31/08/2018 – La violazione degli obblighi di assistenza familiare

La violazione degli obblighi di assistenza familiare

Alessandra Concas Referente Aree Diritto Civile, Commerciale e Fallimentare e Diritto di Famiglia

30 agosto 2018

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La violazione degli obblighi di assistenza familiare configura un reato del quale all’articolo 570 del codice penale, rubricato. allo stesso modo, “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, che recita:
Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge.
Al comma 1 dell’articolo appare l’aspetto più controverso e forse il meno applicato.
La norma è relativa a un generico dovere di assistenza nei confronti di coniuge e figli minori, con le sanzioni che ne conseguono. La poca determinatezza della condotta criminosa, si ha quando il Legislatore richiama il concetto di “ordine e morale delle famiglie” e allo stesso tempo non specifica il contenuto degli “obblighi di assistenza”. La sanzione penale per l’abbandono del domicilio domestico è obsoleta e ricalca quello che in passato andava sotto il nome di “abbandono del tetto coniugale”.
Il comma due rappresenta il reato più contestato con frequenza maggiore. Il numero dei potenziali soggetti attivi comprende coniugi e genitori, ma anche nonni e figli maggiorenni, visto che la norma è relativa agli ascendenti e discendenti.
Sulla condotta, secondo la Dottrina e la Giurisprudenza, il concetto di “sussistenza” andrebbe inteso nel senso di soddisfazione delle basilari esigenze di vita, perciò, non esclusivamente vitto e alloggio, ma anche spese di vestiario, istruzione e altro. La sussistenza avrebbe portata meno ampia del concetto civilistico di “mantenimento”, che in relazione alla separazione o al divorzio, si determina in base al tenore di vita precedente alla divisione dei due coniugi.
L’introduzione con la legge 54/2006 (sul c.d. Affido Condiviso)  ha finito quasi per assorbire nel reato di violazione degli obblighi di natura economica nei confronti della prole il dettato del quale all’articolo 570 comma 2, numero 2, quando i soggetti passivi siano i figli, norma che ricollega la commissione del reato al semplice fatto di omettere il versamento dell’assegno stabilito dal giudice a favore dei figli minori, indipendentemente dallo stato di bisogno degli stessi.
Sull’ipotesi di malversazione o dilapidazione, una simile condotta è integrata non da un singolo atto, ma da un comportamento che si protrae nel tempo.
I reati presi in considerazione all’articolo 570 del codice penale, sono puniti con la reclusione da 15 giorni a 1 anno, e con la multa sino a 1.032 euro. Stesse sanzioni si applicano a chi compia il reato di violazione degli obblighi di natura economica (art. 3 l. 54/2006). Se sono commessi in danno di minori, i reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare sono procedibili d’ufficio, lo stesso vale  per il reato del quale all’art. 3 l. 54/2006.
È necessaria la querela della persona offesa se la stessa si identifichi nel coniuge o in persona maggiorenne.
Cosa dice la Giurisprudenza
Sull’argomento esistono diverse sentenze della Suprema Corte di Cassazione.
La più recente è dello scorso mese di luglio, precisamente, la sentenza 23 luglio 2018 n. 3952, ed è relativa all’indisponibilità, essendo disoccupato, dell’obbligato di adempiere al mantenimento del figlio. Secondo la Suprema Corte di Cassazione, lo stato di precarietà economica non è sufficiente ad evitare la condanna in caso di mancato versamento dell’assegno di mantenimento ai figli.
Non rappresenta un deterrente neanche fare prendere visione al giudice della lettera di licenziamento che dimostra la perdita del posto di lavoro. Si deve dimostrare un impedimento oggettivo.
Chi non può più lavorare o ha dimostrato di avere cercato un lavoro in ogni modo e, nonostante questo, avere sempre ricevuto porte in faccia, può essere assolto. Se il genitore dovesse dichiarare di avere sempre svolto attività lavorative saltuarie o in nero, per lui sarebbe peggio, ammettendo tacitamente la propria capacità lavorativa. Sono regole che valgono sia per le coppie sposate sia per quelle di fatto.
Secondo la Suprema Corte, in materia di “obblighi di assistenza familiare”, “lo stato di disoccupazione, in caso di giovane età, e la mancata dimostrazione delle cause che rendono impossibile o difficoltoso il reperimento di un’occupazione” valgono a integrare “l’estremo della colpevole incapacità di adempiere i propri oneri.
La Corte esclude che lo stato di disoccupazione sia sinonimo di impossibilità di provvedere al mantenimento della prole. Anche in presenza di difficoltà economiche provocate dalla perdita del lavoro, non può venire meno il dovere del genitore. La  disoccupazione non può sollevare dalla responsabilità per non avere provveduto a garantire i mezzi di sussistenza ai figli.
Per salvare l’uomo, in questa vicenda, sarebbe stata necessaria la dimostrazione di un’ incapacità economica assoluta.

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