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Mafia capitale: assumere nelle società in house senza concorsi è abuso d’ufficio

Il ricorrente insisteva nel ritenere che una società “in house” quale l’AMA abbia un regime giuridico in base al quale i suoi dirigenti avrebbero pieno arbitrio nell’assunzione del personale. Ciò desume da una sentenza della corte di cassazione, SSUU civili n. 7759/2017, in materia di regolamento di giurisdizione. Tale sentenza, secondo la difesa, avrebbe cancellato la precedente lettura della normativa applicabile fissando il principio che «una società in house non può essere equiparata ad una pubblica amministrazione nel momento in cui assume del personale, agendo in questi casi le società in house come delle comuni società per azioni in regime tutto privatistico».

E, invece, questa sentenza conferma pienamente le modalità con le quali dovevano essere disposte le assunzioni. Le SSUU escludono la equiparazione piena delle società “in house” alle pubbliche amministrazioni, non essendo per tale via imposto l’obbligo di assunzione mediante concorso pubblico. Ma proprio la stessa sentenza richiama le disposizioni di legge che comunque estendono a tali società l’obbligo del concorso. Difatti scrivono: «Anche riguardo l’obbligo di adottare il regime del pubblico concorso la scelta non può derivare da quanto affermato da questa Corte a sezioni unite, che invece ha esaminato il diverso caso della responsabilità erariale che porterebbe ad annullare proprio una delle caratteristiche determinanti dello schema societario utilizzato dalle società in house, anche in termini di maggiore adattabilità degli organici e di pronta reattività al mercato ed alle sue dinamiche. Rimane quindi fermo il principio già affermato da questa Corte con l’ordinanza del 22 dicembre 2011, n. 28330 (id., 2012, I, 3450), in relazione all’art. 18 d.l. 25 giugno 2008 n. 112, secondo il quale «l’art. 18 d.l. 25 giugno 2008 n. 112 (convertito, con modificazioni, nella I. 6 agosto 2008 n. 133), il quale detta regole diverse per le procedure di reclutamento del personale da parte, da un lato, delle società in mano pubblica di gestione dei servizi pubblici locali (1° comma), e, dall’altro, delle altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo (2° comma), è una norma di diritto sostanziale, la quale non incide in alcun modo sui criteri di riparto della giurisdizione in materia di assunzione dei dipendenti, che rimane devoluta, in entrambe le fattispecie anzidette, al giudice ordinario, trattandosi ugualmente di società non equiparabili alle pubbliche amministrazioni. È, pertanto, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, 2° comma, suddetto decreto, sollevata in riferimento agli art. 3 e 97 Cost., nella parte in cui si assume che assoggetti a differenti criteri di riparto della giurisdizione le società di gestione dei servizi pubblici dalle altre società pubbliche».

Proprio il citato art. 18, in ordine al reclutamento del personale delle società pubbliche, prevede che per «le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165», ovvero si deve applicare proprio la disposizione che prevede il reclutamento del personale della pubblica amministrazione con i criteri del concorso nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità . La sentenza invocata, quindi, al contrario di quanto sostenuto con il motivo aggiunto, è una ulteriore conferma della irregolarità della gestione delle assunzioni.

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