21/12/2018 – Anticorruzione con le armi spuntate nel contrasto delle violazioni al divieto di pantouflage

Anticorruzione con le armi spuntate nel contrasto delle violazioni al divieto di pantouflage

di Domenico Irollo – Commercialista/revisore contabile/pubblicista

L’ANAC non è titolare di alcun potere, neppure di tipo accertativo, nei confronti dei privati che infrangono il divieto di pantouflage o revolving doors. Lo ha statuito il TAR Lazio con la sentenza n. 11494 del 2018 in commento, per effetto della quale ha conseguentemente annullato il provvedimento con cui l’Authority aveva accertato la violazione dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, con riferimento all’assunzione, nel gennaio 2017, dell’incarico di Direttore dei rapporti istituzionali per l’Italia di una nota società crocieristica da parte di colui che nel periodo compreso tra il 2012 ed il 2015 aveva ricoperto la carica di Presidente dell’Autorità Portuale di Genova.

Giova premettere che con la disposizione richiamata – introdotta nel D.Lgs. n. 165 del 2001 dall’art. 1, comma 42, L. 6 novembre 2012, n. 190, con finalità di contenimento del rischio di situazioni di corruzione connesse all’assunzione del dipendente pubblico da parte di un privato, successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro con la P.A. – si prevede che “i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni (…), non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti”. Il rischio valutato dalla norma è difatti che durante il periodo di servizio il dipendente possa artatamente precostituirsi delle situazioni lavorative vantaggiose e così sfruttare a proprio fine la sua posizione e il suo potere all’interno dell’amministrazione per ottenere un lavoro per lui attraente presso l’impresa o il soggetto privato con cui entra in contatto. La norma prevede quindi una limitazione della libertà negoziale del dipendente per un determinato periodo successivo alla cessazione del rapporto per eliminare la “convenienza” di accordi fraudolenti. Per questa ragione, dunque, i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.

Orbene, nella circostanza in esame, l’ANAC aveva adottato il provvedimento accertativo della violazione de qua sul presupposto della ritenuta titolarità di uno specifico potere di controllo e di accertamento sulle ipotesi di inconferibilità ed incompatibilità disciplinate dal D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39, che all’art. 21 ha operato un ampliamento dell’ambito di applicazione dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. n. 165 del 2001, con estensione non solo ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ma anche ai soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al citato D.Lgs. n. 39 del 2013, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro subordinato o autonomo. In particolare, l’Anticorruzione si era appellata al disposto dell’art. 16, comma 1, D.Lgs. n. 39 del 2013 che individua nell’ANAC l’Autorità competente a vigilare “sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al presente decreto, anche con l’esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi”.

Una ricostruzione normativa che è stata però stroncata dal G.A. capitolino perché giudicata “parziale”, con conseguente negazione della sussistenza di un potere di vigilanza dell’ANAC esercitabile “erga omnes”: osserva il Collegio laziale che in realtà la norma di cui all’art. 16, comma 1, D.Lgs. n. 39 del 2013 orienta esplicitamente l’attività dell’Autorità nei soli confronti delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, tra cui non rientrano, all’evidenza, né la società crocieristica né il dirigente da questa assunto.

I poteri “ispettivi e di accertamento” che l’ANAC è chiamata a svolgere sono dunque limitati, soggettivamente, alle amministrazioni pubbliche in senso lato richiamate dalla norma e, oggettivamente, al conferimento di un “incarico pubblico”.

Sotto tale profilo, la limitazione dei poteri “ispettivi e di accertamento” è rinforzata dal comma 2 dell’art. 16 cit., secondo cui “l’Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica o d’ufficio, può sospendere la procedura di conferimento dell’incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull’atto di conferimento dell’incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l’accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L’amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell’incarico deve motivare l’atto tenendo conto delle osservazioni dell’Autorità”: anche tale ultima previsione si sofferma sotto il profilo soggettivo sui soli incarichi conferiti da “amministrazioni pubbliche”, come attestato anche dal richiamo alla possibile segnalazione alla Corte dei Conti.

Solo il terzo comma, poi, secondo cui: “l’Autorità nazionale anticorruzione esprime pareri obbligatori sulle direttive e le circolari ministeriali concernenti l’interpretazione delle disposizioni del presente decreto e la loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità degli incarichi e di incompatibilità”, introduce un più generale potere di intervento in ambito non più limitato nel senso dei due commi precedenti; ma ciò solo al fine di predisporre pareri su atti amministrativi riguardanti l’interpretazione del D.Lgs. n. 39 del 2013, che – peraltro – reca nella sua intitolazione un riferimento soggettivo ben preciso legato anche in questo caso esclusivamente a “disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50, L. 6 novembre 2012, n. 190“.

A ciò deve aggiungersi che lo stesso art. 1L. n. 190 del 2012, nel testo entrato in vigore dapprima attraverso lo stesso D.Lgs. n. 39 del 2013 e poi con il D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97, distingue diverse fattispecie, dato che, al comma 3, sono sì previsti poteri ispettivi a favore dell’ANAC ma “per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 2, lettera f)”, e soltanto “mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni”, potendo altresì ordinare “l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 e dalle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dalle disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole” in questione. Le funzioni di cui al comma 2, lett. f), sono però solo quelle per le quali l’Autorità “esercita la vigilanza e il controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 del presente articolo e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti”.

Nuovamente emerge che l’intervento dell’ANAC è limitato nei confronti delle “pubbliche amministrazioni” e, per quanto riguarda i poteri di vigilanza e controllo, solo sull’effettiva applicazione dei commi 4 e 5 dell’art. 1, che si occupano dell’adozione di meri atti programmatici.

Per quanto riguarda il coinvolgimento di soggetti “esterni” alla P.A., opera quanto previsto dal medesimo comma 2, lett. e), secondo cui l’Autorità “esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni, di cui all’art. 53D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all’applicazione del comma 16-ter”.

Ne discende dunque che l’unico ambito che il legislatore ha riconosciuto all’ANAC per intervenire nell’applicazione dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. n. 165 del 2001 in relazione a soggetti non riconducibili alla P.A. è quello circoscritto all’adozione di pareri “facoltativi” in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni nel senso ora riportato.

In definitiva, se ne deve concludere che il meccanismo di attuazione dell’art. 53, comma 16-ter, cit. è un meccanismo “diffuso”, in cui l’ANAC è coinvolta, “ex ante”, con pareri facoltativi di sostegno e indirizzo all’attività della P.A. [ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. e), L. n. 190 del 2012] ed, “ex post”, con attività di ispezione e vigilanza nei confronti delle sole P.A. sul rispetto della norma, che si rivolge nello specifico all’attuazione di strumenti generali, quali il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), che infatti prende in considerazione ipotesi di inserimento di apposite clausole negli atti di assunzione di personale “pubblico”, e al Documento di Gara Unico Europeo (DGUE), in correlazione con quanto previsto dall’art. 85 D.Lgs. n. 50 del 2016, sulle cause di esclusione da una procedura pubblica: la violazione delle suddette clausole o della dichiarazione ai sensi del DGUE comportano la “nullità” del contratto con il singolo dipendente – da far valere nelle opportune sedi – ovvero l’interdittiva a contrarre per le imprese inadempienti; non sussiste, per converso alcun potere – legislativamente individuato – dell’ANAC per intervenire direttamente ex art. 21 D.Lgs. n. 39 del 2013 cit. nei confronti di uno o più soggetti “privati”.

T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 27 novembre 2018, n. 11494

Art. 53, comma 16-terD.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (G.U. 9 maggio 2001, n. 106, S.O.)

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