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L’aggiornamento 2018 al PNA*

L’ANAC ha pubblicato l’aggiornamento 2018 al Piano nazionale anticorruzione. Il documento, più assimilabile alle linee guida, in quanto non prevede alcuna “pianificazione”, né la scansione di tempi, prende in esame quei temi che, a seguito delle rilevazioni effettuate dall’Autorità sono da considerare prioritari.

Il primo tra questi, rispettando l’ordine del Piano riguarda il Ruolo e poteri del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Al riguardo, si legge nel PNA, l’Autorità ha recentemente adottato la delibera n. 840 del 2 ottobre 2018, in cui sono state date indicazioni interpretative ed operative con particolare riferimento ai poteri di verifica, controllo e istruttori del RPCT nel caso rilevi o siano segnalati casi di presunta corruzione. I poteri di vigilanza e controllo del RPCT sono stati delineati come funzionali al ruolo principale che il legislatore assegna al RPCT che è quello di proporre e di predisporre adeguati strumenti interni all’amministrazione per contrastare l’insorgenza di fenomeni corruttivi (PTPC). Si è precisato che tali poteri si inseriscono e vanno coordinati con quelli di altri organi di controllo interno delle amministrazioni ed enti al fine di ottimizzare, senza sovrapposizioni o duplicazioni, l’intero sistema di controlli previsti nelle amministrazioni anche al fine di contenere fenomeni di maladministration. In tale quadro, si è escluso che al RPCT spetti accertare responsabilità e svolgere direttamente controlli di legittimità e di regolarità amministrativa e contabile. Certamente è auspicabile che questa affermazione non si estenda agli enti locali, all’interno dei quali i segretari comunali, per effetto di specifiche disposizioni legislative, ricoprono entrambe le funzioni.

Sui poteri istruttori degli stessi RPCT, e relativi limiti, in caso di segnalazioni di fatti di natura corruttiva si è valutata positivamente la possibilità che il RPCT possa acquisire direttamente atti e documenti o svolgere audizioni di dipendenti nella misura in cui ciò consenta al RPCT di avere una più chiara ricostruzione dei fatti oggetto della segnalazione. Inoltre, con riferimento al caso in cui il RPCT sia anche titolare o componente di organi con funzioni di controllo, occorre valutare attentamente le conseguenze e gli oneri che il cumulo di funzioni in capo al RPCT possono comportare. Resta comunque fermo che i poteri che possono essere esercitati in qualità di organo di controllo interno devono essere ben distinti da quelli che vengono esercitati come RPCT. Come già indicato dall’Autorità è da escludere, per evitare che vi siano situazioni di coincidenza di ruoli fra controllore e controllato, che il RPCT possa ricoprire anche il ruolo di componente o di presidente dell’Organismo indipendente di valutazione (OIV), dell’Organismo di vigilanza (ODV) o del Nucleo di valutazione. 

Il documento affronta, inoltre il tema della revoca del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza e le misure discriminatorie nei suoi confronti. Preliminarmente l’Autorità afferma che le norme non sono chiare nella definizione del procedimento da seguire. Al fine di consentire all’Autorità di poter esercitare il potere attribuitole dalla legge sui provvedimenti di revoca del RPCT, nel caso in cui emerga la possibile esistenza di una correlazione tra la revoca e le attività svolte dal RPCT in materia di prevenzione della corruzione, è onere delle amministrazioni e degli altri soggetti anche privati (cui la disciplina si applica) comunicare tempestivamente all’Autorità l’adozione degli atti di revoca del RPCT. 

Trattandosi di un procedimento che l’Autorità conduce allo stato degli atti e poiché, come anche più volte emerso nel corso dell’attività svolta in merito dall’ANAC, è di rilievo tenere conto anche di elementi istruttori in grado di rappresentare eventuali osservazioni e valutazioni del RPCT revocato, è necessario che siano trasmessi insieme alla revoca eventuali atti e osservazioni prodotti dal RPCT nell’ambito del predetto procedimento. 

Le amministrazioni e gli altri soggetti interessati provvedono, su impulso dell’Autorità, al riesame del provvedimento di revoca laddove quest’ultima rilevi, a seguito dell’istruttoria, la possibile esistenza di una correlazione tra la revoca e le attività svolte dal RPCT in materia di prevenzione della corruzione. Ove si confermi la revoca, nella motivazione del provvedimento l’amministrazione e gli altri soggetti sono tenuti a riferirsi agli elementi contenuti nella richiesta di riesame adottata dall’Autorità. Ciò al fine di assicurare una compiuta analisi dei rilievi dell’Autorità. 

Il documento affronta anche il tema della Trasparenza e nuova disciplina della tutela dei dati personali (Reg. UE 2016/679). Al riguardo, si  richiama l’art. 2-ter del d.lgs. 196/2003, introdotto dal d.lgs. 101/2018, che dispone al comma 1 che la base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, «è costituita esclusivamente da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento». Inoltre il comma 3 del medesimo articolo stabilisce che «La diffusione e la comunicazione di dati personali, trattati per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri, a soggetti che intendono trattarli per altre finalità sono ammesse unicamente se previste ai sensi del comma 1». Pertanto, afferma l’Autorità, Il regime normativo per il trattamento di dati personali da parte dei soggetti pubblici è rimasto sostanzialmente inalterato essendo confermato il principio che esso è consentito unicamente se ammesso da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento. Pertanto, fermo restando il valore riconosciuto alla trasparenza, che concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione (art. 1, d.lgs. 33/2013), occorre che le pubbliche amministrazioni, prima di mettere a disposizione sui propri siti web istituzionali dati e documenti (in forma integrale o per estratto, ivi compresi gli allegati) contenenti dati personali, verifichino che la disciplina in materia di trasparenza contenuta nel d.lgs. 33/2013 o in altre normative, anche di settore, preveda l’obbligo di pubblicazione. 

