11/04/2018 – Il Sindaco può sospendere l’attività della sala giochi autorizzata dal Questore

Il Sindaco può sospendere l’attività della sala giochi autorizzata dal Questore

di Roberto Rossetti – Comandante Polizia Locale

 

Una ditta che gestisce una sala bingo con licenza rilasciata dal Questore, si rivolge al Consiglio di Stato per vedere riformata la sentenza a lei sfavorevole emessa in primo grado dal TAR, che ha ritenuto legittima l’Ordinanza del Sindaco che imponeva la sospensione dell’attività di 4 giorni, a seguito di reiterate violazioni ai limiti massimi di orari di apertura imposti dal Comune.

Il TAR aveva ritenuto legittimo l’operato del Comune che aveva regolamentato gli orari di esercizio delle sale giochi, prevedendo, in caso di violazione, sanzioni amministrative pecuniarie e, in caso di particolare gravità e recidiva, la sanzione accessoria della sospensione dell’attività per un periodo da uno a cinque giorni. A seguito di controlli effettuati era stato accertato il funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro in orari non consentiti, così che erano state applicate le sanzioni pecuniarie ed anche la sanzione della sospensione dell’attività, stante la recidiva, in applicazione dell’art. 10T.U. delle Leggi di P.S. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773). Il provvedimento adottato era stato ritenuto legittimo, in quanto trovava adeguata “copertura” in una in fonte di rango primario e perché la sospensione contestata era disgiunta dalla sanzione pecuniaria e prevista solo per le ipotesi di particolare gravità e di recidiva, come avvenuto nel caso in esame.

Nel ricorrere al Consiglio di Stato, la difesa della ditta sostiene che il potere concesso dall’art. 10T.U.L.P.S., secondo il quale “Le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata” è riferibile al solo organo che ha rilasciato la licenza, cioè al Questore e nella fattispecie, non erano rintracciabili nell’ordinamento altre fonti che consentissero l’intervento comunale, limitati, ai sensi dell’art. 50 T.U. degli Enti Locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) alla disciplina degli orari di funzionamento degli apparecchi da gioco lecito e alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie, ma senza possibilità di intervento sulla licenza.

Sono oggetto di contestazione l’Ordinanza del Sindaco che prevede l’ammontare sanzione amministrativa pecuniaria, ai sensi dell’art. 7-bisD.Lgs. n. 267 del 2000 e, in caso di particolare gravità e recidiva (almeno due volte in un anno, anche se si è provveduto al pagamento in misura ridotta), la sanzione accessoria della sospensione dell’attività e l’Ordinanza dello stesso Sindaco con cui di impone detta sospensione.

Le problematiche relative agli orari di apertura e funzionamento delle sale gioco sono particolarmente sensibili e delicate, vi confluiscono una pluralità di interessi privati, pubblici e generali, relativi alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla quiete pubblica e alla salute pubblica, quest’ultima in relazione al pericoloso fenomeno, sempre più diffuso, della ludopatia.

La Corte Costituzionale ha evidenziato che l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia di legittimità, sia di merito, ha orami elaborato un’interpretazione dell’art. 50, comma 7, D.Lgs. n. 267 del 2000, che lo ritiene idoneo a fornire fondamento legislativo al potere sindacale, prevedendo che “.…il Sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano istallate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale” (cfr. Corte Cost. sentenza 18 luglio 2014, n. 220).

In altra occasione la Corte Costituzionale, nel vagliare una questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento ad una norma regionale, aveva rilevato che l’Autorità amministrativa, pur perseguendo in via preminente finalità di carattere socio – sanitario, potrebbe incidere su esercizi commerciali, quali quelli che accettano scommesse, soggetti al controllo dell’Autorità di Pubblica Sicurezza, ai sensi dell’art. 88T.U.L.P.S (cfr. Corte Cost. sentenza 11 maggio 2017, n. 108).

La normativa locale si muove su un piano distinto da quello del T.U. delle Leggi di P.S. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773), preoccupandosi delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli e, in quest’ottica, l’intervento inibitore sull’attività, da parte dell’Autorità comunale, utilizzando la disposizione censurata, non implica alcuna interferenza con le diverse valutazione che sono demandate all’Autorità di Pubblica Sicurezza (cfr. Corte Cost. sentenza 10 novembre 2011, n. 300).

La giurisprudenza amministrativa ha pure chiarito che la previsione contenuta nell’art. 50, comma 7, D.Lgs. n. 267 del 2000, ha carattere generale, riconoscendo pertanto al Sindaco il potere di disciplinare gli orari delle sale da gioco o di accensione e di spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi, in cui i medesimi sono installati, puntualizzando che un simile potere non interferisce con quello degli organi statali, in quanto le rispettive competenze operano su piani diversi e non lede il principio di separazione delle competenze legislative fra Stato e Regione (Cons. di Stato, 1 agosto 2015, n. 3778; Cons. di Stato, Sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4784; Cons. di Stato 22 ottobre 2015, n. 4861; in tema di distanze delle sale da gioco dai c.d. luoghi sensibili, Cons. di Stato, Sez. V, 27 giugno 2017, n. 3138).

Il potere conferito al Sindaco si riferisce all’aspetto della tutela della quiete pubblica e della salute pubblica e non interferisce, anzi è estraneo al diverso profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica e, pertanto, deve ammettersi logicamente e giuridicamente la sussistenza anche di un corrispondente potere sanzionatorio, non meramente simbolico o sproporzionato, in modo da garantire effettiva deterrenza alle norme emanate dal Sindaco.

