04/01/2018 – Santilli ci spieghi: la PA inefficiente è colpa delle norme o dei burocrati ovviamente fannulloni?

Santilli ci spieghi: la PA inefficiente è colpa delle norme o dei burocrati ovviamente fannulloni?

 
Se c’è un argomento che nella stampa “tira” è certamente quello della “burocrazia” deresponsabilizzata che induce la PA ad essere un peso per l’intero Paese, trascinato nel baratro dalla sua inefficienza.

L’articolo a firma di Giorgio Santilli su Il Sole 24 ore del 3 gennaio 2018, dal titolo “La Pa in fuga dalle riforme paralizza la crescita” rappresenta al tempo stesso la summa e l’archetipo delle filippiche praticamente quotidiane che i media riservano alla “burocrazia” italiana.
Tuttavia, leggendo i passaggi principali dell’indignata invettiva, sorge forte il dubbio che troppo spesso simili omelie risultino intrise di slogan volti a creare consenso a buon mercato, tanto sono contraddittorie e prive di analisi profonde.
Leggiamo la prima considerazione dell’articolo: “le imprese e i cittadini italiani combattono ogni giorno la battaglia dei problemi concreti, che devono risolvere per non chiudere i battenti o più semplicemente per onorare gli impegni assunti. Sono problemi non di rado generati da un apparato normativo ipertrofico e da una pubblica amministrazione inefficiente”.
Dunque, si sostiene che tra le principali cause delle difficoltà di imprese e cittadini, ve ne siano due:
1)      un apparato normativo ipertrofico;
2)      una pubblica amministrazione inefficiente.
Applausi, no? Come non essere d’accordo. L’enunciazione sicuramente è ad effetto e suggestiva e immediatamente porta ad assentire.
C’è tuttavia, al suo interno una contraddizione insanabile. Infatti, l’analisi, probabilmente anche a causa dei limitati spazi consentiti dalle pagine di un quotidiano, risulta del tutto priva di collegamento logico, perché carente di un elemento, però, al tempo stesso semplice ed indispensabile: comprendere quali siano, cioè, gli strumenti di lavoro della pubblica amministrazione.
Guarda caso, la pubblica amministrazione è chiamata a lavorare utilizzando come strumento di lavoro imprescindibile, perché obbligata a rispettare il principio di legalità, esattamente quell’apparato normativo ipertrofico, cagione prima dei problemi segnalati dal Santilli. Allora, se l’apparato normativo si segnala per questo rilevantissimo difetto (basti pensare che la legge 205/2017, la legge di bilancio per il 2018 è composta da 1 articolo di 1181 commi, intrisi di regole, normette, codicilli, tra le quali è difficilissimo orientarsi e comprenderle), come può immaginarsi che l’organismo chiamato a lavorare utilizzando uno strumento deteriorato, appunto l’apparato normativo ipertrofico, possa essere miracolosamente efficiente e rapido?
Continuiamo la lettura dell’articolo. Il Santilli prosegue netto, sostenendo che ci si trova davani ad “Una Pa che spesso, anche a dispetto delle riforme varate, resta la vera palla al piede del Paese”. E giù altri applausi. E fa tre esempi “di difficoltà che le imprese si trovano a vivere quotidianamente in questa epoca: il nuovo codice degli appalti con la sua attuazione lunga e contorta, i tempi lunghi della giustizia civile, una macchina fiscale che promette semplificazioni e un po’ più di equità ma stenta a tenere il passo necessario per metterle in pratica”.
Ma, un attimo: il codice degli appalti, la disciplina processuale civile e le norme fiscali troppo complicate, chi le produce? La PA “palla al piede”, oppure il Legislatore, inteso come complesso di Parlamento, Governo, Ministeri e autorità varie, che dispongono del potere, di varia natura, normativo ed autori primi, quindi, dell’ipertrofia normativa?
Servirebbe un’analisi imparziale”, scrive il Santilli. Vero. Ma, servirebbe anche coerenza. Com’è possibile che nello stesso articolo prima si sostenga che “a dispetto delle riforme varate” la PA è inefficiente, dando quindi la sensazione (del resto data anche dal titolo) che è la PA brutta, borbonica e cattiva, a non voler attuare “riforme” invece meravigliose e miracolose, ma pochissime righe dopo si considera, tra gli esempi di inefficienza, proprio una delle riforme più rilevanti di questi ultimi tempi, cioè il codice dei contratti? Sarebbe il caso di decidersi: o le riforme varate sono la panacea, oppure, se sono riforme sbagliate, certo non possono essere il rimedio ai problemi (sicuramente esistenti) dell’apparato amministrativo.
Ma, proseguiamo nella lettura, appunto alla ricerca della coerenza perduta. “Prendiamo il codice appalti”, afferma il Santilli. Certo, prendiamolo : “varato nell’aprile 2016, attuato parzialmente nel suo primo anno di vita rispetto a una mole di adempimenti mostruosa con 40 provvedimenti e senza un periodo transitorio adeguato (come II Sole 24 Ore denunciò prima ancora del varo), poi rivisto con 300 correzioni legislative nell’aprile 2017, ora si trova nell’assurda situazione di dover rivedere quella parte di attuazione già fatta e completare quella che manca”.
Un disastro vero e proprio, no? Eppure è una delle riforme “varate” che avrebbero dovuto rendere l’Italia più bella e più superba che pria. Ma, chi lo ha redatto il codice dei contratti? I burocrati?
