C’è voluta la Corte costituzionale per evidenziare che il sistema non può tenere. Bastava la semplice logica, senza scomodare nè la Consulta, nè la Ragioneria generale, per evitare tutto questo ed attivare, piuttosto, una disciplina di bilancio statale molto diversa.

Non ci si deve stupire, dunque, del fatto che, se per anni si tengono in ostaggio le risorse degli enti locali, e se dal 2014, anno di avvio di una delle riforme più scellerate e tecnicamente disastrose mai viste, quella delle province firmata Delrio, poi i ponti si degradino, le scuole scricchiolino, le tubature si rompano e ci si ritrovi, ora e subito, con un conto elaborato proprio dalle province – vittime del populismo tanto al chilo dello stile dell’inchiestismo giornalistico che pare intendersi di pubblica amministrazione quando invece ne distorce sempre totalmente la visione – a dover spendere 3 miliardi per ripristinare i ponti usurati della rete stradale provinciale.

Uno Stato che blocca 16 miliardi di investimenti, strozza una sua componente ordinamentale e manda a ramengo chilometri e chilometri di strade. Una contabilità locale assurda, che comunque renderà difficilissimo spendere velocemente le risorse “sbloccate” ed un codice dei contratti fonte di ulteriori lungaggini e blocchi degli investimenti. Le vere notizie sono queste. Purtroppo.

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