05/04/2018 – Corte dei conti: Ccnl “deludente”. Ma, esattamente la magistratura contabile cosa intende dire parlando della riforma della dirigenza?

Corte dei conti: Ccnl “deludente”. Ma, esattamente la magistratura contabile cosa intende dire parlando della riforma della dirigenza?

 
La deliberazione delle Sezioni Riunite della Corte dei conti 1/2018 ha definito “deludente” il Ccnl delle funzioni centrali (di fatto, affermando che sono altrettanto deludenti gli altri, sostanziali copie del primo stipulato). Tutti i media ne hanno parlato e, oggettivamente, del giudizio della Corte dei conti non ci si può proprio stupire.

Sta di fatto, comunque, che le Sezioni Riunite estendono la loro delusione anche alla mancata riforma della dirigenza pubblica, nel seguente passaggio: “Segnali negativi derivano, inoltre, dal mancato completamento della riforma della pubblica amministrazione, delineata dalla legge delega n. 124 del 2015, con riferimento alla complessiva riscrittura del d.lgs. n. 165 del 2001 e all’auspicata riforma  della dirigenza“.

Sarebbe interessante capire di quale “auspicata” riforma della dirigenza si parli. Si tratta, forse, della riforma Madia, bloccata dalla sentenza della Corte costituzionale 251/2016?

Se la risposta fosse positiva, ci sarebbe, però, da chiedersi se le Sezioni Riunite della Corte dei conti condividano ancora quanto affermato nella Audizione della Corte dei conti nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul disegno di legge in materia di Riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche (AC 3098), poi sfociato nella legge 124/2015, da cui trasse origine lo schema di riforma della dirigenza.

Cosa affermarono a suo tempo le Sezioni Riunite sui criteri di delega per la riforma della dirigenza, della quale oggi si lamenta la mancanza? Ecco il testo:

Il disegno relativo alla dirigenza pubblica non risulta sostanzialmente modificato. Restano, pertanto, confermate le osservazioni formulate al riguardo nell’audizione presso il Senato, in particolare in ordine:

– alla necessità di contemperare la flessibilità dei modelli organizzativi con la salvaguardia di un effettiva autonomia dei dirigenti nei confronti degli organi politici;

– alle modalità per la selezione dei soggetti ai quali conferire incarichi dirigenziali, che non tengono in adeguata considerazione le competenze specifiche dei potenziali interessati;

– al mancato coordinamento delle previsioni con quelle del d.lgs. n. 165 del 2001 relative al conferimento di incarichi a soggetti esterni all’amministrazione;

– alla difficoltà della concreta gestione dei ruoli unici, che rischia di innescare una sorta di conflittuale concorrenza tra le diverse amministrazioni per la individuazione dei candidati migliori;

– al non chiaro riparto di ambiti tra legge e contrattazione collettiva relativamente al trattamento economico dei dirigenti;

– ai dubbi di costituzionalità sollevabili in ordine all’istituzione di ruoli unici anche per i dirigenti delle Regioni e degli enti locali, alla luce del disposto art. 117 della Costituzione, che attribuisce alle Regioni la potestà legislativa esclusiva sull’ordinamento del proprio personale e di quello degli enti locali presenti nel territorio;

– alle possibili ricadute finanziarie della disciplina relativa ai segretari comunali e provinciali, per l’eventuale completa equiparazione di questi alla dirigenza statale.

Anche la previsione di una semplificazione e di un ampliamento delle ipotesi di mobilità tra le amministrazioni pubbliche e tra queste ed il settore privato (comma 1 lett.e ) desta perplessità, in quanto potrebbe prefigurare un più ampio discrezionale ricorso al conferimento di incarichi dirigenziali ad estranei.

Sul nuovo testo paiono formulabili anche le seguenti ulteriori osservazioni:

– il criterio direttivo riformulato alla lettera b.1) esclude la confluenza nel ruolo unico dei dirigenti dello Stato del personale appartenente alla carriera diplomatica. Previsione che si ritiene opportuna, attesa la specificità di funzioni, di reclutamento, di trattamento economico e ordinamentale del personale diplomatico e che, peraltro, potrebbe estendersi anche alla carriera prefettizia, per la quale possono valere considerazioni analoghe;

– sempre con riferimento con la lettera b.1), si ritiene che la confluenza nel ruolo unico della dirigenza statale dei dirigenti degli enti di ricerca andrebbe limitata alla dirigenza amministrativa, in considerazione della professionalità specifica dei dirigenti ricercatori;

