01/03/2018 – Danni derivanti da cose in custodia e responsabilità da fatto illecito

Danni derivanti da cose in custodia e responsabilità da fatto illecito

di Roberto Rossetti – Comandante Polizia Locale

 

Un pedone caduto in pieno giorno su un percorso acciottolato ricorre in Cassazione per chiedere il risarcimento del danno al Comune proprietario della strada. In prima istanza il Tribunale e poi la Corte di Appello, non avevano accolto tale richiesta sul presupposto che, il pedone stesso, non avesse adottato le dovute cautele decidendo di effettuare un percorso che appariva pericoloso per le sue evidenti caratteristiche di irregolarità, adottando, dunque, un comportamento tale da interrompere “il nesso causale tra obbligo di custodia e l’evento dannoso lamentato“.

Il ricorso in Cassazione è fondato sul fatto che il percorso effettuato dal pedone non era inusuale, né vietato, ma versava in cattivo stato di manutenzione e, che “nei casi di insidia e trabocchetto”, era onere del Comune quale custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c., provare l’omissione delle normali cautele da parte del danneggiato e non viceversa, come ritenuto in primo grado.

La fattispecie offre al Collegio l’occasione per una puntualizzazione dei principi in materia di responsabilità per danni da cose in custodia, come via via espressi dalla giurisprudenza della stessa Corte, con attenzione specifica alla custodia dei beni demaniali e, tra questi, di quelli di grande estensione, come strade e loro pertinenze, premettendo che incombe al danneggiato formulare un’opzione chiara tra l’azione generale di responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2043 c.c. e quella della responsabilità oggettiva per il fatto connesso alla cosa in custodia, ai sensi dell’art. 2051 c.c., che hanno tratti caratteristici, presupposti, funzioni ed oneri processuali assai diversificati (cfr. le sentenze della stessa Sez. III, n. 18609/2013 e 18463/2015).

La Corte ricorda che è oramai principio consolidato che la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. non esonera il danneggiato dall’onere di provare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria, dimostrando che il fatto è avvenuto per caso fortuito o con carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 29 luglio 2016, n. 15761).

La responsabilità in esame è qualificata come responsabilità oggettiva, nella quale non gioca alcun ruolo la negligenza o, in generale, la colpa del custode, il quale deve poter vantare una signoria di fatto sulla cosa stessa, in quanto solo così è possibile adottare i necessari rimedi per impedire la provocazione di danni (Cass. Civ., Sez. III, 29 settembre 2017, n. 22839).

Sotto il profilo della causazione del danno da parte della cosa in custodia, la Corte si rifà ad una elaborazione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenze dell’1 gennaio 2008, nn. 576 e ss.) che richiamano l’applicazione dei principi penalistici, di cui agli artt. 40 41 c.p., per i quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo. Tutto ciò che non è oggettivamente prevedibile ovvero tutto ciò che rappresenta un’eccezione alla normale sequenza causale, integra il caso fortuito, quale causa non prevedibile, che comporta anche la non evitabilità dell’evento.

Queste conclusioni vanno applicate alla fattispecie del “danno cagionato dalle cose in custodia”, di cui il custode è responsabile a prescindere dalle sue caratteristiche di pericolosità, con una gamma, quindi, potenzialmente indefinita di situazioni, a partire dai casi in cui la cosa è del tutto inerte ed in cui l’interazione del danneggiato è indispensabile per la produzione dell’evento, via via fino a quelle in cui il dinamismo della cosa diviene preponderante od esclusivo e la condotta dell’uomo persino assente. Le stesse considerazioni possono essere fatte per quanto attiene alla sua pericolosità.

In questo complessivo contesto la giurisprudenza tradizionalmente accolla al danneggiato la sola prova del nesso causale tra la cosa e il danno, incombe poi al custode provare l’inesistenza del nesso causale, oppure che il nesso causale non era né prevedibile, né evitabile.

Il caso fortuito è ciò che non può prevedersi (mentre la forza maggiore è ciò che non può evitarsi) e anche la condotta del danneggiato può integrare il caso fortuito ed escludere (integralmente) la responsabilità del custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c., purché, però, sia stata colposa e non fosse prevedibile da parte del custode (cfr. Cass. Civ., Sez. III, ord. 31 ottobre 2017, n. 25837).

Per la Suprema Corte, il “caso fortuito”, idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno, è quel “fattore causale, estraneo alla sfera soggettiva, che presenta i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità“, comprensivo anche del fatto del terzo o della colpa del danneggiato, purché abbia efficacia determinante dell’evento dannoso.

