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Incentivi non dovuti: il responsabile finanziario risponde di peculato

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale e giornalista pubblicista
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 49922, del 2 novembre 2018, ha confermato la condanna di un responsabile finanziario di un ente locale; risponde del reato di peculato il responsabile che utilizza gli incentivi previsti per la riscossione ICI per sé e per gli altri dipendenti.
Il contenzioso
La Corte di appello ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva condannato un dipendente di un ente locale, alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione per il reato di cui all’art. 314 c.p., per essersi appropriato, nella qualità di responsabile dell’ufficio finanza e tributi, del danaro di cassa del Comune da cui dipendeva e di cui aveva la disponibilità in ragione del suo ufficio, provvedendo ad autoliquidarsi ed a liquidare ad altri dipendenti comunali, compensi incentivanti, non dovuti, per attività finalizzate al recupero dell’I.C.I.
Il carattere non dovuto dell’erogazione era stato ritenuto colpevole in ragione dell’intervenuto affidamento da parte del Comune del servizio di accertamento e riscossione a società esterne e comunque perché gli incentivi erano stati determinati con modalità di calcolo difformi da quelle previste nel regolamento comunale ed in difetto delle autorizzazioni e dei relativi pareri di conformità.
Il funzionario che era già stato condannato dalla Corte dei conti per danno erariale con sentenza del 2012 confermata in appello, contravvenendo alla normativa di settore che vieta ogni automatismo nella corresponsione degli emolumenti accessori ai dipendenti dell’amministrazione territoriale addetti all’accertamento ed al recupero dell’I.C.I. e che richiede, invece, un incremento della prestazione lavorativa o dei risultati, aveva erogato gli incentivi al personale per liquidazione diretta e non controllata, attraverso pagamenti «fuori busta» e non dichiarati nel CUD, senza costituire il fondo finalizzato a potenziare l’ufficio tributi del Comune.
L’elargizione del denaro pubblico era, pertanto, intervenuta non sulle somme incassate dell’imposta evasa, e quindi in applicazione del criterio di cassa, ma con riferimento alle somme accertate negli avvisi di pagamento e non contestate dai contribuenti, con conseguente liquidazione per importi virtuali ovverosia per acconti posti a carico delle annualità precedenti di bilancio, con utilizzo dei residui del conto degli esercizi precedenti.
La dovuta costituzione del fondo avrebbe invece richiesto il consolidamento dell’imposta evasa per il relativo accertamento, con successiva confluenza nel primo di quanto incassato e destinato allo scopo e con possibilità di controllo dell’organo politico. L’imputato avrebbe provveduto a liquidare a se stesso i compensi incentivanti in posizione di conflitto.
Con la condanna hanno trovato conferma le statuizioni accessorie di estinzione del rapporto di lavoro con l’amministrazione comunale, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la condanna al risarcimento dei danni in favore del Comune con liquidazione di una provvisionale.
Avverso l’indicata sentenza ricorre in cassazione il funzionario comunale con una serie articolata di motivazioni.
L’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione ritiene infondate le motivazioni del ricorso.
I giudici di legittimità osservano che la Corte territoriale ha condannato per il reato di peculato il responsabile dell’ufficio finanza e tributi del Comune per essersi egli appropriato, avendone per ragioni del suo ufficio la disponibilità, del denaro di cassa dell’amministrazione comunale, provvedendo a liquidare a se stesso e ad altri dipendenti, compensi incentivanti per la riscossione dell’I.C.I. non dovuti per le modalità di calcolo osservate, difformi da quelle previste dalla disciplina di settore, e trattandosi di attività esternalizzata a terzi. Per le raggiunte conclusioni, i giudici di appello, preliminarmente chiamati a darne ricostruzione, hanno fornito dell’insieme di norme che disciplinano il fondo per l’incentivazione dei compensi ai dipendenti comunali impegnati nel servizio di riscossione dell’Ici evasa, una corretta interpretazione provvedendo poi, nel confronto con gli adempimenti di legge richiesti dall’indicato sistema, a segnalare delle condotte osservate dall’imputato, nella registrata loro rilevante deviazione dal modello legale, l’integrazione del reato di peculato per i necessari estremi obiettivi e soggettivi.
Le norme di natura amministrativo-contabile devono intendersi richiamate da quella penale di definizione del delitto di peculato provvedendo esse ad assolvere alla finalità di determinare la destinazione del pubblico danaro ed in tal modo concorrendo a qualificare in termini appropriativi la condotta del pubblico funzionario o dell’incaricato di un pubblico servizio là dove questi provveda a dare del denaro pubblico un utilizzo in macroscopica violazione del procedimento amministrativo e segnatamente per una finalità che, insussistente, registri l’abbandono di ogni rapporto dell’utilizzo stesso con la P.A. .