– quanto al nuovo disposto della lett. b.4), che ha trasformato in obbligo la facoltà per i comuni di minori dimensioni di nominare un dirigente apicale, imponendo, peraltro, al fine di evitare maggior oneri finanziari, l’esercizio in via associata di tale funzione, andrebbe considerato che – come evidenziano i dati del conto annuale 2013 – oltre il 57 per cento dei comuni (4.597 su un totale di 8.015) è privo sia di dirigenti, che di segretario comunale, trattandosi di enti che, se con popolazione inferiore ai 500 abitanti, hanno una media di soli tre dipendenti. Solo per i comuni con più di centomila abitanti è prevista la figura del dirigente generale. Va anche rilevato al riguardo che appare difficile ipotizzare la neutralità finanziaria della nuova previsione, tenuto anche conto delle difficoltà di una gestione associata della predetta funzione in enti non necessariamente contigui.

Ed è da soggiungere che la funzione di dirigenza apicale ed anche l’eventuale incarico congiunto comportano l’attribuzione di trattamenti economici superiori, pur se si intenda conferire i nuovi compiti a dirigenti già in servizio.

Proseguendo nella disamina delle modifiche apportate al testo originario:

– si condividono le previsioni del possesso di una laurea magistrale per l’accesso alla dirigenza (lett. c punti 1 e 2), e di un riordino del sistema di formazione (lett. c punto 3);

– suscita, viceversa, forti perplessità la previsione di una revisione, con quella 

sulla responsabilità dirigenziale, della disciplina della responsabilità amministrativo-contabile. Il criterio, introdotto dall’art. 9, lett. l, è riproposto nell’art. 13, lett. o, tra le disposizioni sul riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Sul punto non si può non sottolineare come la materia della responsabilità per danno erariale, come precisato dalla Corte costituzionale, attiene all’ordinamento civile e non all’organizzazione amministrativa ed appare, quindi, esorbitante dall’oggetto dell’intervento legislativo all’esame.

Eventuali modifiche al regime della responsabilità contabile, destinate ad impattare sul concreto svolgimento della giurisdizione attribuita alla Corte dei conti, non possono che formare oggetto di un eventuale, organico riordino che concerna tutti i soggetti legati da rapporto di servizio con le pubbliche amministrazioni e non riguardare esclusivamente la categoria dei dirigenti.

Pur se il criterio dell’esclusiva responsabilità dei dirigenti per l’attività gestionale si ponga quale naturale corollario della separazione delle attività di indirizzo politico da quelle di amministrazione attiva, lo stesso necessita di essere declinato salvaguardando la autonomia dei giudici contabili nel ricostruire le fattispecie di danno e nell’individuare i presupposti oggettivi e soggettivi per l’esistenza di una responsabilità patrimoniale.

Come già più sopra evidenziato, il criterio dell’esclusiva responsabilità amministrativo contabile dei dirigenti è ribadito anche nelle modifiche apportate al successivo articolo 13, che concerne il riordino della disciplina di tutti i dipendenti pubblici.

Tale integrazione, in relazione alla sua collocazione sistematica nell’articolo riguardante tutti i dipendenti pubblici, sembrerebbe escludere ogni responsabilità per i funzionari amministrativi, che risulterebbero coperti dalla sottoscrizione dei provvedimenti finali da parte del dirigente preposto all’Ufficio.

Al riguardo va appena osservato che la responsabilità per danno erariale concerne non l’adozione di provvedimenti, ma la concreta attività svolta e ben può configurarsi anche in ipotesi di espletamento di compiti istruttori o consultivi.

Da ultimo, non può non rilevarsi, con riferimento alla abrogazione della previsione di percentuali prefissate per le retribuzioni di risultato e di posizione (nuovo testo della lettera m), come si riveli rischioso il demandare la materia alla contrattazione integrativa di secondo livello che, come l’esperienza ha dimostrato, ha sempre posto scarsa attenzione alle componenti premiali della retribuzione legate al conseguimento dei risultati ed all’impegno individuale.

La mancata fissazione di un tetto alle singole voci accessorie potrebbe, inoltre, determinare sperequazioni connesse al diverso dimensionamento dei fondi unici di amministrazione“.

Non pare, in conclusione, che le Sezioni Riunite avessero un parere granchè positivo della riforma Madia. La domanda, quindi, è da riproporre: esattamente di quale “auspicata riforma della dirigenza” si parla?

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