21/11/2018 – La Cassazione conferma che un incarico di collaborazione non può essere convertito in rapporto di pubblico impiego

La Cassazione conferma che un incarico di collaborazione non può essere convertito in rapporto di pubblico impiego

Corte di Cassazione, sentenza n. 28162 del 5 novembre 2018

Un collaboratore di una P.A. aveva chiesto con ricorso che il giudice disponesse la conversione del rapporto a causa della violazione del divieto di cui all’art. 36 d.lgs. n.165/2001.

La Corte territoriale dalla natura subordinata del rapporto di fatto intercorso fra le parti ha tratto le sole conseguenze consentite dall’art. 2126 cod. civ., in linea con il principio, egualmente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, alla stregua del quale «il rapporto di lavoro subordinato instaurato da un ente pubblico non economico, affetto da nullità perché non assistito da regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra nella sfera di applicazione dell’art. 2126 c.c., con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo per il tempo in cui il rapporto stesso ha avuto materiale esecuzione» ( Cass. 21.11.2016 n. 23645 e negli stessi termini Cass. 201.1.2016 n. 991; Cass. 20.5.2008 n. 12749).

Le richiamate pronunce hanno evidenziato che l’art. 2126 cod. civ. ha applicazione generale e riguarda tutte le ipotesi di prestazione di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, salvo il caso in cui l’attività svolta risulti illecita perché in contrasto con norme imperative attinenti all’ordine pubblico e poste a tutela di diritti fondamentali della persona. Si è precisato anche che il trattamento retributivo e previdenziale spettante al lavoratore è quello proprio «di un rapporto di impiego pubblico regolare » (in motivazione Cass. n. 12749/2008) e, quindi, quello previsto ex art. 2 d.lgs. n. 165/2001 dal contratto collettivo di comparto, sicché i motivi risultano destituiti di fondamento lì dove assumono che il giudizio di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione doveva essere espresso valutando il mancato superamento da parte dello Spatola di una regolare procedura concorsuale.

Infine osserva il Collegio che non è pertinente il richiamo al principio affermato da Cass. S.U. n. 5072/2016 perché, da un lato, non viene qui in rilievo la questione della compatibilità con il diritto eurounitario del divieto di conversione e del risarcimento del danno da liquidare in caso di abusiva reiterazione del contratto a termine, dall’altro l’indennità onnicomprensiva, che ha natura risarcitoria, non assorbe le differenze retributive dovute, per i periodi lavorati, in ragione della diversa qualificazione del rapporto (Cass. n. 17248/2018, Cass. n. 262/2015, Cass. n. 13630/2014).

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