Eppure, nonostante il passaggio dell’articolo evidenzi le responsabilità innegabili del Legislatore, per il Santilli la colpa è proprio loro, dei “burocrati” (sottinteso: fannulloni). Infatti, l’articolo prosegue così: “In questa giostra attuativa, la pubblica amministrazione ha scelto la paralisi, incapace di risolvere i suoi problemi atavici (progettazione carente, stazioni appaltanti frammentate e di bassa qualità, dirigenti che evitano di assumersi responsabilità) mentre le imprese pagano il prezzo più alto del blocco”.
Dunque, il Santilli:
a)                  prima sottolinea che il codice dei contratti è un caos, un insieme di norme abnorme (si scusi l’allitterazione), pieno di errori ed ancora per altro incompleto;
b)                 poi, invece di trarre la conclusione che a causa di questo codice siffatto è del tutto impossibile gestire in maniera razionale procedure di appalto, si scaglia contro la PA, che avrebbe scelto la paralisi, come se invece fosse possibile per atti amministrativi o gestionali superare o supplire ai difetti della legge; e naturalmente la causa di ciò sono i dirigenti che non vogliono le responsabilità
No, la coerenza evidentemente non è elemento dell’analisi che, pure, si vorrebbe fosse imparziale.
Dunque, il Santilli chiosa: “Chi può fuggire dal codice degli appalti fugge: è il caso dell’Anas che, grazie alla fusione con Fs, potrà godere delle norme più favorevoli dei settori speciali”. Ecco. Peccato che i dirigenti “fannulloni”, a meno di non voler incorrere in violazioni di legge, anche penali, non possano permettersi proprio di fuggire dal codice e lo debbono attuare.
Anche se, secondo il Santilli “Chi, nella Pa, non può fuggire, cerca il modo di difendere lo status quo, frenando rinnovazione.
Ancora una volta, non capiamo: sarebbe il codice la cosiddetta “innovazione”? Cioè quel codice che, Santilli dixit, “varato nell’aprile 2016, attuato parzialmente nel suo primo anno di vita rispetto a una mole di adempimenti mostruosa con 40 provvedimenti e senza un periodo transitorio adeguato (come II Sole 24 Ore denunciò prima ancora del varo), poi rivisto con 300 correzioni legislative nell’aprile 2017, ora si trova nell’assurda situazione di dover rivedere quella parte di attuazione già fatta e completare quella che manca”? Ma come è possibile sostenere l’alfa e l’omega nel medesimo pezzo?
Ma non finisce qui. Il Santilli fa propria la “teoria del boicottaggio”, molto sostenuta dall’Anac, secondo la quale il codice, quel codice così afflitto da inestricabili problemi, sarebbe scientemente boicottato dalle pubbliche amministrazioni. Leggiamo ancora: “Le linee guida dell’Anac, espressione di un potere regolatorio innovativo creato per sostenere la riforma e il rinnovamento della Pa, sono state vissute dagli uffici pubblici come diktat invadente o come alibi per non fare (sommergendo l’Autorità non di rado con richieste di pareri anche su aspetti assolutamente pacifici). Anche qui la coerenza resta una chimera. Il Santilli immaginiamo sappia perfettamente che le linee guida dell’Anac sono parte integrante dell’ipertrofia normativa che ha reso il codice, inteso anche come insieme delle norme contenute nel d.lgs 50/2016 e nelle decine di decreti attuativi e appunto linee guida, esattamente la fonte di quella “mole di adempimenti mostruosa” che poco prima il Santilli stesso ha deplorato.
Anche la conclusione appare piuttosto finalizzata all’acquisizione del consenso di chi non ha modo di conoscere a fondo regole e norme: “Non è un caso, quindi, che la riforma [il codice dei contrati, nda] non sia neanche decollata sugli aspetti più qualificanti, come il rating delle Pa che avrebbe dovuto scremare gli uffici legittimati a gestire un appalto, riducendo il numero delle stazioni appaltanti e spostando il carico di competenze e di poteri su uffici tecnici più efficienti e centrali di committenza”.
Ma, nessuno ha vietato all’Anac, competente sull’argomento, ad attuare il rating e la qualificazione delle PA. Tra quella parte di nome attuative che mancano al codice dei contratti e che rendono la sua situazione “assurda”, come giustamente rileva il Santilli, manca esattamente la fissazione dei criteri di qualificazione delle stazioni appaltanti. Ma, non spettava ai dirigenti “fannulloni” realizzare il rating: è una competenza dell’Anac.

Allora, concludendo: sicuramente la PA italiana ha moltissimi problemi di efficienza. Sarebbe, tuttavia, il caso di realizzare un’analisi davvero imparziale e, quindi, come tale, non orientata dal pre-giudizio, quello che fa gridare sempre alla “burocrazia inefficiente” e ai “dirigenti che fuggono dalle responsabilità”, un pre-giudizio che forse fa vendere qualche copia di giornale in più e ottenere molti “like” sui social, ma non si avvicina per nulla all’individuazione delle soluzioni necessarie. Che dovrebbero puntare, per prima cosa, a pretendere maggiore qualità, semplicità e chiarezza dagli strumenti di lavoro, cioè le leggi e le altre norme.

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