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Se il segretario particolare non appartiene alla maggioranza consueta

Cosa succedeva quando un Ministro nominava fiduciariamente, applicando per altro regolamenti interni attuativi dell’articolo 14 del d.lgs 165/2001 e delle norme di disciplina dei ministeri, il proprio segretario particolare negli scorsi 25 anni?

Nulla. Nella stampa sostanzialmente non se ne parlava. E tante nomine fiduciarie passavano via, lisce come l’olio, anche quando, per la verità, non riguardavano lo strettissimo staff del Ministro, ma al contrario incarichi operativi e gestionali che richiedono, per tutta un’altra tipologia di norme a partire dall’articolo 98 della Costituzione, autonomia, pur nel rispetto dell’indirizzo politico.

Al cambiare delle due maggioranze che si sono alternate nello scorso quarto di secolo e con l’avvento di una coalizione piuttosto diversa, invece, la nomina fiduciaria del segretario particolare del Ministro diviene una pietra dello scandalo. Come anche, improvvisamente, lo spoil system.

Certo, il principale partito dell’attuale maggioranza di Governo ha contribuito non poco, in passato, alla stigmatizzazione attuale della nomina del segretario particolare del suo leader che è anche Ministro del lavoro.

Per anni, quel partito ha contribuito a suonare la grancassa, assieme ad una consistente parte della stampa, contro la “casta”. Tutto è divenuto “casta” e demonizzato: le auto blu, le province, i Tar, gli appalti, le procedure e, certo, gli incarichi.

Le forze politiche che negli scorsi 25 anni si sono alternate non hanno certo brillato per capacità di ricondurre a logica e a ponderazione le grida contro la “casta”. Pensando di ottenere facili consensi in particolare dal sistema Stella&Rizzo, si sono buttate contro le “auto blu”, ed è finita che le amministrazioni nemmeno possono più disporre non delle odiose auto per i “papaveri£”, ma delle macchine di servizio (chiedere ai comuni, per verificare); le province sono state devastate, senza nemmeno ottenere i risparmi che in maniera incosciente, oltre che poco competente, si urlava si sarebbero acquisiti; la giustissima lotta contro la corruzione si è trasformata in un apparato spaventoso di norme, codicilli, adempimenti minuti e dati da caricare che ai corrotti e corruttori non scuce un baffo; le cautele per gli appalti hanno bloccato gli investimenti.

E sugli incarichi? Siamo ancora al punto di partenza, fallito il tentativo della passata legislatura di politicizzare definitivamente non lo stretto straff del politico, quello che aiuta il ministro, il presidente della regione, il sindaco, l’assessore a formare l’indirizzo politico, ma chi deve operare con imparzialità nell’attuare le norme.

Giusto e corretto, quanto gravemente tardivo, l’allarme contro lo spoil system, gridare al lupo contro l’incarico fiduciario per il ruolo più fiduciario di tutti, quello del capo segreteria di un Ministro, però, altro non è se non la volontà di rinfacciare a chi ha urlato al lupo, troppo, per troppo tempo, contro ogni atto della “casta”.

Su Il Fatto Quotidiano del 20 luglio 2018, Elisabetta Ambrosi nell’articolo “Assia Montanino e i cliché da medioevo” prova ad evidenziare gli eccessi e gli errori di quelle critiche.

Ma, se il ragionamento esposto nel suo complesso appare sostenibile, laddove evidenzia che è la normativa ad ammettere espressamente simili incarichi fiduciari, l’articolo pecca laddove non considera che gli attacchi mediatici a quell’incarico sono frutto delle urla troppo spesso smodate e fuori mira contro la “casta”, alle quali molte volte Il Fatto ha fatto da amplificatore.

Argomenta la Ambrosi: “sempre il Giornale si è cimentato in una comparazione tra il suo stipendio e una serie di mestieri con paghe inferiori: il chirurgo a 38.000 euro l’anno, la segretaria di direzione in un’azienda a 18.000 euro, un avvocato a 10.000 euro l’anno. Insomma, il fatto che in Italia il lavoro venga sfruttati diventa un’accusa contro chi invece lo non è. Quasi fosse stato meglio che Di Maio avesse assunto una segretaria a 5000 euro l’anno, magari in nero. Il motivo di tale avversione è soprattutto uno: nel nostro paese sembra ancora scandaloso che una donna, per di più giovane, possa guadagnare 70.000 euro l’anno (infatti non accade quasi mai), tanto che il suo predecessore, segretario del ministro Calenda, veniva addirittura elogiato, anche se percepiva lo stesso identico compenso, senza che nessuno avesse da obiettare e senza che nessuno lo chiamasse con disprezzo “compaesano”“, aggiungendo che “si è difesa invece benissimo l’interessata, che ha risposto in manie a spiazzante dicendo che, avendo un doppio ruolo, avrebbe diritto a due stipendi e che la cifra che prende copre un impegno di sette giorni su sette senza limiti di orario e con responsabilità importanti“.

E’ oggettivamente necessario sottolineare che queste argomentazioni proprio non reggono. Il problema, a prescindere da chi sia la persona che ricopra la carica di Ministro e dalla persona che riceva l’incarico di capo della segreteria, non sta nella selezione fiduciaria, ma proprio nell’entità dello stipendio. Non può sfuggire a nessuno che è un trattamento economico parametrato a quello dirigenziale, per funzioni sicuramente rilevanti per il Ministro pro tempore, ma che costituiscono comunque competenze piuttosto diffuse nel mercato. Di segretari particolari che si dedicano 24 ore su 24 e per 7 giorni su 7 ce ne sono moltissimi e bravissimi. Certo, è inutile e dannoso il gioco al dumping, ma sembra evidente che quel trattamento economico è molto, troppo generoso, mentre il rilievo del “doppio ruolo” privo di senso, visto che anche se si tratta della segreteria di un Ministro posto a capo di due dicasteri, l’agenda e la persona del Ministro sempre univoche sono.

Quel trattamento economico parametrato a stipendi per ruoli – si consenta – molto più delicati è, poi, la base per consentire, per esempio, negli enti locali, di attivare incarichi in staff per sindaci ed assessori a cifre anche più elevate. Su queste basi più sociologiche che giuridiche, la convinzione che il segretario debba essere pagato come un dirigente, ma anche a cagione di alcune sentenze che hanno accertato l’illegittimità e il danno erariale connesso a questi incarichi, una delle riforme Madia ha proprio previsto che a prescindere dal titolo di studio (tantissimi sono i segretari particolari con la sola terza media o comunque privi della laurea) chi è incaricato negli staff degli organi di governo ha un trattamento economico appunto “parametrato” a quello dirigenziale (articolo 90 del d.lgs 267/2000).

Con uno sguardo pacato ed oggettivo, sembra che siano proprio queste le cose che non vanno. Urlare alla “casta” o fare il controcanto a queste urla non serve a niente. Un’analisi seria delle disfunzioni generate dalle norme (appunto su appalti, incarichi, staff, ordinamento locale, personale, assunzioni, investimenti, anticorruzione) per eliminarle (l’articolo 90 del d.lgs 267/2000 dovrebbe essere il primo a subire una profonda risdcrittura) sarebbe il primo passo utile per una pubblica amministrazione equilibrata e più efficiente. Non sembra che partire dalla pur utile e necessaria valutazione dei dirigenti, come propone l’attuale Ministro della funzione pubblica, sia esattamente l’avvio deciso del processo di razionalizzazione del quale si ha effettiva necessità

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