Uno spazio rilevante occupa il tema del “pantouflage” riguardante il divieto per i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, di svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività dell’amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. La norma sul divieto di pantouflage prevede inoltre specifiche conseguenze sanzionatorie, quali la nullità del contratto concluso e dell’incarico conferito in violazione del predetto divieto; inoltre, ai soggetti privati che hanno conferito l’incarico è preclusa la possibilità di contrattare con le pubbliche amministrazioni nei tre anni successivi, con contestuale obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti ed accertati ad essi riferiti. Sull’argomento, l’Autorità evidenzia di avere anche funzione consultiva. E che, inoltre, il potere di accertamento dell’ANAC, è espressione di una valutazione sulla legittimità del procedimento di conferimento dell’incarico, in corso o già concluso, che non si esaurisce in un parere ma è produttiva di conseguenze giuridiche e ha pertanto carattere provvedimentale, come tale impugnabile dinanzi al TAR. L’Autorità afferma, inoltre, che il rischio di “pantouflage” possa configurarsi, non solo con riferimento a chi abbia poteri autoritativi, ma anche in capo al dipendente che ha comunque avuto il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto del provvedimento finale, collaborando all’istruttoria, ad esempio attraverso la elaborazione di atti endoprocedimentali obbligatori (pareri, perizie, certificazioni) che vincolano in modo significativo il contenuto della decisione (cfr. parere ANAC sulla normativa AG 74 del 21 ottobre 2015 e orientamento n. 24/2015). Pertanto, il divieto di pantouflage si applica non solo al soggetto che abbia firmato l’atto ma anche a coloro che abbiano partecipato al procedimento. 

Al riguardo si rileva una difficoltà oggettiva. Appare difficile e può essere fonte di contenziose, infatti, l’eventuale esclusione di un operatore economico che si trovi nella condizione di avere assunto un ex dipendente che non abbia mai esercitato poteri autoritativi, senza una esplicita previsione normativa, così come appare impossibile applicare, nella stessa ipotesi la misura della nullità del contratto tra quell’operatore e l’ex dipendente.

La parte generale del documento si conclude con la misura della “rotazione del personale”, evidenziandone la mancata applicazione, anche nelle amministrazioni più numerose. Lo stesso giudizio viene espresso riguardo alla c.d. rotazione “straordinaria” da applicarsi successivamente al verificarsi di fenomeni corruttivi.  Tale forma di rotazione è disciplinata nel d.lgs. 165/2001, art. 16, co. 1, lett. l-quater, secondo cui «I dirigenti di uffici dirigenziali generali provvedono al monitoraggio delle attività nell’ambito delle quali è più elevato il rischio corruzione svolte nell’ufficio a cui sono preposti, disponendo, con provvedimento motivato, la rotazione del personale nei casi di avvio di procedimenti penali o disciplinari per condotte di natura corruttiva». 

Il PNA affronta anche il tema della pianificazione della corruzione nei Comuni di minori dimensioni e si afferma, in sostanza che fermo restando l’obbligo della predisposizione del PTPC, “si ritiene che i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, in ragione delle difficoltà organizzative dovute alla loro ridotta dimensione, e solo nei casi in cui nell’anno successivo all’adozione del PTPC non siano intercorsi fatti corruttivi o modifiche organizzative rilevanti, possono provvedere all’adozione del PTPC con modalità semplificate”. In tali casi, l’organo di indirizzo politico può adottare un provvedimento con cui, nel dare atto dell’assenza di fatti corruttivi o ipotesi di disfunzioni amministrative significative nel corso dell’ultimo anno, conferma il PTPC già adottato. Nel provvedimento in questione possono essere indicate integrazioni o correzioni di misure preventive presenti nel PTPC qualora si renda necessario a seguito del monitoraggio svolto dal RPCT.”

Di particolare rilievo, per gli enti locali, è la sezione specificamente dedicata alla “gestione dei rifiuti“, all’interno della quale sono evidenziati gli ambiti di rischio e le possibili misure di prevenzione.

Il documento, in coerenza con gli ultimi aggiornamenti, si prefigge di approfondire alcune tematiche  specifiche, lasciando intendere che, ai fini dell’aggiornamento dei nuovi PTPC possa essere sufficiente una sistematizzazione e attualizzazione di quelli in atto, non nel senso di una mera riproposizione, ma come contestualizzazione, sia nel metodo, attraverso il coinvolgimento degli attori, sia nella sostanza, attraverso la verifica della adeguatezza delle misure.

Certamente,  prendendo a prestito la stessa osservazione, giustamente evidenziata dall’ANAC rispetto agli altri Piani, anche nel PNA, sarebbe stato utile, in apertura, dedicare una parte all’analisi del contesto. Ciò avrebbe consentito una migliore comprensione degli ambiti di interesse del “sistema Paese”, non solo con riferimento ai piani delle amministrazioni, ma rispetto al fenomeno corruttivo a cui si rivolgono tutti gli interventi, oltre che ai risultati conseguiti nell’azione di contrasto.

Santo Fabiano

*) articolo pubblicato su www.marcoaurelio@comune.roma.it

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