La Corte si sofferma poi a definire alcuni importanti concetti relativi agli eventi dannosi, sostenendo che “l’imprevedibilità va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell’evento, benché non anche come sua impossibilità, mentre l’eccezionalità è qualcosa di più pregnante dell’improbabilità (quest’ultima in genere intesa come probabilità inferiore alle cinquanta probabilità su cento), dovendo identificarsi come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come “normale”, vale a dire entro margini di oscillazione, anche ampi , intorno alla media statistica [..]”.

Una volta che il danneggiato ha fornito la prova del nesso causale tra cosa custodita ed evento dannoso, la colpa o l’assenza di colpa del custode resta del tutto irrilevante ai fini della sua responsabilità, ai sensi dell’art. 2051 c.c, mentre più gravosi sono gli oneri probatori che gravano sul danneggiato nella fattispecie di cui all’art. 2043 c.c., in cui egli deve provare una colpa del danneggiante e non solamente del nesso causale tra il presupposto della responsabilità civile ed evento dannoso.

Quando l’azione è proposta ai sensi dell’art. 2051 c.c. la descrizione delle omissioni, delle violazioni degli obblighi di legge, delle regole tecniche da parte del custode, è diretta soltanto a rafforzare la prova dello stato della cosa e della sua attitudine a recare danno, sempre ai fini di fornire la prova predetta.

La Suprema Corte ritiene, quindi, di poter concludere affermando che l’imprevedibilità dell’evento, idonea ad esonerare il custode dalla responsabilità, deve essere oggettiva senza che rilevi la colpa (o meno) di costui. Il nesso causale deve essere identificato sulla base dei fatti prospettati dalle parti ed acquisiti in causa, distinguendo, però, se tra la cosa ed il danno interferisca la condotta umana del danneggiato.

La Corte ritiene, inoltre, che la ricostruzione del nesso causale vada operata dal giudice, anche d’ufficio (cfr. Cass. Civ., sez. III, 22 marzo 2011, n. 6529) e anche quando il danneggiante o il responsabile si limiti a contestare in toto la propria responsabilità, attraverso le opportune indagini sull’eventuale incidenza causale del fatto del terzo o del comportamento colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte, purché risultino adeguatamente descritti i fatti (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 30 settembre 2014, n. 20619Cass. Civ., Sez. Unite., 3 giugno 2013, n. 13902).

Sia nel caso di responsabilità per cose in custodia (ex art. 2051 c.c.), sia nell’ipotesi di risarcimento da fatto illecito (ex art. 2043 c.c.), il comportamento colposo del danneggiato, che sussiste quando egli abbia usato un bene senza la normale diligenza, può, nei casi più gravi, divenire concorso nel fatto colposo (ex art. 1127, c. 1, c.c.), ovvero escludere il nesso causale tra la cosa ed il danno e, con esso, la responsabilità del custode, integrando gli estremi del caso fortuito previsto dall’art. 2051 c.c.. Se il pericolo è prevedibile, la situazione è superabile con l’adozione di normali cautele da parte dello stesso danneggiato ed in questo caso l’imprudenza dello stesso è idoneo a interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 6 maggio 2015, n. 9009 e, in precedenza, Cass. Civ., Sez. III, 7 maggio 2007, n. 10300).

La mancata adozione di idonee cautele comporta la limitazione del risarcimento e corrisponde al dovere di solidarietà sociale, imposto dall’art. 2 Cost., che impone al soggetto di regolare la propria condotta in rapporto alle diverse situazioni che affronta. Per contemperare l’esigenza di tutela del diritto alla vita da parte dello Stato con quella di non accollare immotivatamente alla collettività le conseguenze dannose di natura economica, “la persona che, pur capace di intendere e di volere, si esponga volontariamente ad un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, tiene una condotta che costituisce causa esclusiva dei danni eventualmente derivati, e rende irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato a segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto” (Cass. Civ. , Sez. III, 23 maggio 2014, n. 11542). Per questo è riconosciuto ai pubblici poteri la possibilità di non risarcire danni derivanti da condotte volontarie che hanno causato la lesione dei diritti alla incolumità della persona e alla salute in genere.

Riassumendo i principi di diritto da applicare al caso concreto, la Corte afferma che

a) “la responsabilità per cosa in custodia, ex art. 2051 c.c., prescinde da qualunque connotato di colpa, incombe, quindi, al danneggiato fornire la prova del rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima”;

b) “le omissioni, le violazioni di obblighi di legge o di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini dell’applicazione dell’art. 2043 c.c., salvo serva a dimostrare lo stato in cui si trova la cosa e la sua capacità di recare danno”;

c) “il caso fortuito è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità e, per questo, non ha rilievo la diligenza o meno del custode”;

d) “quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili, tanto più il comportamento imprudente del danneggiato incide sulla causazione del danno”.

Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte, ritiene che il Tribunale abbia adeguatamente valutato i fatti in causa e rigetta il ricorso.

Cass. Civ., Sez. III, 1 febbraio 2018, n. 2481

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