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La strada sbagliata verso la centralizzazione degli appalti

L. Oliveri (La Gazzetta degli Enti Locali 7/11/2018)

“Con buona approssimazione è possibile affermare che una delle riforme meno incisive ed utili di questi anni sia stata quella che ha progressivamente forzato le amministrazioni pubbliche ad effettuare appalti mediante soggetti aggregatori, centrali di committenza o stazioni uniche appaltanti.

A parte l’enorme confusione del reticolo delle competenze di questi vari soggetti, condizionata anche dall’oggetto degli appalti (per esempio, le norme sugli acquisti informatici hanno una natura peculiare, mentre soglie diverse di appalti segnano maggiore libertà di azione autonoma al ridursi del loro valore), due dati si possono citare a dimostrazione non solo della scarsa utilità di queste norme, ma perfino della loro dannosità. Infatti, da quando a partire dal 2012 con la “spending review” di Monti si sono susseguite progressive forzature verso la concentrazione degli appalti in pochi soggetti, culminate negli articoli 37 e 38 del d.lgs. 50/2016, si registra da un lato la crescita costante della spesa statale per consumi intermedi (cioè gli appalti di servizi e forniture) e l’inarrestabile contrazione della spesa per investimenti, dovuta al fatto che si fanno sempre meno appalti di opere pubbliche e comunque per importi sempre più bassi.

Né il sistema delle aggregazioni delle stazioni appaltanti garantisce maggiore impermeabilità alla corruzione e migliore efficacia nella selezione degli appaltatori, come pure per molti anni coloro che insistono sulla bontà di questa scelta avevano sostenuto a gran voce. Il caso dell’appalto di facility management per 2,7 miliardi, attivato dalla Consip dimostra esattamente che la concentrazione degli appalti incrementa all’inverosimile gli appetiti e rende più semplice la confluenza di forze ed interessi non commendevoli verso il flusso di denaro che ne deriva. Sempre la Consip è la stazione appaltante che non ha avuto modo di avvedersi delle condizioni pre fallimentari della società Qui affidataria del servizio da centinaia di milioni per i buoni pasto.

Di fronte a queste evidenze, un Governo che si auto definisce “del cambiamento” ci si aspetti cambi la direzione della normativa e ripensi ad un sistema che da 6 anni ha solo complicato la vita alle amministrazioni appaltanti, senza ricadute di utili ed evidenti benefici per i cittadini.”

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