Ragionando al contrario si legittimerebbe una disciplina imperfetta, senza proporzionate sanzioni per dare cogenza oggettiva delle prescrizioni imposte dall’Autorità amministrativa nell’interesse pubblico e si tradirebbe lo sforzo ricostruttivo operato dal giudice delle leggi e dalla giurisprudenza amministrativa di riconoscere in capo al Sindaco, in forza, dell’art. 50, comma 7, D.Lgs. n. 267 del 2000, il potere/dovere di tutelare l’interesse alla salubrità dell’ambiente cittadino.

Per il Consiglio di Stato la sanzione, per poter avere un reale effetto di deterrenza, dev’essere ragionevole, efficace e dotata di un sicuro carattere afflittivo, per ottenere questo risultato la sola sanzione pecuniaria amministrativa non appare uno strumento di per sé sufficiente per realizzare l’interesse cui presiede.

Nel caso in esame, per il rispetto del principio di legalità, la sanzione amministrativa pecuniaria trova adeguata “copertura” nell’art. 7-bis, commi 1 e 1-bis, D.Lgs. n. 267 del 2000, ma è evidente che la sola sanzione pecuniaria prevista dal citato comma 1 (da 25 euro a 500 euro) non possiede alcun reale effetto deterrente, perché in una semplice logica costi/benefici, il titolare di una sala giochi sarebbe facilmente indotto ad assumere il rischio e il relativamente tenue costo della eventuale sanzione, a fronte di un più elevato guadagno derivante dal funzionamento della sala giochi, rendendo in questo modo impossibile, la cura dell’interesse pubblico da parte dell’Autorità comunale. E’, quindi, necessario che reiterate violazioni siano punite con misure ulteriori e maggiormente afflittive, incidendo direttamente sull’attività sospendendola per un tempo ragionevole, adeguato e idoneo.

Si pone, quindi, il problema di verificare se anche questa ulteriore misura, rispetti il principio di legalità e cioè se la sua previsione, con un’Ordinanza sindacale, abbia la prevista “copertura” legislativa e al riguardo, il Consiglio di Stato effettua una ricognizione delle norme relative al rilascio delle autorizzazioni di polizia, relative alle “sale pubbliche da bigliardi o per altri giuochi leciti”, previste dal comma 1, dell’art. 86 del T.U.L.P.S. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773), le cui competenze sono state attribuite ai comuni dall’art. 19, comma 1, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

Il Collegio ritiene che per effetto di tale passaggio di funzioni (dall’autorità di pubblica sicurezza ai comuni), a questi ultimi sono transitati anche i poteri sanzionatori previsti dal T.U.L.P.S., utilizzabili evidentemente in presenza di violazioni delle norme che attengono alla tutela degli interessi pubblici diversi da quello dell’ordine della sicurezza pubblica (in tal senso in generale, Cons. di Stato, Sez. IV, 25 novembre 2003, n. 7777, secondo cui il potere di sospensione delle licenze per pubblici esercizi attribuiti ai Comuni dall’art. 19, comma 4, D.P.R. n. 616 del 1977 deve ritenersi esercitabile nei soli casi in cui la sospensione della licenza trovi giustificazione in ragioni diverse da quelle attinenti alla tutela dell’ordine pubblico; ancora Cons. di Stato, Sez. IV, 6 giugno 1997, n. 625; Cons. di Stato, Sez. V, 24 novembre 1992 n. 1376).

Tra tali poteri rientra anche quello della sospensione del titolo in caso di abuso dell’autorizzazione, come previsto dall’art. 10 del T.U.L.P.S. Tale abuso, non è direttamente attinente all’ordine o alla sicurezza pubblica, ma ad altri interessi pubblici tutelati dall’Autorità comunale, mediante il rilascio dell’autorizzazione. La giurisprudenza ha precisato che anche la mera violazione delle modalità di svolgimento del servizio autorizzato costituisce abuso, cui può conseguire la sospensione dell’attività autorizzata, giacché l’autorizzazione deve essere utilizzata conformemente alle prescrizioni contenute nella legge e nelle altre varie fonti (cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 29 settembre 2010, n. 7185; secondo la più risalente, ma non meno significativa giurisprudenza, gli abusi che legittimano la revoca o la sospensione di una licenza di polizia [nel caso di specie si trattava di commercio di preziosi] non consistono solo nell’uso della stessa per scopi diversi da quelli per i quali il titolo è stato rilasciato, ma anche nel dispregio delle prescrizioni e delle regole procedurali che il titolare è tenuto ad osservare, Cons. di Stato, Sez. IV, 7 luglio 1992, n. 674).

Alla fine di questo percorso argomentativo, non del tutto lineare, se non nelle motivazioni di carattere generale relative alla necessaria afflittività della sanzione, il Consiglio di Stato conclude che anche la “sanzione accessoria”, quale conseguenza della violazione dell’Ordinanza sindacale di disciplina degli orari di apertura delle sale da gioco e scommesse e del funzionamento di apparecchi con vincite di gioco in danaro, risponde al principio di legalità, in quanto la sua emanazione è legittimata proprio nell’art. 10 del T.U.L.P.S., non riferibile alle sole autorizzazioni di polizia in senso stretto, ma applicabile anche a quelle autorizzazioni che, per effetto dell’art. 19D.P.R. n. 616 del 1977, sono state trasferite alle competenze dei comuni e per l’abuso del titolo costituito, nella fattispecie in esame, dalla (ripetuta) violazione delle disposizioni, legittimamente date dall’autorità comunale, in tema di orario di apertura e funzionamento delle sale gioco autorizzate.

Cons. di Stato, Sez. V, 28 marzo 2018, n. 1933

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