Il complesso di norme plurifonte destinato a venire in considerazione nella disciplina dell’indicata materia affida ai Comuni, nell’esercizio della potestà regolamentare loro riconosciuta, la scelta di destinare una percentuale del gettito I.C.I. al fine di potenziare gli uffici tributari, stabilendo l’attribuzione di compensi incentivanti al personale addetto.
I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, entrano a comporre il quadro normativo di riferimento. Essi individuano il salario accessorio per il personale non dirigente composto da risorse in cui rientrano quelle destinate all’incentivazione di prestazioni che confluiscono in un apposito fondo il cui utilizzo, finalizzato al miglioramento dei livelli di efficienza delle amministrazioni e della qualità dei servizi, avviene per erogazione di compensi correlata al merito ed ai risultati conseguiti.
I compensi incentivanti il miglioramento del servizio entrano a far parte di un «Progetto» all’interno del quale vengono determinati, insieme all’ammontare dell’incentivo stabilito in misura percentuale dell’I.C.I. accertata, gli obiettivi e gli indicatori di produttività.
II «Progetto» deve essere approvato dall’amministrazione con atto di indirizzo all’interno della cd. contrattazione integrativa, decentrata o di secondo livello.
All’operatività dell’indicato meccanismo resta affidata, come evidenziato nell’impugnata sentenza, la verificabilità del maggiore impegno del personale nella sottolineata finalità di modulare l’incentivo all’effettivo incremento di produttività «in coerenza con gli obiettivi annualmente predeterminati» dell’amministrazione e con sottrazione dello stesso ad ogni automatismo (art. 18 CCNL), per un processo di progressiva razionalizzazione e riduzione del costo del lavoro pubblico.
La Corte di Cassazione osserva che il sistema adottato dall’imputato per la liquidazione degli incentivi in acconto, sugli avvisi di imposta inviati ai contribuenti e non contestati e con incidenza sui residui degli anni precedenti di bilancio è indice, come debitamente rilevato dai giudici di merito della mancanza di un realizzo in termini di cassa, o di effettivo introito delle somme da destinarsi all’incentivo, e pertanto di un etero-finanziamento del «Progetto» sui compensi incentivanti che contrasta con le finalità dell’istituto di incentivazione di dotazioni umane e materiali neppure incentivate dalla valorizzata, in sentenza, distribuzione a personale estraneo finanche all’ufficio tributi.
L’ulteriore profilo di censura, osserva la Cassazione, con cui si contesta la sussistenza della pure ritenuta, in sentenza, violazione dell’art. 24, commi 3 e 8, D.Lgs. n. 165 del 2001 in ragione di posizioni dirigenziali apicali in realtà non appartenenti all’imputato, funzionario non laureato con incarico di posizione organizzativa, resta superato dal rilievo contenuto nell’impugnata sentenza e rispondente alla disciplina di settore che il fondo incentivante è presupposto della erogazione degli emolumenti aggiuntivi in favore di tutti i dipendenti degli enti locali.
La deviazione essenziale dai modelli tipici definiti dal sistema di riferimento sostiene debitamente il formulato giudizio sulla sussistenza, insieme alla condotta contestata, del dolo appropriativo proprio della fattispecie di peculato.
Nel delitto di peculato all’appropriazione del denaro pubblico si correla un necessario coefficiente di volontà in difetto del quale non sussiste neppure l’appropriazione.
Il dolo del peculato ex art. 314, comma 1, c.p. ha natura generica ed è dato dalla volontà del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio di fare propria la cosa con la consapevolezza di averne il possesso o la disponibilità per ragione dell’ufficio o del servizio e che pertanto sulla stessa insiste un diritto altrui.
La condotta tenuta dall’imputato con deviazione dal modello legale per mancata costituzione di un «Progetto» di gestione obbediente a criteri di predeterminazione e verificabilità degli obiettivi coinvolti e con commisurazione sugli stessi dell’incentivi erogati al fine di incrementare gli standard quantitativo-qualitativi del servizio, all’interno di un procedimento in cui è chiamato a partecipare l’organo politico dell’ente locale per correlarsi all’azione del pubblico funzionario nella gestione del servizio integra, nelle articolate e corrette conclusioni dei giudici di merito che sfuggono a censura nel giudizio di legittimità, il dolo del reato.
Le conclusioni
I giudici di legittimità nel respingere il ricorso evidenziano che nel caso in esame si è “verificata una rilevante illiceità nella gestione del denaro pubblico, in totale spregio della normativa di riferimento che vieta ogni automatismo nella corresponsione dei compensi incentivanti per i dipendenti”.

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